Pagine

mercoledì 31 luglio 2019

Il racconto di un volontario: la Siria del cuore e non delle parole

"La storia del popolo siriano ha dell’incredibile. Un popolo che viveva in pace e che ha dovuto subire oltraggi e umiliazioni. Una guerra che dura tutt’ora e che lascia vittime non solo sul campo. Perché vivere la Siria non vuol dire solo combattere il nemico. I siriani vivono anche i resti, le conseguenze di rancore e pesantezza di vivere in un quartiere che un tempo chiamavi “casa”."

SOS Cristiani d’Oriente

 Un quartiere che adesso non esiste più, che non ha più le persone care perché sono morte o sono fuggite e manca degli edifici perché ora sono soltanto macerie. Da europeo ci si aspettano capre, beduini del deserto e case malfatte, ma quando non sono i media a parlare ma i tuoi occhi, la storia prende un altro senso. Sebbene partito informato non mi sarei mai aspettato quello che ho visto: autostrade efficienti, vicoli ricchi di gente la sera, case ben arredate. Paesaggi magnifici che raccontano di fortezze inespugnabili, amicizie di lunga data e amori interminabili.

  Le città di Damasco con la bellissima moschea degli Omayadi, Maalula con la sua gente speciale che parla aramaico e le moush moush e infine Aleppo con la sua imponente cittadella. La prima cosa che si vede nelle città infatti è la distruzione nelle periferie, ma il cuore della città rappresenta le più belle meraviglie che nonostante la guerra sono ancora lì. Il cuore della Siria batte ancora. 

Ma quando si viaggia, al ritorno non si portano indietro le foto dei monumenti ma i ricordi delle persone. Sabine, Nour, Farah, Heghine, Abd Al, Rita, Joseph, Maria, Patrissia, Hana, Athar per citarne alcuni: sono stati loro a plasmare quello che ho vissuto qui. Il sorriso amaro della guerra ma la speranza nei loro occhi. Mi hanno fatto riscoprire la gentilezza e l’ospitalità che si dà ad uno sconosciuto. Un aprirsi all’altro, un condividere quello che si ha senza chiedere nulla in cambio. Ho ricevuto regali, cene, inviti ad atelier e perfino sigari cubani (e non fumo) ma non ho mai sentito pressioni di dover dare indietro qualcosa riscoprendo il puro piacere di stare insieme.

L’umanità vuol dire questo: stare insieme non perché ci si aspetta qualcosa ma per il semplice fatto che siamo esseri umani. Significa essere vulnerabili ed aprirsi all’altro senza aver paura di mostrare chi si è. Nel mio viaggio ho incontrato molti “perfetti” che mostrano una felicità apparente ma che contengono un pozzo di sofferenza. Ma l’uomo è imperfetto ed è in questo che risiede la sua bellezza, la bellezza di raccogliere ogni volta qualcosa di nuovo e scoprirsi sempre di più nell’incontro con l’altro in un circolo infinito. 
E la Siria mi ha donato quel qualcosa in più. Mi ha donato la storia di Abir, donna di un martire che prega disperatamente per il ritorno del suo marito prigioniero di Daesh, dei monaci di Qara che si sono ritrovati tra il fuoco dell’esercito siriano e dei terroristi, di Mike che nonostante le lunghe sparatorie sotto casa sua non perdeva la voglia di mettersi sui libri e sapere che un futuro migliore un giorno sarebbe arrivato, di tutti quei giovani siriani che per dieci anni non hanno potuto conoscere la propria città costretti a rimanere nel proprio quartiere. Questo fa riflettere. Fa riflettere non solo sulla brutalità della guerra ma sulla nostra stessa vita.

 C’erano giorni in cui pensavi che non ci saresti stato più” mi hanno ripetuto spesso i siriani. E’ un monito alla vita. A reagire alle sofferenze e “rischiare” di trovare la propria strada perché chi ha passato la guerra sa che ogni istante che ha adesso, è un regalo.

E’ un monito a rischiare la vita che si ha sempre sognato perché molti uomini muoiono ogni giorno. Muoiono spiritualmente perché non mettono la propria passione, la propria volontà, la propria gioia in quello che veramente vogliono fare e così si lasciano morire ogni giorno e arriva il momento che si chiedono “ se in 60 anni della mia vita non è cambiato nulla perché ho vissuto?”. 
Vivete, vivete le vostre passioni, amate il prossimo e fidatevi degli altri.
          Iacopo 

lunedì 29 luglio 2019

A Damasco insediato il 28 luglio il nuovo arcivescovo siro cattolico John Jihad Battah

Il nuovo arcivescovo di Damasco, desideroso di dare speranza ai fedeli stanchi

CATHOLIC NEWS SERVICE
Dopo otto anni di guerra, i fedeli a Damasco, in Siria, sono “così stanchi”, ha affermato il loro nuovo arcivescovo cattolico siriaco John Jihad Battah. Tuttavia, sta tornando alla sua città natale con entusiasmo. "Voglio aiutare le persone, dare loro la speranza di rimanere nel loro paese", ha detto mons Battah al Catholic News Service in vista della sua ordinazione episcopale a Damasco il 28 luglio.
In tutte le mie missioni, in Italia, in Libano, ho obbedito alla chiamata della Chiesa. Questa è la prima volta che provo grande gioia e felicità in una nuova missione, tornando in Siria ", ha detto l'arcivescovo, di 63 anni. Ha servito in Libano negli ultimi otto anni come vescovo della diocesi patriarcale di Beirut e in precedenza a Roma per sette anni.
"La cosa più importante è prendersi cura delle persone", ha detto mons. Battah circa la sua nuova missione. Il suo motto di arcivescovo è il passo del Vangelo di Luca 22:27: "Sono tra voi come colui che serve".
Damasco non ha vissuto un esodo di massa come nelle diocesi devastate dalla guerra come Aleppo. Nell'arcidiocesi siro-cattolica di Damasco, ci sono circa 1.000 famiglie, rispetto alle circa 1.200 famiglie prima della guerra. Tuttavia, le sanzioni contro la Siria stanno mettendo a dura prova il popolo siriano.
"Stanno portando le persone a lasciare il Paese per cercare un futuro migliore", ha sottolineato. “La situazione economica è molto brutta. Tutti sono nel bisogno ora", ribadisce. Il costo delle necessità di base è salito alle stelle e i medicinali sono molto costosi. "Le persone muoiono per mancanza di medicine."
Abbiamo bisogno di preghiere per la rimozione delle sanzioni. Se le sanzioni vengono rimosse, le persone possono almeno vivere con dignità ", insiste mons. Battah.
Il Governo in Siria "è un governo positivo che rispetta tutte le religioni", ha osservato mons Battah. E cita il raduno giovanile cattolico siriaco a Damasco all'inizio di luglio, quando il presidente siriano Bashar Assad ha visitato per più di tre ore più di 200 giovani, rispondendo alle loro domande in un forum aperto.
Mons.Battah ha affermato che "la sua missione principale è quella di dare ai cristiani la speranza nel futuro, di rimanere nel loro Paese". “Il mio messaggio per l'Occidente è di aiutare i cristiani in Medio Oriente a rimanere nelle loro terre d'origine. La loro presenza è vitale", ha detto l'arcivescovo, osservando che i cristiani sono "un equilibrio, un ponte tra tutte le religioni ".
I cristiani sono la luce del mondo. La luce deve rimanere in Medio Oriente", ribadisce mons Jano Battah.
   (trad. Gb.P)
https://cruxnow.com/church-in-the-middle-east/2019/07/23/new-damascus-archbishop-eager-to-give-hope-to-tired-faithful/

venerdì 26 luglio 2019

Assad, c’è posta per te


Tra le diverse, e di segno opposto, presentazioni della 'lettera di papa Francesco al presidente Assad' 
(di cui non è stato reso pubblico l'originale), 
riceviamo e volentieri pubblichiamo la garbata  sintesi dell'amico Giovanni Maria Lazzaretti.

La settimana scorsa descrivevo la facilità con la quale il sistema mediatico può creare realtà che non esistono e celare verità che esistono. E’ tutta una questione di soldi, in fondo: l’invio di reporter in giro per il mondo costa troppo, e quindi ci si accontenta. Al massimo fai parlare Lucia Goracci da Istanbul (quando parla di Siria sta quindi a 1500 km da Damasco), per il resto prendi i rilanci di agenzia, ti fidi, li rielabori e li trasformi in servizio televisivo.

