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mercoledì 14 giugno 2017

La rimonta dell'esercito siriano

in rosso i territori retti dallo stato siriano

di Gianandrea Gaiani
La Bussola Quotidiana, 14 giugno 2017

Lo Stato Islamico sta crollando in Iraq e Siria, Abu Bakr al-Baghdadi è stato probabilmente ucciso, ma l’intera vicenda sta passando sotto un profilo fin troppo basso rispetto alla sua portata, forse perché la fine del Califfato non porterà la pace e la stabilizzazione da molti auspicata in quella regione.
Nell’area di Raqqa, venerdì scorso, sarebbe stato ucciso il Califfo nel corso di un raid aereo dei jet di Damasco. Lo ha riportato la tv di Stato siriana rilanciata anche dai media russi, ma la notizia non è stata finora confermata da nessuna altra fonte ufficiale. Le forze curdo-siriane sostenute dagli Stati Uniti sono entrate il 9 giugno a Raqqa, “capitale” dell’Isis nel nord della Siria, e hanno conquistato terreno nella parte orientale della città. Nelle ultime ore le milizie curde e arabe delle Forze Democratiche Siriane (SDF) sono avanzate dal quartiere Mashlab vero la zona industriale e sono in corso combattimenti a poche centinaia di metri dal perimetro orientale dell'antica cinta muraria della città sull'Eufrate.
L’offensiva che ha portato le SDF, appoggiate da forze speciali anglo-americane, a raggiungere la capitale del Califfato avrebbe provocato anche 653 vittime civili dal 15 marzo ad oggi a causa dei raid della Coalizione internazionale a guida Usa e dei bombardamenti dell’artiglieria delle milizie curde, secondo quanto riferito ad Aki-Adnkronos International da attivisti siriani. Come spiega Khalil al-Abdallah “negli ultimi due mesi il numero delle vittime civili è aumentato notevolmente, poiché l’amministrazione Usa ha consegnato armi alle milizie curde e ha allentato i vincoli imposti ai raid dei caccia della Coalizione".
L’aspetto più rilevante è però che l’offensiva sulla città è in corso su tre lati: da est, da nord e da ovest lasciando un corridoio a sud che consente ai 4mila miliziani, che si stima difendano la città, di ritirarsi verso le aree in cui lo Stato Islamico combatte contro le truppe di Damasco. Il comando russo in Siria accusa la Coalizione a guida Usa e i gruppi armati curdi di permettere ai miliziani dell’Isis di lasciare Raqqa e di “dirigersi verso le province dove sono attive le forze governative siriane. Invece di eliminare i terroristi colpevoli dell’uccisione di centinaia e migliaia di civili siriani – ha detto il comandante delle truppe russe in Siria, generale Serghiei Surovikin – la Coalizione a guida Usa assieme alle SDF, agiscono in collusione con i capibanda dell’Isis che lasciano senza combattere gli insediamenti che avevano preso e si dirigono verso i luoghi in cui sono attive le forze governative siriane”. Una valutazione resa ancora più credibile dalle reiterate azioni belliche delle forze aeree Usa basate in Giordania contro le unità militari di Damasco e dei loro alleati nel settore di al-Tanf.

Anche la decisione di Washington di vietare l’accesso alle forze di Damasco a quella porzione di territorio siriano è stata duramente condannata da Mosca. Secondo gli statunitensi tali forze pongono una minaccia alle basi Usa e ai campi per l’addestramento dei miliziani dell’opposizione nel sud della Siria, ma è evidente che è del tutto illegittimo impedire alle truppe siriane di completare il controllo del territorio nazionale. Nonostante i raid aerei americani, che vorrebbero impedire la saldatura tra le forze siriane e quelle sciite irachene che procedono a nord di Mosul verso il confine siriano, l’avanzata delle forze di Damasco lungo il confine giordano e iracheno ha di fatto circondato le milizie sostenute dagli anglo-americani e dalla Giordania.

