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giovedì 1 marzo 2012

Convegno a Roma sulla Primavera Araba

Si è svolto ieri a Roma, a cura della Comunità di Sant'Egidio, un convegno sulla Primavera Araba.
Di seguito forniamo un video del convegno




Per il programma del Convegno, clicca qui 

La lettera del card. Leonardo Sandri pro Siria e Terra Santa in occasione della Colletta del Venerdí Santo

1 Marzo 2012

Eccellenza Reverendissima,

Ricordare la Colletta del Venerdì Santo significa richiamare un impegno che risale all’epoca apostolica. Lo attesta San Paolo, scrivendo ai cristiani della Galazia: ci pregarono di ricordarci dei poveri: ed è ciò che ho preso molto a cuore (2,10). E lo ribadisce ai fratelli di Corinto (1Cor. 16; 2Cor. 8-9) e a quelli di Roma: è parso bene, infatti, di fare una colletta per i poveri che si trovano fra i santi in Gerusalemme (15, 25-26).

La Terra Santa attende la fraternità della Chiesa universale e desidera ricambiarla nella condivisione dell’esperienza di grazia e di dolore che segna il suo cammino. Vuole riconoscere, prima di tutto, la grazia del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente e quella della Visita Papale a Cipro. Tali eventi hanno accresciuto l’interesse del mondo e il ritorno di tanti pellegrini sulle orme storiche del Signore Gesù. Ma è sensibile anche al dolore per l’acuirsi delle violenze verso i cristiani nelle regioni orientali, le cui conseguenze si avvertono fortemente in Terra Santa. I cristiani d’Oriente esperimentano l’attualità del martirio e soffrono per l’instabilità o l’assenza della pace. Il segnale più preoccupante rimane il loro esodo inarrestabile. Qualche segno positivo in talune situazioni non è sufficiente, infatti, ad invertire la dolorosa tendenza dell’emigrazione cristiana, che impoverisce l’intera area delle forze più vitali costituite dalle giovani generazioni.

Tocca perciò a noi di unirci al Santo Padre per incoraggiare i cristiani di Gerusalemme, Israele e Palestina, di Giordania e dei Paesi orientali circostanti, con le sue stesse parole: Non bisogna mai rassegnarsi alla mancanza della pace. La pace è possibile. La pace è urgente. La pace è la condizione indispensabile per una vita degna della persona umana e della società. La pace è anche il miglior rimedio per evitare l’emigrazione dal Medio Oriente (Benedetto XVI nell’omelia conclusiva del Sinodo per il Medio Oriente).

Il presente appello alla Colletta si inscrive nella causa della pace, di cui i fratelli e le sorelle di Terra Santa desiderano essere efficaci strumenti nelle mani del Signore a bene di tutto l’Oriente.

Esso giunge all’inizio dell’itinerario quaresimale verso la Pasqua e potrà trovare il suo apice nel Venerdì Santo, oppure in occasioni considerate più favorevoli in ciascun contesto locale. Ma la Colletta rimane, ovunque, la via ordinaria e indispensabile per promuovere la vita dei cristiani in quella amata Terra.

La Congregazione per le Chiese Orientali si fa portavoce delle necessità pastorali, educative, assistenziali e caritative delle loro Chiese. Grazie alla universale solidarietà, esse rimarranno inserite nelle sofferenze e nelle speranze dei rispettivi popoli, crescendo nella collaborazione ecumenica ed interreligiosa. Renderanno gloria a Dio e difenderanno i diritti e i doveri dei singoli e delle comunità a cominciare dall’esercizio personale e pubblico della libertà religiosa. Si porranno al fianco dei poveri, senza distinzione alcuna, contribuendo alla promozione sociale del Medio Oriente. Soprattutto, vivranno le beatitudini evangeliche nel perdono e nella riconciliazione.

