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venerdì 30 aprile 2021

La Tunisia in preda al demone del terrorismo.

 

ANALISI - Il Paese, democrazia in costruzione dopo la ′′rivoluzione del gelsomino′′ del gennaio 2011, è oggi il primo Paese esportatore di giovani partiti per la jihad: Libia, Siria e Sahel... Una realtà dura da accettare dalla società locale.

     Articolo di Yves Thréard, LE FIGARO, 26 aprile 2021 

′′Come ogni volta, in Tunisia, si è presi da spavento all'annuncio di un attentato terroristico in Europa: si prega Dio che il presunto terrorista non sia tunisino e ci si nasconde la faccia fino ai risultati delle indagini della polizia. E, quasi sistematicamente, si ha diritto allo stesso verdetto: il colpevole è un terrorista tunisino... "   Inizia  così, sabato, l'articolo di Moncef Dhambri sul sito di informazioni online Kapitalis. Dopo 72 ore dall'assassinio della funzionaria della polizia del commissariato di Rambouillet, i commenti sono tantissimi sui media tunisini. Tra rabbia e disperazione, una domanda viene ripetuta, lancinante, dolorosa, terrificante: perché noi? 

Jamel Gorchene, l'assassino di 36 anni, era effettivamente originario di Msaken, comune della regione di Sousse. Come Mohamed Lahouaiej Bouhlel, l'islamista di 31 anni che ha ucciso 86 persone, il 14 luglio 2016, al volante del suo camion sulla Passeggiata degli inglesi a Nizza. Anche lui era, si diceva, era depresso. L'inchiesta rivela tuttavia che il suo attentato, rivendicato da Daech (ISIS), era stato preparato con attenzione.

Pochi mesi dopo, il 19 dicembre 2016, è Anis Amri, nato a Tataouine, nel sud della Tunisia, che si dirige con un veicolo rubato sul mercato di Natale a Berlino: 12 passanti vengono uccisi.

Il 1° ottobre 2017 Ahmed Hanachi, delinquente tunisino appena rimesso in libertà il giorno prima dei suoi crimini, assassina, alla stazione di Saint Charles di Marsiglia, due giovani donne. Tre anni dopo, il 20 ottobre 2020 Brahim Aouissaoui, appena arrivato in Francia da Sfax, via Lampedusa, sgozza il sacrestano e una fedele della Basilica di Nizza e poi, non lontano dall'edificio, una donna di 44 anni.

La Tunisia, dodici milioni di abitanti, democrazia in costruzione dopo la ′rivoluzione del gelsomino′′ del gennaio 2011, è un focolaio del terrorismo islamico. Oggi è il primo paese esportatore di giovani partiti per la jihad: in Libia, in Siria e nel Sahel... Una realtà dura da accettare dalla società sul posto. Secondo uno studio del Washington Institute for Near East Policy, pubblicato nel dicembre 2018, negli ultimi anni 3000 cittadini tunisini sono partiti per zone di combattimento. E altri 9000, secondo alcune fonti, sarebbero stati impediti di andarvi. Perché così tanti? 

Già alla svolta degli anni 2000, la guerra in nome di Allah perseguitava gli spiriti e attirava i candidati. Nel 2000 due tunisini sono presenti nel gruppo che sta progettando di attaccare la Cattedrale di Strasburgo. Il 9 settembre 2001, due giorni prima del crollo delle Twin Towers a New York, due uomini, originari di Gabès e Sousse, arruolati da Al-Qaeda, assassinano il comandante Massoud. Osama Bin Laden e la filiera afghana reclutarono molti tunisini. Proprio come i gruppi che combatterono nella seconda guerra in Iraq, a partire dal 2003. 

Il territorio tunisino stesso non è risparmiato. Nel 2002 un kamikaze prende di mira a famosa sinagoga della Ghriba, a Djerba: 19 vittime. Dal 2011 circa 120 poliziotti o membri delle forze di sicurezza sono stati colpiti da terroristi. Spettacolari attentati sono stati commessi: il 18 marzo 2015, 24 persone trovano la morte nel museo del Bardo a Tunisi; il 26 giugno dello stesso anno, 27 turisti vengono uccisi nell'hotel Imperial Marhaba a Sousse... La lista è lunga; la minaccia, permanente; la tensione, estrema. 

