Amati figli!
Vi rivolgo la parola oggi, quando sta per finire la santa Quaresima e ci prepariamo ad entrare nella Settimana santa, e i motivi di dolore ci circondano da tutte le parti. In tutte le regioni antiochene i rischi minacciano le nostre case, nel momento in cui gli eventi politici attaccano come una tempesta le nostre patrie. Tutto ciò rende l’uomo delle nostre terre minacciato nel suo pane, nella sua casa e nella sua vita. Siamo passati al vaglio ogni giorno con l’uccisione e con il rapimento; l’ultima tragedia subita è il rapimento dei nostri fratelli, il metropolita Paolo, arcivescovo greco-ortodosso di Aleppo e Alessandretta e delle loro dipendenze, e il metropolita Giovanni Ibrahim, arcivescovo siro-ortodosso di Aleppo, e l’assassinio del diacono che li accompagnava.
Condivido con voi il dolore, dolore sentito anche da tanti fedeli della nostra chiesa, dolore causato dalle difficoltà subite, e lavoro con i miei fratelli, i membri del Santo Sinodo, per diminuire gli effetti di tali circostanze su di loro e sugli altri cittadini; e ciò fa parte del nostro messaggio. Tuttavia, noi non siamo pronti ad accettare ciò che l’uomo di oggi affronta. Lavoriamo oggi affinché il nostro rifiuto di tale realtà divenga una riflessione della nostra fede. Noi rifiutiamo tale realtà e la condanniamo; e, tuttavia, noi non abbiamo paura di colui che adotta la violenza, poiché siamo figli della resurrezione. Il fatto di essere vittima di uccisione, di rapimento, il fatto che le nostre istituzioni vengono distrutte, non diminuisce la nostra volontà di conservare la nostra cittadinanza comune, la convivenza, l’adesione alle nostre patrie e la richiesta della verità e della giustizia per le nostre terre. Perciò ciascuno di noi, sia nel territorio antiocheno sia fuori, è invitato ad esprimere la sua preoccupazione e il suo rifiuto di ciò che accade, lontano da ogni allineamento politico. La questione principale del cristianesimo è la questione dell’uomo, poiché nostro Signore si è incarnato per salvarlo.
Colgo l’opportunità per fare, nel nostro nome, sia in patria sia fuori, un appello alla società internazionale per stimolarla a fare ciò che può per liberare i rapiti la cui assenza è causa di dolore; affrettarsi a porre fine a questa tragedia è oltremodo essenziale per evitare tutti i rischi che potrebbero risultare dalle probabili conseguenze. Questo nostro appello include pure un fervente invito a trovare una veloce soluzione alla situazione nel nostro amato paese, la Siria; e ciò in segno di pietà per questo popolo testimone di una cultura che gli proviene da una presenza umana di altissima qualità, da migliaia anni, e per evitare conseguenze che possono avere ripercussioni su tutta la regione.
Entrando nel tempo delle passioni e della resurrezione, vi invito a rendere tale tempo un tempo propizio per proclamare la nostra unità di chiesa i cui membri sono radunati dall’ardente tensione verso la verità. Rendiamo questo periodo piu intenso del consueto di preghiere e suppliche. Così, come nostro Signore non ebbe paura della via della croce, anche noi siamo invitati a percorrere la stessa via, percependo che tramite la croce otteniamo la vittoria, poiché il nostro Signore è risorto dai morti e ci innalzerà con lui. Rendiamo più frequenti le nostre suppliche, affinché siano una testimonianza viva attraverso la quale preghiamo Dio di togliere per tutti l’ingiustizia, di donare il ritorno dei rapiti ai loro amati, la consolazione a quanti sono nella tristezza per la perdita dei loro cari e di ispirare i duri di cuore, perché smettano di danneggiare l’uomo, il proprio prossimo.
Detto questo, invito tutti, fedeli e pastori, ad avvicinarsi alla domenica delle Palme con uno spirito nuovo, in modo che ricordino tutti gli eventi che la riguardano e li leggano nella luce di ciò che viviamo oggi. Invitiamo allora alla resurrezione dell’uomo, nel cuore, in queste patrie, così come il Signore risuscitò Lazzaro dai morti. Invitiamo a lavorare anche affinché il Signore entri nel cuore del mondo tramite il nostro servizio alla sua persona, come un tempo entrò vincitore a Gerusalemme […].
Rivolgo un invito a pregare, in questa Settimana santa, con uno spirito umiliato e con la coscienza che, tentati nelle difficoltà, troviamo in Dio il rifugio e che Dio non abbandona il piccolo gregge. L’amore, il servizio e il coraggio siano un ingresso nella gioia della resurrezione, gioia che non ci sarà mai rubata.