Papa Benedetto ci invita, però, ad andare al di là del gesto pur encomiabile dell’aiuto concreto. Il rapporto deve farsi più intenso per giungere ad una “vera spiritualità ancorata alla Terra di Gesù”: Quanto più vediamo l’universalità e l’unicità della persona di Cristo, tanto più guardiamo con gratitudine a quella Terra in cui Gesù è nato, ha vissuto ed ha donato se stesso per tutti noi. Le pietre sulle quali ha camminato il nostro Redentore rimangono per noi cariche di memoria e continuano a «gridare» la Buona Novella…i cristiani che vivono nella Terra di Gesù testimoniando la fede nel Risorto…sono chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata e continua ad essere pluralistica, multietnica e multireligiosa (Esortazione post-sinodale Verbum Domini, 89).

Ringrazio a nome del Santo Padre i pastori e i fedeli della Chiesa intera nella fiducia che essi confermeranno la loro generosità. E’ il grazie sincero condiviso dalla Chiesa latina raccolta nella Diocesi Patriarcale di Gerusalemme e nella Custodia Francescana, come pure dalle Chiese Melchita, Maronita, Sira, Armena, Caldea, che insieme compongono la Chiesa cattolica di Terra Santa.

Col più fraterno augurio in Cristo Gesù.

Leonardo Card. Sandri
Prefetto

a Cyril Vasil’, S.I.
Arcivescovo Segretario

Fonte: http://www.proterrasancta.org/la-lettera-del-card-leonardo-sandri-in-occasione-della-colletta-del-venerdi-santo/

Kofi Annan per una soluzione pacifica, fermando le violenze di tutti

01/03/2012 08:57 ASIA NEWS
SIRIA - ONU
L'ex segretario generale Onu non ha ancora ricevuto l'ok per recarsi in Siria. L'Onu sembra avvicinarsi alle posizioni del Vaticano, sottolineando una soluzione pacifica (e non militare) e condannando le violenze di tute le parti e non solo di Damasco. Continuano i bombardamenti ad Homs, città di enorme importanza strategica. Anche Cina e Russia sembrano disponibili a corridoi umanitari.

New York (AsiaNews) - Kofi Annan, nuovo delegato per la Siria da parte dell'Onu e della Lega araba, ha dichiarato che "supplicherà" Bashar Assad per partecipare allo sforzo internazionale di trovare una soluzione pacifica alle violenze che durano ormai da quasi un anno. L'ex segretario generale Onu e Premio Nobel per la pace ha sottolineato che egli desidera che "le uccisioni e le violenze devono fermarsi" e che "le agenzie umanitarie devono avere libero accesso per compiere il loro lavoro".

Annan ha anche ribadito che "c'è bisogno di un dialogo fra tutti gli attori della Siria" e che la via da privilegiare è "una soluzione pacifica veloce, attraverso il dialogo", sebbene - ha notato - all'Onu vi siano altri con idee differenti. La Lega araba, frange dell'opposizione siriana e alcuni Paesi occidentali, come la Francia e in parte gli Stati Uniti, vedrebbero bene una soluzione militare simile a quella attuata in Libia.

Fino ad ora Annan non ha ricevuto l'ok per entrare in Siria. Damasco ha richiesto maggiori informazioni sugli obbiettivi di della missione. Nei giorni scorsi la Siria aveva rifiutato la visita di Valerie Amos, capo delle agenzie umanitarie Onu. Con ogni probabilità, il motivo era che fino ad ora le discussioni e le risoluzioni sulla Siria al Consiglio di sicurezza e all'Assemblea generale delle Nazioni unite citavano solo le violenze di Damasco, senza citare quelle dell'opposizione.

Per l'Onu i morti per gli scontri iniziati nel marzo 2011 sono giunti a 7500. Per la Siria sono circa 2500, di cui oltre 1300 fra i militari.

