COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM, ORGANISMI CARITATIVI CATTOLICI ATTIVI NEL CONTESTO DELLA CRISI SIRIANA4-5 GIUGNO 2013
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Un milione e mezzo di profughi fuggiti dalla Siria, con 10mila nuovi ingressi al giorno alle frontiere di Turchia, Libano, Giordania, Iraq fino all’Egitto. Fuggono anche i cristiani. Ogni Paese regge da anni una media di mezzo milione di presenze. Un po’ meno in Iraq ed Egitto, ma pur sempre un peso enorme, con tensioni sociali sul punto di esplodere e problemi emergenti come la tratta di persone a scopo di sfruttamento lavorativo e sessuale, i matrimoni forzati. In Libano, ma anche in Turchia, alcune famiglie vendono figlie giovanissime per 5mila dollari. Le donne si prostituiscono per soli 3 dollari. E molti siriani, visto che il conflitto non accenna a placarsi, stanno cercando vie di fuga verso l’Europa. Oggi Caritas internationalis, impegnata per la Siria con progetti pari a circa 15 milioni di euro (destinati alle varie Caritas locali che aiutano complessivamente oltre 100 mila persone), lancia un appello in cinque punti per chiedere la fine delle violenze, la ricerca di una soluzione diplomatica e maggiore solidarietà. Abbiamo raccolto alcune voci al Migramed meeting in corso in questi giorni a Otranto, organizzato da Caritas italiana, con oltre 100 partecipanti dalle Caritas diocesane, europee e del bacino del Mediterraneo.
S.I.R.- Otranto- Giovedì 23 Maggio 2013
L’appello di Caritas internationalis. “Chiediamo alla comunità internazionale di porre fine a ogni forma di violenza e cercare delle soluzioni politiche”, precisa Martina Liebsch, di Caritas internationalis, e di “smettere di finanziare, armare e supportare ulteriormente il conflitto”. Bisogna “aprire vie di dialogo tra i partiti, le religioni e le culture, per rispettare la dignità e i diritti delle persone, comprese le minoranze”. Punto importante è la richiesta di “maggiore solidarietà internazionale, aumentando i finanziamenti per la protezione delle persone in Siria e per i profughi, anche per alleviare il peso sui Paesi limitrofi”. Finora i flussi verso l’Europa sono ancora modesti: 300 siriani in Italia lo scorso anno, 200 dall’inizio del 2013 a oggi. “Le persone tendono a rimanere più vicino possibile a casa - osserva Liebsch -. Ma se il conflitto non finisce potrebbero arrivare anche in Europa. Per questo serve la solidarietà internazionale. So di Paesi come la Germania e la Svezia che hanno accettato un certo numero di persone. Potrebbero essere attuate iniziative simili”. Anche Papa Francesco, incontrando la settimana scorsa i vertici di Caritas internationalis, aveva parlato della Siria come “dimostrazione tragica della sorte dei rifugiati”, invitandoli a riservare loro “la tenerezza della Chiesa”.
In Libano tensioni sociali e matrimoni forzati. Il Libano ha 4 milioni di abitanti. La metà della popolazione è straniera. I rifugiati siriani in tutto il Paese sono ufficialmente 470mila (ma il numero è molto più alto, circa 1 milione e 200mila comprese le famiglie di chi già vi lavorava), oltre ai 150mila palestinesi siriani. Inizia a mancare il lavoro, aumentano la microcriminalità e le ostilità con i locali. Il governo non ha costruito campi. Solo ora comincia a pensarci. I profughi vivono in case abbandonate, edifici in costruzione, tende di fortuna o per strada. La situazione rischia di diventare esplosiva. Ce la descrive Najla Chahda, direttrice di Caritas Libano, che gestisce da 10 anni un centro per migranti a Beirut. Caritas Libano ha assistito finora più di 150mila rifugiati, con cibo, servizi legali, assistenza medica, educazione, prevenzione e attività sociali per i traumatizzati. Tra due settimane apriranno anche un centro di informazione per dare assistenza alle frontiere. “I libanesi stanno perdendo il lavoro perché i siriani vengono pagati meno - spiega Chahda -. Le persone sono frustrate, c’è molta microcriminalità. Secondo il Ministero dell’interno il 75% dei reati sono commessi dai poveri. Questo aumenta le tensioni tra libanesi e siriani. La situazione sta diventando molto difficile”. “Abbiamo anche molti rifugiati cristiani - aggiunge -, si parla di 1500 famiglie. E il numero aumenta di giorno in giorno”. In più emerge il fenomeno della prostituzione e dei matrimoni forzati, con ragazzine vendute dai genitori per 5mila dollari. “Le madri ci raccontano le loro preoccupazioni - dice Chahda -. Per non essere accusati di interferire nella vita delle persone e negli usi delle comunità, possiamo solo lavorare sulla consapevolezza e informarli della possibilità di chiedere aiuto alle ong internazionali”.
In Turchia bombe e paura. In Turchia 190mila profughi siriani vivono nei 18 campi governativi. Altri 200-250mila in case, tende, capannoni e alloggi di fortuna. Visto l’afflusso enorme il governo sta costruendo altri otto campi. Dopo le 52 vittime, la settimana scorsa, a causa di due autobombe a Reyhanli, una cittadina al confine con la Siria dove opera Caritas Turchia con un team di 5 persone, sono aumentati gli episodi di intolleranza da parte della popolazione. “Per il momento abbiamo dovuto sospendere le attività - spiega Chiara Rambaldi, che lavora da 4 anni a Caritas Turchia -. Il contesto è delicato. Le famiglie siriane sono spaventate, non escono più di casa”. Ci sono anche decine di famiglie cristiane: “Sono rifugiate nei monasteri del sud-est, a Midiot Mardin”. Intanto molti siriani sono arrivati perfino a Istanbul: Caritas Turchia assiste lì 180 famiglie, oltre alle altre 1200 di Reyhanli. “Forniamo, cibo, sostegno psicologico, assistenza medica, educazione - dice -. A breve apriremo uno spazio di socializzazione per i bambini”. Anche qui si riscontrano casi di matrimoni forzati e tratta di persone. A tutti i profughi viene concessa una protezione umanitaria temporanea. “Sarebbe meglio - suggerisce - che avessero accesso all’asilo politico”.
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