La
danza della nipote tredicenne di Majd Abboud.
Per
otto anni, una guerra per un cambio di regime promossa dall'Occidente
e dagli alleati regionali ha imperversato in Siria. Ma la cultura
della nazione non è dominata solo dalla violenza... alcuni siriani
addirittura danzano il balletto, come la nipote di Majd Abboud.
Alla
fine del 2015, il dentista siriano Majd Abboud è fuggito in
Germania. All'inizio di quest'anno, ha destato attenzione una sua
lettera aperta al cancelliere Angela Merkel. Abboud in precedenza si
era distinto per le sue critiche alla politica tedesca sui rifugiati,
la cui pretesa di integrazione spesso falliva a causa del fatto che
molti rifugiati siriani non erano disposti a integrarsi. Nel
commovente dialogo che segue, Majd Abboud riporta i suoi pensieri
durante una telefonata con sua nipote, che vive ancora in Siria dove
lei danza.
di
Majd Abboud
La
tua voce arriva sul mio telefono da un mondo familiare; mi ridesta
dal mio letargo come un raggio di luce; una mano tesa, come le
notizie dalla Siria in questi giorni, promettente e piena di
speranza. Il mio Paese diventa di nuovo uno, vivere insieme è di
nuovo possibile.
"Zio,
quando sarà finita la guerra?"
Penso:
quando le persone smetteranno di odiarsi. Se fossero meno egoiste,
meno sature di ideologie. Se si fossero riconciliate con la loro
umanità.
Cos'è
questo per un mondo in cui i nostri figli devono crescere? Quando ero
bambino, l'anno finiva dopo le solenni festività in cui ricevevo
regali. Ho festeggiato il Natale con una parte della mia famiglia,
mentre la "festa dello zucchero e del sacrificio" con
l'altra parte.
Non
vedo l'ora che arrivi San Silvestro, quando celebreremo il nuovo anno
con tutta la famiglia. Un giorno speciale, anche per mio padre. Con
una faccia ridente e una lunga barba bianca, lui e la sua grande
borsa piena di doni uscivano dal suo negozio, attraversava i vecchi
vicoli, diffondendo gioia in tutta l'area. Anni prima della guerra
chiuse gli occhi e si addormentò in pace. Gli fu risparmiata la
sofferenza della guerra.
Le
dico: "Presto, amore mio, presto."
Le
sto dicendo questo da anni. Mi crede ancora ?!
"Oh,
l'inverno è tornato, qui si è fatto piuttosto freddo e
l'elettricità è sempre interrotta. Per questo, raramente riesco ad
ascoltare musica. Perché gli altri ci odiano così tanto?"
Tuttavia,
l'elettricità non viene a mancare solo nelle aree distrutte, ma
anche in alcuni cervelli. La mente è annerita dall'odio, il cuore è
divorato dall'ostilità.
"Conosci
la mia migliore amica Hiba? È sempre triste, le manca suo padre.
Anche a Sahra mancano i suoi cugini. Ma torneranno quando la guerra
sarà finita."
Il
padre di Hiba fu rapito dai ribelli a Homs all'inizio della guerra.
Per la sua liberazione fu richiesta una grande somma. E in effetti
la famiglia lo ha riavuto indietro, ma solo a pezzi, e il video della
sua decapitazione è stato pubblicato su Internet. Quando i ribelli
hanno catturato la città operaia di Adra, lo zio di Sahra ha sparato
alla sua famiglia e poi si è ucciso per salvare la famiglia dalla
schiavitù e dallo stupro. A Sahra non è mai stata detta la verità
perché era troppo piccola, così sta ancora aspettando che i suoi
cugini tornino.
Le
persone che sono andate via con la guerra non torneranno mai più.
Hanno lasciato vuoti dolorosi nelle famiglie e nella coscienza di
questo mondo. Khaled, l'archeologo; Samir, il postino; Nidal,
l'agricoltore la cui moglie era da poco incinta; Mohammed Ramadan,
l'Imam assassinato nella moschea. Tutto ciò che rimane di loro sono
i murales e i loro posti vuoti a tavola. I loro nomi saranno le
campane del lutto nei nostri ricordi per gli anni a venire.
Improvvisamente
ho immagini di bambini, bambini a Idlib, reclutati da terroristi,
bambini che fuggono dal terrore in Siria, bambini che muoiono di fame
nella guerra nello Yemen.
Se
solo potessi cambiare qualcosa al riguardo! Darei qualsiasi cosa per
questo! Ma ho perso quasi tutto con la guerra.
Affondo
nell'impotenza.
La
sua voce mi riporta indietro: "Ci sei?"
Le
dico solo: "Nessuno può odiarti, piccola mia."
Ride
e il mio cuore palpita più velocemente.
"L'Europa
è bella, zio?"
"Sì,
lo è, ma non è bella come te, piccola."
Ride
di nuovo e rende il mondo più bello.
"Zio,
gli europei ci odiano? Ho sentito papà dire che sostengono i
terroristi, che ci perseguitano."
Penso
che dovresti sempre distinguere tra la politica e le persone.
Gli
Europei sono intrappolati nella loro ruota da criceto. Alcuni sono
troppo impegnati con se stessi per preoccuparsi di noi. Alcuni sono
ossessionati dalla ricerca di denaro, quindi non hanno tempo di
preoccuparsi di nient'altro. Alcune persone pensano di essere
superiori a noi e vogliono fare regole per noi. Alcuni sono troppo
oppressi dalla loro storia. Alcuni pensano: la Siria! Oh, è molto
lontano...
Abbiamo
commesso l'errore quando è scoppiata la guerra in Afghanistan e
successivamente ai nostri confini in Iraq. Pensavamo di essere al
sicuro. La guerra è come una brutta malattia. Pensi che possa
accadere solo agli altri.
Le
dico: "Non ci odiano: semplicemente non ci conoscono così
bene".
"Beh,
ci conosceranno tramite te, zio. Raccontagli di noi."
"Questo
è quello che sto cercando di fare, piccola. Ho anche incontrato
molte persone meravigliose qui."
"Un
giorno voglio venire in Europa e conoscerli."
L'Europa
è stata a lungo apprezzata da noi in Siria. Ma oggi l'Europa delle
operazioni militari non è più quella degli anni '70. Fai un grosso
errore quando idealizzi gli europei, perché ti aspetti troppo da
loro. Possono anche essere manipolati e innomorarsi della propaganda.
In Europa, in particolare, l'inganno è grande, perché gli Europei
sono un importante gruppo bersaglio della macchina da guerra.
Quattro
anni fa, ho percorso una strada faticosa per lasciare il male alle
spalle e purtroppo ho scoperto quanto siano diffusi i suoi amici e
sostenitori. Ora sono seduto da solo nella mia stanza e non ho la
forza di lottare contro di esso. Sono stanco, mi sdraio.
La
sua voce interrompe di nuovo i miei pensieri:
"Adesso
devo andare a ballare! Abbi cura di te! La mamma è preoccupata per
te, dice: Il mondo non è sicuro."
La
piccola, balla in punta di piedi mentre il mondo balla su una pista
rovente.
Le
notizie riportano: "Ci sono ancora 50 bombe atomiche
statunitensi conservate da Erdoğan."
Attenta
a te piccola, il pianeta è costellato da esplosivi.
Una
brezza fredda e piacevole passa attraverso la finestra semiaperta;
smaltisce lentamente il calore dal mio corpo sfinito, mi induce a
dormire e promette pace alla mia anima. Ma prima di chiudere gli
occhi, mi raccolgo e penso a qualcosa. Risolverò tutto per te.
Ho
una macchina del tempo, l'ho rimessa indietro di otto anni. Abbiamo
appena ricevuto un pacchetto splendidamente decorato che contiene la
terza guerra mondiale.
Mi
dico: no grazie, non ci lasciamo prendere per stupidi. Vi dipingo una
faccia ridente e lo rispedisco dove era stato confezionato: a Londra
, a Washington , a Riyad , ad Ankara e Tel Aviv .
Chiudo
la porta e li guardo da lontano mentre esplodono di rabbia.
Ora
andrà tutto bene.
Buona
notte, piccola.
Traduzione Gb.P. Fonte: https://de.rt.com/21ut
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domenica 29 dicembre 2019
La ballerina: telefonata a un rifugiato siriano
mercoledì 25 dicembre 2019
Aleppo, un altro Natale con la guerra alle porte
Con
che animo celebreranno il Natale quest'anno i cattolici rimasti ad
Aleppo e in Siria nonostante tutto? Ce lo spiega il vescovo cattolico
di rito latino, monsignor Georges Abou Khazen,
(francescano della Custodia di Terra Santa nato in Libano 72 anni fa)
che svolge da Aleppo il suo ministero di vicario apostolico per i
cattolici di rito latino che vivono in Siria.
Intervista
di Terrasanta.net
Monsignor
Abou Khazen che Natale sarà quello che Aleppo si appresta a
vivere? Che Natale sarà… Noi speriamo sempre bene. Il
Natale ci ispira moltissimo. È la festa della speranza,
innanzitutto, e della pace. Della pace interiore, ma anche della pace
in tutta la Siria. Speriamo che la situazione migliori, perché nel
corso dell’ultimo mese è andata peggiorando. Ad Aleppo, nelle
settimane scorse, sono ripresi i bombardamenti alla cieca su alcuni
quartieri, a spese della popolazione civile. Gli ordigni partono
dalla zona di Idlib e dalla periferia occidentale di Aleppo. In
quell’area i militari turchi hanno messo un punto di osservazione e
l’esercito siriano esita a contrattaccare, per non innescare uno
scontro diretto con le forze turche. D’altronde molti gruppi
jihadisti hanno agganci con la Turchia. Questa nuova fase ha
provocato varie vittime in città: settimane fa abbiamo contato 7
morti in un solo giorno. Un altro giorno sono morti una madre e i
suoi due bimbi; l’indomani i bambini uccisi sono stati 5…
Aleppo
ha risentito dell’avanzata delle truppe turche nel nord est della
Siria? Certamente. Molte fabbriche stavano riprendendo le
attività, ma ora è tutto si è fermato di nuovo e ciò influisce
sulla disoccupazione e su tanti altri aspetti. Noi con i turchi
ottomani abbiamo una lunga storia, che non è stata sempre felice.