La posizione di Annan, di dialogo con tutte le forze e di condanna delle violenze da qualunque parte, si avvicina a quella del Vaticano, espressa due giorni fa da mons. Silvano M. Tomasi, rappresentante della Santa Sede all'Onu di Ginevra. Al raduno della Commissione Onu sui diritti umani per un dibattito urgente sulla Siria, egli ha sottolineato l'importanza delle "organizzazioni regionali e multilaterali" come "strumenti per promuovere la pace e la stabilità nel mondo". Per questo mons. Tomasi dà il benvenuto "alle varie iniziative in favore della pace attraverso il sentiero del dialogo e della riconciliazione". Ma - ha aggiunto - "la responsabilità primaria poggia sulla popolazione della Siria e per questa ragione rinnovo l'appello del Santo Padre [del 12 febbraio: v. qui] "di dare la priorità alla via del dialogo, della riconciliazione e dell'impegno per la pace".

mercoledì 29 febbraio 2012

Violenze senza fine in Siria

Dall'Osservatore Romano del 1 marzo 2012


Secondo l’Onu sono oltre 7.500 le vittime

Damasco, 29. Mentre dalla Siria giungono drammatiche denunce di persistenti e quotidiane stragi di civili, non danno ancora risultati gli sforzi della diplomazia internazionale, che si conferma divisa, di dare soluzione alla crisi. Di almeno 7.500 morti dall’inizio delle proteste, nel marzo scorso, ha parlato il vice segretario generale dell’Onu per gli affari politici, Lynn Pascoe, in un’audizione ieri al Consiglio di sicurezza. Pascoe ha spiegato di non poter fornire il numero esatto delle vittime delle proteste, ma ha sostenuto che secondo rapporti credibili, in Siria muoiono oltre cento persone al giorno. Pascoe ha sostenuto che le mancate decisioni del Consiglio di sicurezza per «fermare la carneficina» hanno incoraggiato il Governo siriano a ritenere di poter agire «impunemente». Secondo Pascoe, circa 25.000 siriani sono scappati nei Paesi limitrofi mentre gli sfollati interni sono tra i cento e i duecentomila.

Il nunzio apostolico in Siria, l’arcivescovo Mario Zenari, in un’intervista ieri a Radio Vaticana, ha detto che molte delle vittime della repressione sono bambini, almeno cinquecento secondo l’Unicef. Il nunzio ha citato l’uccisione anche di un bimbo di dieci mesi, preso dai militari e fucilato con tutta la sua famiglia in una località vicina a Homs, e quella una bambina falciata da colpi di arma da fuoco mentre partecipava al funerale di un’altra bambina.

Oggi il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, riceverà a New York il suo predecessore, Kofi Annan, che ha nominato inviato speciale per la Siria, per definire le prossime mosse da intraprendere per fermare il massacro. Anche la responsabile dell’ufficio dell’Onu per gli affari umanitari, Valerie Amos, è pronta ad andare a Damasco per negoziare l’accesso degli aiuti umanitari alla popolazione non appena le verrà permesso dalle autorità siriane di entrare nel Paese.

Diplomazie divise sul referendum in Siria

Dall'Osservatore Romano del 29 febbraio 2012

DAMASCO, 28. La comunità internazionale si divide sul referendum tenuto domenica in Siria sulla nuova Costituzione che introduce il multipartitismo, approvata con l’89,4 per cento di sì e con un’affluenza alle urne del 56,4 per cento.
Secondo un portavoce del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, «è poco probabile che il referendum sia credibile, visto il contesto generalizzato di violenza e di violazione dei diritti». Secondo  diversi Governi occidentali si è trattato di una farsa, mentre diametralmente opposto è il giudizio del ministero degli Esteri di Mosca, che parla di un passo verso la democrazia.
Secondo Mosca, proprio l’affluenza alle urne dimostra il seguito limitato delle opposizioni che avevano invitato al boicottaggio, che dunque «non possono parlare a nome del popolo siriano. Un riconoscimento dell’opposizione è venuto invece dai ministri degli Esteri dell’Unione europea, che ieri hanno varato nuove sanzioni contro Damasco.
Sempre ieri, il ministro degli Esteri cinese, Yang Jiechi, in una telefonata con l’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ora inviato in Siria, gli ha augurato risultati positivi nel promuovere una soluzione politica della crisi.
Nel frattempo, la Croce rossa e la Mezzaluna rossa sono riuscite a entrare ad Hama, facendo arrivare, dopo mesi, aiuti a 12.000 persone. Anche a Homs la Mezzaluna rossa ha potuto portare forniture mediche nel quartiere di Bab Amro, dove ha evacuato feriti, ma non è riuscita a ottenere il permesso di portare in salvo i giornalisti stranieri bloccati. Fonti locali hanno riferito che sono stati trovati i corpi di 64 persone uccise, molte delle quali donne.