Nel 2011 qualche pensatoio internazionale creò la “cornice Siria”, che prevedeva tre concetti: (1) «il dittatore sanguinario Bashar al Assad» (2) «i ribelli moderati» (3) «la guerra civile siriana». Sono “buoni giornalisti” coloro che parlano e scrivono rispettando la cornice; chi esce dalla cornice, è tagliato fuori.
Fonti uniche d’informazione: le emittenti televisive Al Arabiya e Al Jazeera, l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, i Caschi Bianchi.
Al Arabiya è controllata dall’Arabia Saudita, paese coinvolto nel conflitto. Al Jazeera è controllata dal Qatar, altro paese finanziatore dei “ribelli moderati”. L’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani è costituito da un’unica persona, Rami Abdel Rahman, che vive in Inghilterra, a Coventry, e che non va in Siria dal 2000. Dice di avere una rete di 200 informatori, ovviamente “coperti”.
I Caschi Bianchi in apparenza sono volontari che assistono le vittime di guerra (nei territori controllati da Al Nusra, filiale siriana di Al Qaeda). Ma sono stati fondati a Istanbul da un ufficiale britannico in pensione, James Le Mesurier, con esperienza nel mondo delle società di sicurezza private, di concerto con l’ambiente dei “ribelli moderati”. E’ quindi un’organizzazione che “fa parte dell’ingranaggio” e agisce perfettamente inserita nella “cornice Siria” descritta prima.
Dopo Afghanistan, Iraq, Libia, la “cornice Siria” è l’ennesima balla planetaria. La realtà è che Bashar al Assad è il Presidente legittimo di uno Stato multietnico, multireligioso, multiculturale. L’occidente lo elogiava fino a un attimo prima della guerra. Uso le parole di Napolitano a Damasco nel 2010: «Difficile non rimanere colpiti dalla bellezza del Paese e dall’ospitalità del suo popolo. Esprimo apprezzamento per l’esempio di laicità e apertura che la Siria offre in Medioriente e per la tutela della libertà assicurate alle antiche comunità cristiane qui residenti».
Il giovane Assad, vocazione da oculista e Presidente per necessità, con una modesta dose di ingiustizia teneva a bada, da uomo forte, la più grande forma di ingiustizia: il caos. I ribelli moderati semplicemente non esistono: è esistita all’inizio una forma pacifica di protesta, nella quale si sono infiltrati gruppi armati preparati da anni, finanziati dall’occidente e dai loro alleati della penisola arabica.
Non c’è quindi una guerra civile siriana, ma semplicemente l’azione del governo legittimo per ripulire la Siria dalle forze che vogliono smembrarla. Il piano Feltman-Bandar, piano USA-Saudita, mira a creare zona alawita, zona sciita, zona sunnita e zona curda, miscelando i territori di Iraq e Siria. La caduta di Assad è la condizione necessaria. E tanti saluti ai cristiani, che Assad protegge.
La “cornice Siria” continua a resistere mediaticamente. Ma sul campo c’è la possibilità che le forze dell’Esercito Arabo Siriano e dei suoi alleati riescano a vincere, restituendo alla Siria la sua unità e la sua dignità. Mancano alcune sacche di resistenza residua dell’ISIS, ci sarà da ragionare sulla zona curda, e poi c’è Idlib.
In maggio Assad e alleati hanno iniziato l’offensiva contro Idlib, l’unica zona ancora in mano ai ribelli e da tempo controllata da gruppi radicali e jihadisti. Offensiva ovvia: chi mai vorrebbe essere governato da gruppi radicali e jihadisti? Un Presidente ha la responsabilità del suo popolo, non può lasciarlo in mano ai jihadisti. Sarà un’offensiva dolorosissima, visto che Idlib è piena di sfollati di guerra e di milizie sloggiate da altre aree.
In questo contesto arriva ad Assad una lettera di Papa Francesco, recapitata dal cardinale Turkson. Il testo esatto della lettera non lo conosciamo, ma i commenti fanno cadere le braccia.
Titolo: «Il Papa scrive ad Assad per chiedere la fine delle violenze del regime». Questa è buffa. Liberare Idlib da gruppi radicali e jihadisti sarebbe “violenza di regime”?
Titolo: «Il Papa ha perso la pazienza con Assad». Eh, anche Assad ha perso la pazienza con l’occidente che finanzia la guerra jihadista, oltre a imporre assurde sanzioni al popolo siriano.
Il cardinale Parolin ha commentato: «Papa Francesco rinnova il suo appello perché venga protetta la vita dei civili e siano preservate scuole, ospedali e strutture sanitarie. Quello che sta accadendo è disumano e non si può accettare. Il Santo Padre chiede al Presidente di fare tutto il possibile per fermare questa catastrofe umanitaria, per la salvaguardia della popolazione inerme. Proprio oggi Unicef ha denunciato la distruzione di 8 impianti idrici che portavano acqua potabile a 250mila persone nella zona di Idlib, governatorato situato vicino al confine con la Turchia».
Dimentica di accennare che la colpa di tutto viene dall’occidente e dagli alleati della penisola arabica che hanno finanziato i terroristi e pianificato la distruzione della Siria. E che la maniera migliore per fermare la catastrofe umanitaria è cessare le sanzioni, e consentire una rapida vittoria dell’Esercito Arabo Siriano. I civili patiranno cose indicibili, non c’è dubbio. I cristiani le patiscono già adesso, sotto la cappa plumbea dei jihadisti di Idlib.
Parolin mi rattrista: le sue parole sono corrette, ma non risuonano come una potente alternativa cristiana; suonano come voce insipida inquadrata nella “cornice Siria” imposta dal sistema mediatico.
L’unica forma che consente alle minoranze di sussistere all’interno dell’Islam è la presenza di un uomo forte di impostazione laica. Non pretendo che la Santa Sede faccia l’elogio di Assad. Ma almeno non ostacoli la sua vittoria. 
Giovanni Lazzaretti

martedì 23 luglio 2019

Nuovo appello del Papa: “Che si affretti la pacificazione della Siria!”. Confermiamo: per Idlib, per Aleppo, per la Siria tutta!

In un comunicato apparso sul sito del Patriarcato Melkita, sua Beatitudine il Patriarca Joseph Al-Absi esprime il suo gradimento circa la visita del Cardinale Turkson, accompagnato da S.E. Nunzio Zenari, al popolo siriano e alla leadership siriana: “con un messaggio di amore e pace trasmesso al popolo siriano e alla leadership siriana, ha iniziato la sua visita in un incontro con il presidente siriano Bashar al-Assad e ha trasmesso un messaggio di Sua Santità che esprimeva il suo sostegno alla Siria”.

OraproSiria, con i religiosi siriani, accoglie con speranza l'intervento del Papa: l'appello alla pace è sempre importante, soprattutto aiuta a non dimenticare il dramma di un popolo in guerra.  Ma è importante sottolineare anche la risposta che lo Stato siriano ha dato a questa interpellanza: se si vuole la pace, occorre che chi arma il conflitto dall'esterno venga messo alle strette, sia fatto oggetto di pressione internazionale da chi può..   E, aggiungiamo noi, che si smetta di celebrare come eroi persone che hanno compiuto stragi indossando e sdoganando in Occidente un elmetto bianco come fossero un gruppo di angeli della salvezza, quando sono una organizzazione terroristica..  Occorre ricordare anche le vittime che ancora i terroristi di Idleb continuano a mietere, come ci ricordano le testimonianze qui sotto.

L'immagine può contenere: 1 persona, con sorriso, occhiali e primo piano
Susanne Der Karkour, 61 anni,
insegnante cristiana,
violata per 9 ore,
 assassinata e lapidata
dai jihadisti di Idlib

Padre Firas, francescano, da Aleppo ribadisce a Radio VaticanaNon dimenticare i cristiani di Idlib

"A Idlib la crisi umanitaria è più grave che altrove per quanto riguarda i cristiani in quanto i jihadisti li hanno cacciati da casa, li hanno uccisi. L’ultimo episodio è accaduto una settimana fa: una professoressa cristiana è stata violentata e alla fine lapidata. "La situazione è davvero preoccupante” afferma padre Lutfi."

(ascolta qui l'appello audio)

L'immagine può contenere: cielo e spazio all'aperto

Da Aleppo, il volontario Pierre le Corf, comunica brevemente il drammatico bombardamento accaduto nella giornata di ieri:


Ho smesso di pubblicare, ho provato a staccare, ma tutto non fa altro che ricominciare sempre peggio... Gli attacchi si moltiplicano, le persone muoiono e a decine sono feriti, i terroristi hanno fabbricato missili grad e munizioni che aumentano le loro capacità di gittata...
Ieri nella strada in cui ero, un'ora dopo è stato un massacro... La piccola Nawal ha avuto la gamba strappata da un proiettile; ieri altri non hanno nemmeno avuto questa chanche...
Nel frattempo in Europa, i grandi titoli su un cosiddetto portiere di calcio cantante della rivolta o un eroe dei caschi bianchi che difendono "la libertà" uccisi nei bombardamenti dell'aviazione... 
La loro storia indorata all'oro puro, darebbe quasi pure a me lacrime agli occhi se non sapessi che uno faceva parte di al-Nusra e l'altro dell'ISIS, con tanto di foto e video a sostegno...
Tutto ricomincia come fu per Aleppo, le bugie e le manipolazioni... E intanto dove sono i grossi titoli su tutti i bambini e le persone che muoiono qui? Dove è la piccola Nawal??