“La guerra civile in Siria si è praticamente fermata” dopo che il 4 maggio ad Astana è stato firmato un memorandum per la creazione delle zone di de-escalation, ha dichiarato il capo del dipartimento generale operativo dello Stato maggiore russo, generale Serghiei Rudskoi che ha reso noto che 2.640 miliziani siriani hanno utilizzato le procedure di amnistia del governo siriano e hanno abbandonato le armi nel nord della provincia di Damasco, nelle città di Zabadani, Madaya e Buqeyn. "L’operazione per liberare il territorio siriano dai gruppi terroristici Isis e Jabhat al-Nusra continuerà fino alla loro completa eliminazione”, ha affermato il generale Surovikin precisando che le sue forze aeree hanno eseguito 1.268 raid in Siria nell’ultimo mese, colpendo 3.200 obiettivi terroristici tra cui stazioni di controllo, depositi di armi e munizioni, basi di trasferimento e campi di addestramento.
Il tracollo non solo dell’Isis ma di tutte le milizie anti-Assad rappresenta la più importante vittoria per le forze russe che hanno conseguito la vittoria militare in meno di due anni di campagna siriana. L’esercito di Assad continua ora ad avanzare su tutti i fronti: ha ripreso il controllo di 105 chilometri del confine con la Giordania, ha liberato 83 insediamenti nella parte nordorientale della provincia di Aleppo per oltre 500 chilometri quadrati uccidendo (secondo il comando russo) oltre 3.000 miliziani dell’Isis inclusi decine di comandanti e distruggendo 20 carri armati, 7 veicoli da combattimento e 9 pezzi di artiglieria pesante. Le forze siriane hanno inoltre raggiunto la frontiera con l’Iraq, nell’Est del Paese, per la prima volta dal 2015 coordinandosi con l’esercito di Baghdad per il controllo della frontiera.
Le forze armate irachene hanno l’ordine di non oltrepassare la frontiera siriana, ma le milizie sciite filo iraniane potrebbero avere mano libera ad unirsi alle forze di Damasco per chiudere la partita con l’Isis e liberare Deyr ez Zor dove la guarnigione siriana è sotto assedio da oltre due anni. “In cooperazione con i nostri alleati, le nostre unità hanno preso il controllo di numerosi siti e postazioni strategici nel deserto di Badiya, in una zona di circa 20.000 chilometri quadrati”, ha dichiarato il comando generale dell’esercito siriano. “Questa avanzata rappresenta una svolta strategica nella lotta contro il terrorismo e un trampolino per estendere le operazioni militari nel deserto della Badiya e lungo le frontiere con l’Iraq”, ha proseguito il comando.
I successi dei siriani rischiano quindi di provocare nuove tensioni con la Coalizione internazionale a guida Usa, che oggi appare preoccupata più dall’avanzata delle forze di Damasco e delle milizie sciite provenienti dall’Iraq che dalla lotta allo Stato Islamico, nell’ottica della linea strategica anti iraniana dell’Amministrazione Trump. Dopo che la Turchia si è schierata col Qatar nella diatriba in atto tra Doha e i sauditi, Riad potrebbe puntare sulla Giordania per riorganizzare l’opposizione armata al regime di Damasco e riprendere le ostilità con l’appoggio degli USA.

Tensioni non meno forti riguardano il futuro dell’Iraq dopo la caduta di Mosul dive i miliziani dell’Isis controllano solamente le aree della Città Vecchia, al-Shifa e Bab al-Sinjar. Il governo di Baghdad ha annunciato che respingerà ogni decisione unilaterale presa dalle autorità del Kurdistan iracheno per ottenere l’indipendenza. Lo ha sottolineato lunedì una nota del portavoce dell’esecutivo, Saad al-Haddithi, commentando la decisione presa due giorni fa dal presidente del Kurdistan iracheno, Masoud Barzani, di fissare un referendum per l’indipendenza dall’Iraq il 25 settembre.
Anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sponsor del Kurdistan iracheno autonomo (ma non indipendente) ha definito il referendum sull'indipendenza della regione autonoma del Kurdistan iracheno da Baghdad "sbagliato e una minaccia all'integrità territoriale dell'Iraq. Un passo del genere in un processo così cruciale non serve a nessuno", ha aggiunto Erdogan. La Turchia, acerrima nemica dell’autonomia dei curdi di Siria alleati del PKK (i miliziani curdi di Turchia) si oppone da sempre con forza alla creazione di entità curde indipendenti.
Per questo se la guerra al Califfato sta per esaurirsi (ma non la  minaccia terroristica dell’Isis in Europa), non ci sono molte ragioni per credere che la conflittualità nella regione andrà scemando in tempi brevi.

domenica 11 giugno 2017

Suor Arcangela e le altre: le eroine di Aleppo

mons. Antoine Audo vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria:
"In questi anni di guerra le donne sono state vere eroine.