ascolta l'intervista sui massacri anche di bambini in Siria

intervista su Radio Vaticana a Monsignor Zenari
 http://212.77.9.15/audiomp3/00304015.MP3

Da "La Bussola Quotidiana" Siria, il grande gioco

Siria, il "grande gioco"

di Gianandrea Gaiani
08-02-2012


La crisi siriana somiglia sempre di più a quella libica dello scorso anno, con la differenza che il caos che da mesi domina l’ex regno di Muammar Gheddafi non sembra avere insegnato nulla all’Europa, che affronta le crisi del mondo arabo semplicemente sostenendo la strategia di Washington che però ha interessi ben diversi dai nostri, anzi, ora più che mai divergenti.

Il “copione libico” è evidente soprattutto dalle caratteristiche della campagna mediatica che da mesi mira a ingigantire stragi e repressioni attuate dal regime di Bashar Assad, che certo esistono ma non bisogna dimenticare che tra i quasi 6 mila morti registratisi secondo l’Onu dall’inizio della rivolta, circa un terzo sono militari e poliziotti. Questo significa che in Siria si combatte una guerra civile con un esercito degli insorti armato da turchi, sunniti-libanesi e qatarini, in parte gli stessi che appoggiarono la rivolta contro Gheddafi.
Come in occasione della guerra libica riempiamo i giornali occidentali di notizie non verificate rilanciate da social network, sedicenti associazioni per i diritti umani e l’immancabile al-Jazira che fa capo a quell’emirato del Qatar che gioca alla grande potenza in tutti gli scenari medio orientali. Ci abbeveriamo della propaganda degli insorti ripetendo l’errore compiuto in Libia dove enfatizzammo notizie di stupri di massa (con viagra!) compiuti dai mercenari di Gheddafi o di numeri spropositati di vittime che vennero poi smentiti da Human Rights Watch ed altre organizzazioni.

Intendiamoci, il regime di Bashar Assad è tra i più violenti e autoritari del Medio Oriente, ma lo era anche quando, nel febbraio 1982, l’insurrezione dei “Fratelli Musulmani” venne stroncata nel sangue dal padre di Bashar, Hafez Assad, che ad Hama uccise tra i 25 mila e i 50 mila ribelli nella totale indifferenza de mondo. Lo era anche quando, fino al 2010, francesi e italiani gli vendevano elicotteri da combattimento Gazelle e sistemi di puntamento per i carri armati. Lo era anche quando, sempre nel 2010, la Turchia di Receyp Erdogan, che oggi ospita e addestra l’esercito ribelle, aveva firmato un patto di cooperazione militare con Bashar Assad, oggi stracciato con la stessa disinvoltura con la quale l’Italia “congelò” il trattato di amicizia con la Libia di Gheddafi.

Nella gestione delle crisi determinate dalla cosiddetta “primavera araba” gli interessi e l’influenza delle potenze, grandi o regionali, sono ormai ben delineati, fatta esclusione per l’Europa. Russi e cinesi, dopo aver abbandonato la Libia astenendosi sulla Risoluzione 1973 che autorizzò la campagna militare contro Gheddafi, sono decisi a difendere la Siria, come hanno dimostrato alle Nazioni Unite; non tanto per proteggere un Assad ormai senza futuro (anche se è un ottimo cliente militare e tecnologico per Mosca) quanto per gestire una transizione che lasci spazio anche a forze laiche e non solo ai Fratelli Musulmani. Non è un caso che tutte le minoranze siriane inclusi i cristiani sostengono il regime, la cui laicità ha sempre rispettato i culti più diversi.