L'immagine può contenere: una o più persone
Per conoscenza: DaIl'istituto di medicina legale di Aleppo, ecco il risultato dei morti per attacchi missilistici durante la settimana: 15 martiri, più 34 feriti a causa dei razzi lanciati da Al-Nusra e i suoi alleati sui civili abitanti nella città di Aleppo..

domenica 21 luglio 2019

San Charbel: altre meraviglie del grande santo eremita del Libano

"Il Signore non gli rifiuta niente,
 perché San Charbel
non gli ha rifiutato nente".

Il Calendario liturgico pone la memoria di San Charbel il 24 luglio; molte comunità nel mondo la celebrano nella terza domenica di luglio con grande devozione per suo potere di intercessione presso Dio. La lista dei miracoli e delle grazie ottenuti da fedeli di tutte le confessioni implorando San Charbel è impressionante. San Charbel ha passato gran parte della sua vita nella preghiera, umiltà, ascesi e obbedienza in un povero eremo a Annaya, un piccolo villaggio situato sopra la città di Jbeil-Byblos in Libano. Più volte, nelle sue apparizioni, il santo dice: "Colui che mi vuole trovare, venga a incontrarmi in questo posto con fede, fiducia e soprattutto senza il minimo dubbio."


di Jean Claude e Geneviève Antakli, scrittori-biologi
Siamo poca cosa sulla scala del tempo! A Byblos (Libano), più che altrove, quando ci si siede all'alba sulla cresta di un muro divisorio che separa due mondi, di fronte al Mediterraneo... Da un lato, rovine del diciannovesimo secolo "prima di Gesù Cristo" ... in compagnia di Abramo! Re Ibb Schmon Abi regnò quindi su Gebel Al Arak, cioè il Medio Egitto in Mesopotamia, e fu proprio a Byblos che fu trovata la sua tomba intatta che conteneva il suo scettro, la sua ascia , il suo pettorale ... Dall'altro, 2000 anni dopo, Gesù: "E quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da una donna, nato soggetto alla legge, per riscattare coloro che erano soggetti alla legge", secondo San Paolo nell'Epistola ai Galati. Assalti di tutte le civiltà in questa Terra Promessa da cui si erge e di cui non si potrà mai dire abbastanza, che i Cristiani erano lì, molto prima dell'arrivo dell'Islam, in città radiose come Damasco, Antiochia, Alessandria e tutto questo sullo sfondo del bacino del Mediterraneo.
Che cosa dunque è successo, in modo che l'Islam trionfante venuto dall'Arabia abbia fatto uno sfondamento spettacolare in 3 continenti, fermando i suoi eserciti solo a nord a Poitiers, dove Carlo Martello si è distinto nel 732?  Come furono i primi sette secoli di cristianesimo? Possiamo ammettere oggi che le nuove cristianità, oppresse dalla Chiesa di Bisanzio, schiacciate dalle tasse e perseguitate per oscure dispute teologiche, abbiano accolto come fratelli questi nuovi convertiti alla dottrina di Maometto dal 636? Forse anche loro soffrirono nel IX secolo la separazione tra la Chiesa d'Oriente e quella d'Occidente a Roma che portò alla conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453, che isolò la Chiesa d'Oriente e la costrinse a un cauto ritiro su se stessa.  Forse, infine, nel sedicesimo secolo, l'arrivo dei missionari latini, determinato, nonostante la dominazione ottomana a stabilire un ponte tra Roma e l'ortodossia, portò alla creazione delle Chiese Uniate; frammentando, dividendo la Chiesa orientale in frazioni, alcune delle quali ripristinarono la comunione con la Chiesa cattolica, pur mantenendo il loro rito originario. Al posto dell'unità, questi latini hanno scavato e allargato i fossati involontariamente.
Mentre prendevamo la strada di Annaya, in una mattina del novembre 2018, abbiamo ricordato tutte le discussioni con i nostri amici di diversi riti che ci siamo scambiati spesso. I cristiani orientali oggi si sentono indeboliti, ridotti nelle proprie risorse, specialmente da quando l'Occidente che li proteggeva, e in particolare la Francia, si è scristianizzato e scristianizza il mondo con una civiltà contraria ai loro valori. Dobbiamo ricordare loro che la loro unica forza viene da Dio? Che con la ricchezza teologica, cristologica dei loro grandi santi, dei loro grandi pensatori e filosofi, essi sono questo lievito, questo tesoro in vasi d'argilla! "Ho visto," dice San Paolo, "ed è per questo che ho parlato."
È perché crediamo che parliamo ancora e ancora, con milioni di pellegrini che ogni anno vengono dai quattro angoli del pianeta per radunarsi sulla tomba di questo grandissimo santo libanese, san Charbel Makhlouf, per ottenere attraverso la sua intercessione le grazie che il Signore gli accorda in abbondanza. In questa vita di mortificazione e fedeltà, egli si è offerto per la redenzione di un mondo, per ottenere le grazie che ha richiesto e che chiede ancora oggi, per tutti quelli che lo implorano. San Charbel continua ad intercedere per noi, in Libano, in Medio Oriente e ovunque lo preghiamo.
Questi ultimi miracoli ai quattro angoli del globo ce lo ricordano.
Miracolo No. 31: Signora Maya Sami Francis
(Registrato come tale negli archivi del Monastero di Annaya da Padre Luis Matar nel 2018)
La signora Maya è nata nel 1981 ed è madre di tre figli. Emigrata in Pennsylvania (USA) racconta le circostanze della sua malattia in questi termini: "Due anni fa mi è stato diagnosticato un cancro al seno, sono stata operata e durante la mia convalescenza ho pregato ardentemente san Charbel, affinché potesse guarirmi. Nella notte mi appare in un sogno, mi dà dell'incenso e mi assicura che mi ha guarito. In precedenza, non avevo tenuto nessuno informato, né della mia malattia né di questa apparizione, perché stavo aspettando il mio ritorno in Libano, per annunciare a tutti i miei parenti la guarigione predetta dal venerabile santo.
Ma poche settimane dopo il mio intervento, insorgono dolori lombari insopportabili che mi spingono a tornare dal mio medico di famiglia. Mi prescrive nuovi esami e mi propone un trattamento fisioterapico che si rivela inutile e inefficace. La mia salute si deteriora bruscamente e sono portata d'urgenza all'ospedale della Pennsylvania. Il dottore mi dice che i miei esami sono allarmanti, che preludono l'inizio della paralisi totale, la mia colonna vertebrale è profondamente colpita da un cancro che si sta diffondendo. Più seriamente, due vertebre sono completamente danneggiate a tal punto che la radiografia mostra solo dei buchi bianchi. È necessario sostituirle con 2 protesi metalliche, il che implica un nuovo intervento chirurgico.
Dopo aver ascoltato la cattiva notizia, mio ​​nipote Charbel Francis mi chiama dal Libano e mi propone di pregare insieme per telefono nello stesso tempo. L'appuntamento è fissato ed eccoci separati migliaia di chilometri, uniti nella preghiera, quando improvvisamente San Charbel mi appare di nuovo, ma questa volta di persona: "Io sono con te, non farti operare!” Mi ha detto!
Nonostante la disapprovazione di tutto il personale medico dell'Ospedale della Pennsylvania, Maya Sami Francis lascia l'America, accompagnata da suo marito, per il Libano il 9 ottobre 2018 (anniversario della proclamazione del santità di San Charbel). Il suo chirurgo è convinto che non arriverà mai in Libano, tanto è compromessa la sua prognosi vitale. Una volta sull'asfalto dell'aeroporto Rafic Hariri di Beirut, Maya viene spinta su una sedia a rotelle. Cinquanta pellegrini libanesi sono tutti d'accordo per andare direttamente al monastero di Annaya per pregare con lei per la sua guarigione. Quando arrivano verso mezzanotte sul piazzale del monastero tutte le porte sono chiuse.
Maya, esausta, chiama i suoi cugini del Libano e suo nipote per ottenere le coordinate di padre Luis Matar. Egli stesso contatta padre Luis per spiegare l'urgenza della situazione: sua zia è ai piedi della statua di San Charbel, sul piazzale del monastero di Annaya con 50 pellegrini in preghiera. Padre Luis Matar, che dormiva, non esita un secondo e il tempo di indossare la sua tonaca ed è al capezzale di Maya con incenso e olio santo che unge sulla fronte della malata.
Proprio mentre padre Luis Matar sta per benedire la donna che non conosce su una sedia a rotelle, Saint Charbel fa nuovamente la terza apparizione. Maya sa in questo momento che è guarita. Si alza, articola le braccia e le gambe, muove il suo collo paralizzato fino ad allora, ritrova la sua voce, inizia a cantare e danzare sotto lo sguardo sbalordito dei suoi amici pellegrini e dei suoi cugini che sono accorsi!
Il giorno seguente, dopo una notte insonne, piena di gioia e felicità, Maya Sami Francis torna sul luogo della sua miracolosa guarigione per ringraziare Padre Luis Matar e chiedergli di registrare la sua guarigione. Padre Luis non dubita della sincerità di Maya, ma le consiglia di andare all'ospedale più vicino per sottoporsi a esami medici per autenticare scientificamente la causa miracolosa della guarigione. Può scegliere tra il prestigioso American Hospital di Beirut o l'ospedale più vicino, il North Hospital di Tripoli. Il dottor David Wahbé, che avrebbe dovuto seguirla durante questo periodo transitorio in Libano, la indirizza all'Ospedale universitario di Tripoli. Tutti gli esami radiologici e le indagini confermano una guarigione totale con una prova sbalorditiva: le 2 vertebre cervicali, che erano praticamente disintegrate, sono state rigenerate in modo scientificamente inspiegabile!
Il 19 ottobre, ossia dieci giorni dopo il suo arrivo in Libano, Maya, accompagnata da suo marito, dal fratello e dal nipote, torna ad Annaya nel monastero di San Charbel per registrare la sua guarigione miracolosa con padre Luis Matar, archivista di tutti i miracoli di Saint Charbel nel mondo, con tutti i suoi rapporti medici in mano.