Nell’area di Afrin (a nord ovest di Aleppo – ndr), che hanno
occupato (nel gennaio 2018 – ndr), hanno allontanato i curdi
rimpiazzandoli con gruppi più omogenei alle loro prospettive. Nel
nord-est della Siria, nella Mesopotamia, non ci sono solo curdi, ma
anche, nella grande maggioranza, cristiani assiri, caldei, armeni e
così via. Quei cristiani sono figli e nipoti di gente massacrata
dagli ottomani tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del
secolo scorso. Potete immaginare la paura di queste persone quando
vedono i turchi avvicinarsi. Sono migliaia e migliaia le persone in
fuga, molte volte senza portare nulla con sé, solo per sfuggire alla
morte. Nelle case questa gente conservava ancora le fotografie dei
genitori, nonni e bisnonni che furono ammazzati dai turchi.
Purtroppo, sta succedendo una sorta di pulizia etnica: allontanato i
curdi, stanno sostituendoli con altri gruppi, tra i quali turcomanni
o i musulmani uiguri della Cina.
Gli sfollati che avevano parenti ad Aleppo sono arrivati in città, altri sono finite in campi profughi. A noi dispiace, perché gli americani hanno montato la testa a questi poveri curdi e poi li hanno venduti. Gli americani hanno occupato tutti i campi di petrolio e di gas. Prima il governo otteneva qualcosa tramite i curdi (petrolio e gas); ora qualsiasi autocisterna si avvicini viene bombardata dagli americani.
Gli sfollati che avevano parenti ad Aleppo sono arrivati in città, altri sono finite in campi profughi. A noi dispiace, perché gli americani hanno montato la testa a questi poveri curdi e poi li hanno venduti. Gli americani hanno occupato tutti i campi di petrolio e di gas. Prima il governo otteneva qualcosa tramite i curdi (petrolio e gas); ora qualsiasi autocisterna si avvicini viene bombardata dagli americani.
Quali
notizie avete dall’area di Idlib? Anche lì la situazione è
molto confusa. L’area è ancora assediata. Vi si accede solo dalla
Turchia. C’è sì un transito ancora accessibile ai civili, ma da
lì servono 28 ore per arrivare ad Aleppo e non sempre il passaggio è
aperto. I bombardamenti aerei continuano. Nella sacca restano molti
profughi, sospinti lì da altre zone.
Ad
Aleppo, negli ultimi anni, lei ha dato impulso al progetto Un nome, un futuro per
sostenere i minori rimasti orfani e in difficoltà a causa della
guerra. Come procede l’esperienza? Il
progetto sta andando avanti. Devo ringraziare Dio e anche i nostri
benefattori. Sono grato anche al muftì Mahmoud Akkam che, con la sua
collaborazione, ci dà una copertura morale. I ragazzi vivono in
quartieri poverissimi, tutti distrutti. Non c’è nessun cristiano
tra di loro. L’avallo del mufti è importante per noi, e ci mette
al riparo dalle accuse di proselitismo. L’abbiamo portato a vedere
il nostro lavoro e si è molto commosso.
Di
che fascia d’età sono i ragazzi che accompagnate? Parliamo
di bambini piccoli, dai 3-4 anni, su su fino ai 17enni. I più
grandi, quando è cominciata la guerra, avevano già 6-7 anni e i
loro genitori sono morti. Abbiamo avviato anche un programma di
alfabetizzazione, soprattutto per le mamme. Stiamo anche aiutando le
mamme di alcuni di questi bambini ad imparare un mestiere perché
possano guadagnare qualcosa. L’équipe
è
mista, ne fanno parte cristiani e musulmani. Lavorare fianco a fianco
è un’esperienza positiva per la convivenza civile, è un mattone
per costruire la Siria del futuro. Ringraziamo Dio.
Dove
vivono questi minori? Alcuni
di loro continuano a vivere negli appartamenti distrutti; altri
abitano con lontani parenti. L’islam non ammette l’adozione, ed
io ho chiesto con insistenza al muftì di trovare una via d’uscita.
Lui ha studiato la sharia
e
ha visto che è praticabile una forma di semi-adozione: i parenti
dichiarano che il figlio non è loro; non potrà ereditare, anche se
potrà usare il cognome di famiglia che dovrà lasciare al compimento
dei 18 anni. Già così è una bellissima cosa. Molte famiglie si
rendono disponibili.
Lei
è vescovo di tutti i cattolici di rito latino in Siria. Oltre ai
francescani, quali altre espressioni di solidarietà sono messe in
campo da parte della Chiesa in Siria? I Maristi Blu stanno facendo un ottimo lavoro, nel loro centro e nei
campi profughi. C’è poi l’azione del Jesuit
Refugee Service e
della Caritas.
La Chiesa è molto presente. Mostriamo quello che c’è di più
bello nel cristianesimo: l’amore, la carità verso tutti i
bisognosi. Cerchiamo di essere un riflesso del volto di Dio amore; di
Dio che ama tutti i suoi figli, a prescindere dalla loro appartenenza
religiosa. I nostri concittadini musulmani stanno scoprendo questo e
ci dicono: «Ci state insegnando la carità». Per i musulmani è, in
qualche misura, una scoperta nuova, benché anch’essi conoscano
l’elemosina verso chi è povero, soprattutto nel mese di Ramadan.
All’inizio ci guardavano con un po’ di sospetto, ma da quando
hanno compreso che agiamo così perché gli vogliamo bene, le cose
stanno cambiando. Tanto è vero che ci dicono: «Non ci lasciate»,
perché hanno scoperto il nostro modo di vivere e la possibilità di
vivere in pace fra tutti quanti. La volontà di non escludere nessuno
crea un ambiente molto confortevole.
Non voglio dimenticare la presenza di molte congregazioni religiose che fanno riferimento al vicariato apostolico, in quanto congregazioni di rito latino. Stanno facendo un bel lavoro di assistenza e, soprattutto, di sostegno psicologico. Aiutano anche le parrocchie di altre Chiese e non solo le nostre. Alcuni di questi istituti ricevono e trasmettono la solidarietà concreta dei cristiani del resto del mondo. Altri restano tra la gente e fanno quello che possono con la loro presenza. Credo che sia molto. Ringraziamo Dio perché in Siria la Chiesa è stata sempre presente. Nessuno ha lasciato, nonostante il pericolo: né vescovi, né parroci, né religiosi o religiose. Sei dei nostri sacerdoti sono stati uccisi, altri sei (inclusi due vescovi ortodossi di Aleppo) sono stati rapiti e non ne abbiamo più notizie. Nonostante tutto siamo rimasti, e per la gente questo è stato un grande segno di incoraggiamento e di speranza.
Non voglio dimenticare la presenza di molte congregazioni religiose che fanno riferimento al vicariato apostolico, in quanto congregazioni di rito latino. Stanno facendo un bel lavoro di assistenza e, soprattutto, di sostegno psicologico. Aiutano anche le parrocchie di altre Chiese e non solo le nostre. Alcuni di questi istituti ricevono e trasmettono la solidarietà concreta dei cristiani del resto del mondo. Altri restano tra la gente e fanno quello che possono con la loro presenza. Credo che sia molto. Ringraziamo Dio perché in Siria la Chiesa è stata sempre presente. Nessuno ha lasciato, nonostante il pericolo: né vescovi, né parroci, né religiosi o religiose. Sei dei nostri sacerdoti sono stati uccisi, altri sei (inclusi due vescovi ortodossi di Aleppo) sono stati rapiti e non ne abbiamo più notizie. Nonostante tutto siamo rimasti, e per la gente questo è stato un grande segno di incoraggiamento e di speranza.
La
Chiesa ha sempre sostenuto quanto sia importante che i cristiani
restino in Medio Oriente e in Siria. Chi era fuggito dalla guerra sta
tornando o è ancora presto? Alcuni degli sfollati interni
stanno tornando alle loro case e alle loro terre, ma chi è
espatriato ancora non rientra. A riguardo ho qualche punto
interrogativo: ad esempio, chi è stato assistito dalle Nazioni Unite
non può rientrare prima di cinque anni. L’ho fatto osservare a
qualche funzionario dell’Onu: bisogna aiutare i profughi a
rientrare nel loro Paese, non a restarne lontano. È chiaro che, dopo
cinque anni, se uno ha trovato lavoro, non è invogliato a lasciarlo
[per tornare nell’incertezza]. In cinque anni, i figli crescono e
vanno a scuola… Anche questo rende meno agevole il ritorno.
Come
vanno le cose nella capitale Damasco? Lì
la situazione è molto più tranquilla, ma purtroppo bisogna fare i
conti con l’inflazione. Il cambio con il dollaro prima della guerra
era 48 lire siriane, più o meno. Ora supera le 900. L’euro che era
a 50 lire ora è a 1.000. Gli stipendi sono rimasti invariati e
quindi non bastano a fronteggiare il caro-vita. La ricostruzione è
stata avviata – qua e là – ma purtroppo, come dicevo, abbiamo le
sanzioni che colpiscono la povera gente. Molti beni sono razionati.