Mosca, con il supporto discreto ma importante di Israele, vuole evitare che la Siria diventi un “protettorato” turco e intende fermare la deriva islamista che sta emergendo dalla “primavera araba” prima che determini insurrezioni simili nel Caucaso e in altre regioni asiatiche russe ed ex sovietiche, non a caso un tempo sotto il controllo dell’Impero Ottomano. Mosca e Pechino hanno poi tutto l’interesse a ostacolare la politica di Washington, ormai palesemente allineata con le forze del cosiddetto “islam moderato”.

Washington, abbandonata la strategia improntata alla stabilizzazione dell’era Bush, punta decisamente a destabilizzare l’intero mondo arabo cavalcando il crollo di regimi peraltro filo-americani come quello di Ben Alì in Tunisia, di Mubaraq in Egitto e persino di Gheddafi, che negli ultimi anni aveva portato decisamente la Libia nell’orbita occidentale. Il repentino mutamento della politica statunitense ha spaventato soprattutto l’Arabia Saudita, monarchia medioevale che per non rischiare di fare la stessa fine ha puntellato con le sue truppe il regno del Bahrein minacciato da una rivolta sciita e ha contribuito a influenzare l’esito delle elezioni egiziane comprando con una marea di banconote da dieci dollari (una per ogni voto) i vasti consensi riscossi dal partito salafita.

Obama, con i turchi come alleati regionali che rappresentano oggi anche un punto di riferimento ideologico per il Medio Oriente, puntano a creare un blocco sunnita omogeneo guidato dai Fratelli Musulmani e da partiti affini. Un blocco in grado di combattere o isolare l’Iran sciita e i suoi alleati, il regime alauita siriano e gli hezbollah libanesi. Gli statunitensi vogliono restare dietro le quinte, fornendo supporto strategico e logistico ma lasciando agli alleati regionali i compiti di prima linea come è accaduto in Libia e come potrebbe accadere presto in Siria, campo di battaglia sul quale Qatar e Turchia premono per mettere alla prova le loro capacità di leadership militare regionale.
Dopo dieci anni di guerre e con l’attuale crisi finanziaria, gli Stati Uniti possono sperare di mantenere la loro leadership globale nei prossimi decenni solo fomentando instabilità e disordine nel “cortile di casa” dei loro diretti rivali militari, finanziari ed economici: Russia, Europa, Cina, India, Giappone…..

Se guardiamo attraverso questa ottica le recenti iniziative statunitensi si intravvede il disegno globale. Nel Pacifico Washington mobilita gli alleati (e gli ex nemici come il Vietnam) per far fronte all’espansionismo cinese. Vende armi a tutti perché a differenza che in passato non garantisce un ombrello di sicurezza ma esorta a spendere di più per la difesa, meglio se acquistando armi americane. Se Cina, Taiwan, Corea del Sud e Giappone saranno impegnati in una massiccia corsa al riarmo avranno meno risorse da destinare allo sviluppo.

