Pagine

venerdì 28 maggio 2021

Le elezioni presidenziali e le priorità del popolo siriano

Leggiamo sui social e sui media a larga diffusione che le odierne elezioni siriane "sono state una farsa orchestrata da Assad per consolidare il proprio potere".
E' certamente vero che Bashar Al-Assad desiderasse una conferma del proprio comando e che i suoi oppositori non avevano alcuna possibilità di insidiarlo.
Tuttavia, sia l'altissima affluenza alle urne che la vittoria plebiscitaria di Assad contrastano nettamente con questo giudizi. 
Quello che ci pare più nettamente evidente è il messaggio che rimbalza agli USA, alla UE e agli altri 'sanzionatori' internazionali: se le sanzioni che di fatto affamano e mietono vittime tra la popolazione civile avrebbero dovuto far insorgere la gente contro il Presidente , o per lo meno invertire il consenso popolare, questo non è accaduto.
La gente della Siria vuole stabilità e non il caos, e chiede al proprio governo di lavorare per questo, e ricostruire rapidamente! USA, UE e associati se ne facciano una ragione ed incomincino a operare in termini collaborativi con la Repubblica Araba Siriana e con il popolo di cui si dicono tanto strenuamente difensori. 
Ora pro Siria  

Leader e media occidentali bollano come “farsa” il trionfo di Assad alle Presidenziali. L'Arcivescovo Tobji: le sanzioni producono fame, non democrazia


Agenzia Fides , 28 maggio 2021

Mentre l’Unione Europea prolunga di un anno le sanzioni economiche contro la Repubblica araba di Siria, leader politici e media occidentali bollano come “farsa” il trionfo scontato di Bashar al Assad alle elezioni presidenziali siriane, svoltesi mercoledì 26 maggio. Mentre per Joseph Tobji, Arcivescovo maronita di Aleppo, “il popolo siriano adesso ha come primo problema quello di sopravvivere alla fame, causata anche dalle sanzioni”, e appare del tutto sconsiderata la strategia internazionale che impone sanzioni economiche per indebolire il potere siriano. “Chi impone le sanzioni” rimarca l’Arcivescovo maronita in una conversazione con l’Agenzia Fides “sta fuori dalla Siria. E la logica delle sanzioni è quella di affamare il popolo pensando di far diminuire il consenso politico alle autorità e far cadere il governo. Io, come Pastore, vedo che il popolo soffre per la povertà, e non mi sembra che abbia come priorità quella dei discorsi sulla democrazia”.
Come previsto, alle elezioni di mercoledì 26, Bashar al Assad ha visto confermato in maniera plebiscitaria il prolungamento del suo mandato presidenziale, raccogliendo il 95,1% dei voti espressi. I due sfidanti hanno ottenuto 1,5% e 3,3%. Secondo il comunicato ufficiale della presidenza del Parlamento, hanno partecipato al voto oltre 14 milioni di elettori su 18 milioni di cittadini siriani segnati nelle liste elettorali. Cifre che nessun organo indipendente ha potuto verificare. Nelle precedenti elezioni del 2014, avvenute nel pieno del conflitto che lacera la Siria da 10 anni, Assad aveva ottenuto l'88% dei voti.
La risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU prevedeva, già nel 2015, che le successive elezioni siriane si sarebbero dovute svolgere sotto il controllo della comunità internazionale, dopo un negoziato tra il governo e i gruppi d’opposizione, per garantire la partecipazione al voto anche dei milioni di siriani espatriati durante il conflitto. Il governo guidato da Assad ha scelto la strada di convocare ugualmente le elezioni, sostenendo che i negoziati coi gruppi d’opposizione voluti dagli organismi internazionali sono in stallo, e non si poteva attendere la loro conclusione per fissare l’appuntamento elettorale. Adesso il risultato elettorale viene presentato dagli organi ufficiali del governo di Damasco come una ennesima legittimazione popolare di Assad nel suo ruolo di unico attore politico in grado di gestire la ricostruzione del Paese devastato dalla guerra, mentre leader politici e istituzioni dei Paesi occidentali continuano a bollare come non credibile e illegittima la tornata elettorale.
Joseph Tobji, da Aleppo, riferisce di non aver avuto l’impressione di un astensionismo generalizzato da parte della popolazione siriana: “Si vedeva tanta gente davanti ai seggi, con momenti di aggregazione e di festa nelle strade e nelle piazze, a cui non partecipavano solo i militanti vicini al governo. Sicuramente una parte dei potenziali elettori non è andata a votare, ma la crescita dell’astensionismo alle elezioni mi sembra un fenomeno globale, che sta crescendo in tanti Paesi con modelli politici diversi”.
Nella conversazione con Fides, l’Arcivescovo maronita propone altre considerazioni non scontate sul momento vissuto dalla popolazione siriana. Tra le altre cose, riconosce che non tutti i siriani soffrono allo stesso modo, e che la devastante crisi economica è accompagnata da un impressionante aumento dei livelli di corruzione, che sottrae risorse preziose alla comunità: “E un problema radicato nella nostra storia - ammette Tobji – ed è aumentato a causa della guerra. Anche le sanzioni contribuiscono a modo loro a questo fenomeno. Chi ha soldi e posizioni influenti se ne approfitta. E’ come un circolo vizioso: la corruzione alimenta la povertà, e la povertà alimenta la corruzione, che sottrae le poche risorse che rimangono. Si stanno facendo leggi per arginare la corruzione, ma non è un problema che si risolve in poco tempo”.
L’Arcivescovo maronita spera che comunque, dopo le avvenute elezioni, si apra una stagione utile per affrontare le emergenze nazionali, confidando di ritenere “miracolosa” la scarsa diffusione dei contagi da Covid-19 tra la popolazione siriana, vista anche la ridotta diffusione di presidi medici elementari, a cominciare dalle mascherine. Nell’ultimo anno e mezzo, la chiusura delle frontiere dovuta alla pandemia ha bloccato anche l’esodo dei cristiani siriani verso altri Paesi. Un fenomeno – riferisce con tono dolente l'Arcivescovo Tobji – che negli anni segnati dalle fasi più virulente del conflitto ha avuto un impatto pesante su alcune comunità cristiane autoctone, riducendone addirittura di due terzi la consistenza numerica. 