Faccio qualche esempio: ogni famiglia può avere una bombola di gas
da cucina ogni 23 giorni; di benzina se ne possono ottenere 100 litri
al mese. Procurarsi il gasolio è ancora più difficile. Chiediamo
che le sanzioni internazionali contro la Siria siano rimosse. Dal
nostro punto di vista sono un crimine.
domenica 22 dicembre 2019
"La felicità a portata di mani che la possono abbracciare..." Ecco il paradiso
Nel cuore della basilica di Santa Maria Maggiore, conservate in un reliquiario di fine Settecento, ci sono cinque fragili assicelle di legno d’acero rosso. Si trovano lì da circa millequattrocento anni, cioè dall’epoca in cui si fa risalire il loro arrivo a Roma, durante il pontificato di Teodoro I (642-649), nativo di Gerusalemme. Duemila anni fa le piccole travi, davanti alle quali ogni giorno si inginocchiano a recitare una preghiera fedeli di tutto il mondo, erano incrociate e inchiodate fra di loro in modo che potessero sostenere il lieve peso di una culla di terracotta in uso in quei tempi in Palestina: secondo la tradizione esse sono proprio le reliquie della mangiatoia di Betlemme in cui Maria depose Gesù bambino dopo averlo avvolto nelle fasce (cfr. Lc 2, 7).
Ebbene, una particella di quegli antichi legni d’acero è appena tornata a Betlemme, in Palestina, dopo secoli di soggiorno a Santa Maria Maggiore, la “Betlemme di Roma” fatta edificare da Sisto III sul colle Esquilino. Il frammento della Sacra Culla donato da Papa Francesco alla Custodia di Terra Santa, è arrivato a Gerusalemme lo scorso 29 novembre e ha raggiunto il paese natale di Gesù nella prima domenica di Avvento. Il cardinale Stanisław Ryłko, arciprete di Santa Maria Maggiore, in un messaggio riportato pubblicamente dal nunzio apostolico in Gerusalemme e Palestina, l'arcivescovo Leopoldo Girelli, ha sottolineato come Papa Francesco accompagni questo dono «con la sua benedizione e con il fervido augurio» che la venerazione permetta ai fedeli di «accogliere con rinnovato fervore di fede e di amore il mistero che ha cambiato il corso della storia».
Così, i pellegrini e i francescani della Custodia di Terra Santa — che sull’Altare della Mangiatoia della basilica betlemita della Natività celebrano la Messa due volte al giorno — potranno pregare di fronte al frammento della culla in cui, per usare le parole di san Tommaso nella Summa Theologiae, trovò dimora terrena la felicità degli uomini: «Ad hunc finem beatitudinis homines reducuntur per humanitatem Christi», gli uomini sono ricondotti al loro destino di felicità attraverso l’umanità di Cristo. In fondo, si può dire che proprio all’umanità di Cristo sia dedicata Santa Maria Maggiore, costruita a conclusione del concilio di Efeso, che nel 431 riconobbe Maria “madre di Dio” (Theotókos). Papa Sisto III fece realizzare all’interno della basilica una riproduzione della Grotta della Natività, facendola adornare con i frammenti provenienti dal paesino di nascita di Gesù portati a Roma dai pellegrini di ritorno dalla Terra Santa.
Poi, a partire dal VII secolo, cioè da quando diede alloggio alle memorie più importanti dell’infanzia del Signore, la basilica incominciò a essere chiamata Sancta Maria ad Praesepe. Qui è sotto gli occhi di tutti l’umiltà di «Colui che», come scriveva Henri De Lubac, «infinito nel seno del Padre, si racchiude nel seno della Vergine o si riduce alle proporzioni di un bambino nella stalla di Betlemme». Umiltà testimoniata da quei poveri pezzi di legno in cui vagì per la prima volta la felicità dell’uomo: «Duemila anni fa», osservava il sacerdote ambrosiano don Giacomo Tantardini, «la felicità è venuta: ecco il paradiso. La felicità è venuta: non più promessa, non più indicata come termine del cammino umano. La felicità è venuta, il paradiso è venuto. È venuto nella carne così che fosse visto, così che fosse toccato, così che fosse abbracciato. Così che Agostino potesse dire: “Io sapevo che la felicità era Dio, ma non godevo di Te” — perché non si gode del sapere, si gode quando si è abbracciati. “Non godevo di Te finché umile non abbracciai il mio umile Dio Gesù” (Confessiones VII, 18, 24) […] Non Dio destino lontano, ma Dio fatto bambino, piccolissimo bambino: così il paradiso, la felicità è venuta incontro, si è fatta vicina, si è fatta a portata di occhi, a portata di cuore, a portata delle mani che la possono abbracciare. Il paradiso in terra è Lui» (G. Tantardini, L’umanità di Cristo è la nostra felicità, Roma 2011).
Le reliquie della sacra culla si trovano nella Confessione della basilica, sotto l’altare maggiore, e sotto lo sguardo di Maria e Gesù, raffigurati nello stupendo mosaico dell’abside.
Carlo Ossola ha spiegato come Dante abbia visto, restandone abbacinato, «il più grande trionfo di Maria che l’ultimo Medioevo le abbia consacrato: proprio poco prima dell’anno del Giubileo del 1300 (e del pellegrinaggio di Dante in Roma nell’anno ch’egli dichiara incipitario della sua Commedia) vennero ultimati i mosaici absidali di Jacopo Torriti in Santa Maria Maggiore con quel trionfale elogio dell’umano che è l’Incoronazione di Maria, sotto la quale, in asse, è raffigurato Gesù che porta teneramente tra le braccia l’animula di Maria, che confidente si posa come un’infante sul petto del Figlio».
Così, anche da quell’immagine, scaturirono i versi iniziali del XXXIII canto della terza cantica dantesca: «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d'etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo Fattore / non disdegnò di farsi sua fattura». Insomma: ecco il Paradiso.
di Paolo Mattei
di Paolo Mattei
Auguri di Santo Natale
nella gratitudine al Dio che ha voluto partecipare nella sua carne alla storia dell'umanità
Ora pro Siria
venerdì 20 dicembre 2019
La Germania sta diventando il centro del jihadismo
di
Sonja van den Ende, giornalista indipendente
15
Dicembre 2019
[traduzione
in italiano di Gb.P.]
Dal
2015, dopo la cosiddetta "crisi dei rifugiati", la quantità
di jihadisti o islamisti in Germania è in aumento. Vorrei
sottolineare che questa non è la mia opinione, né il mio punto di
vista. Non sto parlando per le cosiddette sinistra o destra, ma
semplicemente per offrire dei fatti, secondo le mie ricerche qui in
Germania e le statistiche di diverse agenzie tedesche "Bundes
Kriminal Ambt (BKA)". Le cifre e gli attacchi terroristici e le
minacce dal 2015 sono aumentate, la dottrina salafita ha influenzato
il pensiero dei migranti di origine musulmana in Germania, come i
gruppi turchi, siriani e palestinesi.
Alcuni
gruppi islamisti in Germania
Ansar
al-Asir (Sostenitori dei Prigionieri): un gruppo di difesa dei
diritti dei prigionieri, è un'organizzazione salafita che agisce per
conto dei prigionieri musulmani , la maggior parte dei quali sono
jihadisti e terroristi, detenuti in Germania e all'estero. Il gruppo
è attivo tra gli stessi detenuti, che propagandano la loro versione
dell'Islam. Il sito web del gruppo fornisce informazioni sui
prigionieri e sui modi in cui i lettori possono sostenere la loro
causa mettendo sotto pressione lo Stato e così via.
Die
Wahre Religion (DWR) : Ibrahim Abu Naji , uno dei suoi leader più
importanti con sede a Colonia, è stato accusato di incitamento
all'odio e incitamento alla violenza. Un certo numero di persone
all'interno e intorno al gruppo sono finite nelle fila dell'ISIS. Nel
novembre 2016 l' organizzazione è stata proibita dalla legge, ma
esiste ancora, presumo, sotterranea in tutta la Germania e ancora
attiva.
Rete
Abu Waala: guidata da un iracheno di trentaquattro anni chiamato
Abu-Walaa , il cui vero nome è Ahmed Abdulaziz Abdullah Abdullah,
questa rete salafita ha sede a Dortmund, Hildesheim e Salzgitter nel
Niedersachsen ed è forse la principale fonte di reclutamento
dell'ISIS e la divisione operativa in Germania. Secondo le
informazioni (BKA), il figlio maggiore della famiglia (fratello di
Abu Walaa), che vive a Hildesheim, aveva anche contatti con il
"Circolo Islamico Tedesco", ora vietato, intorno al
predicatore di odio (suo fratello) Abu Walaa. Il predicatore, che
viene dall'Iraq (con la sua famiglia), è ancora sotto processo a
Celle con altri quattro presunti islamisti. Si dice che abbiano
reclutato giovani come combattenti per l'ISIS. La famiglia è stata
estradata lo scorso novembre (2019), composta da genitori, due figli,
due figlie e un nipote, quindi non sono più a Berlino secondo il
BKA. Il BKA non ha però fornito informazioni sulla sua nuova
posizione.