Anche le trattative in atto con i talebani in Qatar (guarda caso, ancora il Qatar) potrebbero indicare il tentativo di mediare un rapido disimpegno dall’Afghanistan magari in cambio della rinuncia al jihadismo contro gli Stati Uniti. Un recente rapporto della Nato ha rivelato che i pakistani tengono sotto stretto controllo i talebani e si apprestano a riprendere Kabul una volta partiti gli occidentali. Il presidente afghano Hamid Karzai ne è consapevole e infatti nell’ottobre scorso ha stretto un accordo strategico con l’India che impegna Nuova Delhi a rimpiazzare se necessario con propri soldati le forze della Nato. Ci sono quindi gli elementi per immaginare tra pochi anni l’Afghanistan come nuovo campo di battaglia nel confronto tra India e Pakistan.
Alla luce di questi rapidi mutamenti l’Europa sembra seguire ciecamente gli Stati Uniti, quasi senza essere consapevole di ciò che fa. In Afghanistan ci ritireremo quando ce lo dirà Obama e sosteniamo la destabilizzazione dei Paesi arabi del Mediterraneo come se avere sharia, fratelli musulmani e salafiti alle porte dell’Europa e dell’Italia possa avere qualcosa a che fare con i nostri interessi. La primavera araba non porterà la democrazia perché l’Islam non è democratico né libertario. In Egitto, dove il confronto tra islamisti e militari potrebbe ora degenerare in guerra civile, i brogli elettorali sono stati enormi. Sono scomparsi o quasi i movimenti laici, liberali e libertari che avevano iniziato la rivolta e, come ha ricordato Daniel Pipes, 40 milioni di elettori hanno messo nelle urne 60 milioni di schede. Il principio “un uomo un voto” nell’Islam si amplia evidentemente a “un uomo, un voto e mezzo”.
In Tunisia le libertà personali vengono minacciate dagli “islamici moderati” che insultano e aggrediscono donne non velate e impediscono a cinema e teatri di mettere in scena spettacoli ritenuti “offensivi” per l’islam. In Libia regna il caos più totale, i partiti islamici sono già una dozzina ma tutte le forze tribali e politiche sono d’accordo che la sharia sarà alla base di leggi e costituzione. Saranno pure “moderati” ma la sharia non ha nulla in comune non solo con la libertà dell’individuo e la democrazia ma neppure con la Carta dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite.

Del resto della “internazionale” dei Fratelli Musulmani fanno parte anche i terroristi di Hamas, che controllano Gaza con l’aiuto del nuovo Egitto, e personaggi come Yusuf al Qaradawi che da al Jazira (ancora il Qatar) esortò nel 2003 tutti i musulmani a uccidere cittadini americani per vendicare l’invasione dell’Iraq e ha definito Hitler una punizione divina per gli ebrei. Di questo passo potremo sdoganare presto anche i “nazisti moderati” ma pochi mesi or sono Qaradawi ha definito con precisione lo sviluppo della primavera araba dichirando che “liberali e i laici hanno avuto la loro occasione di governare, ora tocca agli islamici. Dobbiamo far vedere al mondo com'è una guida religiosa”.

Se l’Egitto esplodesse, se la Libia diventasse un’altra Somalia e se i moderati si mostrassero un po’ meno moderati i problemi sociali, politici, strategici sarebbero tutti dell’Europa e, considerata la totale assenza di solidarietà che domina la Ue, in buona parte dell’Italia. Le prossime ondate di disperati provenienti dalla sponda sud del Mediterraneo non arriveranno sulle coste del North Carolina o della Florida, ma su quelle italiane. Anche per questo i nostri interessi oggi non sono più coincidenti con quelli degli Stati Uniti e del resto Washington non perde occasione per dimostrare il suo disinteresse per il Vecchio Continente e persino per la Nato, che Obama non ha neppure informato di aver anticipato di una anno, al 2013, la fine dell’impegno bellico americano a Kabul.

Ai nostri interessi erano molto più funzionali i regimi laici (anche se corrotti e dittatoriali) di quelli islamici che si stanno configurando e che non danno maggiori garanzie di onestà e trasparenza e ancor meno di stabilità. Oggi dovremmo “difendere” Assad al fianco dei russi invece di aiutare l’asse Usa/turco/islamista a rovesciarlo per imporre la sharia a Damasco e ripristinare l’Impero Ottomano? Sarebbe già qualcosa se i leader europei almeno si ponessero la domanda e trovassero anche risposte adeguate ai nostri interessi.
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/home.htm