Se la povertà, reale nelle regioni lontane dal litorale, viene spesso invocata per giustificare questa radicalizzazione, non basta a spiegare il fenomeno. Il quale, come si vede, è molto precedente alla primavera araba. Quando Habib Bourguiba, il padre della nazione, e il suo successore, Zine el-Abidine Ben Ali, guidavano il paese con una mano di ferro, il verme islamista era già presente in tutto il paese. Meno lampante forse, ma già virulento. Nel suo testamento, scoperto dagli americani in un nascondiglio di al-Qaeda in Pakistan, l'autore franco-tunisino dell'attacco della Ghriba, Nizar Naour, afferma la sua "adorazione per Khomeini, Bin Laden e Ghannouchi". 

Rached Ghannouchi. Il nome dell'attuale presidente dell'Assemblea nazionale tunisina ritorma spesso nei dibattiti sulla radicalizzazione dei giovani. 80 anni di età, questo vicino di fuoco dell'ayatollah Khomeini, dei Fratelli Musulmani e della Turchia di Erdogan, è il capo di Ennahdha, partito che è al cuore del panorama politico tunisino, anche se ha perso voti. Esiliato a Londra prima di tornare nel suo paese nel 2011, è accusato di svolgere un ruolo ambiguo, nonostante la sua da poco proclamata fedeltà alla democrazia. E' stato uno dei suoi attivisti, Tarek Maaroufi, a reclutare a Bruxelles i due assassini di Massoud. 

Condannato in Belgio, Maaroufi quando uscirà di prigione sarà accolto come eroe a Tunisi. Lui, Ghannouchi ed altri eserciteranno un ruolo importante, dopo la ′′rivoluzione del gelsomino′′ del 2011, per spingere i giovani verso la jihad. Il loro proselitismo è rilevato da servizi e osservatori stranieri. Jacob Wallas, ambasciatore statunitense in Tunisia dal 2012 al 2015, non esiterà ad affermare, in una conferenza organizzata nel 2018:

′′ Vorrei sottolineare la tolleranza iniziale delle attività jihadiste da parte del governo dell'epoca. Il partito Ennahdha ha difeso il dialogo con i jihadisti." Infatti l'ondata di liberazione post-rivoluzionaria ha fatto emergere molti individui fanatici. Parecchi si uniscono alle fila di Ansar al-Sharia, gruppo salafista di cui la regione di Sousse è il feudo. Altri si nascondono nel sud tunisino, verso Kasserine e il djebel Châambi, dove ritrovano compari provenienti dall'Algeria e dalla Libia. 

′′Se è vero che il coinvolgimento dei tunisini nel terrorismo internazionale non risale alla caduta del regime, nel gennaio 2011, è evidente comunque che il loro numero è esploso a partire da quella data”, dichiara Mezri Haddad, filosofo ed ex diplomatico tunisino. “Ciò si spiega con la destabilizzazione dei servizi segreti e di sicurezza nel gennaio 2011, con la liberazione di decine di terroristi detenuti in prigione durante l'epoca di Ben Ali, con l'ondata migratoria di centinaia di clandestini a partire dal gennaio 2011 che hanno invaso l'Italia e la Francia, con il trasferimento di migliaia di candidati al jihadismo in Siria, con la complicità delle autorità politiche." Due deputati tunisini hanno sospettato che una compagnia aerea, Syphax Airlines, svolgesse questa missione. Il suo proprietario, simpatizzante di Ennahdha, siede oggi in Aula. 

Nel 2017 è stata istituita una commissione parlamentare tunisina per trovare rimedi alla radicalizzazione di una parte della popolazione. Senza seguito. Dopo l'assassinio di Samuel Paty, lo scorso ottobre nelle Yvelines, il deputato islamo-populista Rached Khiari ha scritto sulla sua pagina Facebook: "Ogni attacco al profeta Maometto è il più grande crimine. Tutti coloro che lo commettono devono assumersi le sue ricadute e ripercussioni.". Parole che hanno provocato una vivace polemica e che gli hanno procurato guai con la giustizia del suo Paese.

Su Facebook, l'assassino di Rambouillet seguiva assiduamente le notizie di Rached Khiari, di cui era tifoso, ma anche le dichiarazioni indignate di Jean-Luc Mélenchon sull'Islam in Francia. La giovane democrazia tunisina, così singolare in un mondo arabo-musulmano capovolto, potrà ancora resistere a lungo alla piovra islamica che la mina dall'interno e si diffonde ovunque in Francia e in Europa?

https://www.lefigaro.fr/vox/monde/la-tunisie-en-proie-au-demon-du-terrorisme-20210426