La
Turchia ha annunciato a novembre che diversi tedeschi, sospetti
sostenitori della organizzazione terroristica "Stato islamico"
(IS), erano stati espulsi a novembre. Tuttavia, l'arrivo di due donne
è stato annunciato alle autorità tedesche a novembre. Secondo le
informazioni della BKA, una di queste è una donna nata nel 1998 che
è riuscita a fuggire dal campo di prigionia di Al-Hol in Siria, che
era sorvegliato dai Curdi. L'ultima volta che è stata segnalata era
nella città turca di Gaziantep sotto custodia, in attesa
dell'espulsione. Inoltre, una nativa di Hannover dovrebbe essere
stata messa sull'aereo. Si dice che sia fuggita verso la Turchia dal
campo di prigionia siriano Ain-Issa, che da allora è stato sciolto.
Queste due donne appartengono alla rete di Abu Walaa.
Dal
2015, un milione di richiedenti asilo è arrivato in Germania. Già
allora, le autorità tedesche avevano avvertito il governo e la
cancelliera Angela Merkel che i richiedenti asilo sono a rischio di
radicalizzazione, in particolare dai già esistenti gruppi jihadisti
nazionali, come menzionato sopra. Attualmente, le stime indicano che
ci sono circa 12.000 jihadisti residenti, ma il numero è ovviamente
molto più grande a causa dell'afflusso di richiedenti asilo, che
proviene principalmente dalla Siria.
Tuttavia,
nel 2015, l'ISIS ha rubato molti passaporti e documenti siriani
"vuoti" razziando edifici governativi in Siria, ma anche in
Iraq. I documenti sono stati poi venduti ai cosiddetti ribelli
"addestrati" nei campi profughi in Giordania e Turchia,
quindi tutte le "nazionalità" avrebbero potuto acquistare
questi documenti e dire alle autorità tedesche che erano rifugiati
siriani "in fuga dal dittatore Assad".
Inoltre,
l'ISIS ha riferito molte volte (sul propri siti Web) di aver
utilizzato rotte migratorie per contrabbandare combattenti in
Germania reclutati come richiedenti asilo (provenienti da tutto il
Medio Oriente e dall'Africa). Il loro viaggio è in parte
sponsorizzato dall'ISIS.
Al
giorno d'oggi, quando cammini per la strada in Germania, senti
l'atmosfera del Medio Oriente e dell'Africa. Il sentimento tedesco è
sparito, il "Mercatino di Natale" viene chiamato
"Mercatino d'inverno". La maggior parte dei tedeschi
indigeni vive nelle città in propri quartieri sicuri, con le proprie
scuole private e crede ancora alla fiaba dei rifugiati in cui i
cosiddetti dittatori e regimi perseguitano la propria gente. In
aggiunta, un problema sono gli islamisti del Caucaso , uno dei quali
è stato ucciso e ha causato il conflitto con la Russia. L'omicidio
del terrorista ceceno ha provocato l'espulsione di funzionari
dell'ambasciata russa da Berlino e la Russia ha fatto lo stesso con
alcuni funzionari dell'ambasciata tedesca.
http://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=1214&
mercoledì 18 dicembre 2019
Continuare a testimoniare l’amore pietoso di Cristo alla Siria: Frati francescani che rimangono nella guerra
Padre Firas Lutfi è siriano, francescano di Terra Santa, ministro della Regione San Paolo che comprende oltre la Siria, il Libano e la Giordania. Nonostante la guerra, è rimasto in Siria, con la sua gente. A Vatican News, racconta nove anni di violenze, di distruzione e di morte. E come oggi aiuta i bambini a ritrovare il sorriso |
A guardare
le televisioni, ascoltare la radio o leggere i giornali, sembra che
la guerra sia finita in Siria. I media non ne parlano più, o quasi.
Questo rimpiange padre Firas Lutfi, francescano di Terra Santa, ma
soprattutto siriano in Siria. Ci tiene molto, perché nel suo paese è
rimasto per tutti gli anni della guerra. “E’ vero che in
alcune zone sono cessati i combattimenti - dice -
però dobbiamo tenere conto di una realtà: la guerra è durata nove
anni. C’è stata una massiccia distruzione, case demolite,
quartieri interamente in rovina, chiese che necessitano di un
intervento per la ricostruzione... Metà della popolazione, parliamo
di 23 milioni prima della guerra, non c’è più, tra morti,
profughi e sfollati”.
Così padre
Firas descrive l’attuale situazione del suo paese, dove la vita è
molto difficile. Demografia e economia in ginocchio. I giovani sono
andati via. Bambini e donne, che siano quelli rimasti o quelli che
oggi vivono nei campi profughi, soffrono di profondi traumi
psicologici. Le sanzioni economiche, l’embargo “che l’Occidente
purtroppo continua a rinnovare contro la Siria, pensando di colpire i
responsabili della guerra” colpiscono in realtà la gente normale,
gli innocenti, i bambini e i più poveri. Quindi attualmente è una
lotta per la sopravvivenza, contro la povertà. Padre Firas vede
intorno a sé una grande desolazione anche se gran parte del
territorio è stato liberato dai jihadisti “venuti da tutte le
parti del mondo, da più di 60 nazioni”. Gli ultimi fondamentalisti
si sono raggruppati nella zona di idlib, l’ultima roccaforte. “Sono
stranieri indesiderati nei loro Paesi di origine che non vogliono più
farli rientrare”. L’analisi del francescano gela: “La
guerra in Siria purtroppo è diventata oggetto di troppi interessi
internazionali. Non è più una lotta contro un regime, non è più
una lotta per una democrazia, per la libertà di parola, di
coscienza, ma è una guerra internazionale che vede coinvolti i
russi, gli americani, gli europei e anche l’Iran, la Turchia e i
Paesi del Golfo, ciascuno con i suoi alleati”. Questa guerra,
padre Firas, la chiama anche “tsunami”, perché ha spazzolato
tutto. “La Siria continua ancora a sanguinare”, dichiara con gli
occhi lucidi. Aspetta la salvezza, ovvero, l’intervento di persone
sagge che si mettono a programmare la pace. Recentemente, un giovane
gli diceva di non più avere la forza per combattere, per lottare.
Che non viveva, ma sopravviveva senza nemmeno osare alzare lo sguardo
verso l’orizzonte.
Alla ricerca di soluzioni
Come
chiesa, come francescano, Padre Firas non si è mai rassegnato.
Certo, in alcuni momenti sembrava che tutto crollasse e che non ci
fosse nulla da fare. Ma non può un cuore francescano, abbandonare.
Allora si è messo a cercare possibili soluzioni. “Come fare par
aiutare la mia gente?” si è chiesto tante volte. Già faceva tanto
la comunità francescana mondiale. Grazie alla solidarietà, grazie
anche a tanti benefattori, si sono potuto distribuire pacchi
alimentari e dell’acqua potabile, perché in guerra spesso, è la
prima cosa che viene crudelmente a mancare. Ma sono anche stati
distribuiti soldi per finanziare micro progetti, per aiutare giovani
sposini a fare i primi passi e costruire una famiglia. “Questi
progetti sono testimonianze che il Signore dà e continua a dare”.
Accanto a
questo dramma, a questa tragedia, padre Firas ha toccato con mano la
presenza di Dio in maniera magnifica, e la Chiesa è stata sempre
accanto al popolo sofferente. Alcuni pastori, sotto la pressione
continua della guerra hanno dovuto andarsene, però, la maggioranza,
i vescovi, sacerdoti e tanti ordini religiosi hanno deciso di restare
in Siria. E cita come esempio due dei suoi compagni francescani che
oggi vivono nel nord, nella zona vicina al confine con la Turchia, a
pochi passi da Antiochia, la famosa e storica Antiochia: “Loro
vivono sotto il controllo non del regime di Assad ma dei jihadisti. E
cosa fanno lì? Stanno a custodire il piccolo gregge dei cristiani
rimasti”. Con i due religiosi, ci sono circa 200 cristiani che
portano non solo nel loro DNA il cristianesimo, ma che anche
sopportano le sofferenze per portare avanti una presenza concreta,
storica, di tutto il patrimonio cristiano di 2000 anni ad Antiochia
dove, per la prima volta, i cristiani hanno preso il nome dignitoso
di “seguaci di Cristo”.
Oggi
ancora, nonostante le mille difficoltà, stanno lì, accanto a questi
due frati francescani della Custodia di Terra Santa, per continuare a
testimoniare l’amore di Cristo, tenero, misericordioso, pietoso
verso questo piccolo gregge.
Padre Firas Lutfi e i bambini del progetto Arte terapeutica |
Rivedere un sorriso sul viso dei bambini
Sono in
corso due progetti per i bambini della Siria. Uno, nella città di
Aleppo, dove padre Firas ha vissuto durante la guerra. Il progetto si
chiama «arte terapeutica». Dietro questa denominazione c’è una
intera squadra di persone e specialisti che fa il possibile per
aiutare i bambini a riprendersi dal quel trauma psicologico che li ha
toccati profondamente. Così ne parla il francescano: «Si
tratta di un grande centro dove c’è la musica, lo sport, il nuoto.
Abbiamo provveduto a una bella piscina perché durante la guerra non
potevano giocare, uscire di casa, studiare, per la paura di essere
uccisi».
Nel corso
dell’estate in mille hanno frequentato il centro: il personale e
gli psicologi hanno cercato di aiutare questi bambini a trovare un
senso profondo per la loro vita e la loro esistenza.