Giovanni X
patriarca greco-ortodosso
di Antiochia e di tutto l’Oriente
COMUNICATO
rilasciato dal Patriarcato Greco-Ortodosso di Antiochia e dal Patriarcato Siro-Ortodosso di Antiochia
martedì 23 aprile 2013
Lunedì 22 aprile 2013 ci ha assalito di sorpresa la notizia del rapimento dei nostri confratelli, il metropolita Paolo Yazigi, Arcivescovo di Aleppo e Alessandretta per i Greco-Ortodossi e il metropolita Giovanni Ibrahim, Arcivescovo di Aleppo per i Siro-Ortodossi, che erano diretti ad Aleppo, di ritorno da un incarico filantropico. Noi, addolorati per questo rapimento come anche per altri eventi simili che toccano i cittadini qualunque sia la loro appartenenza, desideriamo sottoporre le seguenti considerazioni all’opinione pubblica locale e internazionale:
1- I cristiani di queste terre sono una parte essenziale della composizione demografica dei popoli ai quali appartengono. Consoffrono con ogni persona che è nella sofferenza e lavorano come operatori di bene per impedire l’ingiustizia contro coloro che subiscono maltrattamenti. Essi seguono l’insegnamento del Vangelo, che afferma che l’amore è il fondamento e il principio assoluto dell’azione tra gli uomini. I comportamenti e le azioni ufficiali, in questo senso, delle Autorità spirituali delle Chiese mettono in evidenza tutto ciò, e l’incarico affidato ai due vescovi rapiti è in questa linea e in questo contesto.
2- I Cristiani di questo Oriente sono profondamente addolorati per tutta questa violenza che i loro paesi affrontano: violenza che crea fossati di distanza fra i membri di uno stesso popolo e causa rischi per la vita dei cittadini che conducono la loro esistenza nella pace. Il rapimento è un aspetto veramente terribile e da condannarsi senza esitazione di tale violenza, poiché disprezza la vita di singoli inermi. Noi, chiedendo ai rapitori di rispettare la vita dei rapiti, invitiamo tutti ad abbandonare tutto ciò che permetta o favorisca il conflitto confessionale e di parte tra gli appartenenti ad una stessa patria.
3- Noi comprendiamo la preoccupazione dei cristiani in conseguenza di tale evento. Li invitiamo ad essere pazienti, a conservare la loro fede, appoggiandosi su Dio la cui forza esiste anche nelle nostre debolezze. Riteniamo che il rimanere nelle nostre patrie e il fare il possibile affinché siano una terra di pace e convivenza, sia un grande ed efficace strumento per difenderle. Ci rendiamo pure conto che ci sono anche altri cittadini colpiti da eventi simili: preghiamo Dio affinché dia loro forza, li consoli, e insieme con loro innalziamo le nostre voci per rifiutare ogni tipo di violenza che accoltella la nostra patria e copre di sangue i nostri cuori.
4- Di fronte a questo evento di così grande dolore, invitiamo tutto il mondo a lavorare per porre fine a questa tragedia al cuore della Siria amata, affinché essa ritorni un paradiso di amore, sicurezza e convivenza pacifica, cosicché i problemi politici non trovino la loro soluzione a discapito degli uomini di questa regione.
5- Invitiamo tutte le Chiese sulla terra a custodire un atteggiamento fermo, atteggiamento che attesti la loro convinzione di ciò che l’amore possa fare nel mondo, sì da percorrere passi concreti che possano manifestare praticamente il loro rifiuto della violenza quale subisce l’uomo di questo Oriente oggi.
6- Cogliamo l’opportunità per invitare i nostri concittadini, di tutte le confessioni islamiche, a lavorare insieme, gli uni con gli altri, in modo da dimostrare che ci rifiutiamo di considerare l’uomo come un prodotto da acquistare o vendere, uno scudo utile nelle guerre, o una merce politica o finanziaria.
7- Ci rivolgiamo ai rapitori dicendo che i rapiti sono messaggeri di amore nel mondo, come attesta la loro missione religiosa, sociale e per la patria. Perciò invitiamo i rapitori a comportarsi in questo evento doloroso astenendosi da ogni violenza che non è utile se non ai nemici della nostra patria.
Infine, supplichiamo Dio in queste feste benedette, affinché ponga fine a questa tragedia, in modo che domini la pace negli animi di tutti e le nostre patrie ottengano la pace e la prosperità che meritano.
Il Patriarca Mar Zakka I (Iwas) e il Patriarca Giovanni X (Yazigi)
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martedì 30 aprile 2013
Lettera pastorale di Giovanni X, patriarca greco-ortodosso
lunedì 29 aprile 2013
L’ “Amata Siria”
Padre Munir El Rai documenta il lavoro dei Salesiani in Siria e la missione di speranza dei cristiani nel Paese devastato
Damasco 21 Aprile 2013
Damasco: Lunedì 8 aprile, appena giunto a Damasco dal Libano, dove
ho partecipato agli esercizi spirituali con ventidue confratelli, una forte
esplosione scuote il centro della capitale alle ore 11.45. Ancora una volta, il
sangue di una ventina di vittime si aggiunge a quello di molte altre, bagnando
le strade della capitale e gettando dolore e lutto in tante famiglie. Però la
gente continua a vivere nella totale insicurezza a causa delle frequenti
esplosioni o degli spari o dei mortai ecc... , come quello 28 marzo scorso, che
stroncò la vita di decine di studenti della facoltà di architettura.
Tuttavia, la situazione
generale di Damasco, città cosmopolita di circa 5.000.000 di abitanti, non era mai
stata così drammatica e preoccupante come in altre città, benchè i rumori di
guerra si sentissero ogni giorno e quasi a tutte le ore. Infatti, la prima
esplosione in Damasco avvenne in dicembre 2011, e poche altre si susseguirono
sporadicamente.
