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mercoledì 7 marzo 2012

Il Papa incoraggia i cristiani d'Oriente a "perseverare"

L’UDIENZA GENERALE, 07.03.2012

Il Papa saluta il patriarca di Cilicia degli Armeni, Nerses Bedros XIX
"Mentre affido il Sinodo Armeno alla materna intercessione della Santissima Madre di Dio, estendo il mio orante pensiero alle Regioni del Medio Oriente, incoraggiando Pastori e fedeli tutti a perseverare con speranza nelle gravi sofferenze che affliggono quelle care popolazioni.
Il Signore vi benedica.
Grazie."

In Iraq, come in Siria, gli eserciti stranieri creano solo guai

Sacerdote giordano risponde ad Alain Juppé 
di Rif'at Bader

da Asia News 7/03/2012

Al ministro francese degli esteri, che si è vantato per l'impegno del suo Paese a favore dei cristiani d'oriente, p. Rif'at Bader ribatte che la fuga dei cristiani dall'Iraq sta a testimoniare il contrario. La follia di esportare la democrazia con le armi anche in Siria. Se l'occidente vuole fare davvero qualcosa per il Medio oriente (non solo per i cristiani) occorre potenziare l'educazione, i media, la sanità, ma soprattutto collaborare a risolvere il problema israelo-palestinese.

Amman (AsiaNews) - Il p. Rif'at Bader, direttore del Centro di studi e comunicazione nella capitale giordana, ha risposto in questi giorni a un articolo del ministro francese degli esteri, Alain Juppé, apparso su diversi giornali mondiali. Nell'articolo, Juppé rivendicava un ruolo di difesa dei cristiani svolto dalla Francia e invitava i cristiani di Siria a combattere con più decisione contro Bashar Assad. Ecco la risposta che p. Bader ci ha inviato (traduzione dal francese a cura di AsiaNews).

leggi la lettera qui
http://www.asianews.it/notizie-it/Sacerdote-giordano-risponde-ad-Alain-Juppé:-In-Iraq,-come-in-Siria,-gli-eserciti-stranieri-creano-solo-guai-24170.html

martedì 6 marzo 2012

Il fondamento della pace

Ignace IV Hazim - Patriarca Greco-Ortodosso - Damasco - Sirya.

“Non puoi in nome di Dio uccidere l’uomo; non puoi in nome di Dio disprezzare l’uomo; non vi è uomo di prima categoria e un uomo di decima categoria.
Dio non ha creato gli uomini secondo determinati gradi e livelli.
Egli dà la grazia a tutti; la Sua immagine è in ogni uomo senza distinzione alcuna. Con queste parole noi ci rivolgiamo ai nostri tempi dove sentiamo di persone che nominano Dio, da una parte, e uccidono dall’altra.
Non vi è giustificazione per l’omicidio per chi lo commette a prescindere dalle motivazioni. Non vi è giustificazione per uccidere l’essere, che Dio ha rispettato, perché la vita dell’uomo proviene da Dio e a Dio tornerà non per mano dell’uomo ma per mezzo di Colui che dette vita all’uomo.
Occorre ridare all’uomo la propria santità essendo fatto ad immagine e somiglianza di Dio, un’immagine di cui molti non parlano più.
Abbiamo visto gente che si spara a vicenda.
Abbiamo visto persone che sgozzano un uomo come fosse un agnello. Ma come possiamo evocare il nome di Dio, uccidendone i figli e dire poi che adoriamo Dio?
Mi auguro con queste parole, che non ho avuto il tempo di preparare, che tutti sentano la necessità di “leggere” l’uomo. Questo uomo deve essere “letto” perché si sappia il perché Dio volle crearlo.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno ascoltato e chiedo a Dio di illuminare tutti perché sappiano che Dio non creò l’uomo per essere sgozzato, ucciso, reso povero o disprezzato.”