Esiste
anche un altro progetto molto interessante. «Ad Aleppo est
vivono e vivevano solo musulmani.» Inizia così la descrizione di
padre Firas. «Durante la guerra la loro terra è stata occupata dai
jihadisti, quindi li hanno maltrattati, le donne sono state
violentate, i bambini massacrati... I bambini hanno visto tutte le
scene drammatiche delle gole tagliate e dei maltrattamenti
ad opera dei fanatici». Successivamente, racconta dei matrimoni
più o meno forzati di jihadisti con donne siriane e dei bambini nati
da queste unioni, la cui esistenza non è ufficiale. Non esiste una
registrazione all’anagrafe. Sono lì, fisicamente in vita, ma
giuridicamente inesistenti. Quando, nel 2017 i jihadisti hanno
lasciato Aleppo, la situazione trovata da padre Firas era
terrificante: «Bambini di 4 o 5 anni che vivono con la mamma
o a volte con la nonna perché i genitori non ci sono più. Alcuni
sono abbandonati a loro stessi e alla sorte. Non hanno mai
frequentato la scuola. Per non parlare del dramma psicologico e
dell’accumulo di paure, di terrore, che hanno subito durante i
combattimenti».
Sono stati
creati due centri che ospitano ciascuno 500 bambini e bambine dai 3,4
anni fino a 16 anni. Ed è stato esteso il programma che già era in
atto nel suo convento, il collegio Terre Sainte ad
Aleppo. Il sacerdote francescano tiene a sottolineare che i due
centri nascono da un’amicizia con il mondo musulmano: «Il
mufti di Aleppo è un nostro carissimo amico – spiega - e con il
vescovo vicario apostolico della comunità latina della Siria, è
nata una grande amicizia prima e, soprattutto, durante la guerra.
Quindi un primo frutto è stato una stretta collaborazione per
salvare l’innocenza di questi bambini».
Questo
progetto, questa collaborazione con i musulmani, ha un forte
significato per padre Firas. Dimostra la possibilità di dare un
senso alla vita, un senso profondo, un senso all’esistenza e
dimostra che non è mai troppo tardi per agire e fare del bene. E
aggiunge: «Il dialogo non si fa solo intorno a un tavolo ma
si fa lavorando insieme, mano nella mano, cuore a cuore. E lì nasce
la vera ricostruzione della Siria che verrà nel tempo. Può darsi
che ci vogliano 30, 50 anni, ma la vera ricostruzione non nasce dai
mattoni ma dalla ricostruzione dell’uomo, dell’umano dentro di
noi».
La Siria come missione
Quando si
chiede a padre Firas perché è rimasto in Siria, risponde in questo
modo: «Perché sì, perché sono francescano, credente e
quando il Signore mi ha creato lì, è stato per una missione, per
essere il Suo volto, le Sue braccia, le Sue gambe che portano
l’annuncio, la tenerezza e la misericordia di Dio».
E’
stato «chiamato», padre Firas, chiamato da Dio per
vivere la realtà, anche drammatica, della «sua» Siria.
Il suo «sì» all’esistenza è un «sì» motivato
e convinto che lo sostiene nel superamento delle difficoltà. In
Siria, ogni giorno si soffre e si muore. E così conclude: «E’
esattamente come il chicco di grano: se non muore, rimane solo; se
invece muore, produce molto frutto, come dice Gesù nel Vangelo».
lunedì 16 dicembre 2019
A 3 anni dalla liberazione di Aleppo, testimonianze per non dimenticare.
Nell'anniversario dell'uscita dei miliziani jihadisti da Aleppo Est, proponiamo un
articolo di Eva Bartlett, del 29 novembre 2016, che documenta la realtà toccata direttamente durante il suo viaggio e raccoglie le toccanti voci
degli abitanti della città: 'Vivevamo in sicurezza e in pace. Queste
aree vengono prese di mira, vogliono costringerci ad andarcene. Ogni
siriano viene preso di mira", racconta un leader religioso
siriano alla delegazione di giornalisti che aveva visitato Aleppo
all'inizio di quel mese.
Per comprendere cosa ha vissuto la popolazione di Aleppo per anni sotto la minaccia dei "ribelli moderati combattenti per la libertà dal regime", come qui si usa chiamarli... OraproSiria
Ad
Aleppo, ribelli appoggiati dagli USA e dai sauditi hanno preso di
mira "ogni siriano"
di
Eva Bartlett, 29 novembre 2016
traduzione
di Gb.P. , OraproSiria
ALEPPO- All'inizio di novembre, Fares Shehabi, un membro del
parlamento siriano di Aleppo, ha organizzato un viaggio ad Aleppo per
13 giornalisti occidentali, inclusa me stessa, con la sicurezza
fornita dalle forze dell'Esercito Arabo Siriano.
Mentre io avevo fatto un viaggio indipendente ad Aleppo nei
mesi di luglio e agosto scorsi, per molti altri membri della
delegazione questa era la loro prima visita alla città o la loro
prima visita dall'inizio della guerra in Siria nel 2011.
Nelle
precedenti visite ad Aleppo, ho incontrato la "Aleppo Medical
Association" e ho visto un ospedale di maternità colpito due
volte da attacchi di razzi e mortai da parte di militanti di Jaysh
al-Fatah (l'Armata della Conquista), un coacervo di gruppi
terroristici antigovernativi. Ho incontrato membri di un ramo della
Difesa Civile Siriana e leader religiosi cristiani e musulmani.
Appena a nord della città, ho visitato Nubl e Zahraa, città
assediate per più di tre anni dall'Esercito Libero (FSA o ESL), dal
fronte Al Nusra e da altre fazioni terroristiche ad esse affiliate,
prima che l'Esercito Arabo Siriano (SAA) le cacciasse nel febbraio di
quest'anno. Ho visto la regione liberata di Bani Zaid e il distretto
industriale di al-Layramoun. Ho interagito con civili in parchi
pubblici, strade e mercati.
Prima
del mio viaggio all'inizio di questo mese, ero interessata a vedere
cosa avesse potuto cambiare in seguito alla liberazione di ancora più
aree da parte del SAA. Speravo anche di parlare con i civili che
erano fuggiti dalle aree terroristiche dei distretti orientali di
Aleppo dall'ultima volta che li avevo visitati, quando erano stati
istituiti otto corridoi umanitari per civili e membri di fazioni
terroristiche disposti a rinunciare alle loro armi o ad accettare di
passare in sicurezza verso le aree di Idlib e zone riprese dal
governo di Aleppo Ovest. Tuttavia, il 4 novembre, nessuno era fuggito
dalle aree controllate dai terroristi ad Aleppo. I familiari di
civili che sono ancora lì affermano che i loro cari vengono usati
come scudi umani da gruppi come il Fronte Al Nusra, Ahrar al-Sham o
Nour al-Din al-Zenki - i cosiddetti "ribelli moderati" e
"forze dell'opposizione" sostenuti da Stati Uniti, NATO,
Israele e alleati del Golfo come l'Arabia Saudita e il Qatar.
Ritorno
ad Aleppo
Cittadini
siriani si radunano sulla scena in cui sono avvenute due esplosioni
nel quartiere filo-governativo di Zahraa, nella provincia di Homs, in
Siria, domenica 21 febbraio 2016. Due esplosioni nella città siriana
centrale di Homs hanno ucciso più di una dozzina di persone e feriti
molti altri in un'ondata di violenza. (SANA tramite AP)
Da
Damasco, l'autobus ha viaggiato lungo strade lisce e asfaltate fino a
Homs, dove abbiamo superato l'ingresso di Zahraa, un quartiere
colpito più volte da autobombe terroristiche e suicide . Uscendo da
Homs, abbiamo proseguito verso est lungo una strada stretta per circa
un'ora, fino a raggiungere la strada Ithriya-Khanasser e l'ultima
tappa del viaggio verso Aleppo.
Sebbene
la strada Ithriya-Khanasser fosse fiancheggiata da molte carcasse di
autobus e automobili, attaccati principalmente da Da'esh (acronimo
equivalente di ISIS, ISIL o Stato Islamico per gli occidentali) negli
ultimi anni, e sebbene Da'esh continui a insinuarsi di notte in molti
tratti della strada per piazzarvi mine, il nostro viaggio è stato
senza incidenti.
Quando
avevo raggiunto il sobborgo sud-orientale di Ramouseh a luglio, ero
in taxi. L'autista accellerava attraversando il sobborgo, temendo i
cecchini di Al Nusra presenti a meno di un chilometro di distanza. Lo
aveva percorso per almeno 500 metri accelerando attraverso punti
rischiosi e facendo "slalom" dentro e fuori da una valle
obiettivo preferito dai bombardamenti terroristici, raggiungendo
infine un checkpoint dell' Esercito Arabo Siriano (SAA) prima di
entrare nella Grande Aleppo. La 'Castello Road' era il solo mezzo per
entrare ad Aleppo in agosto. La strada, che corre nella parte
settentrionale della città, era stata recentemente messa in
sicurezza ma ancora minacciata dai bombardamenti terroristici.
Ramouseh
è stata nuovamente resa sicura prima della nostra visita di novembre
e divenuta di nuovo la via principale per entrare ad Aleppo. A
novembre abbiamo viaggiato in autobus, scortati dalla sicurezza, e la
minaccia dei cecchini era stata indebolita dai progressi del SAA
negli ultimi mesi. Sopra le barriere dal cecchino fatte di barili e
sacchi di sabbia, avevo una visione più chiara verso il distretto di
Sheikh Saeed - aree che le fazioni terroristiche avevano occupato a
lungo e da cui tenevano sotto tiro e bombardavano Ramouseh.
Una
delle nostre prime tappe è stata la sede della Camera dell'Industria
di Aleppo, dove il deputato Shehabi ha documentato il sistematico
saccheggio delle fabbriche di Aleppo. Secondo Shehabi, delle 70.000
piccole e grandi imprese e fabbriche che una volta prosperavano ad
Aleppo, solo circa la metà è sopravvissuta a quella sistematica
distruzione e sventramento delle officine. Delle circa 35.000
attività che ora operano ad Aleppo, ha stimato che solo circa 7000
sono fabbriche e che operano con una capacità del 15%.