 Non vedo direttamente un intervento sociale o politico delle donne: non si trova questo in Siria, a causa della struttura del Paese, ma penso che la donna sia simbolo della “resistenza” della vita. La donna è dignità, la donna è continuità; capace di soffrire e di rimanere in piedi, di stare accanto alla famiglia e ai bambini. Per me la donna è veramente un’eroina nella guerra in Siria.

di: Marinella Correggia da Aleppo
L'Ordine.La ProvinciadiComo,  4 giugno 2017

A Herat, nell’Afghanistan occidentale, il supervisore dell’organizzazione di sminatori Said Karim aveva allestito un «museo degli orrori»: esemplari delle migliaia di mine, granate e altri ordigni estratti e disinnescati nella bonifica dei suoli restituiti alla vita. Il museo voleva aiutare la memoria post-bellica. Era fiorente anche l’attività di un fabbro che ricavava zappe e vanghe dai rottami ferrosi.

Forgeranno le loro spade in vomeri.
Ad Aleppo, Siria, suor Arcangela Orsetti coltiva una forma di arte dal riciclo che potremmo definire anti-bellica. Religiosa lucchese delle suore di San Giuseppe dell’Apparizione, vive nella città siriana da più di 40 anni e con cinque consorelle gestisce l’ospedale Saint Louis. Nel suo inesistente tempo libero in lunghi anni di guerra, suor Arcangela si è ingegnata a «trasformare oggetti di morte in simboli di vita e riscatto». Un enorme bossolo metallico contiene un ramo d’ulivo. Le mani della suora («fervide come la sua fantasia», osserva sorridendo suor Thèrese) hanno unito proiettili a formare scritte di pace in varie lingue, simboli cristiani classici, rosari, una colomba. Arredi sui muri e sulle finestre dell’ospedale. Pezzi di ordigni e ferraglia assortita si sono trasformati in portacandele, assai utili in questi ultimi anni di black-out, quando l’ospedale era interamente affidato al generatore a diesel – e nelle settimane più difficili non arrivava nemmeno quello, in città.
«Ho cominciato all’inizio della guerra, perché erano piovuti sulla terrazza dell’ospedale, in giardino e nei dintorni proiettili e pezzi di mortaio sparati dai musallahin (così in arabo sono definiti gli uomini armati che non fanno parte di un esercito regolare, ndr). Poi il personale ospedaliero, visto cosa stavo facendo, nel tragitto fra la casa e qui ha cominciato a raccogliere per me pezzi non pericolosi».
L’ospedale nasce nel 1912, ma le prime suore arrivano in Siria dalla Francia nel 1856, a dorso di asinello. Sono obbligate a partire durante la prima guerra mondiale. Ma durante quest’ultima guerra mondiale a pezzi, le suore di San Giuseppe non si sono mai mosse da Aleppo in questi anni di pericolo talvolta estremo, a partire dal 2012: «Mi dicevano: “Tu che non sei siriana sei rimasta qua mentre tanti sono andati via”. Del resto, Gesù ci ha detto “non c’è gioia più grande che donare la vita per coloro che amiamo. E io amo questo popolo. E poi San Giuseppe là sul tetto ci ha protetti al meglio», dice semplicemente suor Arcangela.
Sul cellulare conserva foto per lei preziose: un sacerdote ortodosso grande e grosso le regala una rosa mentre lascia l’ospedale, guarito; un bambino calzolaio fa i compiti per terra fuori da un portone; una donna pulisce verdure sul balcone di casa, niente di speciale se non fosse che tutto intorno sono rovine.
Negli ultimi anni, di guerra, ad Aleppo «abbiamo sofferto, sì, e rischiato; non andavamo nel rifugio, nelle ore più pericolose, per rispetto verso gli ammalati in corsia». Al Saint Louis, il programma «Feriti di guerra» portato avanti insieme all’organizzazione dei Fratelli Maristi ha curato negli anni centinaia di persone. Si calcola che nel Paese gli amputati di guerra siano ormai 30mila. E in questa parte occidentale di Aleppo, che essendo sotto il controllo governativo non è mai stata sotto i riflettori internazionali, 15mila persone sono morte dal 2012 colpite dai razzi, dalle esplosioni, dalle bombole del gas ripiene (chiamate «bombe dell’inferno») lanciate dai jihadisti asserragliati in Aleppo Est; là, interi quartieri sono distrutti da una guerra i cui fronti erano ravvicinati, dentro la città.
Al primo piano del Saint Louis, suor Lydia cura fra gli altri un uomo al quale - a causa di una mina - è stata tagliata una gamba; l’altra è in brutte condizioni; «oggi è meno depresso, perché dopo un mese lontano dalla famiglia ha rivisto moglie e figlia». Se le si chiede «Che cosa vorrebbe dire o chiedere all’Occidente?», la suora libanese aggrotta la fronte e risponde secca: «Sì, da anni ho una domanda: come mai lì da voi combattete gli integralisti e qui li avete aiutati, se non lo fate ancora? Sono gli stessi, con altre etichette».
Mirna detta Mimì è una aiuto infermiera etiope, di Addis Abeba, «vicino all’aeroporto» precisa. Lavora nell’ospedale da 10 anni per mandare denaro a casa. Come hai fatto in questi anni, quando tutta la notte anche quest’area di Aleppo era bersagliata di colpi e scossa dalle esplosioni? «Certo la vita non è stata facile, ma non ho avuto molta paura». E adesso, che era arrivata una parvenza di normalità, ecco il presidente statunitense con i suoi missili…«Trump, crazy!», taglia corto Mimi. 
Anita è filippina; faceva la domestica presso una famiglia abbiente che è partita lasciandola come custode della casa; là si annoia, così arrotonda venendo ad aiutare in cucina. Nel corridoio passa, sorridente sotto il velo, una lavoratrice indonesiana appena arrivata. Per compensare qualcuno che ha lasciato Aleppo. Il personale non siriano è sempre più necessario, anche se, pagato in dollari, costa adesso di più; il cambio lira siriana-dollari è stato sconvolto dalla guerra.
Come tutta l’economia. E su questo crollo si innestano, come un cauterio su una gamba di legno, le sanzioni economiche occidentali contro la Siria. Il loro effetto ce lo spiega suor Thérèse, percorrendo un’ala vuota dell’ospedale: «Il cateterismo cardiaco è in questo momento fuori uso; finché non avremo i pezzi di ricambio richiesti». Il fatto è, dice la libanese suor Samia, che «per esempio, un’attrezzatura dalla Germania che prima arrivava direttamente in aeroporto e andavamo a sdoganarla, ora deve arrivare a Dubai, poi a Beirut, poi fin qua via terra. Sempre che non si perda». Eppure, le sanzioni non riguardano le attrezzature sanitarie…«sarà, ma si ripercuotono su tutto, lo sperimentiamo noi», conferma la religiosa.
La Siria è una grande produttrice di farmaci, ma non di certe apparecchiature mediche, e non è per oggi l’indipendenza economica in quel campo. Forse potrebbe andare un po’ meglio nel settore energetico. Sui tetti a terrazza dell’ospedale, vicino alla statua di San Giuseppe ecco i pannelli solari termici per il riscaldamento dell’acqua. Ne è dotata anche la vicinissima moschea. Sotto, nelle strade, semafori e rotonde funzionano con il fotovoltaico. Forse le nuove energie avranno un posto nella ricostruzione della Siria.
Ma, intanto, «la guerra non è certo finita», dice suor Samia. I colpi di cannone che si sentono in lontananza lo confermano. Dice Suor Arcangela: «Il percorso per una duratura pace è ancora lungo; i fronti aperti sono tanti». 
In una lettera ai benefattori scritta in piena guerra, le responsabili dell’ospedale scrivevano: «I grandi del mondo vogliono non la pace ma i loro interessi geopolitici ed economici. E la sofferenza è raddoppiata per la disinformazione sui vostri media, che ci arriva fin qua».