lunedì 5 marzo 2012

Estremisti islamici e terroristi cavalcano la rivoluzione siriana

 da Asia News  
Fonti di AsiaNews rivelano la presenza nel Paese di membri di al-Qaeda giunti in Siria per combattere il jihad. Gli interessi della Lega araba alimentano il clima di odio e violenza e allontanano le speranze di una soluzione diplomatica duratura.
05/03/2012 16:08

Damasco (AsiaNews) - "Gli estremisti islamici hanno sfigurato il movimento pro-democrazia nato in marzo con le manifestazioni dei giovani disoccupati siriani". È quanto affermano fonti di AsiaNews, che fanno notare come le proteste pacifiche contro il regime abbiamo lasciato il posto a una lotta armata che trascina il Paese verso una sanguinosa guerra civile. "Nella lotta contro gli Assad - spiegano - ci sono in gioco molti interessi che non riguardano solo il bene del popolo siriano". Secondo le fonti, fra i ribelli militano diversi terroristi islamici stranieri, molti dei quali appartenenti ad al-Qaeda, giunti in Siria per combattere il jihad contro il regime e difendere gli interessi dei Paesi della Lega araba, alimentando il clima di violenza e di odio che allontana le speranze di una soluzione diplomatica basata sul dialogo fra le parti.

"La popolazione ha paura - spiegano - per le strade di Damasco vige il coprifuoco. La città è divisa fra chi sostiene il regime e chi è a favore dei ribelli. La stessa situazione si riscontra nelle altre città del Paese". Le fonti sottolineano che la Siria è in una fase di stallo dove a violenza si risponde con violenza.

Esempio di tale divisione è stato il risultato "reale" del referendum per la riforma costituzionale, che ha visto il partito di governo (Baath) rinunciare al suo ruolo fondamentale per lo Stato e per la società, aprendo al pluralismo politico. Secondo il regime circa l'87% dei votanti (57% della popolazione) ha scelto per il cambiamento, ma i dati reali mostrano che meno del 50% ha votato per il si. "Tale risultato - affermano le fonti di AsiaNews - è un danno per il regime, ma anche per l'opposizione che ha fallito nella sua chiamata al boicottaggio delle urne".

Intanto continuano a Homs i combattimenti fra truppe fedeli alla famiglia Assad e ribelli del Free Syrian Liberation Army. Questa mattina l'intervento della Croce Rossa ha permesso l'arrivo di aiuti ai profughi siriani che stanno fuggendo dai combattimenti nella zona di Baba Amr, la più colpita dagli scontri, che resta ancora interdetta ai soccorsi.

Oggi, Nabil al-Arabi, segretario generale della Lega araba ha annunciato che il regime ha accettato Kofi Annan come inviato speciale Onu. Egli giungerà il 10 marzo a Damasco.

http://www.asianews.it/notizie-it/Estremisti-islamici-e-terroristi-cavalcano-la-rivoluzione-siriana-24151.html

domenica 4 marzo 2012

“La Vergine Maria ha fermato i proiettili con le Sue stesse mani" Divine intervention saved convent: Syria nun

Founded in 547, the convent of Our Lady of Saidnaya is a leading Antiochian Orthodox nunnery, which overlooks a mountain village of the same name, just 35km from Damascus. The convent includes a school for orphans, whose costs are covered by private donations, according to a brochure distributed by the complex.
The nunnery is a major pilgrimage center and lies not far from the villages of Jabadin and Maalula, where people still speak Syriac, the modern version of Aramaic.




Sister Stefanie, the head of Sednaya Monastery, shows journalists damage caused to the convent during a recent shelling on Tuesday. Journalists were taken to the monastery northwest of the capital, Damascus, on a government-organized trip to view damage caused to the convent that came under artillery fire on Sunday.  

Feb 02, 2012

Photo: AFP

La risonanza mediatica dell'appello del Custode di Terra Santa per far fronte all'Emergenza Siria

Siria: l’appello del Custode di Terra Santa si diffonde su internet

Le parole del Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, hanno risuonato con forza in questi giorni, grazie alla risonanza mediatica data a questa importante iniziativa. Su moltissimi siti internet, noti e meno noti, è stata ripresa la richiesta di aiuto per i cristiani siriani.
Ringraziamo i responsabili di questo tam-tam mediatico, che hanno permesso alla generosità di molte persone di aiutare con il loro gesto concreto la popolazione siriana e la Custodia di Terra Santa in Siria, in questo momento segnato dal dolore.

http://www.proterrasancta.org/it/aiutaci/

Nella speranza che non resti solamente l'archeologia...


