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martedì 10 luglio 2012

Verso la riconciliazione: oltre 300 combattenti pronti a cedere le armi a Homs

Homs (Agenzia Fides) – Oltre 300 combattenti nelle diverse fazioni armate dell’opposizione siriana a Homs hanno accettato di cedere le armi, di entrare sotto la tutela del Comitato popolare interreligioso “Mussalaha” e di continuare una “opposizione politica non armata”.
E’ il risultato di uno storico accordo promosso dal movimento “Mussalaha” (“Riconciliazione”), nato spontaneamente dalla società civile siriana, che sta riscuotendo la fiducia di tutte le parti in lotta, di famiglie, clan, comunità diverse, di settori del governo e dell’opposizione armata. Gli oltre 300 armati sono perlopiù giovani che si trovano asserragliati nelle diverse stradine del centro storico di Homs come Khalidiye, Jouret al shiyah, Qarabis, Hamidiyah, Bustan Diwan e dintorni, tuttora assediate dalle forze dell’esercito siriano. Nel complesso, si stima che i resistenti armati all’interno di quell’area della città vecchia siano oltre 1.000.
Il Comitato della “Mussalaha” di Homs, che include il sacerdote siro-cattolico p. Michel Naaman, altri leader religiosi musulmani e diversi leader della società civile e rappresentanti di comunità, dopo un lungo sforzo di mediazione, è riuscito a raggiungere un risultato fino a ieri impensabile. “I 300 giovani pronti a deporre la armi sono giovani e adolescenti che avevano deciso di combattere, presi dallo spirito e dagli ideali della rivoluzione. Fra loro vi sono parenti, figli, amici, di persone che fanno parte della Mussalaha e questo ha notevolmente facilitato il dialogo e l’accordo. Sono i figli del popolo siriano”, nota a Fides il sacerdote di Homs.
I giovani hanno avuto dall’esercito siriano garanzie che, deponendo le armi, saranno liberi e potranno continuare una “opposizione politica non violenta”. Il comitato della “Mussalaha” si farà garante della loro salvezza e libertà, in una atmosfera che vuole incoraggiare il confronto, il dialogo e la riconciliazione. Non è escluso, notano i leader della “Mussalaha”, che molti altri combattenti possano seguire questo esempio ed entrare sotto la tutela del Comitato di riconciliazione.
Il problema principale, notano fonti di Fides, è rappresentato ora da oltre 100 uomini armati non siriani che sono presenti nell’area e che non hanno intenzione né possibilità di rientrare in questa delicata operazione di “dialogo interno siriano”. Costoro chiedono il coinvolgimento della Croce Rossa, per questo i rappresentanti della CRI saranno allertati per un possibile intervento nella mediazione. (PA) (Agenzia Fides 10/7/2012)

UNA DOMANDA INTERESSANTE

Siria: una rivolta spontanea o eterodiretta?
Così posta, la domanda è fuorviante: la realtà è più complessa e sfaccettata, come spiega a Confronti Patrick Boylan, che fa parte della Rete NoWar e dell’organizzazione Statunitensi per la pace e la giustizia. Di seguito, all’interno del servizio, altri interventi di testimoni diretti di ciò che sta avvenendo in Siria.
leggi su:
http://www.confronti.net/SERVIZI/siria-una-rivolta-spontanea-o-eterodiretta

lunedì 9 luglio 2012

"Sulla Siria troppa superficialità da parte dei media"

