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mercoledì 1 maggio 2019

Maggio, mese di Maria: storia dell'icona miracolosa di Aleppo

di Jean-Claude Antakli
 trad. Gb. P. OraproSiria


È una città ferita, una città luminosa dalla quale il sole è fuggito. Quartieri opulenti con persiane chiuse, tende abbassate, porte fracassate, dormono sotto un velo spesso, opaco e pallido. A cinque chilometri dal centro, in agguato dietro i cumuli di macerie, la guerra è ancora lì, i tizzoni ardenti sotto la cenere aspettano che una brezza fredda li accenda di nuovo. La guerra è al suo 7° anno! I giorni sono brevi e al mattino presto, rivive ancora la speranza. Domani forse le persiane dall'altra parte della strada si apriranno, i buchi spalancati delle finestre si animeranno, le voci, le grida, la vita tornerà a spazzare via, a cancellare, fino al ricordo degli anni perduti.
Sette anni, l'età della ragione! Ora sappiamo, ora capiamo, anche se il perché sfugge. Chi, del resto, sensatamente, poteva trovare cause e ancor meno scuse, per tale follia distruttiva?
Maged, l'amico di Aleppo, nell'ufficio sopra il suo studio, dove ha formato per anni tanti apprendisti nell'oreficeria, al delicato e preciso lavoro di oro, argento e pietre preziose, può immaginare il futuro da molte prospettive. Non viene più pressato sui tempi, né dai suoi clienti esigenti, né dai suoi otto dipendenti licenziati, la maggior parte dei quali ha lasciato la città.
Con la sua esperienza, la sua reputazione, la sua fama, avrebbe potuto lasciare l'inferno di Aleppo e mettersi al riparo da tutto, lui e la sua famiglia. Ci ha pensato, ci si è persino preparato, ma ecco, Lei lo ha trattenuto. Lo dice chiaramente e senza enfasi: Lei lo ha trattenuto! Nel momento in cui era arrivato da basso nell'edificio sventrato e trovato la madre e la sorella irriconoscibili, fantasmi intonacati, stravolti ma incolumi, ha saputo che non avrebbe mai potuto lasciare l'appartamento al primo piano, intatto in mezzo alle macerie degli edifici circostanti colpiti da un missile.
La scala ha resistito, nulla è stato toccato. Nella stanza d'ingresso, l'Icona della Madonna col Bambino nella sua cornice scolpita e smaltata brilla debolmente, esattamente nello stesso posto. Se non fosse per il deflusso dell'acqua dalle tubazioni recise dei piani superiori che si riversano sul pavimento, nulla potrebbe indicare il terremoto avvenuto lì accanto. Era il 4 maggio 2014, il mese di Maria, ad Azizié, più di 4 anni fa: Aleppo era appena stata colpita nel cuore del quartiere cristiano. Seduto dietro la sua scrivania, Maged rivive intensamente quel giorno, pallido, gli occhi umidi, poi rivolge verso di noi una piccola immagine dell'Icona miracolosa, circondata da tre volti di bambini ridenti. "È Lei che mi ha trattenuto", dice, "e mi trattiene ancora oggi! È nella famiglia di mio padre da 300 anni, lo sai?! È una lunga storia iniziata ad Antiochia."
JCA: Sei di Antiochia, dico sorpreso. Mio nonno è nato lì.
Maged: Sì, siamo come te originari di Antiochia.
Un silenzio, quindi:
- vorresti vederla o raccoglierti davanti questa icona? Ti ci posso portare quando vuoi. Lei è ancora a casa di mia madre e delle mie sorelle.
Potremmo rifiutarci di onorare la Santa Vergine? Il giorno seguente, Maged ci conduce da sua madre che ci stava aspettando, piccola, fragile, rannicchiata su una poltrona con un plaid sulle ginocchia. La stanza è aperta e illuminata, e con un gesto lei ci invita a entrare. La stanza è abitata da un'Icona maestosa collocata nel suo reliquiario. Lei brilla incoronata d'oro. Il bambino è sulle sue ginocchia, coronato anche lui, la bocca al seno di lei che possiamo indovinare senza vederlo. È fasciato e mezzo-nudo, protetto dalle due mani di sua madre. La luce si riflette delicatamente sul pizzo della corona e sul bordo orlato del severo velo che le incornicia il viso. Entrambi ci guardano, pacifici ma seri. Nel mezzo del dipinto, una croce preziosa.