Fino alla prima metà di luglio 2012, le attività
formative, spirituali, culturali e sportive del Centro giovanile di Damasco si
svolsero normalmente, con la presenza di circa 350 ragazzi e ragazze delle
elementari e medie. Il “programma formativo” era stato stampato per intero e si svolgeva in cinque
giornate della settimana, da metà giugno alla prima settimana di agosto.
Da luglio 2012 cambiò radicalmente l’atmosfera di
serenità che si respirava in città, a causa di vari attentati. Da allora le
attività si svolsero soltanto nella mattinata dalle 9.00 alle 13.00, e con una
certa trepidazione, per l’insicurezza del trasporto dei ragazzi, il cui numero
diminuì sensibilmente.
A settembre 2012, il Centro giovanile inizia le sue
attività, accogliendo una trentina di giovani, fra liceisti e universitari, tre
ritiri dedicati alla preghiera per la pace e all’adorazione del Signore Gesù.
Il 16 settembre 2012 si riaprono le scuole statali, nonostante rumori di guerra
in lontananza. E la comunità salesiana decide di non iniziare alcuna attività con
i piccoli, prima di vedere come si svolge l’andamento della situazione . Nel
frattempo, il Centro giovanile tiene sempre la porta aperta ai grandi.
Sabato 13 ottobre, iniziano le iscrizioni per le classi
elementari e medie. Sono presenti una settantina di ragazzi e ragazze. Sabato
20 ottobre, solenne apertura dell’anno catechistico per le elementari e medie.
Sono presenti circa ottanta alunni e alunne e quindici di catechisti. Ad ogni
capo-classe viene offerto un cero, simbolo delle presenza del Signore Gesù
nella classe, e a ciascun catechista, la Bibbia.
Il 21 ottobre 2012 segna un’altra terribile novità: una
grande esplosione in centro città provoca una quindicina di vittime a Bab
Touma, zona prevalentemente cristiana. Ovviamente, le attività del
Centro giovanile vengono sospese. Da allora le esplosioni si susseguono
sporadicamente, in vari quartieri della città. Gli alunni delle elementari e
delle medie vengono convocati raramente e la loro presenza è assai diminuita. L’otto
dicembre, alla S. Messa nella solennità dell’Immacolata partecipa una ottantina
di ragazzi e giovani.
Nel nuovo anno, 2013, la guerra e le esplosioni continuano
causando molte vittime. Malgrado questa situazione di insicurezza generale, si
è cercato di fare qualcosa. In occasione delle vacanze di metà anno scolastico,
e in preparazione della festa di Don Bosco, il mese di gennaio ha visto il
rifiorire della vita nel Centro giovanile, con la presenza di circa 140 ragazzi
e ragazze. Nei mesi di febbraio e marzo, invece, l’insicurezza generale non
permise lo svolgimento ordinario delle nostre attività, e ci sollecitò a cercare altre forme di contatto con i
giovani e con le loro famiglie: visita ad un centinaio di famiglie, proposta di
piccoli campeggi interni per gruppi, ritiro di due giornate per alcuni ragazzi
delle medie; la celebrazione della festa di Don Bosco, il 7 febbraio, con la
presenza di una ottantina di ragazzi e giovani; un ritiro di tre giornate per
alcuni universitari; confessioni per una trentina di alunni delle classi elementari
e medie.
Dopo Pasqua, si è notato una certa ripresa: sabato, 6
aprile, la presenza dei piccoli era un
quarantina; e il sabato seguente, la loro presenza era aumentata sensibilmente.
Prima di convocare i ragazzi, si chiedono informazioni a vari catechisti e
collaboratori sulla situazione di sicurezza nei vari quartieri, e si decide in
base alle loro risposte.
Se l’attuale situazione di insicurezza generale continua,
prevediamo di impostare le nostre attività pastorali - educative, mediante
visite alle famiglie dei nostri ragazzi e giovani, e con frequenti convocazioni
di piccoli gruppi per un incontro di tre giorni di formazione umana, spirituale
e salesiana.
Aleppo: Aleppo, la più industrializzata città della Siria, ha una popolazione di
circa 4.000 000. L’attuale situazione della città di Aleppo è veramente
desolante, disastrosa. Grande parte della circolazione è paralizzata, per cui dà l’impressione di
una città senza vita a causa di devastanti bombardamenti ed esplosioni che hanno
ridotto ad uno spettro vari quartieri della città.
Molte scuole statali sono diventate rifugio di sfollati.
Attualmente le scuole private cattoliche sono aperte, ma poco frequentate per
l’insicurezza generale. E quelle più moderne e prestigiose, situate alla
periferia della città, sono ancora meno frequentate o addirittura abbandonate,
perchè è assai rischioso raggiungerle. Per venire incontro alle richieste di molti genitori
della popolazione scolastica, varie parrocchie hanno trasformato i loro locali
disponibili in ambienti scolastici.