Secondo Aiuto alla Chiesa che Soffre la situazione reale è molto più complessa
«I siriani sono indignati. Quando leggono le notizie riportate nei nostri Paesi si sentono ingannati e usati, e credono che l’Occidente insegua unicamente i propri interessi». Padre Andrzej Halemba, responsabile internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre per la sezione Asia-Africa, ha denunciato la superficialità dei mezzi di comunicazione occidentali nel raccontare gli attuali avvenimenti in Siria.
«Come opera caritativa ACS non interviene in ambito politico – ha aggiunto il sacerdote - ma non si può tacere una situazione che è molto più complessa di quella descritta dai media. L’informazione non può continuare a scegliere la strada più facile».
Le dichiarazioni di vari esponenti della Chiesa siriana, con cui padre Halemba è costantemente in contatto, compongono un quadro assai più articolato: rivendicazioni egemoniche, tensioni tra le diverse correnti musulmane, faide tribali, vendette, rappresaglie. Fatti all’ordine del giorno che insieme all’aumento della criminalità alimentano l’instabilità nel Paese.
Nei giorni scorsi un membro del clero locale – che per motivi di sicurezza ha preferito mantenere l’anonimato – ha segnalato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la scarsa attendibilità dei mezzi di comunicazione, autori di «sfacciate manipolazioni».
«Assistiamo a volgari falsificazioni che, senza vergogna, trasformano piccole proteste in immense manifestazioni con centinaia, se non migliaia di dimostranti». Stando a quanto riferito ad ACS, i giornalisti ignorerebbero volontariamente le testimonianze oculari e in molti casi le immagini fornite sarebbero fotomontaggi creati utilizzando fotografie della guerra in Iraq e di altri conflitti recenti.
Profondamente preoccupati per quanto sta accadendo in Siria, i vertici di Aiuto alla Chiesa che Soffre hanno deciso di stanziare un contributo straordinario di 130mila euro. 50mila euro saranno destinati ai siriani intrappolati nella città vecchia di Homs, che rischiano di morire di fame perché tutte le vie di rifornimento sono state interrotte. «Queste persone sono utilizzate come scudi umani – riferisce la fonte anonima ad ACS – ma le loro condizioni potrebbero migliorare se solo fosse aperta la strada agli aiuti umanitari».
Non è molto diversa la sorte delle circa 230mila persone che sono riuscite a fuggire da Homs. Aiuto alla Chiesa che Soffre sta raccogliendo fondi anche per sostenere le 500 famiglie cristiane che hanno trovato rifugio a Marmarita, villaggio del nord-ovest vicino alla frontiera libanese. La Fondazione ha promesso a monsignor Nicolas Sawaf, arcivescovo di Lattaquie dei greco-melkiti, 80mila euro che garantiranno alle famiglie viveri per almeno sei mesi.
http://www.zenit.org/rssitalian-31629

Incontro Annan-Assad: nuovo piano di pace per la Siria
da Radio Vaticana
Il piano di pace di Kofi Annan "non deve fallire". Così si è espresso il presidente siriano, Bashar al Assad, dopo l'incontro con l'inviato speciale dell'Onu e della Lega Araba, definito “costruttivo e trasparente” da ambo le parti.
Le parti hanno deciso di sottoporre all’opposizione un nuovo piano di pace. Intanto da Mosca, dove gli insorti hanno avuto colloqui con le autorità russe, arriva l’attacco del presidente Putin all’Occidente, colpevole di esportare solo la “democrazia delle bombe”. Benedetta Capelli:RealAudioMP3
Forse uno spiraglio di pace nel conflitto in Siria. Al termine dei colloqui, Annan ha spiegato che è stato deciso un “nuovo approccio” per mettere fine alle violenze in Siria e che sarà sottoposto ai ribelli armati. A far capire che il vento stia cambiano anche la prossima tappa di Annan, atteso in serata a Teheran. Il mediatore si è sempre detto convinto che il solido alleato di Damasco debba essere coinvolto nella crisi siriana. In Iran si discuterà degli esiti del vertice di Ginevra del 30 giugno scorso; riunione nella quale molti Paesi avevano chiesto l’uscita di scena di Assad. A Mosca, altro alleato della Siria, si è svolto un incontro tra l’opposizione siriana e il ministro degli Esteri russo Lavrov. I ribelli hanno affermato che il Paese è ormai diventato “l’arena di un conflitto internazionale” e che è la violenza ad impedire il confronto tra governo e opposizione. Di quest’ultimo punto ha parlato anche il presidente russo Putin che ha invocato per la Siria una soluzione pacifica a lungo termine senza interventi esterni. Il capo del Cremlino ha poi avuto parole forti per l’Occidente che tenta di conservare la sua influenza attraverso le operazioni umanitarie e l'esportazione della "democrazia dei missili e delle bombe". Intanto in Siria non cessa la violenza, secondo l’opposizione sia ad Homs che a Damasco proseguono i bombardamenti ed i combattimenti. Sarebbero una ventina le vittime di oggi.
Intanto, cresce la tensione tra Stati Uniti e Siria. Ieri, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha affermato che il Paese rischia un attacco catastrofico molto pericoloso anche per l’intera regione. Inoltre, il presidente Assad, in un’intervista di alcuni giorni fa ad una tv tedesca, ha avuto parole di fuoco per gli Stati Uniti. Starebbero sostenendo e proteggendo i ribelli per destabilizzare la Siria.