Miracolo No. 32: Signora Micheline Chahine Hindi
Micheline è nata a Zahle (Libano) nel 1970, moglie di Nabil Wadih Khater, madre di due figli, vive a Jdita. Soffre di molti disturbi gastrici senza conoscere l'origine della sua malattia e si affida al Signore chiedendogli di aiutarla a sopportare le sue sofferenze e se possibile di guarirla. La notte nella quale si affida al Signore, San Charbel in compagnia di Santa Rafka le appare in sogno, e le dice: "Non aver paura!"
In questo momento è totalmente inconsapevole di avere un cancro. Pochi giorni dopo, Micheline sperimenta dolori gastrici insopportabili. E' trasportata all'ospedale di Zahle, dove viene operata urgentemente per un'appendicite acuta. Contemporaneamente viene scoperto un grosso tumore lungo 12 cm. e 7 cm. di spessore. Questo sembra strano al chirurgo, che è sorpreso perché né lo scanner né la risonanza magnetica avevano rilevato una tale massa! Di fronte a questo enigma, chiede quindi una biopsia del tumore e consulta un altro collega oncologo. La diagnosi è senza appello. Solo alla famiglia di Micheline viene raccontata la serietà dei risultati. La sua famiglia è contraria alla chemioterapia.
Una catena di preghiere viene organizzata e Micheline nella prospettiva di una prossima chemioterapia è sottoposta subito a digiuno e a una dieta speciale, la sua famiglia implora san Charbel di guarirla prima di qualsiasi trattamento.
Il sesto giorno, il radiologo entra nella stanza di Micheline Chahine: "Non ringraziarmi, è piuttosto Dio che dobbiamo ringraziare, la tua fede ti ha salvato! Inaspettatamente, la nuova biopsia tumorale è risultata benigna. Penso che tu possa andare a casa, che la chemioterapia non sia più utile e che non ci saranno altri trattamenti farmacologici.”. Da allora, i controlli biologici che si sono succeduti hanno confermato una guarigione inspiegabile. Durante le due apparizioni di Saint Charbel sia prima del suo ricovero che dopo, egli la aveva rassicurata in questi termini: "Non aver paura e tieni questa raccomandazione vicino al tuo cuore". Micheline Chahine aggiunge: La mia guarigione la devo anche alla mia famiglia che non ha mai smesso giorno e notte di raccogliersi per pregare sulla tomba del venerato San Charbel ad Annaya. Sono venuta con tutti i miei certificati medici il 20 ottobre 2018 per registrarmi presso padre Luis Matar, con le prove della mia guarigione spettacolare e ringraziare il Signore e Nostra Signora del Libano.

mercoledì 17 luglio 2019

Padre Daniel: dalla Siria, una riflessione sulla 'buona morte'


Qara, giugno 2019

Piacere di vacanza
La nostra giornata di solito termina con una o un' ora e mezza di ricreazione in comune, che finisce con una breve preghiera nella cripta o nella cappella del nuovo edificio per ringraziare Dio per questo giorno, per chiedere perdono per ciò che era sbagliato e per chiedere la benedizione. In estate è meraviglioso sedersi all'aperto. I nostri due posti preferiti sono in cima alle scale del nuovo edificio e sul dondolo all'ingresso. 

Qualche sera lasciamo la parola ai  nostri ospiti. La giovane giornalista svedese qui ospite di passaggio ritiene che il suo paese sia tra i paesi più decadenti (in termini di lobby omosessuale, aborto, suicidio, eutanasia, ideologia del gender, ecc.). Anche le comunità cristiane (principalmente luterane) sono purtroppo completamente "socialmente corrette", a parte alcuni nuclei etichettati come "conservatori". A Malmö, la terza città più grande del paese, vivrebbe solo il 10% di nativi svedesi. Si parlano 140 lingue diverse! Già da ragazza era interessata alla Siria, la culla della fede cristiana. All'età di 15 anni sentì il bisogno di resistere alla degenerazione morale e alle menzogne ​​dei media e iniziò il suo proprio giornale. La "stampa alternativa" è finanziata in Svezia, anche se scrive cose che non sono generalmente accettate. Ha perseverato nonostante le ripetute minacce e ora nota che la stampa regolare ha sempre meno credibilità e che la stampa alternativa sta ottenendo sempre più attenzione. Possiamo solo incoraggiare il suo coraggio giovanile e il suo entusiasmo. 
Una coppia di giornalisti olandesi mi ha riferito che si è tenuto un dibattito in Olanda sul finanziamento dato ad alcuni gruppi ribelli in Siria. Mentre tutto questo è vagamente sorvolato dai media, questa coppia ha cercato i nomi di quei gruppi con i loro leader accompagnati di una serie di foto delle atrocità che hanno commesso e hanno mandato questa informazione ad alcuni politici.

Domenica pomeriggio siamo andati ai piedi dei monti Antilibano per fare una passeggiata e finalmente sederci attorno al fuoco improvvisato per fare un tè, raccontare e cantare. Ogni lunedì alcuni giovani di SOS Chrétiens d'Orient vengono ad aiutarci. Il gruppo sta diventando sempre più internazionale: un ragazzo e una ragazza francesi, un italiano e un siriano. Questa volta c'era "il loro cappellano". È un giovane sacerdote, P. Augustin-Marie Aubry, della Fraternità Saint-Vincent-Ferrier, fondata 40 anni fa da P. Louis-Marie de Blignières nello spirito del sacerdote spagnolo Vincent Ferrier (+ 1419), fervente predicatore, e di San Domenico (+ 1221). È una nuova comunità con il fuoco dei primi domenicani. Padre Aubry ci ha anche parlato dell'ultimo pellegrinaggio da Parigi a Chartres e degli incontri e delle conversioni meravigliose che accadono in quei tre giorni. Finalmente, molte comunità religiose europee dovranno anche scegliere tra l'organizzazione di un funerale senza problemi o una dolorosa rinascita radicale piena di speranza.

  Il generale francese Dominique Delaware dimostra quanto la politica occidentale (Stati Uniti, Regno Unito, Francia + Israele, Arabia Saudita) sia dominata da una forte lobby pro Israele. La politica degli altri è una contro-reazione (Russia, Iran, Turchia + Siria, Iraq, Hezbollah, Yemen, con l'approvazione della Cina). Il generale crede che il tempo giochi a favore del secondo gruppo e conclude: "migrazioni forzate/dislocazioni di popoli senza precedenti nella storia scuoteranno il nostro pianeta e destabilizzeranno intere regioni. Anche in questo caso, l'UE, indebolita dalla crisi e dalla sua divisione, sarà nella linea di fuoco. Non c'è alcun motivo di rallegrarsi per questa prospettiva, ma cambieranno totalmente il volto della geopolitica globale. Dobbiamo prepararci” ( https://www.mondialisation.ca/pour-mieux-comprendre-les-politiques-de-defense-et-la-diplomatie-au-proche-et-moyen-orient/5634780 ).

Raccolto estivo.
Le ultime ciliegie sono state raccolte e anche l'aglio. La raccolta delle albicocche è iniziata. Per ora, vengono raccolte solo le albicocche cadute. Anche i gelsi sono maturi. Devi indossare vestiti di plastica perché durante il raccolto queste bacche danno molto succo rosso e ti sporca dappertutto. Nel frattempo è iniziata anche la raccolta delle erbe, dell'eccellente melissa.

  Qui ci sono anche costantemente persone in cerca di quiete. Una vedova con due bambini, che è rimasta con noi a lungo durante il suo periodo di difficoltà e ora vuole prendersi qualche giorno di riposo per i bambini. Anche una vedova con tre bambini piccoli di Ma'aloula che ha perso tutto a causa dei terroristi. E le ragazze vogliono includere quei bambini nel loro gioco o nel loro lavoro.