ASIA_SIRIA_Leader_e_media_occidentali_bollano_come_farsa_il_trionfo_di_Assad_alle_Presidenziali_L_Arcivescovo_Tobji_le_sanzioni_producono_fame_non_democrazia

sabato 22 maggio 2021

Il comunicato conclusivo della riunione del Consiglio dei capi delle Chiese Cattoliche in Siria, nella grave ora presente


 Pubblichiamo di seguito il testo integrale della dichiarazione finale emessa dalla riunione del Consiglio dei capi delle Chiese cattoliche in Siria, che si è tenuta presso la sede del Vicariato Apostolico Latino nella città di Aleppo, dal 18 al 20 maggio 2021


Alle cinque del pomeriggio di martedì 18 maggio 2021, il Consiglio dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici in Siria ha inaugurato la sua regolare sessione annuale per l'anno 2021, presso la Procura Apostolica Latina di Aleppo.

Per tre giorni i Padri hanno approfondito diversi temi di interesse per la Chiesa e per la Patria, soprattutto la questione umana e sociale, che è diventata molto urgente in questi giorni, man mano che aumentano le difficoltà materiali per tutti, e che la Chiesa considera una delle sue priorità.

In questo contesto umanitario e sociale, i Padri hanno passato in rassegna le attività e le opere svolte da Caritas Siria nell'anno 2020, in particolare quelle attività e azioni che hanno riguardato tutte le regioni siriane e tutti i gruppi sociali, senza discriminazioni, e che rendono la Chiesa presente ed efficace, e la sua testimonianza evidente tra le persone bisognose e sofferenti il cui numero aumenta di giorno in giorno.

I partecipanti hanno riflettuto sulle ingiuste sanzioni imposte alla Siria, l'ultima delle quali è stata il Caesar Act, e hanno chiesto che fossero revocate e hanno discusso di come raggiungere questo obiettivo e di come avrebbero lavorato allo stesso tempo per ridurre l'impatto delle sanzioni sulle vite dei siriani.

Si sono occupati anche della questione della migrazione del popolo siriano, soprattutto dei giovani, e hanno chiesto che venga approvato tutto ciò che possa limitare questa migrazione, affinché i nostri figli rimangano nella loro terra, perché crediamo che la nostra presenza e la nostra testimonianza in questo paese è necessaria e importante. Hanno sottolineato la necessità di cooperazione reciproca e il beneficio di questa cooperazione per il bene della Chiesa nel nostro Paese.

I partecipanti hanno denunciato e condannato con forza le pratiche repressive e la brutale aggressione a cui sono sottoposti i palestinesi in Terra Santa, soprattutto a Gaza, e hanno chiesto l'intervento del Consiglio di Sicurezza e delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco immediato.

Hanno riflettuto sulla visita di Sua Santità Papa Francesco in Iraq, sugli effetti positivi che ha lasciato sul popolo iracheno di ogni appartenenza, sulla speranza che ha piantato nel cuore dei cristiani in particolare, e sul conforto che ha lasciato nelle relazioni islamo-cristiane.