Gli ospedali gestiti dalle suore sono aperti, ma
l’assistenza medica viene assicurata soltanto dai pochi medici rimasti. Gli
uffici statali hanno difficoltà ad offrire al pubblico il necessario servizio a
causa delle rovine e degli incendi.
Aleppo è rinomata come una delle città più moderne e
industrializzate della Siria. Più di mille fabbriche sono state saccheggiate: macchinari
smontati e asportati. E quanto è rimasto dal saccheggio, è stato distrutto e
bruciato.
Attualmente il fiorente centro storico di Aleppo, che
costituiva il polso della vita
commerciale della città, è totalmente
senza vita, a causa di devastanti combattimenti e incendi. Data questa desolante
situazione non è sempre facile trovare viveri, medicinali, combustibili ecc.
Sovente mancano l’energia elettrica e l’acqua, e le comunicazioni sono
interrotte: telefono, cellulare, internet.
Alcune chiese di Aleppo sono state danneggiate a causa di
questa guerra. Giorno e notte, la città è disturbata senza tregua o addirittura
terrorizzata da vari rumori di guerra. Quando la guerra invase il quartiere
vicino alla nostra casa, alcuni proiettili si sono abbattuti anche nel nostro
cortile, ma senza causare vittime.
Ma la paura non proviene soltanto dalla guerra in sè,
bensì anche dai rapimenti di persone di particolare estrazione sociale. Furono
rapiti anche due sacerdoti, di cui uno armeno cattolico e l’altro greco
ortodosso. Evidentemente, questa desolante situazione di insicurezza generale
rende alquanto rischioso il movimento dentro o fuori della città. Infatti, dopo
il calar della notte, non si vede anima viva circolare per le strade.
I Salesiani sono
presenti in Aleppo sin dal 1948.
Aprirono una apprezzata scuola professionale di varie sezioni, come la
meccanica, la falegnameria, la tipografia e la sartoria. Ma nel 1967, tutte le
scuole private furono nazionalizzate. Da allora, i Salesiani operano
costantemente a favore di tanti ragazzi
e giovani nel Centro giovanile e Oratorio di Aleppo.
Durante il primo periodo di questa deplorevole guerra,
iniziata nella primavera del 2011, le varie attività formative, catechistiche,
pastorali, culturali e ricreative del Centro giovanile, si svolsero in modo
normale. Ma verso la fine di luglio 2012, Aleppo divenne l’obiettivo di intensi attacchi e centro di una accanita
battaglia, per cui le varie attività furono assai ridotte.
Attualmente, la comunità salesiana è costituita da
quattro confratelli, i quali sono rimasti solidali con la popolazione, e
particolarmente vicini alle famiglie dei giovani del Centro giovanile e
dell’Oratorio. Essi hanno espresso la loro vicinanza con varie attività
pastorali e sociali e mediante visite personali alle famiglie più colpite dalla
guerra e tenendo contatto con i mezzi di comunicazione. Questa forma di
vicinanza fraterna era indispensabile per conoscere la situazione delle
famiglie, rivolgere loro una parola di conforto e di coraggio. Talora potevano bastare anche una semplice
visitina, un sorriso, l’assicurazione della nostra totale disponibilità, l’accoglienza
in caso di emergenza ecc.
Abbiamo ritenuto importante anche l’invito ad incontri
con i giovani, programmati per le varie fasce di età, al fine di pregare
insieme, implorare da Dio la pace per la Siria e per il medio Oriente, adorare
il Signore Gesù, scambiarsi informazioni
e esperienze, anche a livello spirituale profondo , assicurare reciproca
assistenza necessaria. A tutto ciò si aggiunge la condivisione della mensa e lo
spazio a qualche attività ricreativa.
Ma a questa indispensabile forma di vicinanza non può
mancare l’aiuto materiale di prima necessità: viveri, medicinali, denaro per
coprire determinate spese, offrire libri di carattere religioso, agiografico e
spirituale ecc. La porta della comunità
salesiana di Aleppo è aperta a chiunque è
nel bisogno, perchè l’amore di Cristo Salvatore non conosce frontiere.
Ogni giorno convergono alla nostra casa numerose famiglie
che non sanno dove incontrarsi per passare parte della giornata insieme. Esse
si dispongono all’aperto, occupando l’intero spazio del nostro giardino. Anche
varie associazioni giovanili si incontrano nella nostra casa al fine di
svolgere le loro attività. E alla sera, quanti sono rimasti si raccolgono
davanti alla grotta della Madonna per la preghiera, elevano un canto alla
Vergine Maria e sentono una parola di “Buona notte”.
Come non raccontare qui un caso di estrema povertà fra le
tante persone che hanno bussato alla porta della nostra casa? Racconta don Georges
Fattal direttore di Aleppo: “un giovane donna si presenta dicendo che, non
trovando più combustibili per preparare un pò di mangiare per sè e suo fratello
ammalato, decise di servirsi del proprio letto di legno e poi anche il tavolo
della cucina, come combustibile per cucinare e per il riscaldamento. E questo
perchè si vergognava di stendere la mano e chiedere la carità”.
Attualmente il Centro giovanile di Aleppo rimane aperto
per venire incontro ad ogni urgente necessità e anche per frequenti incontri di
giovani al fine di ravvivare la speranza nella preghiera e di risollevare il
morale mediante lo spirito di famiglia e l’animazione salesiana.