Eremiti e cenobiti siriani
Tra storia e geografia di Pasquale Castellana

Editore: ETS - The Franciscan Centre of Christian Oriental Studies
Collana: Monographiae
Lingua: italiano
Numero pagine: 134
Formato/codice regione: Libro illustrato
Anno pubblicazione 2011
ISBN: 978-88-6240-122-7
disponibile subito a € 17,50

Nel corso della sua lunga attività di archeologo nella Siria settentrionale padre Pasquale Castellana, da solo e in collaborazione con i confratelli Ignacio Peña e Romualdo Fernàndez, ha restituito alla comunità scientifica e locale centocinquanta chiese inedite, centosettanta tra monasteri ed eremi, sessantuno torri di monaci reclusi, oltre che vasche battesimali, iscrizioni greche, necropoli, pressoi, tempietti, colonne di stiliti. A tutto ciò va ad aggiungersi quest'ultimo lavoro, che costituisce una sorta di commiato dalla sua intensa dedizione all'archeologia e vuole offrire una panoramica di quanto di meglio egli ha scritto nell'ambito della esaltante avventura del monachesimo in terra siriana. Destinato a tutti gli appassionati di storia del monachesimo antico, il volume è interamente corredato da piantine e immagini a colori.

Un'immensa tragedia umana

In Siria una guerra più ampia

di Giorgio Bernardelli | 9 febbraio 2012
da Terrasanta.net

È sempre più drammatica la situazione in Siria: bucano lo schermo le notizie dei morti provocati dai bombardamenti dell'esercito di Bashar al-Assad a Homs e quelle sullo stallo della diplomazia internazionale, riassunto dal veto posto da Russia e Cina a una risoluzione di condanna del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Due fotogrammi che da soli, però, non bastano a rappresentare tutto il quadro, che purtroppo è drammaticamente più complesso.
L'abbiamo già scritto e lo ripetiamo: nonostante tutto quanto il pedigree non certo immacolato di Assad sta lì a suggerire, questo conflitto non si può leggere davvero se si inquadra tutto dentro l'unico schema del confronto tra un regime autoritario e una popolazione oppressa. La guerra aperta ormai in corso è un vero e proprio conflitto regionale: si combatte in Siria ma in gioco ci sono equilibri che riguardano tutto il Medio Oriente. E probabilmente non solo. Mi veniva da sorridere ascoltando un Gr radiofonico definire una «sorpresa» la scelta dei Paesi del Golfo di ritirare i loro ambasciatori da Damasco. Sorprendente proprio per niente: come spiega chiaramente l'analisi del quotidiano di Dubai The National che pubblichiamo qui sotto, attraverso lo specchio Assad a Homs si sta combattendo una guerra tra l'Iran (di cui la Siria degli alauiti è il più stretto alleato) e l'Arabia Saudita. Con buona pace di tutti quanti continuano a domandarsi se Israele bombarderà o no le installazioni nucleari iraniane, la guerra contro Teheran è già cominciata in Siria. Ed è un conflitto che va oltre la stessa dimensione regionale. Perché - scrive sempre The National - quello che è andato in scena in questi giorni al Consiglio di sicurezza dell'Onu è probabilmente il primo atto del confronto tra Stati Uniti e Cina rispetto ai loro interessi strategici nell'area. Anche in Medio Oriente infatti oggi Pechino è tutt'altro che uno spettatore.
