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giovedì 29 giugno 2023

Ritorno da Damasco: note di viaggio

Articolo scritto da Michel Raimbaud.  Traduzione dal francese di  OraproSiria.

Michel Raimbaud è saggista, politologo, docente di relazioni internazionali, ex ambasciatore francese in Sudan, Mauritania e Zimbabwe e direttore onorario dell’Ofpra (Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi). Autore di numerosi articoli e libri di geopolitica, tra cui 'Le Soudan dans tous ses états', 'Tempête sur le grand Moyen-Orient', 'Les guerres de Syrie'.

In un lontano passato, quando il Deep State non era ancora altro che un incubo statunitense (come descritto da Ike Eisenhower o John Kennedy) e il mainstream non era altro che il sogno di un apprendista stregone, davamo credito ai "grandi reporter" e ad altri testimoni d’urto. La formula magica "Secondo un viaggiatore di ritorno da Baghdad" metteva il chiodo nella bara degli scettici di professione o degli antenati dei "cani da guardia" di una doxa nascente... Quei giorni sono passati. I milioni di morti, mutilati e feriti nelle innumerevoli guerre condotte dall’Asse del Bene in decine di paesi, i milioni di profughi e sfollati gettati sulle strade o sui mari, non bastano più a risvegliare le coscienze o a scuotere la buona coscienza della miriade di affiliati o membri di affinità che hanno scelto di servire incondizionatamente le tesi dell’Occidente in tutta la sua pompa… 

Il sottoscritto non è appena tornato da Baghdad, ma da Damasco. Da qui sento gli instancabili scettici, le "menti forti" che strombazzano: "Sì, ma la Siria non è la stessa, è Bashar...". Tranquilli, qui non si tratta di convincerli, perché si può vivere o morire consapevoli o stupidi: sta a ciascuno farsi un’idea propria. Ci limitiamo a ricordare che la Siria ha dovuto affrontare due guerre consecutive.

Colpita nel marzo 2011 dalla pandemia "rivoluzionaria" della Primavera araba, ha sperimentato per la prima volta, per oltre sette anni (fino all’autunno 2018), gli orrori di una guerra di aggressione non dichiarata, orchestrata dai tre membri permanenti occidentali del Consiglio di Sicurezza, sostenuti da una coalizione fluttuante nota come "Amici della Siria" (120 membri nel dicembre 2011, una dozzina nell’aprile 2012). 

Un’alleanza non ammessa, ma assunta, con gli islamisti ha rapidamente generato un flusso eterogeneo di 400.000 jihadisti accorsi dai quattro punti cardinali per prendere parte a questo "crimine supremo" (secondo le parole del Tribunale di Norimberga), dando alla sporca guerra di aggressione una sfumatura di "guerra santa". Santa ma sadica, visto che le sanzioni illegali euro-statunitensi cominceranno a piovere dalla primavera del 2011, a secchiate, con una foga maniacale che la dice lunga sul livello intellettuale di chi ha ideato il piano. 

L’esercito siriano ha resistito valorosamente per quattro anni e mezzo, aiutato dai suoi alleati regionali, permettendo allo Stato di "resistere". L’intervento della Russia, richiesto dal governo di Damasco, ha ribaltato la situazione: il settembre 2015 ha segnato l’inizio di un riflusso inesorabile come la marea crescente. Alla fine del 2018 non era solo una voce, ma un dato di fatto: il Presidente siriano aveva vinto la guerra, sia militarmente che politicamente.

In realtà, già nel 2016, il presidente Barack Obama, alla fine del suo mandato, non aveva fatto mistero delle sue ansie di signore della guerra. Sorridendo e indossando il premio Nobel per la pace come scudo, aveva menzionato una delle sue scoperte strategiche. O meglio, è stato Robert Malley, suo amico e consigliere per il Medio Oriente, a far uscire il gatto dal sacco quando ha confidato in un’intervista: "Gli Stati Uniti preferiscono che il conflitto in Siria continui se non hanno una carta forte sul terreno contro la Russia... Anche se questo significa prolungare la guerra all’infinito o favorire temporaneamente Da’esh". Per inciso, l’amabile presidente è stato l’inventore della teoria del "Leading from behind", che suona come un’ammissione di perversione o di impotenza: perché "guidare da dietro" se non per farsi vedere da davanti? Il modo migliore per prolungare il piacere dell’aggressione non sarebbe quello di trasformarla in una guerra ibrida, invisibile e infinita, con sanzioni, blocchi, embarghi, Caesar Act, misure coercitive lanciate a tutto spiano, sotto la copertura dell’extraterritorialità delle leggi statunitensi ancora in vigore, per punire collettivamente il popolo siriano? 