Ritorniamo da Madeleine (la madre di Maged) e da sua figlia Nayla. La stanza è fredda e improvvisamente la luce si spegne. Le interruzioni di corrente sono frequenti e ogni famiglia deve utilizzare dei generatori.
- Lei è rimasta nonostante tutto - dico.
- - risponde Nayla - ci siamo abituati.
- Non ci si abitua mai alla guerra - dice mia moglie.
- Se ti trovi di fronte all'orrore - risponde Nayla - non hai scelta: l'affronti, ti rialzi. E poi Maged ve l'ha già spiegato. Dopo il bombardamento non potevamo più andarcene e dimenticare il segno che avevamo ricevuto; non è così mamma?
Madeleine, silenziosa fino ad allora, ha riordinato i suoi ricordi e inizia:
« Sono nata ad Antiochia nel 1926 nella famiglia Khoury. Mio padre era un orafo e io avevo una sorella maggiore: Antoinette. Gli ottomani, ai quali la Francia poco dopo ha dato questa regione, hanno immediatamente chiuso le scuole private. I miei genitori ci mandarono quindi a studiare a Beirut (Libano) presso le suore di San Giuseppe, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Eravamo là in convitto. Ho sposato mio marito ad Antiochia nel 1954. Avevo 28 anni. Il vero nome di famiglia di mio marito è Yaacoub Pandelli Daoud. Ma per tre secoli (Origine dell'icona) è diventato usuale chiamarli «Saïdé» cioè «la Vergine». Erano diventati familiarmente la «famiglia della Vergine» o «la casa della Vergine» ed è così che l'Icona è entrata nella mia vita e che tutti portiamo fino ad oggi, il nome di «Saïdé»
JCA: La prego, può raccontarci la sua storia?
Madeleine: Beninteso, noi la veneriamo. Io, ogni mattina, prego davanti a Lei. Ad Antiochia, la casa dei «Saïdé» era un luogo aperto alla preghiera. Un giorno, sotto l'impero ottomano, si presenta una delegazione greco-ortodossa. Hanno sentito parlare di questa icona miracolosa e mentre il Patriarca è in visita apostolica nella regione chiede incuriosito e intrigato che gliela si porti, per pregare davanti a Lei. Ma il nonno di mio marito si rifiuta, non tocca alla Beata Vergine di spostarsi, è lui che deve venire per renderle omaggio. Il patriarca insiste e manda un vescovo accompagnato da un diacono, a capo di una processione di seminaristi. La famiglia finisce per cedere. L'Icona viene quindi portata via e messa sotto sigilli in una Chiesa chiusa a chiave, dove il Patriarca è invitato a venire il giorno dopo per onorarla. Arriva il Patriarca, si apre la porta... l'Icona è scomparsa! Nella famiglia Saidé, come ogni sera, ci riuniamo per pregare, quella sera con il cuore un po' pesante, e miracolo... Lei è tornata nello stesso posto! La voce si sparge immediatamente fino al Patriarca, che comprende il segno e la lezione: è lui che deve andare alla Vergine Maria!
Prima di questo evento si racconta anche che nel 1820 un'epidemia di colera aveva infuriato a Baghdad e ad Aleppo, fino alle province russe del Mar Caspio, senza risparmiare Antiochia. L'epidemia colpì indiscriminatamente tutte le classi della popolazione e in quel periodo la città, come tutte le città d'Oriente, era organizzata in quartieri. Fu una grande piaga che ispirava terrore e colpiva la nostra immaginazione. L'inutilità dei trattamenti portava a ricorrere alla preghiera per proteggersi. Nel quartiere della famiglia Saïdé, in quarantena come tutte le altre, si affidavano alla Vergine. Si dice che non sia stato trovato un solo caso di contagio, mentre tutti i quartieri senza eccezione ne furono interessati! Diverse testimonianze affermavano che, mentre ogni sera i barellieri venivano per rimuovere i cadaveri, nel quartiere «  della Vergine  » c'era una donna vestita di bianco, misteriosa e bella, che vagava di porta in porta senza che nessuno, mai, abbia potuto conoscere il suo nome.