In una situazione così complessa che cosa potrebbe succedere? Se lo domanda Yusuf Kanli sul quotidiano turco Hurriyet. Cioè in un altro dei crocevia di questa guerra, perché fin dall'inizio delle rivolte la Turchia del primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha offerto un sostegno non solo logistico all'opposizione siriana. Kanli si chiede: ma se al contrario di quanto continua a dire Erdogan il presidente siriano Assad non dovesse cadere da un momento all'altro? Qual è il piano B della Turchia? E traccia un parallelismo inquietante: quello con la rivolta del 1982 e i massacri di Hama compiuti da Assad padre. Anche allora - sostiene l'analista turco - era la stessa guerra dell'Arabia Saudita contro l'Iran combattuta in Siria. Anche allora le potenze occidentali stavano dalla parte dell'Arabia Saudita in funzione antisovietica. Ma tutto ciò che la Turchia ha ottenuto da quella stagione - commenta - è stata l'esplosione della questione curda entro i suoi confini.
Sono analisi ovviamente da prendere per quello che sono: sguardi geopolitici di fronte a quella che da qualsiasi parte la si osservi è un'immensa tragedia umana. Perché l'idea che la violenza genera altra violenza non è solo una frase fatta. Ad esempio le testimonianze che in queste ore arrivano da Homs sulle milizie islamiste che nella loro reazione ai bombardamenti dell'esercito siriano prendono di mira le chiese sono una verità scomoda che non si può tacere. Come pure la denuncia lanciata già qualche giorno fa da l'Oeuvre d'Orient - la storica ong francese che sostiene le Chiese d'Oriente - sulle centinaia di cristiani in fuga da Homs perché - sostanzialmente - in questa guerra sono ormai presi tra due fuochi.
Il punto è che l'esito del conflitto siriano sarà decisivo per il futuro dei cristiani in tutto il Medio Oriente. E si capisce allora anche l'ultima notizia che qui sotto oggi rilanciamo: il summit islamo-cristiano organizzato l’altroieri a Beirut dal patriarcato maronita. «Chiediamo unità nazionale al nostro Paese - scrivono vescovi e leader musulmani nella dichiarazione conclusiva pubblicata dal quotidiano The Daily Star - in un momento in cui il Libano e la regione araba sono attraversati da difficoltà e circostanze complicate». Un tentativo per far sì che almeno il Libano non sia risucchiato in una spirale che appare sempre più pericolosa.
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Clicca qui per leggere l'analisi di The National
Clicca qui per leggere l'analisi pubblicata sul quotidiano turco Hurriyet
Clicca qui per leggere la notizia pubblicata da l'Oeuvre d'Orient
Clicca qui per leggere l'articolo di The Daily Star


Violenze senza tregua a Homs

Dall' Osservatore Romano del 4 marzo 2012


Oltre settanta morti negli scontri

DAMASCO, 3. Sette camion carichi di medicinali e tre ambulanze del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) non hanno potuto entrare nella città di Homs, da mesi al centro di violenze e scontri. «È inaccettabile che gente che da settimane ha bisogno urgente di assistenza non abbia ancora ricevuto alcun aiuto» ha detto il presidente del Cicr, Jakob Kellenberger.
In precedenza, le autorità siriane avevano concesso l’autorizzazione all’ingresso. Ieri, tuttavia, hanno ritirato il permesso. Negli ultimi giorni, i combattimenti a Homs si sono intensificati, in particolare nel quartiere di Bab Amro: gli attivisti riferiscono di 75 persone uccise. Il Governo di Assad attribuisce la responsabilità degli scontri a bande di terroristi infiltrati dall’estero.

L’Onu ha chiesto l’accesso immediato degli aiuti umanitari nella città.
«Continuiamo a ricevere informazioni su esecuzioni sommarie, arresti arbitrari e torture» ha detto il segretario generale, Ban Ki-moon, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite aggiungendo che contro la città «ieri c’è stato un grande assalto» delle forze governative. «Ad Homs, Hama e altrove, brutali combattimenti hanno visto i civili intrappolati nelle loro case, senza cibo né elettricità, e senza la possibilità di poter evacuare i feriti o seppellire i morti» ha detto ancora Ban Ki-moon parlando all’Assemblea generale.