Per l'occasione hanno inviato una lettera a Sua Santità Papa Francesco, ringraziandolo per il suo interesse per il nostro Paese, per la sua difesa dei diseredati, degli oppressi e degli emarginati, e per il suo costante appello alla fratellanza universale, particolarmente evidente nel suo ultimo messaggio "Siamo tutti fratelli".

D'altra parte, i Padri hanno salutato i capi delle altre Chiese cristiane, hanno apprezzato i buoni rapporti esistenti che ci uniscono e hanno espresso la loro volontà di continuare a sostenere il movimento ecumenico e la sua buona riuscita, al fine di raggiungere l'unità desiderata.

Per quanto riguarda le imminenti elezioni presidenziali in Siria, il Consiglio ha invitato i cittadini a parteciparvi, giudicando secondo coscienza e l'interesse nazionale, perché è un grande dovere patriottico e una priorità fondamentale nella crisi che la Siria e la regione stanno attraversando.

I Padri hanno affrontato alcune questioni amministrative relative al loro consiglio, tra cui l'elezione del Vescovo Youhanna Abdo Arbash a Presidente del Comitato congiunto di beneficenza per una seconda sessione, circa le necessità economiche, finanziarie, mediche e umanitarie.

Al termine, l'assemblea ha inviato una parola di congratulazione a tutti i siriani per il felice Eid al-Fitr, pregando Dio di accettare il loro digiuno e pregando Dio Onnipotente per l'eliminazione definitiva della pandemia Corona e della nuvola nera che è sospesa sulla Siria da ormai dieci anni.

Hanno reso omaggio all'eroico esercito siriano, chiedendo soccorso per i suoi martiri e i martiri della patria, e hanno chiesto a Dio di sostenere e benedire tutti coloro che lavorano per la salvaguardia della Siria. Hanno invitato i loro figli e tutti i cittadini ad essere pazienti e a permanere nella speranza, e lavorare insieme mano nella mano per ricostruire la Siria moderna e per tracciare un futuro nuovo e migliore per tutti i suoi figli, facendo affidamento sul linguaggio del dialogo costruttivo e del rispetto per tutti, cercando la vera riconciliazione e la rinuncia alla violenza.

Il Consiglio dei Capi delle Chiese cattoliche presenti in Siria

mercoledì 19 maggio 2021

Il mese mariano. La rocca di Nostra Signora di Saydnaya

 Saidnaya ha avuto un'immensa popolarità durante tutto il Medioevo, svolgendo un ruolo di primaria importanza nella pietà popolare, sia in Oriente che in Occidente, alla stregua di Lourdes e di Fatima nei tempi moderni

di GEORGE GHARIB

La Siria, Paese di antica cristianità, ha sviluppato un esteso culto mariano che ha lasciato tracce in molti campi dell’arte, dell’architettura, della teologia e della liturgia. Il Paese è costellato di Chiese, di Monasteri e di Santuari mariani piccoli e grandi, molti dei quali hanno subìto non pochi danni per le numerose invasioni che hanno afflitto la Siria durante la sua lunga storia, riducendo ora la presenza cristiana al 10% circa della popolazione del Paese.

Tra i Santuari mariani sopravvissuti a traversie e distruzioni, il maggiore è quello di Saidnaya, nome di un villaggio sito ad una ventina di chilometri dalla capitale Damasco, il cui Monastero custodisce una preziosa icona mariana attribuita al pennello di San Luca, che richiama ancora fiumane di Pellegrini provenienti da tutti gli angoli della Siria e da altri Paesi vicini e lontani.

Il Monastero – che somiglia ad una piazzaforte costruita su un grande sperone cinto da alte mura – appartiene al Patriarcato ortodosso di Antiochia, che ha sede a Damasco; lo officia e ne prende cura una numerosa Comunità di Monache di rito bizantino e di lingua araba, sotto la guida di un’igumena, o badessa, che vigila sul Monastero e accoglie i numerosi Pellegrini ortodossi, cattolici e musulmani, guidando tutti a pregare davanti all’icona della Madonna.

Origini del Monastero-Santuario

Le origini del Santuario si perdono nella notte dei tempi. Alcuni fanno risalire la fondazione all'imperatrice Eudossia (+ 460), donna di grande cultura, che avrebbe trovato a Gerusalemme il ritratto della Madonna dipinto da San Luca; ma più probabilmente il Santuario è da far risalire al VI secolo, ad opera dell’imperatore Giustiniano I (+ 565). Secondo una graziosa leggenda, questi, impegnato in una campagna contro la Persia, durante una battuta di caccia in Siria, smarrì la strada nelle vicinanze di Damasco, rischiando di morire di sete. Intravide allora una gazzella che, dopo averlo guidato ad una sorgente d'acqua, sparì com'era apparsa. Giustiniano riconobbe in lei la Vergine, e ordinò di costruire sul luogo un Santuario in suo onore. Lo affidò a Monache che fecero giungere da Gerusalemme un’immagine della Madonna attribuita, appunto, al pennello di San Luca.