http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=603227


I SANTI DEL GIORNO:

† Damasco (Siria), 10 luglio 1860

A Damasco in Siria, passione dei beati martiri Emanuele Ruíz, sacerdote, e compagni, sette dell’Ordine dei Frati Minori e tre fratelli fedeli della Chiesa Maronita, che, con l’inganno consegnati ai nemici da un traditore, furono sottoposti per la fede a varie torture e conclusero il loro martirio con una morte gloriosa.
 http://www.santiebeati.it/dettaglio/91994


venerdì 6 luglio 2012

Villaggio globale, anche per la Siria e il suo dramma

Una madre siriana con il figlio abbandona il suo
villaggio -TGCOM24
Navigando un po' su internet, per vedere le ultime notizie sulla Siria, spesso abbiamo trovato in vari siti e blog che trattano della vicenda siriana un uso delle notizie quanto meno immorale, in quanto le notizie provenienti da questo paese nel caos e nella guerra civile con tutto ciò che questo comporta nelle comunicazioni con altri paesi sono spesso, troppo spesso, utilizzate da chi le propone o ripropone solo al fine di sostenere le proprie ideologie e i propri giudizi sulla situazione, a discapito dell'informazione onesta seppure oggettivamente parziale che corrispondenti in loco possono elaborare e far conoscere a chi come noi è ben lontano, almeno fisicamente, dal conflitto.
Che non sia sempre e solo oro colato quello che si legge sui giornali e su internet tutti lo sanno, o almeno dovrebbero saperlo, se hanno un po' di esperienza della vita. E la situazione siriana è quanto mai ingarbugliata, con forze in gioco note e non note, dove l'unico dato certo è l'uccisione e l'annichilimento di uomini, donne e bambini inermi che nulla hanno a che fare con i giochi di potere in atto nel e sul paese siriano.

TRA I CRISTIANI IN FUGA DA HAMA

«Il regime siriano ci proteggeva ora non possiamo uscire da casa


03 luglio 2012 – La Repubblica, pag. 19

DAMASCO - «Per anni abbiamo vissuto nel Paese più sicuro del mondo. Ci siamo sentiti protetti, rispettati. Ma quando abbiamo visto che non potevamo più neanche affacciarci alla finestra senza rischiare di esser uccisi, abbiamo deciso che non era più il caso di restare e abbiamo lasciato le nostre case».
Ai piedi del convento della Vergine Maria, a Saidnaya, una delle culle dei cristiani d' Oriente, dove si parla ancora l' aramaico, la lingua dei Vangeli, Abdu e George ricordano la loro fuga, pochi giorni fa, da Hama. George è definitivo: «Io avevo dieci anni, nell' 82, quando l' esercito siriano schiacciò la rivolta dei Fratelli musulmani, ma quello che sta succedendo oggi è peggio». Il luogo è lo stesso, Hama, l' antica città sull' Oronte, ma le circostanze sono diverse. La città martire della repressione ordinata da Hafez al-Assad nel febbraio 1982 contro i Fratelli musulmani, è ora uno dei fronti caldi della rivolta che da un anno e mezzo infiamma la Siria.
Ma per Abdu le parole del suo amico riflettono una realtà del tutto nuova: «Quello che vogliamo dire è che oggi, a differenza di 30 anni fa, l' esistenza dei cristiani è minacciata a Hama, dove eravamo una comunità di ventimila persone e adesso sono rimasti soltanto quelli che non hanno nulla da mangiare». Lo stesso succede a Homs e nelle altre città in cui i cristiani, dopo essere rimasti per mesi estranei al conflitto, si sono visti mettere sempre di più nel mirino di gruppi armati, spesso d' incerta provenienza, genericamente definiti "salafiti", integralisti islamici di fede sunnita, che, anche solo per infiammare lo scontro con l' esercito, o per diffondere il panico, hanno imposto la loro presenza nei quartieri cristiani. «Gente venuta da fuori - dice George -. Violenti, arroganti. Entrano in casa, controllano i documenti, interrogano. E se non sono convinti, magari ritornano la notte. Vicino a casa mia si sono portati via una ragazza di 20 anni ritrovata morta qualche ora dopo».
Se non fosse per le parole di questi profughi, seppure di categoria benestante, artigiani, tecnici, commercianti, sarebbe difficile cogliere, a Saidnaya, i segni della tragedia siriana. Il convento risalente all' XI secolo, costruito su una rocca scoscesa, domina come una fortezza inespugnabile una vallata immobile e silenziosa sotto il sole cocente. Qui nulla sembra turbare la calma di questo paesaggio da sempre uguale a se stesso.