Shehabi
ha detto che la Camera ha prove fotografiche e video dei furti nelle
fabbriche. Ha poi continuato: “Abbiamo documentato il
trasferimento delle nostre attrezzature pesanti, apparecchiature di
produzione, come generatori di energia, come macchine tessili. Queste
sono pesanti, non qualcosa che puoi contrabbandare facilmente. Queste
hanno viaggiato in autostrada, sotto il controllo della polizia
turca. Linee di produzione rubate... come puoi consentire a delle
linee di produzione rubate di entrare nel tuo paese senza documenti?
".
La
Camera, insieme ad altre associazioni industriali siriane, nel 2013
ha intentato un'azione legale contro il presidente turco Recep Tayyip
Erdoğan presso
i tribunali europei, chiedendo i danni.
Quella causa ed
altre avviate dalle autorità siriane accusano Erdoğan non solo di
ospitare i terroristi, ma di consentire e persino facilitare
loro di entrare in
Siria per distruggere o disassemblare le fabbriche e tornare in
Turchia con macchinari e hardware rubati.
Nessuno
di questi procedimenti giudiziari è stato risolto e Shehabi descrive
la causa della Camera come "a ostacoli". Shehabi è stato
tra i quattro uomini d'affari più importanti di Aleppo ad essere
stato colpito dalle sanzioni dell'UE nel 2011 . Queste sanzioni, ha
affermato il parlamentare, rappresentano un ostacolo che impedisce
una risoluzione equa.
La
Camera ora sta funzionando
in una villa in affitto, poiché l'edificio storico che ospitava la
Camera dell'Industria nella Città Vecchia è stato distrutto il 27
aprile 2014, quando le cariche esplosive sono stati fatti
esplodere in un tunnel
sotterraneo. Shehabi ha dichiarato di essere andato in onda sulla
televisione nazionale siriana, chiedendo ai governi di imporre un
boicottaggio commerciale della Turchia, circa due settimane prima
dell'attacco. "Non
hanno bombardato l'edificio accanto, c'era solo una guardia di
sicurezza all'interno [nessun personale militare], e non era
in prima linea, quindi perché bombardarlo?"
chiede, esternando
il suo sospetto che la Camera fosse stata deliberatamente presa
di mira a causa dell'azione legale che stava intraprendendo contro
Erdoğan.
La
prigione sotterranea del FSA ad al-Layramoun
Passiamo
attraverso l'ingresso riccamente intagliato di un edificio nel
distretto industriale di al-Layramoun che un tempo ospitava una
fabbrica di tinture. Più recentemente, tuttavia, è stato utilizzato
come base dalla 16a divisione dell'Esercito Siriano Libero
(ESL o FSA). In una
stanza interna, ho notato una scheda per cellulare 4G di Turkcell, il
principale operatore di telefonia mobile in Turchia. Negli edifici
vicini si vedono sacchi di materiali utilizzati per far
detonare gli esplosivi
inseriti nelle bombole
di gas e dello scaldabagno, comunemente
chiamati Inferno 1 e Inferno 2, dei
quali il secondo può
causare danni significativamente maggiori,
come distruggere l'intero
piano di
una casa.
C'erano anche frammenti di metallo, che venivano aggiunti agli
esplosivi per infliggere il massimo danno. Un'altra stanza conteneva
una catasta di trucioli che uno dei soldati siriani che ci
accompagnava diceva che veniva usato
per comprimere gli esplosivi
delle
bombe fatte con le
bombole di gas che l'Esercito Siriano Libero e altri gruppi
terroristici sparano sui quartieri della grande Aleppo.
Quando
ci avviciniamo alla strada occupata dal Fronte Al Nusra
che porta verso Daher Abed Rabbo, i soldati del SAA ci consigliano di
correre, non di camminare.
Appena
oltre quella strada, bunkerato tre piani sottoterra, la prigione da
incubo improvvisata
dell'Esercito Siriano Libero per i prigionieri del SAA,
non è stata toccata dalle bombe che infliggono i danni in
superficie. Questi attacchi [governativi] colpiscono i terroristi che
sparano contro i civili di Aleppo e si
ritirano sottoterra subito dopo. Al-Layramoun e Bani Zaid mostrano
lo stesso paesaggio di edifici in rovina che si trovano in aree in
cui i militanti si sono rifugiati in profondità. Vedendo la
distruzione, alcuni degli altri giornalisti della nostra delegazione
menzionano solo i danni fisici agli edifici. "Gli edifici sono
stati distrutti da attacchi aerei", ha scritto uno, puntando un
dito incriminante contro il Governo siriano,
senza dar conto dei motivi sul
perché queste aree siano state martellate.
La
vera vergogna non è in realtà la distruzione fisica degli edifici,
ma l'incursione in questi distretti da parte di terroristi sostenuti
dall'Occidente, tra cui l'Esercito Siriano Libero, il fronte Al
Nusra e Da'esh, tra gli altri. Quasi sei anni dopo l'inutile
spargimento di sangue, i loro atti criminali e selvaggi contro civili
e soldati siriani sono ben documentati. Ed è risaputo che si
rannicchiano nei bunker sotterranei
per evitare attacchi aerei. Le soffocanti nove celle di isolamento
improvvisate in
metallo dell' ESL e le tre stanze usate come normali celle nel bunker
sotterraneo della prigione di al-Layramoun sono tutte intatte
nonostante i bombardamenti aerei. Gli edifici sono devastati sulla
superficie a causa della presenza di militanti nelle profondità
sotterranee, dove gli attacchi aerei infliggono danni
considerevolmente minori.
18
morti il 3 novembre per attacchi terroristici
Nel
pomeriggio del 3 novembre, dopo l'incontro con il Dr. Mohammed
Batikh, direttore dell'ospedale Al-Razi, le vittime di attacchi
terroristici di poche ore prima hanno iniziato ad arrivare uno dopo
l'altro, mutilati e gravemente feriti. I bombardamenti di veicoli e
il bombardamento con
missili Grad, tra gli altri attacchi, hanno causato la morte di 18
persone e oltre 200 feriti, ci ha detto il
dott. Zaher Hajo, capo del reparto di
medicina legale dell'ospedale Al-Razi.
I
corridoi e il reparto di emergenza dell'ospedale Al-Razi, uno dei due
ospedali statali di Aleppo, si sono rapidamente intasati con i
feriti e i familiari
costernati. In un affollato corridoio interno, uno dei feriti urlava
di dolore: “Ya, Allah! Ya, Allah!". In
un altro corridoio, un ragazzo di 15 anni con una
protesi a
una gamba e bende in testa, ha detto che l'attacco con mortaio che lo
ha ferito ha ucciso un suo
cugino di 4 anni e causato gravi lesioni a un altro
cugino di 6 anni.
In
una stanza di fronte, una madre gemeva
per suo figlio che aveva subito gravi ferite. Urlava e supplicava che
qualcuno lo salvasse, il suo unico figlio!
Non molto tempo dopo, però, è arrivata la notizia
funesta: il 26enne era
morto. Suo figlio, un medico, non è stato il primo medico a morire
nei bombardamenti di routine dei terroristi sui
quartieri di Aleppo. Il dott. Nabil Antaki, gastroenterologo di
Aleppo, che
ho incontrato durante i miei viaggi ad Aleppo in luglio e agosto, mi
ha mandato un messaggio a ottobre riguardo al
suo amico e collega, il dottor Omar, che è stato ferito il 6 ottobre
quando le fazioni terroristiche hanno scatenato un attacco su
Jamiliye Street, uccidendo 10 persone. Pochi giorni dopo l'attacco,
anche il dottor Omar è morto.
All'obitorio
dietro l'ospedale Al-Razi il 3 novembre, inconsolabili membri delle
famiglie stavano appoggiati al
muro o seduti sul
marciapiede, dopo aver appreso della
morte dei propri cari.
Un
ragazzo di 14 anni era stato lì il 2 novembre, quando suo padre era
stato ucciso. Il 3 novembre è tornato quando sua madre è stata
uccisa. Entrambi i genitori di questo ragazzo sono morti, entrambi
uccisi in attacchi terroristici nel quartiere New Aleppo della città.
Un uomo ha parlato di un nipote di 10 anni che è stato colpito alla
testa da un cecchino terrorista mentre il ragazzo era sul tetto. Una
donna e i suoi figli stavano appoggiati a una ringhiera di ferro
vicino alla porta dell'obitorio, piangendo per la morte del marito,
del loro padre, che era stato ucciso mentre parcheggiava l'auto.
Quando è arrivata la madre dell'uomo, questa
ha avuto un collasso, urlando di dolore.
E
nel mezzo di tutto ciò, di tutte
queste donne e bambini, un'auto è arrivata
all'obitorio con il corpo di un'altra vittima degli attacchi
terroristici di quel
giorno:
Mohammed Majd Darwish, 74 anni. La parte superiore del suo corpo era
così insanguinata che non era chiaro se fosse stato decapitato.
Vicino
all'obitorio, Bashir Shehadeh, un uomo sulla quarantina, ha detto che
la sua famiglia era già stata spostata da Jisr al-Shughour, una
città nella provincia di Idlib. Ora sua madre, alcuni dei suoi amici
e suo cugino sono stati uccisi dai bombardamenti delle fazioni
terroristiche. Ha detto che ne aveva abbastanza
e ha chiesto al SAA di eliminare la minaccia terroristica.
Il
dott. Batikh di Al-Razi ha detto che un ospedale privato, Al-Rajaa, è
stato colpito da un attacco di mortaio. "Ora non possono
eseguire operazioni, la sala operatoria è fuori servizio."