La terza via per una "buona morte"
Fino al recente passato, la medicina moderna era in grado di allungare la vita di un malato incurabile quasi indefinitamente attraverso operazioni, interventi e trattamenti costantemente nuovi. Questo viene chiamato "accanimento terapeutico" o l'uso di risorse che impongono un enorme peso sulla persona morente e proporzionalmente non producono un risultato benefico. Si estende solo la vita del morente. Questo è ora giustamente generalmente respinto.
 Nel frattempo ora si fa strada la possibilità legale dell'eutanasia. È iniziato con l' Oregon Death with Dignity Act negli Stati Uniti nel 1997. I Paesi Bassi hanno seguito nel 2001 e il Belgio nel 2002: sotto certe condizioni è legalmente permesso aiutare qualcuno che vuole morire con il suo suicidio. Dovrebbe essere ampiamente controllato se le condizioni rigorose sono rispettate e, in particolare, come non vengono osservate nella pratica. Inoltre, verificare in quale misura il controllo funziona in modo efficiente e, in particolare, quando non funziona. 
Tuttavia, in questo scritto vogliamo concentrare la nostra attenzione su una domanda più essenziale: la nostra civiltà, con le sue vaste possibilità mediche, non è capace di offrire niente di meglio ai morenti e agli ammalati incurabili che queste due soluzioni disumane? Ci manca veramente la creatività e il coraggio per dare una guida di qualità reale alle persone che sono arrivate al momento importante in cui chiudono per sempre le loro vite terrene?

 Questo mese di giugno è stata pubblicata una raccolta di testimonianze preziose e professionali che l'editore, il professor Timothy Devos (ematologia KUL, Università Cattolica di Leuven) mi ha inviato personalmente e che ho ricevuto prima di tornare dal Belgio in Siria: Timothy DEVOS e altri, Eutanasie, l ' envers du décor. Reflexions et expériences de soignants, Prefaces de Jacques Ricot e Herman De Dijn, Edizioni Mols, 2019 (con un piccolo lessico alla fine che spiega il significato dei diversi termini). È un libro profetico, scritto da persone che dedicano le loro vite al servizio dei morenti. Sono persone che non fuggono quando sta morendo il loro paziente. Hanno il coraggio e la creatività di accompagnare il morente alla fine del viaggio terreno. Mettono anche in evidenza ciò che è rimasto troppo nascosto fino ad oggi, cioè i numerosi inaccettabili "effetti collaterali" dell'attuale eutanasia.
 La pratica dell'eutanasia assomiglia a un flusso che va sempre più oltre le sue sponde. Questa pratica viene offerta troppo precocemente, anche quando è illegale (pagina 31 del libro sopra menzionato). I suoi difensori invocano volentieri il diritto assoluto all’ autodeterminazione del paziente. Tuttavia, questo è un mito che non ha alcun supporto nella realtà. Chiunque lo domandi, deve chiedersi per un momento quale partecipazione abbia avuto nelle questioni più importanti della sua vita: tempo, luogo e circostanze della sua stessa origine. Se siamo fisicamente forti o deboli, intellettualmente dotati o meno, esperto musicale, tecnico, pratico o meno, ricchi o poveri ... non avevamo nessuna voce in capitolo, nemmeno nel fatto della nostra esistenza. Chi prende questo seriamente in considerazione e poi richiede un diritto assoluto di autodeterminazione, non può che diventare o completamente confuso o accettare con gratitudine la sua vita come un dono, un mistero affidatogli da altrove. 
 E la fede cristiana ci illumina in modo preziosissimo. Siamo tutti creati come una persona unica, a immagine e somiglianza di Dio, che è l'Amore. Per questo, abbiamo tutti la stessa dignità umana che nulla o nessuno può toglierci. C'è limitazione, male e peccato nella vita di tutti. Troviamo la nostra redenzione e il nostro compimento in Gesù Cristo attraverso la partecipazione alla sofferenza e morendo come Lui e così trasformati poter partecipare alla vita eterna e alla felicità di Dio stesso. Non possiamo mai perdere l'immagine di Dio, invece abbiamo perso la somiglianza di Dio attraverso il peccato. Attraverso la nostra trasformazione della sofferenza e morte con Cristo, riconquistiamo la somiglianza di Cristo, chi è l'icona del Padre. In questo modo possiamo finalmente partecipare all'infinita felicità di Dio, per la quale siamo creati e per la quale tutti abbiamo un desiderio nel profondo del nostro essere. Dopotutto, come esseri umani siamo un flusso insaziabile di desideri (mai pienamente soddisfatti sulla terra). Vivere, soffrire e morire sono un grande mistero per noi, ma non sono irrazionali.
 Nei primi anni dopo la legalizzazione, "i suicidi assistiti" in Oregon si sono eseguiti sostanzialmente per questi tre motivi: voler prendere da se stesso il controllo delle circostanze della propria morte, considerarsi pronti a morire, e considerare la propria vita senza senso (pp. 114-115). Questo dimostra la difficoltà di vedere la propria vita come un dono di 'più alto'. Queste persone pensano che dovrebbero e possono prendere tutto nelle loro mani, il che è un'illusione. Così la vecchiaia, le imperfezioni, la sofferenza e il morire saranno sempre meno accettati. E così la nostra società diventa sempre più accecata dal successo personale e esteriore e così un aspetto importante del nostro essere è respinto. La sofferenza, la croce e la morte fanno parte della nostra esistenza umana. Ogni sofferenza è “umana" e una vita senza sofferenza non può nemmeno essere chiamata umana. Quindi "la sofferenza disumana" in realtà non esiste. Ci sono atti inumani che fanno soffrire gli altri ingiustamente, ma anche questa sofferenza non è inumana.  Infine, la nascita e la morte appartengono alla vita come le due sponde dello stesso flusso. Dobbiamo, naturalmente, fare tutto il possibile per alleviare, togliere ed evitare la sofferenza. Chiunque creda che la sofferenza e la morte possano e debbano essere completamente rimossi dalla vita umana, commette un errore pericoloso. Dobbiamo fare tutto il possibile per alleviare o eliminare la sofferenza e circondare ciò che rimane con la più amorevole cura possibile. Attraverso la nostra sofferenza e la nostra morte insieme a Cristo, saremo trasformati nell' 'uomo nuovo' e nella Vita del Signore Risorto, come ci insegna la nostra fede cristiana.
 Con nostra lieta sorpresa, le idee di Viktor Frankl (+ 1997) ricevono ampia attenzione. È il fondatore della terza scuola viennese, la logoterapia, che non vuole perdersi in qualsiasi terapia, ma vuole offrire una terapia del senso della vita. Nel campo di concentramento arrivò alla convinzione che ogni vita ha un significato incondizionato. Ama il pensiero di Dostoevskij, cioè che bisogna essere degni della propria sofferenza. È anche un maestro del relativo e dell’umorismo. Secondo lui, la psicologia dell’ inconscio ha bisogno principalmente della coscienza . Per lui, la dignità dell'azione umana risiede nella responsabilità delle proprie azioni. Per questo Frankl propone che gli USA erigano sulla costa occidentale una statua della “responsabilità” di fronte alle statua della “libertà” della costa orientale.
 L'originalità del libro suddetto sta nelle scintillanti testimonianze di medici e badanti fedeli che si rendono conto che la questione dell'eutanasia dei loro pazienti nasconde molti altri bisogni che non possono essere ignorati. Non si tratta solo di sofferenza fisica, ma anche di sofferenza psicologica, spirituale e sociale. La questione dell'eutanasia è spesso un grido: fammi sentire che sono ancora prezioso. "Chi soffre vuole essere guidato, anche se vuole morire". Questi coscienziosi assistenti resistono all'eutanasia e si assumono tutta la loro responsabilità offrendo qualcosa di molto meglio: cure palliative. Vogliono investire in assistenza di qualità. Mettono in chiaro che rimarranno vicino al paziente fino alla fine, che la sua vita rimarrà preziosa, che possono alleviare un sacco di sofferenza e vogliono prendere al cuore di tutte le altre preoccupazioni. " Più naturale è la morte, più naturale sarà il processo di lutto ". Le cure palliative non sono affatto finalizzate ad accorciare o prolungare la vita, ma un modo di vivere con dignità e umanità fino alla fine. "Il medico c’è a volte per guarire, spesso per alleviare e sempre per confortare". Il suo compito è: dare speranza e proteggere la vita anche di coloro che chiedono l'eutanasia. Sono soprattutto i risultati di questa attitudine alla vita che sono così impressionanti. Un paziente chiede l'eutanasia, ma riceve invece cure palliative estese e vive per altri tre anni. Questo paziente dice di essere felice che non hanno risposto alla sua richiesta di eutanasia in quel momento. Una signora di 50 anni, prendendo 32 medicine al giorno e dopo 4 tentativi di suicidio, chiede l'eutanasia sostenuta dal marito. Dall'altra parte, riceve le necessarie cure palliative. Dopo iniziali forti proteste, accettano ciò che viene loro offerto. Alla fine, la donna muore pacificamente tra le braccia del marito. Una settimana dopo l'uomo viene a ringraziare il dottore con una scatola di cioccolatini e gli chiede se, quando arriverà il suo momento, può anche lui essere accompagnato in questo modo. Questo terzo percorso di cure palliative include anche la sedazione palliativa, che riduce la coscienza e allevia il dolore. Questa sedazione è regolata di volta in volta e di solito è di natura temporanea. Non è affatto mirata ad accorciare la vita. Sia le cure palliative che la sedazione palliativa sono incompatibili con l'eutanasia.
 I medici che praticano l'eutanasia sono spesso elogiati nell'opinione pubblica. Si può facilmente sostenere che mostrano pietà per il loro paziente, che rispettano la sua opinione, che sono tolleranti ... È proprio vero? Un medico che pratica l'eutanasia non è piuttosto un disertore che fugge dai suoi doveri come assistente medico e accompagnatore fino alla fine? O un tecnico che adempie la domanda pratica del suo cliente, o un ufficiale al servizio di una legge umanamente indegna? Non osa affrontare il mistero della vita, della sofferenza e della morte. Sfugge alla sua responsabilità personale come custode della vita. Inoltre, si tratta qui di una nuova forma di paternalismo nel campo della medicina... Questo paternalismo non è qualcosa che la gente vuole evitare nel nostro tempo? Si uccide il paziente perché non si può riconoscere la propria impotenza nei confronti del morente. Quando il medico accetta la domanda di eutanasia, non dice nei fatti al paziente: in effetti, tu non vali più nulla? Ci sono anche dottori che sono a favore dell'eutanasia, ma non vogliono eseguirla. Perché? 
 Ci sono anche altre domande significative. Perché in seguito all'eutanasia viene scritto nel dossier medico "morte naturale" e perché il nome del medico che esegue l'eutanasia può rimanere anonimo? Se eutanasia fosse un atto medico così buono, perché dovrebbe rimanere nascosto? Il legislatore, che ha reso l'uccisione "legale", dimostra dei dubbi o dei rimorsi da qualche parte? 
 E poi, le inaspettate testimonianze di medici che commettono l'eutanasia! Un medico ha familiarizzato con la pratica dell'eutanasia fin da giovane, ma ogni volta che ha praticato l'eutanasia è stata malata per tre giorni. Un altro medico che ha praticato l'eutanasia confessa con le lacrime agli occhi che a volte si sveglia la notte con il sudore e vede il volto di quelli che ha ucciso (pagina 193). E quanto macabra può essere l'atmosfera nell'eutanasia (pagina 195). C'è davvero un'enorme differenza tra uccidere qualcuno e lasciarlo morire. "Dopo l'eutanasia c'è un silenzio gelido nel dipartimento "(pagina 184).