Intanto, la comunità internazionale alza i toni contro Damasco. Il presidente statunitense, Barack Obama, ha dichiarato che «la questione non è se, ma quando» il Governo siriano cadrà. A Bruxelles, i leader europei hanno deciso di «preparare nuove sanzioni» e di riconoscere il Consiglio nazionale di transizione (piattaforma che raccoglie vari gruppi di attivisti) come un «legittimo rappresentante dei siriani». Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha deciso la chiusura dell’ambasciata di Francia a Damasco.

«Quello che succede in Siria è uno scandalo: è inaccettabile che Homs rischi di essere cancellata dalle carte geografiche» ha denunciato Sarkozy. «Ma non ci saranno azioni finché le Nazioni Unite non avranno stabilito le condizioni giuridiche» ha precisato.

sabato 3 marzo 2012

Il male minore

 Ecco perché i cristiani avranno comunque la peggio

da "Il Sussidiario"
sabato 3 marzo 2012
 

L’esercito del presidente siriano Bashar Assad ha riconquistato Baba Amr, il quartiere della città di Homs che era stato liberato dai ribelli. Nel frattempo si intensificano le violazioni dei diritti umani da parte del regime. Secondo quanto riferisce il Media Center of Syrian Revolution, una fonte di informazioni vicina ai ribelli, solo a febbraio nel quartiere di Baba Amr sarebbero morte 420 persone, inclusi 19 bambini, 22 donne e 13 ragazzi deceduti in carcere durante le torture. Le forze di Assad avrebbero aperto due dighe sul fiume Assi, minacciando di allagare l’area archeologica di Darkoush. Elementi fedeli al regime avrebbero inoltre sequestrato e distrutto le medicine dalle farmacie per impedire ai cittadini rimasti feriti di ricevere medicazioni. Ilsussidiario.net ha intervistato Gian Micalessin, inviato de Il Giornale, sulla posta in gioco dell’attuale fase del conflitto siriano.
Micalessin, quali sono i principali rischi di quanto sta avvenendo in Siria?
Innanzitutto, nella componente dei rivoltosi siriani c’è un’altissima percentuale di Fratelli musulmani. Non a caso se guardiamo i messaggi che corrono sul web, scopriamo che una componente dei Fratelli musulmani libici in questi giorni ha raggiunto la Siria per combattere. Lo scenario che si ripete è sempre lo stesso: il Qatar utilizza i Fratelli musulmani, sostenendoli e finanziandoli, per portare al successo le rivolte nei vari Paesi arabi e quindi controllarli. E’ quanto è avvenuto in Tunisia, dove le elezioni sono state vinte dagli islamisti del partito di Ennahda. La stessa dinamica si è vista in Egitto, dove i Fratelli musulmani hanno conquistato il 47% dei seggi. Durante la rivoluzione libica, il Qatar ha inviato direttamente i suoi militari e dopo la caduta di Gheddafi ha favorito le fazioni islamiste. In Siria stiamo assistendo allo stesso scenario, con un elemento in più: l’influenza della Turchia, grande potenza musulmana che si affaccia sul Medio Oriente e appoggia vari gruppi e componenti. Tra i rischi della Siria ci sono anche quelli di un’opposizione divisa e incapace di contrapporsi al regime.
Come valuta la situazione dei cristiani, che rischiano di trovarsi tra due fuochi?
I cristiani siriani hanno purtroppo di fronte l’esempio non felice dell’Iraq, dove una volta caduto il regime di Saddam si sono trovati alla mercé dei fondamentalisti. I cristiani in Iraq sono stati sterminati e le loro chiese sono state attaccate. Per salvarsi, i cristiani irakeni sono fuggiti proprio in Siria. I cristiani siriani, che hanno ascoltato i loro racconti, oggi si chiedono se accadrà loro la stessa cosa. Per questo per il momento preferiscono appoggiare il regime piuttosto che stare con i rivoltosi. E’ una scelta determinata da condizioni oggettive. Spostandoci in Egitto, i copti del resto non hanno certo tratto vantaggio dalla rivoluzione, che ha fatto sì che le chiese fossero attaccate e i cristiani fossero discriminati.