Uno
degli attacchi più importanti agli ospedali è stato il
bombardamento con doppio camion del dicembre 2013 dell'ospedale
Al-Kindi , il più grande e miglior ospedale per la cura del cancro
in Medio Oriente. In precedenza ho riferito di altri attacchi agli
ospedali di Aleppo, incluso l'attacco missilistico del 3 maggio che
ha sventrato Al-Dabeet, un ospedale di maternità, uccidendo tre
donne. Il 10 settembre, il dottor Antaki mi ha inviato un messaggio:
“Ieri
un missile, tirato dai terroristi, ha colpito un'ospedale di
maternità ad Aleppo in Muhafazat Street. Due persone che lavorano in
ospedale sono rimaste ferite. Nessun morto,
ma
il punto è che è un ospedale ed è stato colpito da un razzo."
Il
dott. Batikh e il dott. Mazen Rahmoun, vicedirettore di Al-Razi,
hanno detto che l'ospedale una volta aveva 68 ambulanze, ma ora ne
sono rimaste solo sei.
Il resto, dicono, sono state o rubate
dalle fazioni terroristiche o distrutte.
I
medici di Aleppo continuano a curare l'afflusso quotidiano di
pazienti feriti e malati nonostante la carenza di ambulanze e gli
effetti delle sanzioni occidentali che comportano
una mancanza di attrezzature mediche, parti di ricambio e medicine
per malattie critiche come il cancro.
Secondo
il capo della medicina legale dell'ospedale, il dottor Hajo, negli
ultimi cinque anni, 10.750 civili sono stati uccisi ad Aleppo, il 40%
dei quali erano donne e bambini. Solo nell'ultimo anno, 328 bambini
sono stati uccisi dai bombardamenti terroristici ad Aleppo e 45
bambini sono stati uccisi da cecchini islamisti.
Incroci
umanitari: bombardamento di Castello Road
A
meno di 100 metri di distanza, il secondo dei due mortai sparati da
fazioni terroristiche a meno di 1 km da Castello Road il 4 novembre.
La strada e il corridoio umanitario sono stati colpiti almeno sei
volte quel giorno da fazioni terroristiche. 4 novembre 2016. (Foto:
Eva Bartlett)
Il
4 novembre, prima del nostro arrivo alle 9:30 all'incrocio di Bustan
al-Qasr e fino alla nostra partenza,
un'ora dopo, nessuno era stato in grado di attraversare l'area appena
oltre l'incrocio, che è occupato dai
militanti di Jaysh
al-Fatah.
Due
settimane prima del nostro arrivo, i giornalisti avevano riferito che
fazioni terroristiche avevano bombardato pesantemente l'incrocio e le
aree circostanti a partire dal mattino presto. Un generale siriano
all'incrocio ha confermato che i bombardamenti erano avvenuti il 20
ottobre, aggiungendo che tre agenti di polizia erano stati feriti. Un
giornalista della delegazione ha chiesto al generale cosa avrebbe
risposto
ai civili siriani come Bashir Shehadeh, il quale ha richiesto che il
SAA eliminasse le fazioni terroristiche. "Dobbiamo essere
pazienti, perché i civili non sono in grado di andarsene, non sono
colpevoli", ha risposto il generale. "Non ci
comportiamo come fanno
i terroristi."
Per
quanto riguarda il decreto di amnistia emesso dal presidente Bashar
Assad alla fine di luglio, il generale ha spiegato che i terroristi
che vogliono ottenere l'amnistia potrebbero deporre le armi. Coloro
che scelgono di andare
a Idlib otterrebbero un passaggio sicuro dal governo e dall'esercito
siriani, in coordinamento con la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa.
Secondo
il generale, quando due militanti arrivarono all'incrocio di Bustan
al-Qasr circa due mesi fa, si arresero e furono
amnistiati. Cinque
mesi fa, ha detto, 12 civili feriti hanno
attraversato lì, sono stati curati negli ospedali di Aleppo e poi
sono tornati alle loro
case nella parte orientale controllata dai terroristi.
All'attraversamento
umanitario di Castello Road, i grandi autobus verdi che si diceva
evacuassero i militanti dalle aree dell'est Aleppo nelle ultime
settimane erano di nuovo lì, in attesa di imbarcarne
altri. Dieci
ambulanze, tre autobus e 14 minivan sono stati messi in fila in
previsione dell'arrivo di civili
o militanti che cercavano di lasciare aree occupate da terroristi,
sia per un passaggio sicuro altrove o per stabilirsi in aree protette
dal governo di Aleppo.
Dieci
ambulanze aspettano all'incrocio di Castello Road per curare chiunque
esca attraverso i corridoi umanitari istituiti dal governo siriano e
dalla Russia, compresi i militanti che depongono le armi.
4 novembre 2016. (Foto: Eva Bartlett)
George
Sire, 25 anni, anestesista presso il Salloum Hospital di Aleppo, era
uno dei volontari che arrivarono all'incrocio con cinque delle
ambulanze dell'ospedale privato, su richiesta del governo siriano.
Quando
ho
chiesto a un
comandante siriano del perché permettere
a uomini che avevano usato le armi contro civili e soldati siriani di
deporre le armi e di riconciliarsi, ha risposto
che sono figli del Paese e li ha esortati a riconciliarsi.
Intorno
alle 13:30 il primo proiettile è caduto,
colpendo vicino a Castello Road. Circa 10 minuti dopo, mentre stavo
facendo l'intervista,
un secondo colpo, questa volta considerevolmente più vicino, (entro
100 metri)
è esploso vicino
abbastanza,
infatti, da creare una
nuvola di fumo scuro sulla strada. Ciò ha spinto la sicurezza ad
allontanarmi dalla strada e allontanare la nostra delegazione
dall'incrocio. In seguito ho appreso che altri cinque proiettili
hanno colpito l'attraversamento,
ferendo un giornalista siriano e due soldati russi.
Nessuno
ha passato questo e
alcuno degli altri sette corridoi umanitari quel giorno.
Sfollati
dai terroristi
Per
circa quattro anni, semplici rifugi nella moschea Hafez al-Assad
hanno ospitato circa 1.000 persone, tutte famiglie sunnite sfollate
dalle aree occupate dai militanti.
La
maggior parte di quelli con cui ho parlato ha elencato uguali ragioni
per lasciare le proprie case e ha descritto di aver paura per la
propria vita a causa della presenza terroristica.
“Sono
venuti e hanno distrutto case e ucciso civili,
prima ancora
di attaccare
lo Stato. L'esercito ci sta proteggendo, mentre
sono
le bande quelle che stanno distruggendo il paese ", mi ha detto
un uomo. Ha detto che i suoi due fratelli nelle aree controllate dal
terrorismo ad Aleppo orientale "non sono autorizzati a partire".
“Ci
hanno provato molte volte ma sono stati
sempre intercettati.
Se i gruppi armati vedono qualcuno che trasporta bagagli, lo
arrestano
immediatamente. "
Lui
e altri al rifugio si sono lamentati del fatto che, secondo i loro
familiari, le fazioni terroristiche detengono
e controllano qualsiasi cibo all'interno delle aree che occupano.
Come
altrove in città, il rifugio e l'area immediatamente circostante la
moschea vengono abitualmente colpiti con mortai e proiettili
esplosivi. Un uomo più anziano mi ha portato dietro un angolo,
indicando un punto in cui ha detto che un uomo di 29 anni è stato
ucciso da un proiettile esplosivo sparato dal terrorista. “Era
in piedi qui. Aveva lo stomaco aperto ", mi racconta.
La
città vecchia: la vita tra le rovine
Il
piccolo autobus che trasporta una dozzina di giornalisti e un soldato
molto attento delle forze speciali, Ali, ad un certo punto si
inchioda improvvisamente davanti alla Città Vecchia.
Un cecchino
è appostato alla
nostra sinistra, in un'area occupata da fazioni terroristiche a circa
500 metri di distanza, ci vien detto.
Dopo
essere entrati nella Città Vecchia e aver attraversato una strada
protetta dal fuoco del cecchino da un terrapieno di terra e uno
schermo di metallo, a volte l'unico mezzo per proseguire nella Città
Vecchia è passare dai
buchi dei
muri bombardati che
collegavano gli edifici. Attraversando gli edifici, abbiamo evitato i
cecchini che sono pronti a sparare a chiunque si muova per strada.
Dall'altra
parte della stradina, uno shock di verde colpisce la
vista per il netto
contrasto con i toni grigi della distruzione creati da anni di
combattimenti contro il peggior terrorismo che il mondo abbia mai
conosciuto. Rami, un soldato siriano di Banias, spiega che aveva
piantato erbe e cipolle verdi qui come faceva quando in passato era
stato dislocato
lungo la strada del deserto Ithriya-Khanasser. Il dolce sorriso e il
comportamento gentile di Rami nascondono la sua perdita personale: un
fratello ucciso mentre prestava servizio nel SAA.
Mentre
camminiamo attraverso le aree della Città Vecchia di Aleppo protette
dal governo, ci siamo imbattuti in un unico venditore, Mahmoud.
Vendeva strumenti musicali arabi tradizionali, ma le circostanze lo
hanno costretto ad abbandonare quell'attività a favore della vendita
di beni di consumo basilari
a circa 25 clienti al giorno. Rifiuta di lasciare la Città Vecchia,
anche se si trova a
circa 200 metri dal Fronte di Al Nusra
e da altri militanti del Jaysh al-Fatah. "Sono una persona
normale", dice Mahmoud. "Quelli hanno distrutto tutto."