sabato 10 giugno 2017

Omran o della fake news

Qualcuno ricorderà il piccolo Omran: è il bambino immortalato nella foto di sinistra. Una immagine che ha fatto il giro del mondo, attirando l’ignominia sul regime siriano, colpevole di aver bombardato la sua casa. Uno foto diventata presto il simbolo degli orrori commessi dal regime siriano in danno della popolazione civile di Aleppo.

La foto a destra, invece, lo immortala in buona salute, come altri video  circolati in questi giorni, che lo ritraggono allegro in braccio al padre. Il padre che ha denunciato la montatura di allora, quando i Caschi Bianchi, l’ong che ha vinto un oscar per l’attività umanitaria in Siria, arrivarono sul luogo bombardato e lo trassero fuori dalle rovine per piazzarlo nell’ambulanza e fotografarlo.

LEGGI L'INTERVISTA DETTAGLIATA DI MINT PRESS :
Il padre di Omran, Mohammad Daqneesh, dice che il suo figlio
è stato sfruttato dai ribelli siriani e dai media per fini politici
http://www.mintpressnews.com/mintpress-meets-father-iconic-
aleppo-boy-says-media-lied-son/228722/
Il padre oggi afferma che tutto fu fatto contro la sua volontà, per ragioni di propaganda. Una propaganda in linea con la narrazione ufficiale diffusa dai media mainstream, nella quale i cosiddetti ribelli sono campioni di libertà che si battono contro un regime tirannico.

Invece per il padre di Omran è tutt’altro: sono i cosiddetti ribelli la rovina della Siria. Non solo: ha pure messo in discussione la paternità dell’attacco che ha devastato la sua casa, affermando di non aver sentito alcun rumore di aereo allora, anche questo in contrasto con la narrazione ufficiale.