Il nome Saidnaya significa in lingua siriaca "Signora della caccia", in ricordo della suddetta partita di caccia dell’Imperatore. L’immagine, oltre alla sua origine lucana, era anche molto nota per i miracoli che le venivano attribuiti.

Il pellegrino che oggi entra nel sacrario per visitare la Madonna [chiamata comunemente Chagoura: parola siriaca che significa celebre, illustre, famosa], è invitato a togliersi le scarpe prima di accedere all’edicola contenente, dietro una grata di ferro, la sacra immagine, come si legge in una iscrizione scolpita all’ingresso, tratta dal Libro dell’ Esodo 3, 5: "Togli le scarpe dai piedi, poiché il luogo in cui tu ti trovi è terra santa".

Il luogo è letteralmente tappezzato di icone, di doni preziosi, di lampade, di lampadari ed ex-voto. L’illuminazione è assicurata dalla sola luce delle candele e delle lampade ad olio che qui ardono giorno e notte.

L’immagine stessa è di piccolo formato e nascosta sotto una profusione di argenti, ori e gemme varie; vi è raffigurata, secondo tradizioni antiche, la Madonna con Bambino, del tipo della Galaktotrofousa, o Allattante. Tra i prodigi più insigni dell’immagine vi è l’essudazione di un liquido oleoso e profumato che si raccoglie sotto l’immagine e che le Monache distribuiscono ai Pellegrini per la santificazione loro e la guarigione dei malati.

Popolarità del Santuario, anche presso i Musulmani

La Madonna di Saidnaya ha avuto un’immensa popolarità durante tutto il Medioevo e ha svolto un ruolo di primaria importanza nella pietà popolare, sia in Oriente che in Occidente, alla stregua di Lourdes e di Fatima nei tempi moderni.

Attirava masse enormi di fedeli, calcolate talvolta a 50mila persone, nonostante l’insicurezza e le difficoltà del viaggio. Durante il Medioevo, il Santuario era una meta obbligata nell’itinerario seguito dai Pellegrini che si recavano in Terra Santa.

Interessante è notare che la venerazione della Madonna di Saidnaya non si limitava ai soli Cristiani. Anche i Musulmani e gli Ebrei accorrevano numerosi ai piedi della Vergine, implorando grazie ed aiuto; e Maria prodigava i suoi favori a tutti.

La cronaca di Thietmar riferisce, tra l’altro, il seguente episodio che accadde nel 1203 circa: "Un sultano di Damasco, sul punto di perdere la vista, andò a visitare "Nostra Signora di Sardan" e, benché pagano, non esitò a recarsi al Santuario. Lì cadde a terra e pregò; alzandosi poi, egli poté vedere la lampada che ardeva davanti alla santa immagine. Vedendosi guarito, rese gloria a Dio insieme a tutti i presenti; e fissando di nuovo la luce della lampada, egli promise una rendita di 50 misure di olio perché la stessa continuasse ad ardere in perpetuo. La quantità d’olio promessa fu regolarmente consegnata fino al tempo di Nour-ed-Din". [La tradizionale offerta durò fino alla deposizione del sultano turco Abdel Hamid, nel 1909].

Un altro principe musulmano, Malek al-Adel Seif-ed-Din, fratello di Saladino e pretendente alla mano della sorella di Riccardo ‘Cuor di Leone’, era afflitto da una strana malattia olfattiva: perdeva i sensi non appena odorava una rosa e questo proprio nel Paese delle rose, nel regno dell’immortale essenza delle rose. Dopo aver provato invano tutte le medicine, decise di andare in pellegrinaggio presso la Madonna di Saidnaya. Fu miracolosamente guarito e, tornato a Damasco, fece fare una rosa d’oro, tempestata di gemme, che emanava aromi così soavi – aggiungono le cronache – da profumare tutto il deserto della Siria; e ne fece omaggio alla Madonna. Alcuni hanno voluto individuare in questo racconto l’origine del nome attribuito a Maria di ‘Rosa mistica ’ nelle Litanie mariane.