È in questo contesto che, per la prima volta dall’inizio della guerra, l’Association d’Amitié France-Syrie (Afs) ha organizzato una visita a Damasco di una delegazione di sei persone, con l’obiettivo di portare un messaggio di amicizia a un paese percosso dalle difficoltà, ma infinitamente coraggioso. La delegazione non aveva un mandato ufficiale o ufficioso, ma il suo scopo era quello di raccogliere impressioni e testimonianze, alla luce della situazione e dell’attualità (dal 15 al 19 maggio 2023), e anche di far conoscere la capitale e la Siria a coloro per i quali questo viaggio era una prima volta. 

Questo aspetto della visita è stato ben accolto dagli ospiti siriani. Sebbene l’accoglienza sia stata calorosa, non possiamo trascurare le domande sulla posizione della Francia negli ultimi dodici anni, provenienti da ogni parte. I nostri interlocutori non hanno nascosto le loro perplessità sulla logica di questa politica, sulle sue motivazioni e sulla sua validità.


È stato un viaggio emozionante, secondo tutti i membri della delegazione, che sono rimasti colpiti dal coraggio, dalla serenità e dall’orgoglio di questa popolazione duramente provata. Una popolazione orgogliosa di aver resistito e vinto, e a ragione... È questo che ci è saltato agli occhi quando abbiamo visto le strade trafficate e operose, stavo per dire come al solito. Era uno "spettacolo" amplificato dalla vista delle meraviglie della capitale che alcuni di loro avevano scoperto o rivisitato, a seconda dei casi, un campione dei tesori nascosti in questo bellissimo e magnifico paese abitato da una storia onnipresente dalla notte dei tempi, nei palazzi, nei templi, nelle moschee, nelle chiese, nelle cittadelle, nei vecchi quartieri, nelle rovine e nei siti archeologici...

Durante le numerose visite in cui hanno potuto parlare e ascoltare con calma, i visitatori sono stati anche sopraffatti dall’alta qualità e dall’enorme competenza dei loro interlocutori, donne e uomini, che erano privi di arroganza, parlavano in piena libertà e senza peli sulla lingua. Chi aveva dubbi e pregiudizi al suo arrivo ha potuto constatare che la tolleranza religiosa è profondamente radicata nel patrimonio: la moschea degli Omayyadi, la più antica del paese, non ospita forse la tomba di san Giovanni Battista, e la moschea del Saladino, all’ombra del minareto del Gesù?

Vivere la storia o abbandonarla?

Oggi un viaggio in Siria è una vera e propria lezione di coraggio. Vedere con i propri occhi un paese devastato, testimoniare il coraggio e l’orgoglio di un popolo ferito da oltre dodici anni di guerra ingiusta, illegale e criminale, significa compiere un pellegrinaggio, raccogliere testimonianze nel cuore della storia. Un viaggio del genere porta indubbiamente a meditare, se non a riflettere, sul destino dei cinquecentomila morti, dei due milioni di feriti e mutilati, dei sei milioni di persone gettate sulle strade dell’esilio e dei sette milioni di sfollati, senza dimenticare le vittime del terremoto dello scorso gennaio. L’incapacità degli occidentali di rispondere agli appelli di solidarietà che ci si aspetta in questi casi non è passata inosservata e a nessuno sarà sfuggito che essi stanno approfittando delle circostanze per sottoporre i loro esigui aiuti a condizioni inaccettabili, pretendendo che gli aiuti vengano convogliati attraverso il confine settentrionale, che è sotto il controllo di gruppi terroristici.

Come possiamo partecipare alla vendetta collettiva di un Occidente amareggiato dalla propria mediocrità contro un popolo già soffocato e asfissiato da sanzioni inique, degne di tempi che credevamo finiti? Come possiamo spiegare l’inspiegabile quando ci rifiutiamo di ammettere che siamo lontani cento leghe da qualsiasi cartesianesimo o logica? La nostra comprensione della situazione siriana è così lontana dalla realtà e basata su tali menzogne che è illusorio immaginare un ritorno al passato. Eppure il tempo stringe... 

Questo decennio 2020 potrebbe passare alla storia come una grande prima volta nella storia moderna e contemporanea. È la prima volta che la "comunità internazionale" è vittima di una frattura apparentemente irreversibile, al termine di un processo di rottura a cui nessuno voleva credere quando è iniziato, tra il dicembre 2021 e il febbraio 2022. È accaduto l’irreparabile: la cosiddetta "comunità" si è trovata divisa in due gruppi di nemici che si guardano in faccia e si contrappongono in un confronto globale: da una parte l’Occidente, dominante, arrogante e sicuro di sé, ma una piccolissima minoranza (dal 12 al 15% dell’umanità), e dall’altra il resto del pianeta, in altre parole la stragrande maggioranza della comunità delle nazioni, che chiede con veemenza di prendere il posto che le spetta. Si tratta di una richiesta legittima se prendiamo sul serio i valori branditi dai difensori dei diritti umani, sinceri o ipocriti che siano.