Nessun rumore, quindi il colpo poteva provenire da un mortaio oppure si poteva trattare di una bombola esplosiva (di quelle in uso ai ribelli, il cui arrivo è alquanto silenzioso). Ma al di là del dettaglio, resta il contrasto con le affermazioni dell’opposizione siriana di allora.

Non solo quelle: il padre del piccolo ha affermato che l’opposizione gli aveva proposto un lauto compenso se avesse accettato di fare un video contro il regime. Cosa che lui rifiutò,

Le nuove immagini di Omran non hanno conosciuto le prime pagine dei giornali occidentali, come avvenne allora. A dire il vero neanche le seconde in Italia, perché la vicenda è stata alquanto silenziata, a parte eccezioni.

Nel riportare la notizia, il New York Times è sicuro che il padre non sia libero di parlare perché intervistato da una televisione di regime. Una obiezione che non tiene conto del fatto che gli abitanti di Aleppo hanno scelto volontariamente da che parte stare durante la conquista della città ad opera delle truppe di Assad.
  Poteva andar via, come tanti altri, seguendo i cosiddetti ribelli, ai quali Damasco ha assicurato vie di fuga. Invece è rimasto.

Altri ancora hanno obiettato che nessun giornalista occidentale può riscontrare la storia, dal momento che è impossibile incontrare la famiglia.
  Un’obiezione che può essere superata facilmente, dal momento che la portavoce del ministero degli Esteri russo, María Zajárova, ha invitato la celebre giornalista della Cnn Christiane Amanpour, che allora cavalcò non poco la vicenda contro Assad, a incontrare il padre del ragazzo e Omran stesso (che nel frattempo sono stati minacciati dai miliziani anti-Assad, evidentemente terrorizzati dal disvelamento della fake news).