Circa Nayla e me, tuttavia, nel 2014, sappiamo chi ci ha risparmiato! Perché il missile ha colpito i tre piani sopra di noi, e l'altra parte dell'edificio è completamente crollata. Solo il nostro appartamento è rimasto intatto.
JCA: Da quanto tempo l'avete portata in Siria?
Madeleine: Una parte della famiglia di mio marito è emigrata a Damasco tra 1938-1940, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. È rimasta lì fino al 1973, quando l'abbiamo collocata qui ad Aleppo, dove la vedete. Non ha mai cambiato posto.
JCA: In questo piccolo oratorio dove pregate ogni mattina, la Vergine si è manifestata?
Madeleine è un po' sorpresa. Ma la Vergine è qui! La casa dei Saïdé è la casa della Vergine! Rimette il plaid sulle ginocchia. La luce non è tornata, il riscaldamento è spento, fuori fa molto freddo. Il caffè, i pasticcini e la calma di questo appartamento ci riscaldano. Nayla si alza e torna con una cornice contenente la fotografia leggermente invecchiata e ingiallita dell'icona. È sigillata.
- Ah! Sì, dice Madeleine, questa cornice ha una storia, è vero, raccontala, Nayla.
- Era alla fine degli anni 1970. Mio nonno era stato portato d'urgenza all'ospedale St. Louis di Aleppo, che voi conoscete. Per sostenerlo in questa prova, mia nonna aveva portato al suo capezzale la foto in bianco e nero della Vergine con il Bambino che aveva messo in una teca sotto vetro. Mentre lei lo veglia la notte, sente nella stanza accanto alla sua singhiozzi e gemiti. Va nel corridoio, socchiude la porta più vicina e vede una donna seduta accanto al letto di un paziente inanimato. Lei le parla per consolarla, perché il chirurgo ha dato pochi giorni di vita al marito che era venuto da Kamishli (città siriana sulle rive dell'Eufrate) per le cure. Mia nonna allora le propone di mettere al capezzale del morente la foto che ha portato e di pregare intensamente la Vergine. Al mattino, il signor Bakdachi è vivo, cosciente e dice di aver visto ai piedi del suo letto una donna vestita di bianco che lo ha vegliato tutta la notte. Una volta guarito lui testimonierà.
Sporgendomi un poco in avanti, vedo la croce al centro dell'icona che spicca e brilla, così come le due corone d'oro. Nei momenti difficili, è stata un promemoria per la vibrante fede di questi Cristiani d'Oriente. Da dove viene? Quale mano d'artista l'ha modellata? Forse Youssef che è un famoso iconografo della cosiddetta scuola Aleppina?
JCA: Se voi l'avete fin dal diciottesimo secolo in famiglia, l'avevate ordinata voi?
Madeleine: Niente affatto. Sono stati dei viaggiatori che, provenienti dalla Grecia, si sono fermati ad Antiochia. Lì si ammalarono e la famiglia Pandelli li accolse e si prese cura di loro per molti mesi. Riprendendo il loro viaggio di ritorno a casa, hanno manifestato la loro gratitudine offrendo loro ciò che avevano di più caro.
Frutto di un'arte religiosa tipicamente orientale, che non ha cessato di esprimere una pietà ahimè estranea all'Occidente, l'Icona non è un'arte gelida e sclerotizzata. Ciò che è dipinto, converge verso chi lo contempla e appare come una proiezione sacra di teologia e di spiritualità strettamente legate, di una ricchezza, di una delicatezza che ci immergono nella contemplazione, spogliati di ogni esaltazione. Questa è la sacralità dell'icona. La nostra profonda gratitudine va alla famiglia «Saïdé», la cui accoglienza calda e semplice non è che il riflesso dell'arte di vivere dei Cristiani d'Oriente.
J.C. e Geneviève Antakli