In occasione
dell'Anno della Fede lanciato da Papa Benedetto XVI, il comitato
dell'Anno della Fede ad Aleppo ha invitato i giovani (fra 15 – 30 anni) ad un
incontro dal titolo "Con te non ho paura", tenuto presso il
nostro Centro giovanile salesiano. Hanno contribuito alla preparazione di
quest' incontro vari sacerdoti
locali e il salesiano P. Simon
Zakarian.
Don Simon
riporta: “ L'inizio fu grandioso, con molti giovani in chiesa e nel
cortile al punto che non c'era più posto, erano circa 1200 giovani . L’incontro
si è aperto con la preghiera del Padre Nostro e di San Giovanni Bosco, il Santo
dei giovani. Il programma comprendeva diversi tipi di animazione: canti, inni,
danze pantomime e scenette, preparati dagli animatori salesiani. Quindi ho
tenuto un discorso dal tema “ Con te non ho paura” tratto dal Vangelo
secondo Marco 4: 35 – 41, che riporta la Tempesta sedata. Poi i giovani
sono andati in cortile per pranzare insieme e prendere
alcuni questionari e statistiche. Quindi sono andati in chiesa
per partecipare ad un'ora di preghiera e adorazione davanti a Gesu'
Eucaristico, e durante l'adorazione ci sono stati le confessioni. Fare
questo incontro in questa situazione di guerra che sta dilagando la Siria, e
avere cosi tanti giovani partecipanti, è stato un vero miracolo! E' la fede che
ha dato loro il coraggio di sfidare tutto e tutti, e quindi partecipare
all'incontro. Grazie Signore perche' veramente sei presente nella barca della
nostra vita, grazie Signore”. Prevediamo altri simili incontri, sperando di poterli attuare al più
presto.
Kafroun: La casa di Kafroun appartiene alla comunità salesiana di
Aleppo. Essa è situata in una zona verde e montuosa, a sud di Aleppo, e a una distanza di circa circa 250 km. E’ casa
di accoglienza per le attività estive di Aleppo e di Damasco e anche per ritiri
di confratelli e gruppi di giovani provenienti dalle diocesi più vicine, come Tartous e Homs.
D’estate, la casa di Kafroun diventa Centro giovanile e
Oratorio per i tutti i villaggi dei dintorni. I ragazzi e giovani più lontani
vengono raccolti e riportati a casa con i nostri mezzi di trasporto. Le
attività iniziano con la fine dell’anno scolastico delle elementari e delle
medie, e perdurano sino all’inzio del nuovo anno scolastico. Lo svolgimento
delle varie attività estive sono portate avanti da due o tre confratelli,
coadiuvati da alcuni nostri cooperatori e catechisti ed animatori.
In agosto 2012, la guerra cominciò a riversarsi anche su
Aleppo. Molte famiglie persero la loro casa e altre furono costrette a
lasciarla, e a cercare qualche
sistemazione altrove. Fu in questa occasione che la casa di Kafroun, insieme a
don Georges Mouzaaber e don Charbel e attualmente don Luciano, aprì le sue
porte ad alcune decine di famiglie di parenti dei Salesiani, dei cooperatori, e
degli animatori, ecc... offrendo loro alloggio e vitto in una’atmosfera di
famiglia. Partecipano alla preghiera della comunità salesiana, collaborando alla
manutenzione e a vari lavori della casa, vivendo insieme vari momenti fraterni.
I loro figli sono inseriti nelle scuole della zona e le frequentano regolarmente, servendosi di
nostri mezzi di trasporto.
I pomeriggi di venerdì, di sabato e di domenica, la casa
di Kafroun diventa “Centro giovanile” e “Oratorio” per la gioventù dei villaggi
vicini e lontani. Cooperatori e catechisti svolgono le solite attività
educative, catechistiche e spirituali, come facevano ad Aleppo, prima della
guerra. E alla domenica, si partecipa alla Santa Messa.
La festa di Natale (2012) è stata preceduta dalle
confessioni degli sfollati e dei ragazzi dell’Oratorio, e seguita da un “recital” intonato alla liturgia natalizia.
La festa di Don Bosco (2013) è stata solennemente
celebrata dal vescovo maronita della diocesi di Tartous. In Questa occasione il
vescovo ha offerto il pranzo anche a tutti gli sfollati dei dintorni, cristiani
e musulmani, provenienti dalle città più
disastrate dalla guerra, come Aleppo e
Homs. La mensa è stata allietata dalla musica e dal canto, in una festosa
atmosfera di intensa fraternità.
Paradossalmente parlando, la sventura di questa
deplorevole guerra che ha colpito le più grandi città della Siria, ha portato
dei frutti che forse nessuno prevedeva o immaginava, come la solidarietà e
l’assistenza reciproca da parte dei loro connazionali, cristiani o musulmani,
che hanno favorito la reciproca conoscenza e creato maggiore fraternità.