venerdì 9 giugno 2017

La strategia di Ue e Usa? Sanzioni, soldi ai terroristi e bombe sui siriani


di Patrizio Ricci
IL SUSSIDIARIO, 9 giugno 2017 
Al recente G7 di Taormina, la decisione di Trump di tirare fuori il suo paese dagli accordi di Parigi sul clima è stata fortemente criticata dai leader europei. Ma — come ha detto l'ambientalista Rebecca Tarbotton (presidente di Rainforest Action Network) — se è vero che gli effetti dei cambiamenti climatici riguardano tutti, è altrettanto vero che "il compito della nostra epoca non si esaurisce solo nel far fronte al cambiamento climatico" e che "occorre guardare più in alto e più in profondità perché l'umanità ha bisogno di un salto di civiltà". E' proprio questo che i leader europei non vogliono capire: tutte le crisi ed i problemi globali in atto nascono da un sistema basato su valori sbagliati e non a causa dei nanogrammi delle particelle delle polveri sottili (queste sono solo uno degli effetti).  L'Unione Europea sembra affetta da una sindrome dissociativa: un giorno i suoi leader si preoccupano per le piogge acide nel mondo; poi a seguito di un attentato, promettono lotta al terrorismo,  ma a fronte di questa narrativa, i fatti dicono tutt'altro: l'Europa supporta e continua a finanziare il terrorismo. 
La settimana scorsa ha rinnovato le sanzioni contro la Siria che impediscono l'importazione di materiali e generi di ogni sorta: anziché i terroristi, la Ue colpisce il latte in polvere, le sementi, i pezzi di ricambio di macchinari, i lacci per le scarpe (il regime potrebbe usarli per legare i prigionieri), i medicinali (per effetto delle sanzioni in Siria non è più possibile trattare le malattie oncologiche e quelle croniche). L'enormità di queste sanzioni è tale che il tomo che le ospita supera le 2300 pagine (se si considerano tutti i link che ne fanno parte integrante). Infine, le sanzioni hanno avuto come effetto quello di produrre più morti di quelle dovute ai combattimenti stessi. 
Sorda alle evidenze, l'Unione Europea è stata sorda anche ad ogni voce che si è levata per l'interruzione delle sanzioni, compresa nel 2016 quella dei vescovi siriani.
Se poi esaminiamo la principale motivazione che il provvedimento porta con sé per giustificarle, ci accorgiamo che è addirittura farneticante. La principale giustificazione su cui si reggono le sanzioni è infatti che "Assad reprime il suo popolo". Ebbene, questa è una spiegazione scritta in perfetta malafede perché è un dato che in realtà la gente lo sostiene. Il supporto da parte del popolo siriano al presidente Bashar al Assad non è venuto mai a mancare, neanche all'inizio dell'insurrezione. Lo rilevava già nel 2012 il  "YouGov Siraj" commissionato dal Qatar, cioè uno dei più acerrimi nemici di Assad. La prospezione rilevava che il 55 per cento dei siriani già all'indomani della rivolta, continuava a sostenere Assad. Inoltre, a sconfessare quanto sostenuto dall'Unione Europea, c'è addirittura un report della Nato del 2013, secondo il quale il 70 per cento della popolazione sosteneva Assad mentre per il 20 per cento si diceva neutro e solo il 10 per cento era dalla parte dei ribelli (World Tribune). Infine, anche due distinti sondaggi dell'Orb International, hanno rilevato (nel 2014 e poi nel 2015) che la maggioranza dei siriani che credono che il governo di Assad meglio rappresenti i loro interessi e aspirazioni, sono in numero superiore a quelli che preferiscono uno qualsiasi dei gruppi di opposizione.  
In base a questi risultati oggettivi, è evidente che le decisioni prese dall'Unione Europea vanno contro la volontà del popolo siriano. 
Ma allora quali interessi va difendendo l'Unione Europea? E' chiaro che Bruxelles tiene fede a ragioni di profitto e non alla verità: per questo ha scelto la dissimulazione. Di conseguenza, i media hanno diffuso un'informazione totalmente falsa e funzionale alle agende governative. I mezzi di comunicazione si sono rivelati sempre ostili al governo siriano colpevole di "bombardare il suo stesso popolo" e di "assediare" Aleppo (occupata da al Qaeda); quando però le forze irachene e la coalizione a guida Usa hanno liberato la città irachena di Mosul (occupata dall'Isis), hanno minimizzato sulle perdite civili ed hanno decretato la sua liberazione. Eppure le perdite civili per la liberazione di Mosul sono state ingenti almeno quanto quelle causate per la liberazione di Aleppo. 
E'evidente che noi siamo fruitori non di informazione ma di propaganda: secondo Airwars (organizzazione britannica che tiene il conto dei non-combattenti uccisi negli attacchi aerei), a causa dei bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti su Mosul, solo nel mese di marzo sono morte 1.257 persone. Successivamente i morti ad opera della coalizione anti-Isis anziché diminuire sono aumentati: è successo in queste ultime settimane, quando dopo la liberazione di Mosul, gli Usa e gli alleati curdi del Syrian Democratic Force (Sdf) hanno lanciato l'operazione per liberare Raqqa dal califfato. Anche in questo caso, non si è risparmiato l'uso della forza: la città è stata bombardata anche con i B52.  
Aerei Coalizione colpiscono Raqqa con fosforo bianco 
In breve Raqqa si è trasformata in un inferno: la situazione è diventata così drammatica per la popolazione che martedì scorso anche l'Onu ha fortemente criticato i bombardamenti della coalizione. Stessa cosa ha fatto l'Osservatorio Siriano per i diritti Umani — che notoriamente è a favore degli Usa e sostiene i ribelli — ha denunciato centinaia di vittime civili nella "capitale del califfato".
I bombardamenti aerei, accompagnati dall'artiglieria americana e britannica, di stanza in una fabbrica di zucchero a nord della città, hanno messo i civili in uno stato di panico, paura e confusione. La situazione è resa ancora più pesante per il fatto che l'Isis impedisce ai residenti rimasti di lasciare la città. La situazione umanitaria è notevolmente peggiorata a causa della mancanza di personale medico e medicine, inoltre da quattro giorni c'è la completa cessazione dell'elettricità, e l'assenza completa riguarda anche il carburante e la farina. Inoltre, tenendo fede sull'utilizzo dell'Isis anche in chiave anti-Assad, le Syrian Democratic Force (Sdf) e le truppe speciali occidentali hanno concesso una via di fuga a migliaia di militanti dell'Isis verso Deir Ezzor e Palmyra. L'intenzione è chiaramente quella di danneggiare l'esercito siriano che presidia quelle zone e che avanza verso Deir Ezzor. L'aviazione russa per contenere il pericolo, deve effettuare ogni giorno voli ininterrotti per attaccare e neutralizzare le autocolonne dell'Isis. 
Questo è uno spaccato del clima, del "modus operandi" e del non senso introdotto in Siria. Dov'è la repressione di Assad in atto contro il suo popolo? I fronti attualmente aperti in territorio siriano hanno il solo scopo di far cessare una guerra che continua ad esistere solo per volere della Comunità internazionale e non per volontà dei siriani. La comunità internazionale, per scarsità di combattenti disposti a contrapporsi alle forze governative, ha addirittura dovuto far ricorso a forze proprie. In questo momento, forze speciali norvegesi, americane e britanniche sono in territorio siriano per proteggere i propri mercenari raccolti in Giordania e nelle zone rurali siriane, tra le tribù notoriamente disposte a dare il proprio contributo al miglior offerente.
Mentre continua a consumarsi questa tragedia, l'Europa senza cercare le radici del male là dove si vede con tutta evidenza, continua la sua guerra contro se stessa. Intanto, illumina di verde i suoi municipi e organizza manifestazioni a difesa del clima. Naturalmente la decisione come sempre è "double face": un occhio al clima ed un occhio a Trump, per vedere se stavolta cade.