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venerdì 2 marzo 2012

Nel 2012 divampa la guerra contro i cristiani

 Adesso tocca alla Siria

da " Corrispondenza Romana"
(di Giulio Meotti su Il Foglio del 18-02-2012)

“The war on christians”. La guerra ai cristiani. Così ha titolato la copertina di Newsweek. Il servizio di otto pagine della rivista era firmato da Ayaan Hirsi Ali, la dissidente e apostata di origini somale attualmente residente a Washington, dove lavora per l’American Enterprise Institute for Public Policy Research. Adesso un nuovo rapporto dell’organizzazione no profit Open Doors getta nuova luce sulle dimensioni di questa agonia nel mondo islamico.

Nel documento annuale World Watch List 2012, Open Doors elenca otto su dieci paesi islamici fra le nazioni dove la fede cristiana viene di più perseguitata. Gli altri due, Corea del nord e Laos, sono regimi comunisti in cui l’anticristianesimo è dogma di stato. A Pyongyang, da quando si è instaurato il regime comunista nel 1953, sono scomparsi circa 300 mila cristiani e adesso si stima che vi siano dai 50 ai 70 mila cristiani nei terribili campi-prigione a causa della loro fede. Ma più generalmente ben 32 delle 50 nazioni della classifica sono islamiche.
“Si tratta di un genocidio in corso che meriterebbe un allarme globale”, scrive Ayaan Hirsi Ali. “La cospirazione del silenzio che avvolge quest’espressione di intolleranza religiosa deve finire”. Un consistente peggioramento è registrato per i cristiani in Pakistan, che entra nella top ten, mentre il Sudan passa dal 35esimo al sedicesimo posto. La Nigeria vanta il più alto numero di martiri cristiani e passa dal 23esimo al tredicesimo posto.
Nell’Egitto della “primavera araba” scenari di attentati a chiese e gruppi di cristiani portano il paese dalla diciannovesima alla quindicesima posizione. L’Afghanistan è al secondo posto, seguito dall’Arabia Saudita, custode della Mecca e di Medina, che vieta ufficialmente ogni culto non islamico. Poi troviamo la Somalia e l’Iran, dove un pastore aspetta la condanna a morte per apostasia.
Questa preziosa World Watch List, la lista nera dei paesi ove la persecuzione è più dura, è compilata attraverso un questionario appositamente progettato, composto da cinquanta domande sui vari aspetti della libertà religiosa. Dal 2003 a oggi, oltre 900 cristiani iracheni (per gran parte assiri) hanno trovato la morte negli attacchi terroristici nella sola Baghdad e 70 chiese sono state date alle fiamme.
Nel 2011 estremisti islamici hanno ucciso almeno 510 cristiani in Nigeria, dato alle fiamme o distrutto più di 350 chiese in dieci stati del nord. Impiegano armi da fuoco, bombe di benzina, persino machete, gridando “Allah Akbar” (Dio è grande) quando attaccano gruppi di cittadini. Tra i loro obiettivi si contano chiese, pub, consigli comunali, saloni di bellezza, banche.
Gli islamisti di Boko Haram si sono concentrati nell’eliminazione dei cattolici. Nel Sudan meridionale i cristiani sono bersaglio di bombardamenti aerei, omicidi mirati, sequestri e altre atrocità. Per la fine dell’anno, oltre 200 mila cristiani d’Egitto avranno abbandonato le loro case. Tutti gli occhi sono adesso puntati sulla Siria, dove si è passati da una rivolta contro il regime di Bashar el Assad a una guerra religiosa fra la maggioranza sunnita e le minoranze che detengono il potere: alawiti, ismailiti, cristiani, drusi e curdi.
I cristiani rappresentano poco meno del dieci per cento, tanto quanto gli alawiti, mentre i tre quarti dei siriani sono sunniti. Adnan al Aroor, sceicco esiliato in Arabia Saudita e fra i leader della rivolta contro Assad, ha incitato i seguaci, attraverso appelli e sermoni, a “fare a pezzi, tritare e dare in pasto ai cani” la carne dei cristiani, bollati come “collaborazionisti”.
La condizione dei cristiani è stata denunciata in un recente rapporto dell’agenzia cattolica Asia News: “Rivoluzione più ‘islamica’, cresce la violenza contro i cristiani”. A Homs, epicentro degli scontri, si contano già più di 230 cristiani uccisi. Nei quartieri misti l’80 per cento degli abitanti cristiani sono partiti e si sono stabiliti presso amici o parenti nelle regioni cristiane, spesso nei rifugi sulle montagne. I cristiani di Hama e della sua provincia fanno lo stesso. Il fenomeno è progressivo e implacabile.
Il paese si sta spaccando attorno alle linee etniche e confessionali. Musulmani sunniti non entrano più nei quartieri alawiti e viceversa. Al Qaida ha allungato le mani nella rivolta. Insieme al Libano, la Siria è oggi l’unico paese arabo dove l’islam non è formalmente definito religione di stato e la religione non è riportata sulle carte d’identità. Il regime degli Assad ha sempre usato la laicità per tenere assieme le etnie e dominare il paese.
Nel 1971, con la presa del potere da parte del colonnello Hafez el Assad, dal progetto di Costituzione venne omesso ogni riferimento all’islam come “religione di stato”. Migliaia di persone, mobilitate dai Fratelli musulmani, scesero in piazza per denunciare il “testo ateo”. Agnès-Mariam de la Croix, una delle voci più significative oggi della comunità cristiana siriana, ha dichiarato che “fino a ieri i cristiani non erano stati oggetto di una persecuzione ‘diretta’.
Ma oggi sembra che il dato stia cambiando. Come se la tendenza che covava stia diventando una consegna”. Il 25 gennaio è stato ucciso il primo prete cristiano, Basilios Nassar. Uno slogan della resistenza anti Assad promette scenari poco edificanti: “I cristiani a Beirut e gli alawiti al muro”.
Giulio Meotti