"Qualunque cosa pensiamo, tutti portiamo in noi un seme di eternità"(pp. 171-172). Vorrei commentarlo.  Ho trascorso otto anni con persone morenti nel primo ospizio palliativo nelle Fiandre. Non ero un dipendente e neanche un volontario. Una volta sono stato chiamato da un moribondo perché mi trovavo nelle vicinanze. Allora ho dato la mia disponibilità che potevano chiamarmi ogni volta che avevano bisogno. È così che sono stato chiamato (in latino: ad-vocatus). Ogni volta gli infermieri descrivevano la situazione del moribondo per il quale era stato chiamato. Questo è stato di grande aiuto. Una volta sono stato chiamato con urgenza e quando sono arrivato non c'era un'infermiera nella zona. La donna delle pulizie mi ha indicato l'ultima persona arrivata che stava morendo, ma questa persona aveva esplicitamente detto che non voleva un prete nella sua stanza. Ovviamente nè io né la donna delle pulizie lo sapevamo. Ho notato sì una resistenza molto forte, ma ho parlato con lei con molta pazienza. Ero convinto che lei potesse avere grandi sbalzi d'umore e che tuttavia aveva chiesto l'unzione degli ammalati. Alla fine ho chiesto se era d’accordo che pregavo un po' e lei era d’accordo. Questo ha cambiato il suo atteggiamento e ho continuato fino a quando ho amministrato l'unzione degli ammalati. Ci siamo salutati in un'atmosfera molto serena. Nei giorni seguenti volevo sentire dalle infermiere come questa donna aveva risposto alla mia visita, ma tutti tenevano le labbra serrate. Senza incolparmi di nulla, tutti erano molto preoccupati perché la donna aveva esplicitamente detto che non voleva un prete. Solo dopo la sua morte qualcuno ha osato confidarmi che dopo la mia visita questa donna ha detto che io avrei potuto visitarla ancora ogni momento! Questa contraddizione nell'atteggiamento della gestione di questo ospizio è indicativa del nostro tempo liberale. Da un lato, vogliono fare di tutto per soddisfare i desideri dei morenti, ma un bisogno religioso si estingue con un pezzo di carta obsoleto. Infatti, il tempo sia della “ostinazione terapeutica” che della eutanasia è già passato. Entrambe sono soluzioni inadatte, obsolete e disumane per i morenti e gli incurabili. Il libro citato dimostra un percorso molto migliore con molti esempi pratici: cure palliative e sedazione palliativa. L'eutanasia è incompatibile con questo. L'eutanasia è una maledizione per l'umanità, per la civiltà, per le cure mediche e per il giuramento di Ippocrate (460-377). Questo vecchio dottore del V secolo a.C, senza i mezzi infiniti della medicina moderna, sapeva che la vita umana è sacra fin dal grembo materno e che la vita umana merita ogni cura fino alla sua morte naturale. I medici dei tempi antichi potevano, senza i mezzi della medicina attuale, assistere le persone alla fine della loro vita. È giunto il momento di collegare questa antica saggezza con le moderne cure mediche per offrire assistenza creativa e umana. Dall'eutanasia moderna come suicidio programmato con assistenza, dobbiamo urgentemente passare al significato originale della etimologia della parola “eutanasia” come "buona morte": cosi le persone saranno in grado di lasciare la vita che hanno ricevuto a suo tempo e nel modo naturale.
 
Padre Daniel
 traduzione : A. Wilking

giovedì 11 luglio 2019

Siria. La distruzione della memoria.

LETTURE PER CAPIRE (1° PARTE)


Edifici solitari, interi borghi e villaggi con strade ingombre di massi squadrati, muri bordati di portici su pilastri o colonne, stanze prive soltanto del tetto spalancate al cielo, parapetti di balconi, templi e mausolei. Migliaia di edifici, tra cui le vestigia di 1200 chiese (una ogni 3 km²)
e numerosi monasteri sono i testimoni di un’originale civiltà provinciale nata dall’occupazione romana ma più  vicina al mondo greco-orientale - che fiorì (dal I al VI secolo d.C.) tra il Mediterraneo e l’altipiano iranico - caratterizzata da importanti contributi innovatori dell’arte della costruzione locale che si contraddistinse per una grande chiarezza compositiva e per la maestria nell’impiego delle pietre di grosso taglio senza alcun elemento coesivo. Dopo un abbandono durato molte centinaia di anni, furono riscoperti nella seconda metà del XIX secolo e da allora non hanno cessato di affascinare storici dell’arte, archeologi e viaggiatori illustri, ma da oltre otto anni subiscono saccheggi e devastazione nell’indifferenza del mondo che si pretende civile. 
Anche io ne rimasi affascinata la prima volta che li incontrai e li ho visitati per molti anni con sempre rinnovato stupore insieme al mio compianto maestro, l’archeologo P. Pasquale Castellana, che vi fece ricerche e scoperte importanti nel corso di oltre quattro decenni e che mi insegnò con grande scienza e generosità a conoscere e a comprendere quei luoghi straordinari e le vicende che vi si svolsero nei secoli. Allora, in Siria regnava la pace e l’unica preoccupazione era su come preservarli dai danneggiamenti a causa del recente ripopolamento della regione. In questi tempi di guerra ho cercato di non ricordarli troppo, perché il fatto che   l’orda barbarica calata a infestare la Siria - un’accozzaglia di banditi efferati e idioti fatti passare per ‘’ribelli’’ - stava distruggendo il suo straordinario patrimonio storico-artistico era per me insostenibile. Ma oggi che i guerrafondai tornano a propinarci con tutti gli strumenti del mainstream una campagna ingannevole per giustificare l’appoggio a quei banditi e la ‘’liberazione’’ della provincia di Idlib e dei territori circostanti dall’unico esercito legittimo che li combatte, sento l’urgenza di raccontare e denunciare. Perciò, ho pensato di tradurre e proporre ai lettori di Ora Pro Siria un mio vecchio articolo pubblicato nel 1997 da una rivista spagnola1. Questi luoghi devono essere salvati dalla barbarie che li abita. I Siriani che amano il loro Paese vogliono preservare non soltanto la sua integrità territoriale ma anche l’incomparabile eredità del passato che esso custodisce, o almeno quel che rimane dopo i lunghi anni di guerra iniqua sbandierata dal disumano Occidente come umanitaria.
Colonne, capitelli, stele, innumerevoli architravi scolpiti delle porte e finestre di case, di sepolcri, di chiese e di altri edifici pubblici sono asportati e venduti, soprattutto attraverso la Turchia. Il resto è distrutto o corre il rischio di esserlo presto. 
Maria Antonietta Carta