Attraversando
negozi devastati uno dopo
l'altro e
passando sotto gli
aggraziati archi dei mercati coperti,
tipici delle antiche città siriane, il deputato Fares Shehabi fa
notare:
“Vedete
i soffitti anneriti? È da quando i terroristi si sono ritirati.
Accesero il fuoco per bloccare l'avanzata dell'esercito siriano e
anche per nascondere il loro saccheggio. Non possono accusare
l'esercito di aver bombardato qui, il tetto è intatto. "
Uscendo
da questa particolare area del mercato, arriviamo a un'area sabbiosa,
parzialmente nascosta ai cecchini.
Ci danno l'ordine severo di non andare avanti: la famosa cittadella
di Aleppo è più avanti,
e alla sinistra e alla destra della nostra posizione presso il
distrutto Carlton Hotel, i cecchini terroristici stanno aspettando.
Quando
i terroristi hanno fatto esplodere grandi quantità di esplosivi nei
tunnel sotto il Carlton Hotel nel maggio 2014, il Col. Abu Majed ci
ha detto che "tutto Aleppo lo ha sentito".
"Hanno
bombardato oltre 20 edifici storici attraverso tunnel",
ribadisce Shehabi. "Se fossero veri siriani, non bombarderebbero
edifici storici".
Almeno
7.500 negozi nella Città Vecchia sono spariti, persi a causa di
incendi, saccheggi e distruzione totale. "Sono 7.500 famiglie",
ci ricorda Shehabi.
Visitando
aree in prima linea prese di mira
La
Chiesa Cattolica
Siriana
di Aleppo ha ancora un buco nel muro da quando è stata colpita dal
bombardamento terroristico di circa
due anni fa. Al momento dell'attacco, i fedeli erano dentro a
celebrare, mentre il
coro cantava.
La
Chiesa Cattolica
Siriana
di Aleppo è stata colpita da bombardamenti cinque volte da gruppi
terroristici, incluso il Fronte Al Nusra,
che occupavano aree a soli 500 metri di distanza. I bombardamenti
che hanno lasciato questo buco sono avvenuti due anni fa, mentre i
membri della parrocchia celebravano la messa, il coro cantava.
Almeno 10 persone sono rimaste ferite.
2
novembre 2016 (foto: Eva Bartlett)
Un
leader della Chiesa racconta che sono stati presi di mira cinque
volte, l'ultimo incidente causato da
un razzo poche settimane prima del nostro arrivo. Le fazioni
terroristiche erano a circa 300-500 metri di distanza. Ha stimato che
un terzo delle 1.350 famiglie che erano solite frequentare
quella chiesa, è
fuggito in altre zone della Siria o all'estero, principalmente a
causa di problemi di sicurezza.
“Vivevamo
in sicurezza e pace. Queste aree vengono
volutamente
prese di mira, vogliono costringerci ad andarcene. Ogni siriano viene
preso di mira ", ha detto alla delegazione.
Alcuni
dei rimanenti membri della parrocchia hanno scelto di svolgere
le funzioni religiose
in uno stretto corridoio all'interno dell'edificio, negli ultimi due
anni.
Più
lontano in città, il vescovo Joseph Tobji della chiesa maronita di
Aleppo racconta che circa i due terzi della sua comunità di circa
800 famiglie se ne sono andati, sperando di trovare condizioni più
sicure altrove. All'interno di un edificio appartenente alla chiesa,
il vescovo Tobji ci ha accolto e ci ha spiegato: “Non
abbiamo più una
chiesa ora. Avevamo due chiese, ma entrambe sono distrutte. Abbiamo
solo questo posto, una cappella che può contenere circa 70 persone.
”
Camminando
per le strade buie di Talal, un'area storicamente ricca di chiese ora
distrutte o gravemente danneggiate, Shehabi ha raccomandato cautela:
“Siamo a 50 metri da al-Nusra. Al di là di questi edifici, c'è la
linea del fronte. ”
Il
Rev. Ibrahim Nseir, pastore della Chiesa Evangelica Araba
Presbiteriana di Aleppo, ci ha guidato attraverso le aree cristiane
di Talal, ricordandoci di rimanere il più silenziosi possibile.
“Niente voce, perché
ciò farà sentire loro che siamo qui. Sarà molto pericoloso ",
dice piano. "Presto, ya eini ... Per favore, tutti, in fretta
..."
Abbiamo
poi preso un autobus per il distretto di Midan, dove abbiamo
camminato lungo le strade buie. Il nostro accompagnatore
militare siriano ha esortato il gruppo a stare insieme e ad ascoltare
attentamente. Mentre camminavamo, il Rev. Nseir ha descritto gli
attacchi contro le scuole e l'area, un distretto Armeno, che è stato
pesantemente colpito. "Qui siamo in uno dei luoghi più mirati",
ci informa, facendo notare solchi nel terreno da colpi di mortaio.
Un
residente locale ci racconta: “Il
5 settembre, due bombe di quelle fatte con le
bombole del gas
(Hell1) sono esplose nella
sua zona, abbiamo avuto tre martiri, giovani
di circa
30 anni. Uno era sposato con un bambino di 1 anno. Un altro stava per
sposarsi. Quattro giorni prima del suo matrimonio, è stato ucciso.
In
sei giorni a settembre, abbiamo ricevuto 85 proiettili ".
Mentre
camminiamo, Shehabi avverte: "C'è
un cecchino, ragazzi, c'è un cecchino. Spegnete
le luci.” Il
cecchino era a circa 1 km di distanza, secondo la gente del posto che
camminava con noi, secondo i quali i
cecchini a volte arrivano anche fino a 500 metri.
Con
lo scendere della notte,
era difficile accertare l'intensità dei danni, ma le case e le
strade buie parlavano delle dimensioni di
un quartiere abbandonato dai
residenti per enormi
problemi di sicurezza.
I
leader religiosi di Aleppo sfidano la divisione
All'interno
della sua chiesa, una nuova struttura costruita circa un anno fa per
sostituire la storica chiesa distrutta dai terroristi negli anni
precedenti, il Rev. Nseir presenta tre leader sunniti della città:
il dottor Rami Obeid, il dottor Rabih Kukeh, lo sceicco Ahmed
Ghazeli.
"Questi
leader Sunniti sono considerati degli 'infedeli'
da al-Nusra e compagnia", riporta Nseir, spiegando che non
seguono la distorta ideologia wahhabita che guida le fazioni
terroristiche sostenute dall'Occidente come il Fronte di Al
Nusra e altri che sono
stati considerati "ribelli moderati" e
"forze di
opposizione".
Prima
di dare la parola a questi capi religiosi, il Rev. Nseir ha ricordato: "Quando
la chiesa fu distrutta, la prima persona che mi chiamò fu il Mufti
Hassoun, che mi disse: 'Non
preoccuparti, reverendo, ricostruiremo la chiesa' ”.
Il
dottor Kukeh parla in generale del multi-culturalismo
della Siria: “Il
mosaico che viviamo in Siria è incomparabile con qualsiasi altro
modo di vivere in tutto il mondo. Cristiani e musulmani, sunniti e
sciiti. Non vi è alcuna discriminazione basata sulla religione o
sulla setta. La propaganda diffusa in tutti i media non ha radici
qui. "
Rev.
Ibrahim Nseir, pastore della Chiesa Evangelica
Presbiteriana
Araba
di Aleppo, con tre importanti studiosi e leader sunniti, il dottor
Rami Obeid, Rabih Kukeh, lo sceicco Ahmed Ghazeli, che respingono il
wahhabismo. Il dottor Kukeh ha detto delle fazioni terroristiche:
"Coloro che stanno uccidendo i sunniti sono gli stessi che
affermano di difendere i sunniti". 2 novembre 2016. (Foto: Eva
Bartlett)
Riguardo
ai terroristi che si autodefiniscono
come jihadisti che combattono per la libertà, il Dr. Kukeh dichiara:
“Coloro
che stanno uccidendo i Sunniti sono gli stessi che affermano di
difendere i Sunniti. Le bombe
che ci colpiscono quotidianamente vengono inviate da loro.".
Nomina
sei sceicchi sunniti in Siria, la maggior parte ad Aleppo, che sono
stati assassinati dai terroristi per non essersi uniti a loro. Uno di
loro, lo sceicco Abdel Latif al-Shami, è stato torturato a morte nel
luglio 2012.
Il
dottor Kukeh, che ha
affermato di aver chiamato suo figlio maggiore come
l'ex leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, "perché amo
quell'uomo", ha spiegato che nel 2012 viveva nella parte
orientale di Aleppo quando i terroristi hanno iniziato ad occupare
quei
distretti. È stato preso di mira per assassinarlo
perché non era d'accordo con le ideologie dei terroristi. Riporta di
essere stato condannato per accuse relative a un suo
articolo su una
pubblicazione locale, per il
nome di suo figlio e per la
mancanza di manifestazioni antigovernative provenienti dalla sua
moschea. “Quelle manifestazioni non si sono mai verificate, spiega,
perché non le ha mai incoraggiate come invece altri
sceicchi wahhabiti hanno fatto altrove.”
La
conversazione si è poi spostata
dalla
fonte del terrorismo in Siria, il Wahhabismo e la sua natura
distorta, non islamica, all'unità di cui avevo sentito parlare i
Siriani in tutto il mondo. Uno degli sceicchi, del
quale ho perso il
nome a causa del nostro vociare,
ripeteva quello che è diventato
un sentimento familiare tra civili e soldati siriani:
“Aleppo
è una, la Siria è una.
Respingiamo la divisione di Aleppo, rifiutiamo la divisione della
Siria".