Qui a Damasco ho avuto l’opportunità di trattenermi a lungo con i confratelli: il direttore don Ashraf, don Felice e don Alejandro, con i ragazzi e con i
giovani. Termino questa mia visita alla Siria il 22 aprile 2013. Purtroppo la
gravità della situazione mi ha impedito di recarmi ad Aleppo. Tuttavia, ho
potuto parlare a lungo con il direttore di Aleppo, don Giorgio Fattal, qui a
Damasco, e, per telefono, con don Simon Zakarian di Aleppo. Quanto alla casa di
Kafroun, vi ho trascorso un’intera settimana durante le feste natalizie del
2012, in un’atmosfera di familiarità con gli sfollati.
Ringrazio il Signore per la nuova esperienza vissuta
durante questa visita, in cui ho constatato la
testimonianza, la solidarietà e la vicinanza dei confratelli delle
varie case verso tanti ragazzi, giovani e famiglie sventurate da questa guerra.
I Salesiani stanno tutti abbastanza bene
e, malgrado questa deplorevole guerra, li ho visti sereni e disponibili a dare
speranza e fiducia ai nostri giovani e alla gente.
E’ doveroso
ringraziare quanti hanno collaborato con la loro generosità per lenire la
sofferenza di tanti siriani colpiti dalla sventura di questa guerra: Benefattori,
parenti, amici, organizzazioni caritative, salesiani, ecc. La Divina
Provvidenza è stata veramente generosa nel venire incontro alle nostre
richieste di aiuto. Ciò ha reso possibile offrire l’aiuto indispensabile a
chiunque era ed è ancora nel bisogno.
Purtroppo, ho constatato anche tanta tristezza nei
ragazzi e nei giovani e nelle loro famiglie: alla crisi economica e sociale si è aggiunta anche la crisi di
fede, per cui si domandano: Dov’è Dio? I
giovani sono tristi perchè non vedono futuro a causa del prolungamento della
guerra, di cui non si vede alcuna prossima soluzione. Essi dicono: “Abuna,
stiamo stanchi ...” Altri hanno perso la casa o qualche parente o qualche amico.
Si respira un'aria di sofferenza, di tristezza e di dolore . Ho assistito al
pianto di due giovani, che hanno perso il loro papà mentre si recava al lavoro,
e che nel dolore sono ricorsi subito a noi, come parte della loro famiglia.
Concludo questa lettera con il pressante invito di
esortare tutti alla preghiera per
“l’amata Siria”, chiedendo al Cristo
Risorto il dono della pace.
Don Munir El Rai
SDB MOR
venerdì 26 aprile 2013
Quei feroci giochi di potere sulla pelle dei siriani
Il Paese terreno di scontro geopolitico
È quasi impossibile
tenere il conto dei massacri, ormai. Uno stillicidio di morti, stragi,
esecuzioni sommarie, accuse e controaccuse fra il governo di Bashar al-Assad e
le milizie dell’opposizione siriana, sempre più dominate dai gruppi jihadisti.
Uno scontro feroce e senza vincitori per il momento, ma con solo sconfitti,
primi fra tutti gli abitanti del Paese, ormai alla mercè di una violenza senza
freni.
Una guerra, quella siriana, che ha ormai perso la sua
caratteristica di guerra civile interna alla Siria per divenire una proxy
war, una guerra per procura che va al di là del confini siriani. Perché è
chiaro ormai come l’oggetto vero del contendere sul campo non sia più
l’abbattimento di una dittatura invasiva e sanguinosa, al potere da decenni, a
favore di un nuovo sistema politico più rappresentativo e democratico; la posta
in gioco è piuttosto il tentativo di isolare ulteriormente la repubblica
islamica dell’Iran e di frammentare l’arco sciita mediorientale. La
polarizzazione delle differenze fra sunniti e sciiti degli ultimi decenni e la
rivalità crescente fra Arabia Saudita (araba e sunnita) e l’Iran (persiano e
sciita) non si ferma al Golfo Persico. Si combatte in tutta la regione:
dall’Afghanistan e Pakistan in Oriente, a Libano, Siria e Iraq in
Occidente.
Di fatto, la Siria oggi sostituisce l’Iraq quale terreno di
scontro e di contrapposizione geopolitica. Lo dimostrano il sostegno di Teheran
e delle monarchie petrolifere ai due opposti schieramenti, la presenza crescente
di Hezbollah come "puntello militare" degli al-Assad e la crescita delle milizie
jihadiste e filo-qaediste fra gli insorti.
Molti dei combattenti (e dei
terroristi) che hanno insanguinato l’Iraq, facendo strage per anni di civili
sciiti, militari americani e soldati iracheni combattono ora contro il regime
alawita di Damasco, assieme a veterani dell’Afghanistan e della Libia. Si
moltiplicano le denunce, di ragazzi strappati a forza dai villaggi per finire a
combattere con le forze "della resistenza". Pochi giorni fa la stessa Turchia,
fra le potenze più attive nel sostenere le forze anti-governative, ha dovuto
muovere le proprie forze di sicurezza per liberare decine di ragazzi arruolati a
forza dalle milizie jihadiste.
In questo scenario, la capacità di
intervento della comunità internazionale sembra estremamente limitata. Da un
lato, la Russia ha troppo da perdere dalla caduta del regime baathista per
abbandonare al-Assad; dall’altro lato, gli Stati Uniti sembrano esitare nel
rafforzare il proprio sostegno all’opposizione siriana.