mercoledì 7 giugno 2017

Una preghiera per il Medio Oriente!

Papa: c’è tanto bisogno di pregare per la pace in Medio Oriente

Radio Vaticana:  All’udienza generale, il pensiero di Papa Francesco va ancora una volta ai popoli del Medio Oriente, affinché vivano in pace liberi dalla violenza. Il Pontefice prende spunto dall’iniziativa “Un minuto per la pace” per esortare tutti i credenti a pregare per la riconciliazione nella regione mediorientale: “Domani, alle ore 13, si rinnova in diversi Paesi l’iniziativa Un minuto per la pace, cioè un piccolo momento di preghiera nella ricorrenza dell’incontro in Vaticano tra me, il compianto presidente israeliano Peres e il presidente palestinese Abbas. Nel nostro tempo c’è tanto bisogno di pregare – cristiani, ebrei e musulmani – per la pace”.
MEDIO ORIENTE IN FIAMME 
Piccole Note, 7 giugno 2017
L’attentato in Iran poteva avere conseguenze devastanti per la regione. Non è andato come preventivato dagli strateghi del Terrore e gli agenti del Male, come definiti da media filo-iraniani, non sono riusciti a fare strage nel Parlamento. Anche l’attentato al sacrario di Khomeini non è andato come volevano e i danni, tutto sommato, sono stati contenuti (anche se l’Iran piange dodici vittime).

Ciò ha permesso una reazione misurata di Theran. I guardiani della rivoluzione hanno accusato l’Arabia Saudita di aver sponsorizzato l’azione (d’altronde è notorio il legame tra Ryad e il Terrore), ma non si è ancora registrata una escalation dei toni.

L’Agenzia di stampa iraniana Fars ha riportato le notizie sul duplice attentato senza soffermarsi in accuse contro Ryad. Anche se pubblica un intervento del principe ereditario saudita Mohamed bin Salman, che è anche ministro della Difesa, alquanto inquietante: «Non aspetteremo che la battaglia divampi in Arabia Saudita. Piuttosto faremo in modo che la battaglia abbia luogo in Iran».

Insomma, ad oggi la reazione è stata contenuta. Un bene, perché si voleva innescare proprio una risposta iraniana a Ryad. Oltre a fornire alla destra iraniana argomenti per incalzare l’attuale governo moderato, rivitalizzando uno scontro interno vinto proprio di recente dai fautori dell’apertura al mondo.
Se l’Iran virasse a destra e andasse allo scontro con i sauditi e l’Occidente sarebbe facile preda della propaganda bellica dei neocon, che da tempo spingono per un attacco contro Teheran.

Momento pericoloso per il Medio oriente, data anche la crisi del Qatar: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein ed Egitto hanno rotto con Doha, che è completamente isolata. Eppure non pare voler cedere: ha affermato di avere alimenti per un anno, rassicurando così sul tema che sembrava risultare la maggiore arma di pressione dei suoi avversari.

Questi ultimi accusano il Qatar di fiancheggiare il terrorismo. Accusa più che ridicola, come spiega in altro articolo di Piccolenote uno dei più noti giornalisti americani, ma che ne sottende un’altra: Doha intrattiene indebiti rapporti con l’Iran, cosa imperdonabile per l’asse sunnita.

È in atto una mediazione per porre fine alla crisi, di cui si è fatto tramite l’emiro del Kuwait, per evitare che la situazione precipiti e destabilizzi ancora di più la regione del Golfo, già straziata dalla guerra in Yemen e dalla feroce repressione contro la comunità sciita da parte delle autorità del Bahrein.

Anche perché Doha non cederà facilmente, avendo incassato il sostegno dell’Iran come anche anche quello della Turchia, alla quale il Qatar è legato a doppio filo: in particolare il parlamento di Ankara ha accelerato le discussioni per la creazione di una base militare turca in Qatar. Particolare che fa intravedere quanto sia grave la situazione.