martedì 28 febbraio 2012

Le parole dell’ Arcivescovo Jean-Clement Jeanbart: parole dolorasamente sconosciute

da VietatoParlare.it   



Un’interessante intervista del metropolita cattolico di Aleppo, può essere utile perché l’informazione si sta chiudendo come è accaduto sulla Libia.
(Il video l’ho messo per far capire chi è mons Jean-Clement Jeanbart, non c’entra con l’intervista del 5 febbraio, ma il video mi è piaciuto, è molto bello, questa è la vita!
La vita che non interessa a nessuno durante i giochi di guerra. Proprio mentre si invoca il diritto umanitario)

Arcivescovo Jean-Clement Jeanbart, Metropolitan Greco Melchita Cattolico Aleppo
“I media internazionali non figurino correttamente la realtà siriana, si stanno aggiungendo benzina sul fuoco …”.
Arcivescovo Jean-Clement Jeanbart, contattato da Apic all’inizio di questa settimana, ha detto che i cristiani siriani vivono nella paura. L’Arcivescovo Greco Melchita Cattolico di Aleppo, la seconda città più grande vicino al confine con la Turchia, le paure per il futuro delle minoranze in Siria e l’istituzione di un regime nelle mani degli islamisti.
Secondo le informazioni raccolte sul posto, decine di cristiani sono stati uccisi dai ribelli a Homs, provocando l’esodo di alcuni quartieri. “Ora le persone vengono uccise in pieno giorno, rapita da banditi che chiedono riscatti alti … Prima, abbiamo avuto la sicurezza. Oggi, tra quei cristiani che hanno i mezzi e il denaro stanno lasciando “, ha detto al APIC, sottolineando che la situazione è attualmente calma in Aleppo.

Fra' Pizzaballa: «Aiutate i cristiani in Siria»

di Riccardo Cascioli
21-02-2012
 - La bussola quotidiana


Fra' Pizzaballa
E’ vero che è in atto una fuga dei cristiani?
Il numero dei cristiani è generalmente in calo in tutto il Medio oriente, quindi anche in Siria. Ovviamente questa situazione di paura sta incentivando la fuga. Ma non tutti, è soprattutto il ceto medio a cercare altrove prospettive per il futuro, soprattutto i giovani.

In Italia e in Europa i media tendono a semplificare il conflitto siriano, come la repressione di Assad contro un movimento che invoca democrazia e libertà. Ma davvero si può semplificare in questo modo?
No, la situazione è molto più complessa. Certamente Assad ha delle responsabilità oggettive, il suo regime è chiaramente oppressivo. Ma il movimento interno di opposizione è molto frastagliato, si va da movimenti laici a gruppi fondamentalisti. C’è sì da parte di alcuni anche un desiderio di maggiore libertà, ma c’è anche un aspetto religioso-sociale: i sunniti, che sono la stragrande maggioranza della popolazione, sono contro gli sciiti. Il regime di Assad, seppure laico, è composto dagli alawiti, che sono una minoranza derivata dagli sciiti.

Poi ci sono le implicazioni internazionali…
La Siria è un po’ la cartina di tornasole della situazione in Medio Oriente, sono coinvolti i paesi vicini e le grandi potenze. C’è di mezzo l’Iran, l’Hezbollah, Israele al confine sud, gli Emirati arabi. E anche Russia e Cina che hanno i loro agganci. La Siria è un po’ il crocevia dove tutti questi interessi si incontrano e si scontrano.

Intervista esclusiva a P. Paolo Dall’Oglio

Deir Mar Musa
a cura di Maria Laura Conte e Martino Diez

Dai confini della Siria trapelano notizie frammentarie e confuse. Come può descrivere l’attuale situazione del Paese in cui vive da trent’anni? A che punto è lo scontro?

