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mercoledì 22 ottobre 2025

Premio San Giovanni Paolo II 2025 conferito a Mons. Jacques MOURAD

La Fondazione Vaticana Giovanni Paolo II ha conferito il Premio San Giovanni Paolo Fondazione Vaticana Giovanni Paolo II ha conferito il Premio San Giovanni Paolo II 2025 a Mons. Jacques MOURAD, arcivescovo siro-cattolico di Homs, Hama e Nabk. La Giuria, presieduta dal cardinale Kurt Koch, ha riconosciuto in lui «una straordinaria testimonianza di fede e amore cristiano, un instancabile impegno nel dialogo interreligioso e nella costruzione della pace».
 

Mons. Jacques (Julian Yacoub) MOURAD è nato il 28 giugno 1968 ad Aleppo, in Siria. Fin dai primi anni della sua vita è stato legato alla Chiesa siro-cattolica e, dopo aver completato gli studi secondari, ha iniziato la formazione seminarista a Charfet, in Libano, dove ha studiato filosofia e teologia. Ha proseguito gli studi all’Università Saint-Esprit di Kaslik, conseguendo la licenza in teologia liturgica. Un momento importante del suo cammino vocazionale è stato l’ingresso nella comunità monastica di Deir Mar Musa Al-Abashi, che ha contribuito a fondare insieme al gesuita italiano Paolo Dall’Oglio. Questa comunità, conosciuta anche come Mar Moussa, si propone di costruire ponti tra cristianesimo e islam, promuovere il dialogo tra religioni e culture e vivere nello spirito di fraternità. Jacques MOURAD ha emesso la professione monastica nel 1993 e nell’agosto dello stesso anno ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale, venendo incardinato nell’arcieparchia di Homs.

Per diversi anni del suo ministero è stato legato al monastero di San Elian ad Al-Qaryatayn, vicino a Homs, dove dal 2000 è stato priore e parroco della comunità locale. Il suo lavoro pastorale non si limitava all’amministrazione dei sacramenti, ma comprendeva anche una vasta attività caritativa e sociale. Sosteneva rifugiati e vittime della guerra, organizzava forniture di acqua ed elettricità, aiutava nella coltivazione dei campi, offriva assistenza senza distinzione di fede o tradizione religiosa. In quel periodo si è fatto conoscere come sacerdote totalmente dedito alla comunità locale e fedele alla missione del dialogo islamo-cristiano, convinto che il futuro della Siria dipenda dalla collaborazione di tutti i suoi abitanti, indipendentemente dalla religione o dalla confessione. 

Nel maggio 2015 i miliziani del cosiddetto Stato Islamico lo hanno rapito dal monastero di Mar Elian. Per cinque mesi è stato imprigionato e sottoposto a torture psicologiche e fisiche. Più volte minacciato di morte e costretto a rinnegare la fede, ha più volte ricordato che in quel periodo la sua forza era la preghiera, in particolare il rosario e la spiritualità radicata nella tradizione monastica. È riuscito a salvarsi grazie all’aiuto di diverse persone, in particolare musulmani, ai quali egli stesso aveva portato sostegno. La sua liberazione è divenuta un simbolo: la solidarietà e il bene, anche nei momenti di massima prova, possono diventare fonte di salvezza.

Dopo la prigionia, Jacques MOURAD ha vissuto per un periodo nei monasteri della comunità di San Salvatore a Cori, in Italia, e a Sulaymaniyah, in Iraq. Nel 2020 è tornato in Siria, dove ha assunto l’incarico di vice superiore della comunità di Al-Qaryatayn e responsabile per gli affari economici. Si è distinto per il coraggio e la profonda convinzione che i cristiani non possano abbandonare la Siria, nonostante le difficoltà, le sofferenze e le distruzioni portate dalla guerra. Il 7 gennaio 2023 il Sinodo dei Vescovi della Chiesa siro-cattolica lo ha eletto arcivescovo di Homs e papa Francesco ha approvato questa nomina. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 3 marzo 2023. Come arcivescovo di Homs non solo svolge il ministero pastorale, ma è diventato anche una voce morale e spirituale per tutta la Siria. Interviene regolarmente per chiedere accesso agli aiuti umanitari, si oppone a ogni forma di persecuzione e ingiustizia e sottolinea la necessità della collaborazione tra tutte le comunità che abitano il Paese.
Mons. Jacques MOURAD parla diverse lingue, tra cui arabo, siriaco, francese, inglese e italiano. È apprezzato per l’empatia, l’umiltà e la capacità di unire le persone. Nei suoi interventi pubblici ricorda che i cristiani in Siria non sono soltanto vittime della guerra, ma parte integrante di una società più ampia in cui vivono musulmani, alawiti e fedeli di molte altre tradizioni. Sottolinea che il dialogo e la cooperazione non sono un lusso, ma una necessità se la Siria vuole avere un futuro. La sua storia – da sacerdote al servizio della popolazione di Al-Qaryatayn, attraverso il rapimento e la prigionia da parte dell’ISIS, fino all’assunzione della sede arcivescovile di Homs – lo rende una delle figure più simboliche della Chiesa in Medio Oriente. È testimone di coraggio, fedeltà alla fede e alla missione della Chiesa, che rimane accanto ai sofferenti. Per molti cristiani e musulmani in Siria è diventato un segno di speranza: anche nei tempi di crisi più dura è possibile la riconciliazione e la ricostruzione comune della vita sociale.

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