A Washington si
teme che la fine di un regime detestato spinga al potere gruppi estremamente
violenti e radicali. Di fatto, stiamo pagando la fretta con cui, all’inizio
delle violenze, l’Occidente ha voluto riconoscere le forze dell’opposizione
siriana quali interlocutori e, anzi, legittimi rappresentanti del popolo
siriano. Senza prima fare chiarezza e imporre l’accettazione di una piattaforma
condivisa e condivisibile.
Quali garanzie offrono oggi le milizie
dell’opposizione, ove emergono con forza i guerriglieri di Jabhat al-Nusra (il
Fronte al Nusra), la cui ideologia jihadista e filo qaedista non può non
inquietare? La Siria che essi immaginano è un emirato dominato da un islam
intollerante, che deve spazzar via gli alawiti – considerati alla stregua di
apostati – e la comunità cristiana. Come sempre accade – e l’Iraq ne è un triste
esempio – sono proprio le comunità cristiane, le meno settarie e prive di
milizie proprie, a finire travolte da questo regolamento di conti geopolitico
fra sunniti e sciiti, come viene tragicamente confermato dal rapimento di due
vescovi ortodossi perpetrato ieri.
Ma è tutta la Siria che rischia di
passare da un estremismo cattivo a uno peggiore. Dopo due anni di scontri
dovrebbe essere chiaro che la via per la fine delle violenze non passa dalla
"spallata militare" contro al-Assad. Quanto piuttosto dalla ripresa di un’azione
politica, senza precondizione, che punti a coinvolgere tutte le parti in gioco e
tutte le comunità siriane nell’elaborazione di una piattaforma di pochi punti
condivisi e di regole da accettare.
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giovedì 25 aprile 2013
Il diario di un curato di... Aleppo
Una nuova escalation nella tensione già insostenibile del dramma siriano è stata raggiunta con il rapimento dei due vescovi: Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, metropolita di Aleppo per i siro-ortodossi, e di Mar Boulos el-Yazji, metropolita ortodosso di Aleppo. Un carico nuovo di paure e di incertezze è stato riversato nei cuori già tribolati dei cristiani siriani.
ZENIT, 23 Aprile 2013
Cosa accadrà dopo questo rapimento? Zenit lo ha chiesto a un sacerdote che persevera la missione nella sua terra e nella sua parrocchia ad Aleppo. Per tutelare la sua sicurezza, quella dei suoi familiari e quella della sua comunità abbiamo preferito non rivelare le sue generalità. Egli stesso ci ha confessato: “non è importante il mio nome. L’importante è che la voce, la testimonianza, la sofferenza e la speranza dei cristiani vengano conosciute e annunciate”.
Abbiamo voluto ascoltare da questo sacerdote gli echi della vita quotidiana all’ombra dell’ignoto, di ciò che ha definito: il “disordine organizzato”. Ciò che ci ha sorpreso è stata la constatazione che malgrado la nuvole cupe e nere che si addensano sulla Siria vi è comunque un barlume di speranza che non scaturisce da un ottimismo ingenuo, ma da uno sguardo di fede radicato nelle parole – ormai divenute esperienza – di san Paolo: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati”.Questo grido di speranza non è un lirismo estetico, ma è una realtà quotidiana che viene tradotta ogni giorno in una scelta cosciente: rimanere, non per la terra, ma per il popolo di Dio che – come dice sant’Agostino – fa il suo pellegrinaggio storico “tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”.
La guerra ha imposto un “calendario di emergenza”. Qual è il suo programma quotidiano come sacerdote?
- Nella situazione attuale, il lavoro pastorale come l’abbiamo sempre vissuto è sospeso. Si è trasformato in un lavoro di aiuto umanitario. Le visite pastorali e le varie attività hanno preso un taglio diverso proprio per rispondere alla situazione di emergenza attuale. Abbiamo trasformato, ad esempio, con la collaborazione del Comitato Siriano per lo Sviluppo, due scuole in un luogo di accoglienza per i rifugiati musulmani, proprio per mostrare che la Chiesa è al servizio dell’uomo, ogni uomo, a prescindere dalla sua appartenenza etnica o religiosa.
Per quanto riguarda le opere di carità e di sollievo del dolore, collaboriamo strettamente come parrocchia con la Croce Rossa e con la Caritas.
Continuiamo comunque a celebrare la messa quotidiana nelle zone ancora abitate e notiamo un aumento di frequenza quotidiana dei fedeli. I cristiani hanno iniziato a cercare di più la speranza che viene dal Cristo risorto dai morti!
Mi urge sottolineare anche che tantissimi sacerdoti sono impegnati in modo stabile accanto ai laici nel servizio di sostegno materiale nelle parrocchie e nelle diocesi.
Avete ricevuto qualche minaccia come parrocchia?
- È risaputo come purtroppo tante chiese – anche chiese antichissime che sono patrimonio di tutta l’umanità – sono saltate in aria. Grazie a Dio, la nostra chiesa non ha ricevuto ancora minacce dirette. Purtroppo, però, tanti nostri parrocchiani sono stati minacciati e hanno dovuto lasciare il paese o almeno hanno dovuto spostarsi verso zone meno tribolate.