Tali racconti, accolti con calda e sincera devozione durante tutto il Medioevo, hanno contribuito a dare lustro a questo Santuario mariano e a sviluppare l’amore verso Maria non solo in Siria ma anche nei Paesi confinanti. La festa si celebra a tutt’oggi l’8 Settembre, giorno della Natività di Maria. Per l’occasione i fedeli, accorsi già il giorno precedente, assistono alla Messa e vanno in processione verso l’icona; le Monache li ungono con l’olio profumato che emana dall’icona; molti poi trascorrono uno o più giorni nella foresteria del Monastero, contenti di stare sotto l’occhio vigile e benevolo della Madre di Dio, prima di ritornare nelle loro case.

http://www.letture.it/madre06/0502md/0502md17.htm

venerdì 14 maggio 2021

Veglia di Pentecoste in preghiera per la pace in Terra Santa

 

Di fronte agli scontri tra Gaza e lo stato ebraico, e alla violenza tra ebrei e arabi in Israele, il Patriarcato latino di Gerusalemme invita a una preghiera di "intercessione urgente per la giustizia e la pace" il 22 maggio.

di Christophe Lafontaine

Dal 10 maggio, 122 palestinesi sono stati uccisi, tra cui almeno 31 bambini, e sette israeliani sono stati uccisi, tra cui un bambino. Cioè, dall'inizio dei raid di ritorsione israeliani sui razzi che Hamas ha lanciato in risposta alle violenze a Gerusalemme nelle ultime settimane. 

In questo contesto, dimostrazioni e rivolte si sono diffuse e intensificate negli ultimi giorni in tutto Israele, in particolare nelle città con forte popolazione palestinese. La minoranza dei palestinesi cittadini di Israele, che costituiscono il 20% della popolazione israeliana, sono principalmente i discendenti dei palestinesi rimasti in Israele dopo la creazione dello stato ebraico nel 1948. La maggior parte di loro si sente vicina ai palestinesi della Cisgiordania e di Gaza. Negli ultimi tre giorni, manifestanti palestinesi in Israele sono stati attaccati da ebrei nazionalisti e persone ebree sono state aggredite da rivoltosi palestinesi che sono cittadini israeliani, e le loro proprietà vandalizzate. 

Nei territori palestinesi, negli ultimi giorni ci sono stati scontri tra le forze di sicurezza israeliane e i palestinesi all'ingresso della città cisgiordana di Ramallah, vicino all'insediamento ebraico di Beit El, e al checkpoint di Qalandia vicino alla stessa città. Scontri sono scoppiati anche tra l'esercito israeliano e i palestinesi nella città di Hebron. 

"In questo momento di disordini a Gerusalemme e in tutta la Terra Santa", il Patriarcato latino di Gerusalemme, in collaborazione con il Comitato episcopale dei religiosi e l'Unione delle religiose, ha deciso di invitare "tutti i fedeli, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici a pregare insieme alla vigilia della festa di Pentecoste", il 22 maggio, nella Basilica di Santo Stefano dei Padri Domenicani a Gerusalemme. Sarà "una preghiera per i doni dello Spirito Santo, un'intercessione urgente per la giustizia e la pace", ha precisato la massima autorità cattolica in Terra Santa.

Città miste in Israele fratturate

Lod, 45 km a nord-ovest di Gerusalemme e sede dell'aeroporto internazionale Ben Gurion, (tutti i voli sono attualmente dirottati) è stata una delle città più colpite dalle violenze comunitarie in Israele. Più di un terzo dei suoi 80.000 residenti sono palestinesi che sono cittadini di Israele. La violenza è scoppiata martedì sera. Secondo il Times of Israel, tre sinagoghe, numerose imprese e decine di automobili sono state bruciate.  Il sindaco della città ha detto che anche il municipio e un museo locale sono stati attaccati. "Siamo sull'orlo della guerra civile", ha lamentato sul Times of Israel sulla scia dei disordini notturni, lamentando che "decenni di coesistenza tra ebrei e palestinesi cittadini di Israele in questa città mista sono crollati". Anche un cimitero musulmano è stato dato alle fiamme durante la notte. La situazione ha cominciato a deteriorarsi tra giovani palestinesi cittadini d'Israele e gruppi di ebrei estremisti nella città dopo che un cittadino palestinese d'Israele è stato colpito e ucciso da un residente ebreo lunedì a margine di una violenta protesta. Il presidente israeliano Reuven Rivlin ha condannato i disordini di Lod, definendoli un pogrom. L'11 maggio, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato lo stato di emergenza a Lod.

Ieri, la televisione israeliana ha pubblicato un filmato di un gruppo israeliano di estrema destra che linciava un uomo arabo - presumibilmente solo perché era arabo - dopo aver fermato la sua auto e averlo lasciato incosciente e sanguinante in una strada di Bat Yam, vicino a Tel Aviv. Poco prima dell'incidente, dei video circolati su internet mostravano decine di persone che gridavano "Morte agli arabi".

Altre violenze tra ebrei e palestinesi cittadini d'Israele sono scoppiate nei giorni scorsi anche in diverse altre città del paese, come Haifa, Jaffa, Ramle, Kafr Kassem o Jisr al Zarqa, Wadi Ara, Hadera, città vicino a Cesarea. Anche a San Giovanni d'Acri, dove cittadini palestinesi di Israele hanno passato due ore a distruggere il negozio di un ebreo e infine a bruciarlo.