Eppure sono giorni di grande tensione per la Siria, che sembra scivolare verso la sua dissoluzione. Una deriva che niente e nessuno sembra in grado di fermare. Non certo le divisioni in seno alla comunità internazionale, con Stati Uniti e Russia su posizioni sempre inconciliabili, né quelle esplose nei ranghi dell' opposizione. L' ultima riprova viene dal Cairo, dove, in base al piano approvato a Ginevra dalle cinque potenze del Consiglio di sicurezza, s' è riunita ieri l' opposizione per elaborare una strategia condivisa sulla proposta di dar vita ad un governo di unità nazionale, per guidare la transizione, con la partecipazione tanto di esponenti del regime che della rivolta.
Ma i ribelli armati, fra i quali i disertori del Libero esercito siriano e alcuni gruppi "indipendenti", hanno subito fatto appello al boicottaggio del vertice, cui invece hanno preso parte rappresentanti del Consiglio nazionale siriano, che raggruppa i dissidenti all' estero. Ma per i cristiani di questo Paese, circa 2 milioni di persone, intorno al 10 per cento della popolazione, l' opposizione è soltanto una pedina della "grande trama" imbastita alle spalle della Siria.
Determinati a difendere la loro identità di "siriani di religione cristiana", prima ancora che di "cristiani di nazionalità siriana", quelli che incontriamo a Maalula, altra meta di pellegrinaggi, dove riposano i resti di Santa Tecla, ad una quarantina di chilometri da Damasco, vedono proprio nelle manovre della comunità internazionale la causa della rivolta che sta scardinando il regime. I guai della Siria, dice in sostanza Gabriel, un comandante della marina commerciale che lavora sulle rotte mediterranee delle compagnie greche, «derivano dalle interferenze americane, per far saltare un equilibrio che non soddisfa i loro interessi, né quelli israeliani, né quelli dell' Arabia Saudita. E l' Europa, vergogna, li segue ciecamente».

In questo contesto, le prospettive di un cambiamento di regime fanno paura. «Non posso dire - afferma nel suo elegante studio di Damasco l' architetto Maria Sadeeh, recentemente eletta come indipendente in Parlamento - che Assad sia il protettore dei cristiani ma dico che noi viviamo in un regime laico che protegge i cristiani. L' Occidente deve stare molto attento a combattere i regimi laici del Medio Oriente perché non si sa quello che potrebbe arrivare dopo. Qui in Siria c' è un tessuto multi religioso che fa parte della storia del Paese. Un regime diverso finirebbe per annullare questo elemento imprescindibile dell' identità siriana. Un sistema salafita lo rifiuteremmo».

ALBERTO STABILE



Busso e ti bombardo

Origine e paradossi delle «guerre umanitarie»


Le guerre del XX e XXI secolo offrono una prevalenza di guerre civili, in cui le popolazioni non sono più solo elementi passivi dei conflitti. Con il tempo, queste guerre hanno innescato l’inedito fenomeno delle guerre umanitarie, la cui origine risale alla vecchia pratica del ricorso al male minore. Oggi lo spazio occupato dagli interventi umanitari e dalla militarizzazione dei diritti umani ha dato vita alla nozione di violenza legalizzata. «Bussare prima di bombardare» è la formula adottata nella guerra di Gaza, conflitto in cui la natura elastica del diritto umanitario («un atto proibito diventa lecito se compiuto da un numero consistente di paesi»), è stato messo alla prova. Questi e altri sono alcuni dei concetti che emergono dal libro di Carlo Jean, con Germano Dottori, Guerre umanitarie. La militarizzazione dei diritti umani (Milano, Dalai editore, 2012, pagine 304, euro 17,50) in cui, a integrazione di quelle studiate da Eyal Weizman, le guerre prese in esame sono descritte come una fisiologia. Nate come guerre civili, si trasformano in guerre umanitarie quando le parti più deboli riescono ad assicurarsi il sostegno dell’opinione pubblica internazionale e di conseguenza l’intervento di Stati soccorritori. Così i musulmani di Bosnia e gli albanesi del Kosovo hanno trovato salvezza dall’oppressione serba. Non senza far ricorso tuttavia a trappole, provocazioni, inganni e pretesti congegnati in modo tale da fare apparire vittime innocenti i loro ideatori e criminali coloro che nelle provocazioni sono cascati determinando reazioni sproporzionate.