L'immagine può contenere: spazio all'aperto
L'immagine può contenere: cielo, spazio all'aperto e natura











P.S. Mentre stava per essere pubblicato il mio articolo sulle "Città Morte’’, ho letto una notizia sul furto delle magnifiche vestigia del tempio di ‘Ain Dara (nella regione nord-occidentale della Siria). Era un sito antico di 3.000 anni con imponenti sculture di leoni e sfingi e una struttura che ricordava il tempio di Salomone a Gerusalemme descritto nel libro dei Re. Ancora una conferma di come i luoghi che custodiscono la complessa e inestimabile eredità culturale siriana siano sempre più colpiti. Deliberatamente. 
Il tempio di Ain Dara, come le Città Morte del Massiccio Calcare, in teoria sarebbero protetti dal diritto internazionale - Nel 2011, anno di inizio della guerra, l'Unesco le dichiarava patrimonio dell'Umanità! Ma non saranno questi ipocriti riconoscimenti di una istituzione che sembra servire sempre più soltanto a colorare di rosa la globalizzazione liberista e guerrafondaia a salvarle dalla distruzione.
   Maria Antonietta Carta



Le Città Morte del Massiccio Calcare
Qatura. Architrave di epoca romana


Durante i primi secoli d. C., in una regione della Siria compresa tra Antiochia, Apamea e Aleppo, ponte tra l’Asia Minore, le steppe dell’Est e il Mediterraneo, nacque e si sviluppò una civiltà agraria originale e opulenta. Particolari condizioni storiche hanno preservato oltre 700 siti dell’epoca. Un insieme di monumenti eccezionali che fanno di quest’area detta delle Città Morte del Massiccio Calcare - tra le più ricche del mondo per l’importanza e il numero delle vestigia paleo-cristiane dal IV al VII secolo - un prezioso laboratorio d’indagine sulla storia economica, sociale, architettonica e spirituale della Siria romana e proto-bizantina.  

Siria provincia romana
    Nel 66 a.C. il Senato romano affida a Pompeo l’amministrazione degli affari orientali e nel 64 a.C. egli arriva in Siria, destituisce Antioco XIII, che approfittando della lontananza di Tigrane il Grande vi aveva instaurato il potere macedone, vi insedia due legioni e delega l’amministrazione a un proconsole residente in Antiochia. Terminava la dominazione seleucida e la Siria diventava provincia romana. 
Roma comprende molto presto, come anteriormente Alessandro Magno, l’importanza strategica della Siria crocevia dei tre mondi. Da lì, poteva controllare la Giudea, mandare spedizioni armate contro l’Egitto, contenere l’avanzata delle tribù d’Arabia e mantenere una finestra aperta sull’Asia. E nel Limes orientale l’Eufrate avrà la stessa funzione del Reno e del Danubio nella Pars occidentis, per le strategie di contenimento e di espansione di Romani, Parti e Sassanidi. SI rinnovavano le dinamiche conflittuali tra il mondo occidentale-marittimo e quello asiatico-continentale 2. La nuova provincia diventa anche teatro di scontro durante le guerre civili tra Pompeo e Cesare, Crasso e Antonio, ma a partire dall’ascesa al potere di Augusto la Siria conosce la stabilità per due secoli e mezzo. 
Trascorso il periodo della conquista, si procede alla romanizzazione delle provincie e quindi a consolidare il territorio conquistato: politica iniziata all’epoca degli Antonini.  Durante il regno di Traiano e Adriano (imperatori di origine ispanica) si edifica il Limes di Chalcis, parallelo all’Eufrate, dal porto di Zeugma fino alla frontiera persiana, poi il Limes d’Arabia lungo la rotta Damasco-Mar Rosso. Entrambi costituiti da un insieme di città fortificate collegate da castella, castra e torri di osservazione, che permettono anche di esercitare il controllo sulle tribù nomadi e le vie carovaniere. rendendo sicuro il traffico commerciale. In questo periodo, si pavimenta la via Antiochia-Chalcis, iniziata durante una campagna contro i Parti per collegare la costa mediterranea con l’interno.
Le vie con funzione militare ed economica, iniziate all’epoca di Augusto e completate da Traiano (98-117), Adriano (117-138) e Marco Aurelio (161-180), solcano ormai la Siria. Una rete stradale che dal cuore dell’Impero si irradia fino alle provincie più lontane, permettendo il rapido spostamento delle legioni e gli scambi commerciali tra Oriente e Occidente. 
Via Antiochia-Chalcis
Importanti opere idrauliche sono realizzate nelle città costiere e in quelle dell’interno,  mentre in pieno deserto si scavano pozzi ogni 10-20 km e profondi anche 70 metri per rendere prospere le oasi e fornire acqua alle carovane provenienti da Trebisonda e dirette al Mar Rosso. All’epoca di Antonino Pio, con lo scopo di unificare anche religiosamente coloni e autoctoni, si edificano templi alle divinità imperiali, ma lasciando un margine di libertà di culto agli autoctoni. Nelle provincie orientali, al centro degli interessi degli Antonini, politica, economia e religione sono dunque perfettamente coordinate e integrate in funzione della Pax romana. È significativo il programma politico di Adriano, che si riassume in: Iustitia, Oriens, Pax, Pietas. Con Traiano ha inizio la colonizzazione delle campagne, e la Siria, fino ad allora essenzialmente una civiltà urbana con l’economia basata soprattutto su attività artigianali e traffici commerciali 3, vede fiorire i suoi territori sterili. 

Nascita e sviluppo dell’edilizia nel Massiccio Calcare. 
La colonizzazione delle campagne, determinante per la nascita di un’agricoltura razionale basata sulla coltivazione di ulivi e viti e per il popolamento di regioni quasi disabitate, favorì anche un importante sviluppo edilizio che avvenne in due fasi.  
La prima fase, iniziata con l’occupazione romana, si protrarrà fino a metà del III secolo. I coloni costruiscono ville e strade. Col tempo nascono villaggi, borghi e cittadine provinciali. Nelle alture si innalzano templi agli dei greco-romani e orientali: i primi formati dalla cella preceduta da un vestibolo con colonne e i secondi, tipicamente semitici, costituiti da un recinto sacro (haram)
  
 Borj Baqirha, II secolo D. C. Piccolo tempio ellenistico situato sulla sommità del lato occidentale del Gebel Barisha nella sua discesa verso la piana di el - ’Amq e la costa mediterranea, esso domina a Est la piana di Sarmada.  Per la sua posizione, gli indigeni lo chiamano Borj el - Mou’allaq, ( la torre sospesa). Forse unico ad essere sopravvissuto al decreto di Teodosio il Grande, ( 380 d. C.), che ordinava la chiusura dei luoghi di culto politeisti,  Borj Baqirha è un edificio tetrastilo prostilo, di cui restano in piedi il muro occidentale con la metà del frontone, buona parte del muro sud, una colonna del portico, sormontata da un capitello corinzio, e la porta del muro di cinta, il cui architrave reca una iscrizione con la dedica  a Zeus Bomos, ( Nel II e III sec d. C., tutte le alture circostanti: Sheikh Barakat - Monte Korifeo - Gebel Srir, Bachmichli, Borj Mahadoum, avevano templi dedicati a Zeus ), e l’ anno di costruzione ( 161 d. C.). Un’ altra iscrizione, con la data (238 d.C.) e il nome di chi la fece restaurare, Aurelios Kyrillos, si trova sulla colonna nord del portico. Il resto delle rovine: capitelli, architravi, etc.  giacciono sparsi al suolo. Nelle sue vicinanze, vestigia di abitazioni e frantoi per le olive.

con al centro una sala rettangolare scoperta e dotata di un altare per i sacrifici. I centri abitati si arricchiscono di residenze signorili, frantoi industriali e di una rete di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, unica risorsa idrica importante della regione. In questo primo periodo, predomina lo stile architettonico greco-romano con contaminazioni locali. Alla fine del II secolo, compaiono elementi decorativi che nei capitelli ricordano il Hauran (Siria meridionale), la Cilicia e la Nabatea, e nei monumenti funerari la Comagene. Durante il III secolo, vi si stabilisce una popolazione semitica che darà origine alla media e piccola proprietà. L'architettura acquisisce un carattere proprio, comune a tutta la regione. Ville monumentali o modeste abitazioni presentano lo stesso schema: due piani, con due o più stanze a ogni piano e porte e finestre nel lato sud protetto da gallerie aperte che si affacciano su un cortile recintato. Lastroni in pietra, sostenuti da archi spesso monolitici, formano i pavimenti del piano superiore. I tetti, a doppio spiovente, avevano l'armatura in legno ricoperta di tegole. Due nicchie ornano i lati delle porte, secondo una tradizione mediorientale antichissima. 
Refade. Edificio con due torri. Erano tanto belli e accoglienti questi luoghi oggi violati dalla guerra. 
 