Oggi, il portavoce della polizia Micky Rosenfeld ha detto all'AFP che la violenza era a un livello che non si vedeva da decenni.

Il capo rabbino sefardita d'Israele in allarme

Il rabbino capo sefardita d'Israele Yitzhak Yossef ha chiesto la fine delle aggressioni commesse da alcuni ebrei: "Cittadini innocenti vengono attaccati da organizzazioni terroristiche, il cuore è pesante e le immagini difficili, ma non possiamo permetterci di essere trascinati in provocazioni e aggressioni", ha detto.   "I rivoltosi di Lod e Acre non rappresentano i cittadini palestinesi di Israele, i rivoltosi di Bat Yam (...) non rappresentano gli ebrei israeliani, la violenza non detterà le nostre vite", ha detto il leader dell'opposizione Yair Lapid, che sta cercando di formare una coalizione di unità nazionale.

Da parte sua, il PM Netanyahu ha notato in una dichiarazione che "ciò che sta accadendo nelle città di Israele negli ultimi giorni è insopportabile... niente giustifica il linciaggio degli arabi da parte degli ebrei e niente giustifica il linciaggio degli ebrei da parte degli arabi".  Il ministro della difesa Benny Gantz ha ordinato che 10 compagnie di riserva della polizia di frontiera siano schierate per sostenere gli sforzi della polizia per porre fine agli scontri nelle città ebraico-arabe in tutto il paese.

A Lod, San Giovanni d'Acri, Haifa, Tel Aviv-Jaffa, i politici locali arabi ed ebrei hanno lanciato un appello comune alla calma.

https://www.terresainte.net/2021/05/pentecote-priere-d-intercession-urgente-pour-la-paix/

Da Gaza

la testimonianza del parroco padre Gabriel Romanelli

domenica 9 maggio 2021

Appello per la pace a Gerusalemme tra gli scontri in corso

AGGIORNAMENTO 10 MAGGIO : 

Dichiarazione dei patriarchi e dei capi delle Chiese di Gerusalemme sulle recenti violenze a Gerusalemme 

Con tutti i Capi delle Chiese, siamo “profondamente scoraggiati e preoccupati per i recenti episodi di violenza a Gerusalemme Est, sia alla Moschea di Al Aqsa che a Sheikh Jarrah, che violano la santità del popolo di Gerusalemme e quella di Gerusalemme come Città della Pace," e richiedono un intervento urgente.
La violenza usata contro i fedeli mina la loro sicurezza e il loro diritto di avere accesso ai Luoghi Santi e di pregare liberamente. Lo sgombero forzato dei palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah è un'altra inaccettabile violazione dei diritti umani fondamentali, quello del diritto a una casa. È una questione di giustizia per gli abitanti della città vivere, pregare e lavorare, ciascuno secondo la propria dignità; una dignità conferita all'umanità da Dio stesso.
Per quanto riguarda la situazione di Sheikh Jarrah, facciamo eco alle parole dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani che ha affermato che lo stato di diritto viene "applicato in modo intrinsecamente discriminatorio". Questo è diventato uno dei punti più critici delle crescenti tensioni a Gerusalemme in generale. L’episodio in questione non riguarda una controversia immobiliare tra privati. È piuttosto un tentativo ispirato da un'ideologia estremista che nega il diritto di esistere a chi abita nella propria casa.
Di particolare significato è anche il diritto di accesso ai Luoghi Santi. Ai fedeli palestinesi è stato negato l'accesso alla moschea di Al Aqsa durante questo mese di Ramadan. Queste manifestazioni di forza feriscono lo spirito e l'anima della Città Santa, la cui vocazione è quella di essere aperta e accogliente; di essere una casa per tutti i credenti, con pari diritti, dignità e doveri.
La posizione storica delle Chiese di Gerusalemme è chiara circa la denuncia di ogni tentativo inteso a rendere Gerusalemme una città esclusiva per chiunque. Questa è una città sacra alle tre religioni monoteiste e, sulla base del diritto internazionale e delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, anche una città in cui il popolo palestinese, composto da cristiani e musulmani, ha lo stesso diritto di costruirsi un futuro basato sulla libertà, l'uguaglianza e la pace. Chiediamo pertanto un assoluto rispetto dello status quo di tutti i Luoghi Santi, compreso il complesso della moschea di Al-Aqsa.
L'autorità che controlla la città dovrebbe proteggere il carattere speciale di Gerusalemme, chiamata ad essere il cuore delle fedi abramitiche, un luogo di preghiera e di incontro, aperto a tutti e dove tutti i credenti e i cittadini, di ogni fede e appartenenza, possono sentirsi a “casa”, protetti e sicuri.
La nostra Chiesa è stata chiara sul fatto che la pace richiede giustizia. Nella misura in cui i diritti di tutti, israeliani e palestinesi, non saranno sostenuti e rispettati, non ci sarà giustizia e quindi nessuna pace nella città. È nostro dovere non ignorare l'ingiustizia né alcuna aggressione contro la dignità umana, indipendentemente da chi le commette.
Chiediamo alla Comunità Internazionale, alle Chiese e a tutte le persone di buona volontà di intervenire per porre fine a queste azioni provocatorie e di continuare a pregare per la pace di Gerusalemme. Ci uniamo in preghiera con l'intenzione del Santo Padre Papa Francesco che "l'identità multireligiosa e multiculturale della Città Santa possa essere rispettata e che la fraternità possa prevalere".