Forze oscure vogliono appiccare un incendio in Medio Oriente, come dimostra l’attentato a Teheran, Un rogo che brucerebbe l’intera regione e oltre. Val la pena registrare tale spinta, come anche il primo scacco a tale strategia.

Resta che gli sviluppi sono imprevedibili, stante che tali Forze sono determinate a portare a compimento il progetto di destabilizzare l’Iran. Un vecchio progetto dei neocon che Obama era riuscito a mandare all’aria grazie all’accordo sul nucleare iraniano. Da capire quanto Trump e i generali di cui si è attorniato siano preda dei neocon sul punto. Variabile più che importante di questo rebus.

domenica 4 giugno 2017

Mons. Abou Khazen: "Con la gente che soffre, seminando la speranza"


Papa Francesco alla Veglia di Pentecoste:   

la pace è possibile oggi nel nome di Gesù

Custodia Terrae Sanctae
intervista a Mons. Georges Abou Khazen  
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 Lei che vive da anni in Siria, che cosa vorrebbe che si conoscesse della situazione di oggi? Di che cosa non si parla abbastanza? 
 Non si parla abbastanza della verità. Vorremmo che la gente capisse cosa sta succedendo e perché sta succedendo. Il modo con cui la maggior parte dei media ha raccontato tutta la crisi siriana non corrisponde al vero. Per esempio mi riferisco all'intervento straniero in Siria. Perché è avvenuto? Come anche il bombardamento americano. Tutti ne hanno parlato, ma non hanno parlato delle vittime: 400 vittime tra i civili e due villaggi completamente distrutti. Non è un crimine anche bombardare le infrastrutture e i ponti? Di questo nessuno parla. Gli americani hanno reso fuori uso tutto il sistema elettrico, hanno bombardato la diga che adesso rischia un grave danno. E quanti morti ci saranno se dovesse succedere? La povera gente che colpa ne ha... 
  
Cosa significa per lei essere vescovo, pastore, di un popolo che sta soffrendo, come quello siriano? 
Per me è sempre un dolore vedere la gente soffrire, vedere la gente che manca di tutto. Ad Aleppo per esempio è da più di un anno che siamo senza elettricità. Siamo stati anche qualche mese senza acqua. Non si parla del fatto che ci sono le sanzioni, l'embargo contro la Siria, a discapito dei civili. Non possiamo importare medicine, macchinari per gli ospedali, benzina, gasolio. E di questo chi soffre? Certo non i grandi. La popolazione. Ma in questi tempi così difficili ci sentiamo ancora più uniti ai fedeli e la gente vicina a noi. Come un pastore spero che io possa sempre essere vicino al mio gregge. 
  
Davanti alla povertà e al dolore come incoraggiate la gente a credere che Gesù non la abbandona? 
Cerchiamo di insistere sulla speranza come una virtù. Non sempre i cristiani hanno avuto tempi facili. Qui molti sono figli e nipoti di martiri e questo rafforza la fede, l'identità cristiana. A Damasco nel 1880 per esempio sono stati massacrati più di ottomila cristiani. Alcuni hanno ancora la foto del loro nonno o bisnonno attaccata alla porta o alle mura della casa. "È morto per la fede", si dicono e anche loro si attaccano di più a questa fede. 
  
Molti cristiani hanno lasciato la Siria, ma alcuni sono rimasti. Cosa potete fare per loro? 
La metà della popolazione della Siria è profuga. Forse alcuni cristiani torneranno in futuro. Oggi grazie agli aiuti dei nostri benefattori, noi cerchiamo prima di tutto di far sopravvivere la gente che rimane. Stiamo aiutando a riparare alcune case.
 Stiamo pensando anche di aiutare a creare delle piccole imprese, in modo che i siriani possano lavorare per sostenersi. Si può pensare di tornare solo se si hanno casa o lavoro. 
  
Cosa spera oggi per la Siria? 
Che cessi la violenza, che cessi questo fiume di sangue, che arrivino la pace e la riconciliazione. 
  
Può raccontarci una storia esemplificativa della vita di questi tempi in Siria? 
Abbiamo avuto una coppia che ha aspettato otto anni prima di avere un figlio. Questo figlio a dodici anni è morto per una scheggia dei bombardamenti sui civili ad Aleppo. Era il loro unico figlio. Nel loro immenso dolore, hanno fatto un grande atto di fede: hanno deciso di continuare a stare ad Aleppo. Hanno pregato dicendo "Che il Signore ci dia la forza di testimoniare la fede. Che nostro figlio sia come un sacrificio accetto a Dio che impedisca la morte di altri bambini suoi coetanei".