Paradossi e ossimori: è nell’ambito dei conflitti umanitari, dove nessun belligerante ammette di combattere una guerra non giusta, che hanno trovato spazio fenomeni come quello degli scudi umani. Bimbi messi a protezione di autobus lanciati in operazioni belliche. Il fatto nuovo è che oggi per prendere parte a una guerra umanitaria si va accompagnati dall’avvocato (che sorveglia la legalità delle azioni in cui ci si impegna), dal responsabile delle risorse umane (vigila che le regole di ingaggio siano rispettate) e dall’addetto alle pubbliche relazioni (sceglie il tipo di intervento in base all’opinione pubblica). Secondo Joseph S Nye, docente a Harvard, il tempo degli interventi umanitari è scaduto («La Stampa» 12 giugno): il detto «le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni» appare sempre più vero.
Oddone Camerana
6 luglio 2012

giovedì 5 luglio 2012


Convivialità e solidarietà: la Siria che rifiuta la guerra

Da: Agenzia Fides

Foto tratta da Ilsole-24ore
Damasco (Agenzia Fides) – Una larga parte della società siriana rifiuta la guerra civile che sta devastando e paralizzando il paese. Uomini e donne di buona volontà, di ogni etnia e religione, rifiutano il settarismo e la logica perversa di un conflitto che ha costretto oltre due milioni di siriani ad abbandonare le loro città e villaggi e a cercare rifugio in zone più tranquille.

Fonti locali di Fides rimarcano, in questa fase di violenza, lo straordinario spirito di aiuto reciproco tra le differenti comunità che compongono il mosaico della società siriana. Famiglie cristiane, sfrattate dalle loro case a causa della violenza, sono accolte da famiglie musulmane; famiglie musulmane sunnite sono rifugiate in casa di alawiti; famiglie alawite e musulmane sono ospitate da cristiani. Valori come solidarietà e ospitalità prendono il sopravvento su violenza e odio. All'interno della società siriana sono nate iniziative spontanee di solidarietà verso le vittime del conflitto. Nella provincia di Damasco abitazioni private appartenenti a famiglie benestanti sono state immediatamente rese disponibili per gli sfollati. Moschee, chiese, sale di comunità, hanno aperto le loro porte. Comitati popolari composti da volontari stanno lavorando duramente al servizio degli sfollati. Le barriere, anche quelle fra “governo e opposizione”, spesso enfatizzate dai mass media stranieri, sono saltate. In alcune aree i comitati popolari della Mezzaluna Rossa siriana, fedeli allo stato, lavorano con i volontari dei comitati di coordinamento della rivoluzione, senza alcuna distinzione di religione, comunità o appartenenza politica. Gli aiuti raccolti da associazioni musulmane sono distribuiti ai cristiani e gli aiuti raccolti da associazioni cristiane sono distribuiti ai musulmani. Il dolore e la sofferenza unisce la Siria e la riporta alla sua struttura sociale originaria: quella basata su un patto sociale che trascende la configurazione politica.

Vi sono, naturalmente, alcune eccezioni: ad esempio nella città di Nebek, dove imperversano bande armate fuori controllo, gli sfollati di Homs sono stati dichiarati “sgraditi” ed allontanati. Come notano fonti di Fides, alcune fazioni armate e organizzazioni criminali stanno approfittando per trarre vantaggio dal caos: beni e proprietà private vengono così saccheggiate. Tutte le comunità, cristiani, musulmani, drusi, alawiti, lamentano violenza, distruzione, insicurezza e instabilità, e chiedono uno sforzo comune per la pace. (PA) (Agenzia Fides 5/7/2012)