Papa Francesco all'Angelus di oggi ha espresso parole di particolare preoccupazione per l'escalation di tensione nella Città Santa:

"Cari fratelli e sorelle!

Seguo con particolare preoccupazione gli eventi che stanno accadendo a Gerusalemme. Prego affinché essa sia luogo di incontro e non di scontri violenti, luogo di preghiera e di pace. Invito tutti a cercare soluzioni condivise affinché l’identità multireligiosa e multiculturale della Città Santa sia rispettata e possa prevalere la fratellanza. La violenza genera solo violenza. Basta con gli scontri."


Il Consiglio Mondiale delle Chiese sollecita il rispetto dello status quo dei luoghi santi a Gerusalemme


Il Consiglio Mondiale delle Chiese (WCC) condanna le violenze nel complesso della Moschea di Al-Aqsa durante la notte di venerdì 7 maggio, in cui più di 200 persone sarebbero state ferite. Reagendo alla notizia, il segretario generale del WCC, Rev. Prof. Ioan Sauca, ha invitato Israele a rispettare lo status quo dei siti sacri nella Città Vecchia di Gerusalemme, nell'interesse della pace e della stabilità. Chiediamo anche a tutti di astenersi da ulteriori violenze e da azioni provocatorie e destabilizzanti". 

Questi eventi segnano l'ultima escalation nel crescente disordine per l'aumento della violenza e delle restrizioni delle forze di sicurezza intorno alla Città Vecchia. Inoltre, i recenti e futuri sfratti minacciati di famiglie palestinesi dalle loro proprietà rivendicate da gruppi di coloni ebrei nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est hanno anche contribuito a questa escalation.
 
Attraverso il suo Programma di Accompagnamento Ecumenico in Israele e Palestina (EAPPI), il WCC ha accompagnato e fornito presenza protettiva alla comunità palestinese di Sheikh Jarrah dal 2008, partecipando anche alle udienze in tribunale a sostegno delle famiglie minacciate di sfratto.

"Come ha osservato l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, le leggi su cui si basano le rivendicazioni dei gruppi di coloni sono applicate in modo intrinsecamente discriminatorio, a scapito dei palestinesi che in molti casi hanno vissuto nelle loro case per generazioni", ha detto il direttore del WCC per gli affari internazionali Peter Prove.

"A nome della comunione ecumenica globale delle chiese, esprimo il nostro profondo dolore per la situazione delle famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah", ha detto Sauca, "e per i disordini e le violenze che ne sono seguiti". 
La risposta adeguata, ha detto, "non deve essere più violenza, ma compassione e giustizia per il popolo palestinese colpito da questa situazione iniqua e ingiusta".

mercoledì 5 maggio 2021

Il mese mariano. La devozione a Nostra Signora di Ilige.

 
Simbolo della fede maronita

Per secoli è rimasta quasi nascosta nel villaggio di Mayfouq, tra le montagne alle spalle dell’antica Byblos, nel nord libanese. Ma negli ultimi decenni, la sua storia e anche le sue riproduzioni hanno iniziato a spargersi per tutto il Libano e oltre, in giro per il mondo. Nostra Signora di Ilige, l’icona del x secolo riapparsa all’inizio degli anni ottanta sotto gli strati di pittura che l’avevano coperta agli occhi del mondo, ora conforta e rinsalda la spiritualità mariana di tanti cristiani maroniti in tutti i continenti. Lo fa in maniera singolare, visto che la tavola di quell’icona si è in qualche modo impregnata anche della pioggia di travagli e sollievi che hanno segnato il cammino della cristianità maronita, anche nei suoi momenti più bui. Proprio davanti a quell’immagine hanno pregato, sperato e pianto i patriarchi e i monaci maroniti rifugiatisi per secoli nelle valli libanesi più appartate, in tempi di tribolazione. 