Tutti gli esseri umani, senza eccezioni, nascono uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità: questo è il principio principale che l’umanità dovrebbe iscrivere nella sua lista del patrimonio mondiale, prima di aggiungere l’aria di mare, le baguette, l’Himalaya, i parchi eolici, l’aereo a pedali o la macchina per fare i buchi nel formaggio gruviera. 

I leader della Francia farebbero bene a tenere la bocca chiusa, per evitare di aggravare ulteriormente l’angoscia in cui si trova la sua diplomazia assediata. In piedi sui suoi stivali o sui suoi tacchi alti, come Le Drian prima di lei, il ministro per l’Europa e gli affari esteri, la signora Colonna, probabilmente non sa che le sue parole non interessano a nessuno e non sono attese da nessuno. Le si potrebbe suggerire di limitarsi al dialogo con quegli europei che condividono la sua ignoranza, indifferenza e malafede. Processare Bashar al-Assad e portarlo davanti alla Corte penale internazionale o a qualsiasi altro organismo agli ordini dell’Occidente è un trucco che non funziona più e che ha esaurito tutto il suo fascino. Forse sarebbe utile sussurrare all’orecchio del ministro un elenco di persone che dovrebbero fare la fila alla Corte penale internazionale o comparire nell’agenda di altri organi di tale giustizia. Questa lista comprenderebbe molte persone che lei conosce, vivi e morti, dei morti o dei vivi ...

Non ha senso sabotare il futuro solo per il gusto di farlo, piaccia o meno ai guerrafondai del mainstream francese che fingono di ignorarlo. È criminale predicare a favore del mantenimento o dell’inasprimento di sanzioni economiche unilaterali, illegali e assassine di ogni tipo, che stanno avendo un effetto devastante sulle popolazioni civili, duramente colpite dal terremoto dell’inizio del 2023. Gli ingenui che attirano l’attenzione dei colletti bianchi, puliti e ben nutriti padri della virtù, sperando di farli sentire dispiaciuti, hanno sbagliato bersaglio, perché l’etnocidio pianificato del popolo siriano è il loro obiettivo, sia che provengano dall’altra parte dell’Atlantico, della Manica o qui in patria. E sono riusciti nel loro sporco intento: ancora oggi, l’80% dei siriani sopravvive al di sotto della soglia di povertà, spesso senza acqua, elettricità, benzina o gasolio, ma con un coraggio incommensurabile. 

Le nostre élite dovrebbero rendersi conto che, nel grande sconvolgimento del mondo e nella ricomposizione in corso, la Francia è considerata appartenere al campo degli aggressori. La Siria, invece, si è ritagliata un posto d’elezione nel campo dei vincitori, ed è a loro che si rivolgerà innanzitutto per la ricostruzione, oltre che ai paesi arabi "pentiti" (o rinsaviti) e ad alcuni paesi europei che, senza dire nulla, non hanno tagliato i ponti o sono tornati durante i dodici anni di guerra: Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Ungheria, Cipro, Grecia, Italia, ecc.

La Francia ha ancora la possibilità di unirsi al grande movimento di ritorno a Damasco, valorizzando il suo patrimonio di eccellenza: tutti hanno ricordato il nostro posto un tempo eminente nell’importante settore dell’archeologia, dove si affollano i candidati (anche europei) alla nostra successione, nel campo dell’insegnamento della lingua francese. Abbiamo visto l’ex scuola secondaria Charles de Gaulle, chiusa dal governo francese e riaperta grazie all’impegno di volontari, formando diverse centinaia di allievi; abbiamo parlato della nostra collaborazione con un paese il cui sistema medico, prima della guerra, era ai vertici mondiali in ogni campo e che, volontariamente o sotto la spinta degli eventi, ci ha fornito migliaia di medici.

La Francia ha ancora una possibilità, ma la finestra di opportunità è stretta, sia nel tempo che nello spazio. Il tempo stringe e la Siria, di cui la Francia fu la potenza delegata dopo la grande guerra, quando l’Impero ottomano fu smantellato, si appresta a tornare a essere il perno del Medioriente e del mondo arabo, a riprendere il suo posto nel cuore della storia.

Damasco, la perla d’Oriente, non sarà solo la capitale di un paese rinato dopo tante difficoltà, ma sarà anche la porta del mondo arabo in pieno risveglio, di cui la Siria è tornata ad essere "il cuore pulsante".

Domani sarà troppo tardi, se la terra dei lumi non ristabilisce il collegamento...

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