giovedì 28 giugno 2012

La via di Damasco non è una strada qualunque

Accorato appello del Papa per la riconciliazione in Siria, ormai da molti mesi entrata nel gorgo di una lotta intestina probabilmente alimentata da precisi interessi stranieri. Il Papa si recherà anche in Libano dopo l'estate per consegnare ufficialmente gli esiti del Sinodo dei Vescovi dedicato al Medio Oriente.
Medio Oriente e Mediterraneo sono il test più drammatico della fatica che il mondo contemporaneo fa nel ricercare forme e modi di convivenza pacifica.
L'apparente calma garantita dalle dittature del mediterraneo è stata travolta dalle rivolte della cosiddetta primavera araba che hanno destato l'entusiasmo un po' ingenuo di tanti intellettuali occidentali e anche solleticato gli interessi economici di tante potenze europee.

Il dramma della Libia, tutt'altro che pacificata dopo un conflitto di cui non si capisce ancora a chi abbia giovato se non a quei paesi che hanno rapidamente sostituito l'Italia nei rapporti economici soprattutto petroliferi; la situazione in bilico dell'Egitto; il terrorismo salafita in Tunisia che pure sembra essersi incamminata positivamente verso forme democratiche; tutto questo testimonia della complessità di una situazione che non può essere compresa né aiutata applicando rigidamente schemi buoni per le democrazie occidentali.

L'Europa che ha sdegnosamente messo ai margini della politica il riferimento alla propria identità storica (le famose radici cristiane per cui tanto si spese Giovanni Paolo II) si trova incapace di un vero dialogo con paesi in cui la religione gioca un ruolo fondamentale nel progettare il proprio futuro.

Analoga incapacità troviamo nei confronti della Siria dove la dittatura di una minoranza (quella che esprime la famiglia degli Assad, peraltro insediati in quel ruolo dalla Francia che ebbe il protettorato su quel territorio dopo la seconda guerra mondiale) aveva consentito la presenza di una forte comunità cristiana (circa il dieci per cento della popolazione, forte rispetto ad altri paesi arabi).

La parola di Benedetto suona così anche come la proposta politica più forte perché invita a ricercare le condizioni di una riconciliazione nazionale unico modo per impedire la dissoluzione dello Stato. Tutelare e difendere i cristiani della Siria dovrebbe essere un compito assai più presente alle cancellerie europee di quanto non succeda normalmente. La via di Damasco non è una strada qualunque ma - luogo della conversione di san Paolo, l'apostolo delle genti- sta proprio all'origine della civiltà europea e della cultura occidentale. Perderne la memoria sarebbe in qualche modo perdere il senso stesso della nostra civiltà.
http://www.dipopolo.it/sulla_via_di_damasco.html

mercoledì 27 giugno 2012

“Pace in Siria”: cresce il movimento popolare di riconciliazione “Mussalaha”

Nuovi incontri e nuove iniziative per il movimento popolare interreligioso “Mussalaha” (“Riconciliazione”), che propone una “riconciliazione dal basso” a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana, stanca del conflitto
Mentre il paese è dilaniato dal conflitto, iniziative e incontri di pace si stanno moltiplicando, nascendo in modo del tutto spontaneo e indipendente: nei giorni scorsi un nuovo incontro che ha visto coinvolti leader civili, leader religiosi moderati, cristiani e musulmani, leader tribali, cittadini sunniti e alawiti del mosaico che compone la società siriana, si è tenuto a Deir Ezzor, nella provincia di Djazirah (Siria orientale), nei pressi dell’Eufrate. Il movimento, notano fonti di Fides, intende dire “No” alla guerra civile e rimarca che “non si può continuare con un bilancio che si attesta fra 40 e 100 vittime al giorno. La nazione viene dissanguata, perde i giovani e le sue forze migliori”. Per questo urge una iniziativa nuova che viene dal “genio popolare”, da persone “che desiderano una vita dignitosa, che rifiutano la violenza settaria e il conflitto confessionale, come le contrapposizioni ideologiche e politiche precostituite”. In molte città siriane, dove da un lato vi sono scontri e vittime – riferiscono fonti di Fides – “crescono gesti di amicizia e di riconciliazione, offerti da leader civili moderati verso rappresentanti di comunità considerate ostili (accade fra alawiti e sunniti), nello spirito di garantire sicurezza e pace grazie alla società civile”. Il movimento spera di trovare un riferimento istituzionale nel Ministro per la Riconciliazione, il socialista Ali Haider, nominato nel nuovo esecutivo siriano e proveniente dal partito di opposizione “People's Will Party”.
Ma intanto sta trovando sostegno anche all’estero: l’irlandese Mairead Maguire, Premio Nobel per la pace nel 1976 con Betty Williams e leader del movimento “The Peace People”, in un comunicato inviato a Fides dice “No alla guerra in Siria”, e afferma: “Dobbiamo metterci nei panni del popolo siriano e trovare vie pacifiche per fermare questa folle corsa verso una guerra che le madri, i padri e figli della Siria non vogliono e non meritano”. Il testo aggiunge: “Urge sostenere quanti lavorano per la pace in Siria e che cercano un modo di aiutare i 22 milioni di siriani a risolvere il loro conflitto, senza promuovere il caos o la violenza”. La Premio Nobel invita le Nazioni Unite ad “essere un forum dove tali voci siriane siano ascoltate”, le voci di “persone che hanno lavorato duro per la Siria, per l'idea della Siria come paese laico, pacifico e moderno”. (Agenzia Fides 27/6/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39402&lan=ita