La “riscoperta” di Nostra Signora di Ilige, con tutti i suoi sorprendenti sviluppi, avviene nel 1980, quando l’ordine monastico che gestisce l’antica sede patriarcale di Mayfouq decide di restaurare un’icona posta da tempo immemore in una cappella, immagine venerata con particolare fervore dagli abitanti dei villaggi circostanti. Il restauro, iniziato dalle suore carmelitane del convento di Harissa e proseguito in Francia, dura sette anni e riporta alla luce l’affresco originale nascosto dietro ben sette strati pittorici che si erano sovrapposti lungo il tempo alla prima immagine, alterandone la fisionomia anche con l’introduzione di tratti iconografici di ascendenza occidentale. 

L’icona che riemerge dal lungo restauro esprime invece in maniera singolare la sua matrice siriaca autoctona, non influenzata da canoni artistici d’importazione. In essa, Maria appare con Gesù Bambino poggiato sul suo grembo. «Ha lo sguardo che assomiglia a quello di tante giovani donne mediorientali», ripetono tanti devoti dell’immagine, resa cara ai cristiani libanesi anche dal singolare intreccio che la unisce alla vicenda storica della Chiesa maronita. Nelle sue peripezie storiche, il patriarcato maronita fu spinto a porre la sua sede nell’isolato villaggio montano di Mayfouq dagli inizi del XII secolo fino alla metà del secolo XV , erigendo la chiesa di Ilige sui resti di un tempio pagano. Durante quei secoli, i patriarchi maroniti e i monaci che erano con loro hanno affidato chissà quante volte a Nostra Signora di Ilige le loro suppliche e le loro richieste di intercessione. I patriarchi usarono tante volte come rifugio proprio una stanza nascosta sopra la cappella che custodiva l’icona. Così, il luogo e l’immagine divennero il sacrario dove fu custodita la fedeltà di tutta la Chiesa maronita alla fede definita dal concilio di Calcedonia, che aveva proclamato la duplice natura — umana e divina — di Cristo, insieme alla maternità divina di Maria. Verità di fede che trovano espressione singolare nei dettagli iconografici che connotano l’icona. In particolare, la professione di fede sulle due nature di Cristo viene espressa dalla forma simbolica di benedizione impartita con la mano destra sia da Gesù che da Maria con tre dita unite a indicare le tre Persone di Dio, e indice e medio serrati, a indicare che Cristo è vero Dio e vero uomo. I capelli della Vergine Maria sono completamente nascosti e coperti da una fascia, secondo gli usi delle popolazioni semitiche. 

La spiritualità mariana vissuta nella Chiesa maronita, espressa nel ciclo liturgico di tutte le feste dedicate a Maria — da quella della Visitazione fino a quella dell’Assunzione — proclama sempre il mistero dell’incarnazione come sorgente di tutte le glorie della Santa Vergine. La Madre di Dio accompagna suo Figlio lungo tutto il percorso della sua opera di salvezza. Tutti i canti più cari dell’innografia maronita riecheggiano dello stupore davanti al mistero dell’incarnazione, il prodigio della salvezza e della felicità che può raggiungere ogni cuore umano attraverso l’umanità di Cristo. A Betlemme, quando nasce il Bambino annunciato dall’angelo, Maria è la prima a abbracciarlo. Lei per prima ha abbracciato Dio, abbracciando il suo bimbo appena nato, e ha «adorato colui che aveva generato». In quello sguardo, e in quell’abbraccio, c’è tutto il mistero della salvezza rivelato dall’avvenimento cristiano. Perché non basta sapere che c’è Dio, per godere di Dio. Non è la credenza in Dio a dare di per sé speranza agli uomini e alle donne reali. Non basta credere in Dio per essere felici. Bisogna abbracciarlo, come per prima fece Maria, e essere abbracciati da Lui. 

Guardando l’icona di Nostra Signora di Ilige, in questo mese di maggio, tanti cristiani maroniti potranno tornare a rivolgere a Maria i loro occhi e le loro preghiere, in questo tempo così difficile per tutte le genti che abitano il Paese dei cedri. Contemplando Colei che ha partorito Dio senza soffrire, potranno pregustare ancora una volta che la salvezza non nasce dalla fatica dell’uomo, ma viene come un dono gratuito. Il parto di Maria è il segno carnale che la salvezza non viene da noi, dal nostro sforzo. La felicità viene dalla grazia di essere amati gratuitamente, e non arriva come un effetto del travaglio, della fatica e del dolore. E se la felicità dell’uomo si è fatta incontro agli esseri umani in maniera così gratuita, non lo ha fatto non per complicarci la vita, ma per rendere semplice ai poveri e ai piccoli poter abbracciare e farsi abbracciare dal mistero di Dio, abbracciando l’umanità di Cristo. Così come fece, per prima, sua madre. 

di Gianni Valente

da L'Osservatore Romano , 5 maggio 2021