Premetto che, accettando di rilasciare un’intervista, mi assumo una qualche responsabilità rispetto all’impegno di non agire politicamente per evitare la mia espulsione. La rinuncia a questo silenzio è dovuta alla gravità della situazione che obbliga a fare il possibile per la pacificazione, nella giustizia, del Paese. Ogni calcolo d’opportunità personale sarebbe fuori luogo. D’altronde, nelle ultime settimane, lo Stato ha scelto di lasciare uno spazio più grande alla libertà d’informazione e dunque ritengo questo mio intervento come una risposta positiva all’apertura governativa. Spero che questo gesto sia capito nella sua intenzione patriottica e solidale e come tale apprezzato nel quadro della crescita del Paese, attraverso una maggiore libertà di opinione.

Siria: l’accaduto a Deir Mar Musa el-Habasci

Paolo Dall'Oglio  27/02/2012


Mercoledì sera verso le 18 è avvenuto quanto segue:

Una trentina di uomini armati – tutti col volto coperto eccetto il comandante - hanno fatto irruzione nello stazzo del gregge del monastero dove si trovavano alcuni impiegati. Hanno messo a soqquadro gli ambienti chiedendo del padre responsabile e cercando armi e denaro. Uno dei pastori è stato costretto a condurre un gruppo degli armati fino a un’altra ala del monastero, dove sono state trattenute, in una stanza sotto sorveglianza, quattro sorelle, proprio al momento in cui si preparavano a scendere per la preghiera. Subito dopo, alcuni degli aggressori si sono avviati alla chiesa e vi sono entrati. La comunità monastica, riunita per la meditazione, ha ricordato loro che il luogo è consacrato alla preghiera e merita rispetto. Gli uomini armati hanno quindi obbligato i presenti, minacciandoli, a radunarsi in un angolo della chiesa. Hanno poi intercettato altre persone nel monastero trattandoli brutalmente. Poi, senza far danni maggiori, hanno cercato, ancora senza risultato, armi e denaro, distruggendo gli strumenti di comunicazione reperiti. Nel corso dell’aggressione, il responsabile del gruppo fotografava col suo telefonino portatile. Dopo aver acconsentito a che si riprendesse la preghiera, ha ordinato ai presenti di rimanere in chiesa per un’ora. Il superiore del monastero si trovava a Damasco e non è potuto rientrare che all’alba del Giovedì. È da menzionare che gli armati più in autorità avevano dichiarato da subito la loro intenzione di non recar danno alle persone presenti nel monastero e si sono effettivamente comportati come promesso durante l’aggressione.

È ovvia la domanda sull’identità del gruppo armato. Impossibile al momento dare una risposta sicura. Ciò che sembra certo è che si sia trattato di uomini abituati all’uso delle armi in vista di interessi materiali. Resta senza risposta anche la questione relativa al perché si cerchino delle armi in un monastero che ha scelto e diffuso la non-violenza da tanti anni.

Ringraziamo Iddio per la protezione dei suoi angeli, e abbiamo pregato durante la Messa per coloro che ci hanno aggredito e per le loro famiglie. Nonostante questo evento doloroso non abbiamo perso la pace e neppure il desiderio di servire la riconciliazione.

Deir Mar Musa

www.deirmarmusa.org/it

L'appello del Papa

Angelus, 12 febbraio 2012



Cari fratelli e sorelle!

Seguo con molta apprensione i drammatici e crescenti episodi di violenza in Siria. Negli ultimi giorni essi hanno provocato numerose vittime. Ricordo nella preghiera le vittime, fra cui ci sono alcuni bambini, i feriti e quanti soffrono le conseguenze di un conflitto sempre più preoccupante. Inoltre rinnovo un pressante appello a porre fine alla violenza e allo spargimento di sangue. Infine, invito tutti - e anzitutto le Autorità politiche in Siria - a privilegiare la via del dialogo, della riconciliazione e dell’impegno per la pace. E’ urgente rispondere alle legittime aspirazioni delle diverse componenti della Nazione, come pure agli auspici della comunità internazionale, preoccupata del bene comune dell’intera società e della Regione.

Benedetto XVI