Situazione disperata per le famiglie cristiane a Homs, dove ormai è guerriglia urbana

Si fa terribile la situazione dei civili nel centro storico di Homs. I circa 400 civili cristiani, intrappolati nel quartieri di Hamidiyeh e Bustan Diwan insieme con altri 400 civili musulmani sunniti, lanciano un grido disperato tramite i sacerdoti siriani, delle diverse Chiese cristiane presenti a Homs, che i civili riescono a contattare.
Come confermato a Fides dai sacerdoti siriani di Homs p. Abdallah Amaz, p. Michel Naaman e p. Maxime El Jamale, si tratta di famiglie siro-cattoliche, greco-cattoliche e greco-ortodosse, che vivono nascoste e sperano di poter uscire vive da una situazione che si fa sempre più dura e pericolosa. Nei giorni scorsi la Croce Rossa Internazionale e la Mezzaluna Rossa, dopo lunghi negoziati fra le parti in lotta, erano riuscite a ottenere un cessate-il-fuoco, con la speranza di poter entrare nell’area ed evacuare i civili dai quartieri di Khalidiyah, Hamidiyeh e Bustan Diwan. Ma la tregua non è stata rispettata ed è stato impossibile portare avanti le operazioni umanitarie.
“I civili non possono uscire dai loro nascondigli e sono terrorizzati. C’è un solo panificio funzionante e solo alcuni, sfidando la sorte, escono una volta al giorno per procurare cibo. Alcuni dei civili si trovano in luoghi vicini a dove sono arroccati i miliziani armati” spiegano le fonti di Fides a Homs. I gruppi armati dell’opposizione hanno scelto di arroccarsi nei quartieri cristiani perché sono formati da un dedalo di viuzze, dove non possono entrare mezzi militari pesanti. Intanto la truppe dell’esercito siriano, da circa tre giorni, sembrano aver cambiato strategia: invece di bombardamenti indiscriminati, penetrano nella “zona calda” con piccole unità militari, tramite un varco nelle vicinanze del quartiere di Khalidiyah, area dove risiedono altre 1.000 famiglie di civili musulmani sunniti. I soldati cercano di stanare i gruppi ribelli in quella che si prospetta, d’ora in poi, come una vera e propria guerriglia urbana. Un civile di Khalidiyah è stato ferito ieri dal fuoco incrociato. Molti altri, avvertono le fonti di Fides, potrebbero restarne vittime. (PA) (Agenzia Fides 27/6/2012

lunedì 25 giugno 2012

Siria accanto a chi soffre

Pubblicato in data 25/giu/2012 da



Una popolazione immobilizzata, che vive nella paura per gli attacchi che si moltiplicano nel paese, quella della Siria, dove la comunità cristiana soffre accanto ai musulmani -per una situazione sempre più complessa. Anche oggi a Homs ed in altre città sono in corso bombardamenti delle forze governative. Solo ieri i morti sono stati 80, mentre da Qusayr, cittadina nei pressi di Homs, giunge la notizia che la chiesa greco-cattolica di Sant'Elia è stata occupata da un gruppo di miliziani dell'opposizione siriana. Abbiamo raggiunto telefonicamente mons Mario Zenari, veronese, da oltre 3 anni nunzio a Damasco, in Siria.