Il Consiglio di sicurezza interviene sulla crisi siriana

Dall' Osservatore Romano del 3 marzo 2012

Chiesto l’accesso alle zone dei combattimenti

DAMASCO, 2. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso disappunto per il fatto che non sia stato ancora concesso alla responsabile degli aiuti umanitari dell’Onu, Valérie Amos, l’accesso in Siria, e ha pertanto sollecitato le autorità di Damasco a provvedere. «I membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite richiedono alle autorità di Damasco che l’accesso di Amos sul territorio siriano venga concesso immediatamente e senza ostacoli» si legge nella dichiarazione del Consiglio.

I Quindici deplorano il rapido deterioramento della situazione umanitaria, in particolare il numero crescente di civili coinvolti, la carenza di cibo e di servizi sanitari disponibili, soprattutto nelle zone maggiormente interessate dagli scontri, come Homs, Hama, Deraa e Idlib. I Quindici richiedono inoltre l’accesso immediato, pieno e libero degli operatori umanitari, per garantire assistenza alla popolazione, e invitano il Governo siriano a collaborare pienamente con l’Onu e le altre organizzazioni umanitarie per consentire l’evacuazione dei feriti provenienti dalle zone colpite.

Intanto, oggi l’Ue ha annunciato che preparerà «ulteriori misure restrittive mirate contro il regime» siriano. La politica delle sanzioni proseguirà «fino a quando continueranno le violenze e gli abusi dei diritti umani» assicurano i Ventisette. Il premier britannico, Cameron, ha dichiarato che il Governo siriano «deve rispondere di crimini contro l’umanità perché responsabile della repressione nel Paese». La cosa fondamentale è «riunire gli elementi di prova e avere un’immagine della situazione in maniera che questo regime criminale risponda dei suoi atti».

Il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi di Sant’Agata, ha dichiarato che «la priorità in Siria è quella di portare aiuti a una popolazione che soffre».