Gebel Zawyie Arcate che sostenevano i lastroni del pavimento del piano superiore di una casa
Refade. Porticati su due piani con balconi. Facciata sud di una villa.

Nella corte, i locali di servizio e la cisterna per l'acqua piovana. Talvolta, la facciata del recinto è fiancheggiata da torri.  Nel IV secolo, si edificano le prime chiese. 
Alla fine del V secolo e nel VI, gli abitati del Massiccio Calcare si differenziano secondo fattori economici, sociali o religiosi. Semplificando al massimo, possiamo classificarli come segue: 
1) Residenze monumentali isolate nei latifondi. 
2) Semplici villaggi agricoli. 
3) Borghi residenziali di ville. 
4) Agglomerati periferici con funzioni specifiche: a) industriali, con strutture per la trasformazione della materia prima, soprattutto olive e uva. b) commerciali: centri di transito dottati di bazar, alberghi e ospizi, terme ed andron. 
5) Centri di pellegrinaggio, nelle vicinanze di santuari celebri. 
6) Importanti complessi monastici simili alle grandi proprietà private.

 
Deir Sim’an. De Vogüé la definisce: La più grande abitazione privata che abbiamo visto in questa regione (De Vogüé,  Syrie centrale, Architecture civile et Religieuse,  Paris 1865-1877, pg. 125, Tav. 109)  e per G.Tchalenko si tratta di un edificio pubblico.


Alberghi, Bazar, Andron 
Alberghi (pandocheia). Edifici a due o tre piani, di varie dimensioni e circondati da gallerie aperte (porticati) su pilastri o colonne. Si sviluppano attorno a una corte come nelle case. Il piano terra, con mangiatoie scavate nella roccia, fungeva da stalla. A essi, sono annessi spesso bazar (stoa) lunghi anche cinquanta metri e con porticati sulla via. Il piano terra, diviso in piccoli spazi, ospitava botteghe di artigiani ed empori mentre il superiore serviva da dormitorio comune.

Andron. Edifici monumentali su due piani con un’unica sala e il porticato a ogni piano. Sorgono sempre vicino a terme, bazar o alberghi. Il pian terreno serviva da scuderia o pressoio o magazzino, il piano superiore probabilmente era una sala di riunioni per gli uomini. Fino a oggi non si è certi del loro impiego ma si tende, in genere, a credere che svolgessero la funzione delle moderne camere di commercio.

Gebel Zawyie, Sejgilla. Andron, lato sud.  (Wikipedia)


Architettura funeraria. 
I sepolcri sono molto numerosi e di varie tipologie: ipogei (su cui spesso posa un sarcofago monumentale o due colonne o due pilastri), a tempietto, a cuspide piramidale, cimiteri di grandi sarcofagi a cielo aperto o necropoli rupestri decorate con stele recanti immagini del defunto e raffigurazioni allegoriche. 
 
Dana Sud. Sepolcro a cuspide piramidale.
Qatura. Sepolcro distilo di Aemilius Reginus, ufficiale romano morto a 21 anni il 20 luglio del 195 d.C.  È un ipogeo cruciforme scavato nella roccia. Nella facciata, formata da un archivolto modanato tra due pareti in muratura, si apre uno stretto passaggio – che veniva chiuso da una porta di pietra – da cui si accede a un locale quadrato con arcosoli profondi ai tre lati. Nelle pareti interne furono ricavate un gran numero di piccole nicchie simili ai colombari romani, forse per sistemarvi delle lanterne. Sopra lo zoccolo esterno (4 m. di lato) poggiano le due imponenti colonne (m.0,90 di diametro, alte m.7,50 e distanti m.2,70) a tre tamburi ciascuna, coronate da capitelli toscani ricavati nell'ultimo tamburo e sormontate da un architrave con due cornici.

 * Quando scattai la fotografia, nel 2007, i ragazzini del villaggio mi raccontarono una curiosa leggenda, tramandata da generazioni, sulla funzione di queste nicchie: Nell’antichità, esse dovevano custodire le lacrime dei bambini che piangevano troppo. I genitori le raccoglievano   in bottiglie che portavano al sepolcro e ponevano nelle nicchie. In seguito, i bambini non avrebbero più pianto. E penso a quante lacrime sono state versate, quante sofferenze e quanta devastazione dopo il 2011 in quei luoghi al centro di feroci rappresaglie. Cosa avrà fatto la guerra dei bambini accoglienti e gioiosi, ormai adolescenti o giovani uomini, che mi raccontavano le storie del loro villaggio?
J. Zawyie, Ruwehia. Parte posteriore di un mausoleo a forma di tempietto. La facciata è colonnata. Il sito archeologico affiancato alle abitazioni del villaggio moderno, confinanti con la steppa a est, si trovano a poche decine di chilometri da Idlib e la guerra li ha aggrediti spietatamente. 
Qatura. Sepolcro di Flavius Julianus. Il più interessante di una necropoli rupestre: l'ultimo verso Zerzita. Sopra un massiccio zoccolo monolitico che sporge dalla parete rocciosa, si apre il vestibolo di una tomba monumentale ricavata nella roccia. Esso è affiancato da due semicolonne e sormontato da un timpano col bassorilievo di un defunto sdraiato su un triclinio tra due figure muliebri che sembrano vegliarlo. L'insieme è sovrastato dalla scultura di un’aquila con le ali spiegate. L'aquila era considerata dai Romani e dagli antichi Siriani un animale solare e psicopompo. Secondo l’iscrizione bilingue (greco e latino) sotto il bassorilievo, vi era stato sepolto Titus Flavius Julianus, veterano della VIII legione augustea, e la moglie Flavia Titia. Una porta in fondo al vestibolo introduceva alla camera funeraria con tre arcosoli. Questa necropoli sembra sia stata distrutta dai terroristi.
Deir Sim’an. Monastero N-O - Ingresso del chiostro cimiteriale

Stazioni di rifornimento per le legioni romane, come la città fortificata di Niacaba nel Gebel Wastani4 e le strade che le collegavano.
Grotte sacre oracolari, probabilmente in uso prima dell’arrivo dei Romani. Lì si curavano indemoniati, epilettici e pazzi. Erano frequentate anche in epoca bizantina 5

(fine prima parte. Il prossimo articolo sarà dedicato alla straordinaria fioritura dell’architettura sacra paleocristiana e ai movimenti ascetici nel Massiccio Calcare).
(1) Historia16, La conquista del Pasado. Las Ciudades Muertas del Norte de Siria,, año XXII n. 262. Maria Antonietta Carta 
(2) L’eterna e complessa Questione d’Oriente ha origini remote. Per semplificare al massimo, diremo che risale almeno al III-II millennio a.C. con le lotte per il dominio su Siria e Canaan, prima tra Egitto e Mesopotamia, e poi  i popoli dell’Asia Minore. Nel I millennio A.C. tra il mondo greco e iranico. 
(3) Nei centri costieri, le industrie tessili: lana, seta, porpora, vetro e costruzioni navali. In quelli dell’interno, come Damasco, Palmira, Aleppo, Bosra, da sempre sedi di intensi traffici commerciali.  Il vino, prodotto ad al-Bara, (Gebel Zawyie) e Kefr Kerme (Gebel Halaqa) erano esportati, e anche molto apprezzati, a Roma e in Gallia Cfr. Frank, An Economic Survey of ancient Rome, Baltimore, vol. IV, pag. 138, e, G. Tchalenko, Villages Antiques de la Syrie du Nord, I, Paris, 1953, pagg. 422/426.
 (4) Cfr. P. Pasquale Castellana, Ritrovata l'antica città di Niacaba, SOC Collectanea, 20, pagg. 163-169. The franciscan Centre of Christian Oriental Studies, Cairo, 1987.
(5) Cfr. I. Peña, Dos santuarios oraculares en Siria, Wadi Marthun y Banasta, SFB, Collectio Minor, Milano. P. Castellana Moghor el-Mal'ab Alto luogo pagano e monastero rupestre siriano, SOC Collectanea, 23, The franciscan Centre of Christian Oriental Studies, Cairo, 1990, pag. 345. ‘’ Quando i pellegrini consultavano il sacerdote, (o profeta, o profetessa), questo entrava nel corridoio oscuro e lì secondo il rituale ordinario assaggiava il sangue delle vittime o liquidi inebrianti per entrare in trance e poter comunicare con la divinità interpellata. Poi, attraverso un buco praticato nella parete tra la sala e il corridoio oscuro, vicino alla porta, dava la risposta. Spesso, i pellegrini ammalati dormivano nei locali del santuario per ottenere la grazia della guarigione. Si tratta della famosa incubatio, pratica diffusissima in Siria nei martyria o in camere costruite espressamente sopra le cappelle dove erano custodite le reliquie dei martiri. Questo uso è ancora oggi praticato dai cristiani di rito orientale e presso i musulmani. Questi ultimi dormono nei mazar. santuari in cui si venera un profeta o un santo famoso.  

Le fotografie, eccetto quella di Serjilla (Wikipedia) appartengono all’autore dell’articolo.