Intervista a:

Mons. MARIO ZENARI
Nunzio Apostolico a Damasco - Siria

Intervista di Sara Fornari

Turchia e Siria sull'orlo del conflitto. Ankara chiede consultazioni Nato. Ruolo dell'Onu?

Da : Il Sole 24ORE
La Nato, su richiesta di Ankara, ha convocato per martedi un incontro a Bruxelles per discutere dell'abbattimento di un caccia turco da parte della contraerea siriana e delle possibili reazioni del Patto Atlantico. La richiesta turca e' stata inoltrata invocando l'articolo 4 del Patto Atlantico, secondo cui un attacco contro un paese membro dell'alleanza e' un attacco contro tutti. Polveriera mediorentale a rischio di esplodere, dunque?
di Mario Platero - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/mTJor

Quando si dice che la Siria non è la Libia - proprio questa mattina il ministro degli esteri Giulio Terzi ha escluso «che ci siano le condizioni per un'azione di tipo libico» a una domanda su cosa la Turchia chiederà domani al consiglio atlantico Nato - la differenza si coglie proprio in questo "incidente" che ha portato all'abbattimento del caccia turco da parte della contraerea siriana.
La Guerra Fredda tra Est e Ovest può diventare calda per la crisi siriana come abbiamo avuto modo di scrivere più volte in questi mesi: la Siria è una "linea rossa" per l'Iran, storico alleato di Damasco, ma anche della Russia di Putin che non soltanto mantiene il controllo del porto di Tartous, l'ultimo mel Mediterraneo, ma anche un sistema radar sofisticato. Una sorta di risposta allo scudo anti-missile piazzato dalla Nato nella base turca di Malatya, la stessa dove venerdì scorso è decollato il Phantom F 4 turco. Questo sistema dell'Alleanza tiene di mira sia l'Iran che le basi russe nel Mar Nero.
 La Turchia queste cose le sa benissimo: in un eventuale conflitto con la Siria sarà in prima linea e naturalmente vuole evitare di andare in guerra da sola e senza un adeguato sostegno militare della Nato e politico delle Nazioni Unite dove ha già inviato una lettera al Consiglio di Sicurezza in attesa della riunione dell'Alleanza atlantica di domani.
di Alberto Negri - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/nyZrj

Molti dettagli circa l'abbattimento del caccia turco F-4 nello spazio aereo siriano non sono ancora stati chiariti. Incerta la sorte dei due uomini d'equipaggio, probabilmente paracadutatisi in mare, e silenzio totale sulla natura della missione effettuata da almeno due cacciabombardieri turchi poiché i velivoli militari si muovono sempre in coppia. Certo l'equipaggio del secondo Phantom potrebbe rivelare molte informazioni utili e di certo ben diverse dalle improbabili dichiarazioni rilasciate dal presidente turco, Abdullah Gul, secondo il quale il jet potrebbe aver violato lo spazio aereo siriano a causa dell'alta velocità.
"E' routine per i caccia alcune volte passare avanti e indietro i confini nazionali" ha affermato Gul, citato dall'agenzia d'informazione Anadolu. "Non si tratta di azioni malintenzionate ma sono incontrollabili a causa dell'alta velocità dei jet". In realtà da quanto si è appreso i jet volavano ad elevata velocità e a quota molto bassa, quella necessaria a spingersi in territorio "nemico" cercando di non farsi individuare dai radar. Foprse una missione per "testare" le difese aeree siriane anche se ambienti vicini all'aeronautica militare turca hanno rivelato che il jet abbattuto era un RF-4E, versione da ricognizione del Phantom decollato dalla base di Ehrac. Non si può quindi escludere che la sua missione fosse proprio quella di scoprire la dislocazione delle truppe siriane nel nord del Paese per girare le informazioni agli insorti siriani che in Turchia non hanno solo le basi ma anche i centri di arrivo delle armi fornite da Stati Uniti (tramite gli uomini della CIA segnalati recentemente dal New York Times) e Paesi arabi. Armi per i ribelli arriverebbero anche da Israele, probabilmente attraverso il confine libanese, poiché fonti siriane hanno riferito all'Ansa che i miliziani a Homs hanno ricevuto missili israeliani di ultima generazione utili ''contro i carri armati T-72'' in dotazione all'esercito siriano.
di Gianandrea Gaiani - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/WMs08