Ciò nonostante, e soprattutto in prossimità delle grandi feste, sono state trovate delle macchine con bombe in prossimità delle chiese. La provvidenza divina ha permesso che i nostri concittadini si accorgessero del pericolo e quindi le bombe sono state disattivate prima che potessero esplodere.
Cosa si aspettano i cristiani di Aleppo dalla Chiesa?
- La gente rivolge a noi domande quotidiane, ma credo che tutte convergono su questo punto: dobbiamo lasciare il paese o rimanere e conservare la presenza cristiana nel Levante? – Io, e lo dico con sincerità, consiglio a chi può di allontanarsi, seppure momentaneamente.
È certo che dobbiamo testimoniare Cristo dinanzi alla situazione di caos quotidiano che viviamo. Ma questa risposta non voglio che sia idealista e astratta. La realtà quotidiana è drammatica e viviamo un grande disordine. Non sappiamo se uscendo la mattina dalle nostre case vi faremo ritorno la sera. Per questo, la mia risposta alla gente è questa: Ognuno deve mettersi dinanzi alla propria coscienza e vagliare le proprie scelte, in considerazione della situazione della propria famiglia. Bisogna fare la scelta dettata dal discernimento della volontà di Dio.
Guardiamo con realismo alle cose: cosa può offrire la Chiesa concretamente ai cristiani siriani ora? Siamo più che grati per il sostegno di tutti i cristiani e in modo particolare al Papa Francesco con i suoi ripetuti appelli a favore della “amata Siria”. Siamo anche grati per gli aiuti che ci arrivano. Ma la verità rimane che una cesta di aiuti alimentari non è sufficiente. I cristiani di Aleppo e della Siria cercano sicurezza, prospettive, speranza. Tramite gli aiuti, se non veniamo uccisi possiamo vivere una settimana, un mese, magari anche un anno… e poi? Per questo la risposta ognuno se la deve dare da solo secondo la propria coscienza e le proprie possibilità.
E lei, perché non lascia la Siria?
- Primo, perché la Siria è il mio paese. E io come cristiano appartengo a questa nazione. Secondo, e più importante, per la mia missione sacerdotale. Malgrado tutte le certezze e le possibilità che ho per poter lasciare il paese (come il permesso di soggiorno di uno stato estero, e la possibilità di avere un visto), l’appello di Cristo rimane per me come sacerdote quello di offrire il sorriso di speranza: non il mio personale e neppure quello dell’istituzione ecclesiastica, ma quello di Cristo stesso!
Soltanto quando non ci saranno più cristiani qua, io sarò pronto a lasciare il paese. Se io dovessi lasciare il paese, dentro il mio cuore porterò un rimorso più amaro della morte, ed è quello di aver lasciato degli amici e dei figli con cui ho vissuto i tempi buoni e che ora, nei tempi della tempesta, avrò abbandonato.
I due vescovi sono stati liberati, ma il fatto stesso del rapimento rimane una questione grave. Che peso ha avuto sul suo animo e su quello dei suoi parrocchiani?
- È stato un enorme shock. Ci ha lasciato con un forte senso di sgomento e angoscia. La domanda che ci poniamo è questa: se hanno violato queste sacralità, quale sarà il passo successivo? Poi, la domanda grave è questa: che senso ha questo rapimento? Che senso ha rapire due vescovi qaundo è risaputo che non si sono risparmiati minimamente nel cercare di condurre le diverse parti al tavolo del dialogo? Che senso ha rapire due persone che hanno come obiettivo la concordia e la pace?
Il loro rapimento è un attentato al dialogo e alla pace. Ecco il controsenso. Ecco il dramma. È un gesto stupido e arrogante che non incarna nessuna sapienza né politica, né sociale né religiosa.
Di fronte ad una miscela di orrore, paura, coraggio, resistenza e resa, qual è la parola che risuona più forte?
- La parola più forte che posso dare è questa: dimorare in Cristo. Questo dimorare non si fonda sulla debolezza dinanzi alla forza dell’aggressore, ma è costruita sulla messa quotidiana in cui ogni giorno ci conformiamo a Cristo crocifisso nella speranza della risurrezione. Lui è il nostro cibo quotidiano e il nostro baluardo in questa tempesta. Dinanzi a questa disperazione, gridiamo: Cristo è la nostra speranza.
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mercoledì 24 aprile 2013
Nella memoria del Genocidio Armeno
Il 24 aprile è per il popolo armeno il giorno della Memoria del Genocidio subito da questo popolo, legato a due eventi distinti (uno nel 1894-1896, e uno nel 1915-1916) ma legati fra loro, che insieme videro lo sterminio di più di un milione di persone.
Ma la memoria - che rimane viva nel cuore degli armeni e degli uomini di buona volontà - in questo caso come in molti altri del genere sembra non aver lasciato alcuna traccia nel cuore del mondo, né aver insegnato nulla, visto che a distanza di 98 anni dal secondo evento di questo genocidio, la storia si ripete in tutta la sua crudezza e tragicità come riporta su Libero il giornalista Leonardo Piccini in un interessante articolo-intervista a Monsignor Georges Yeghiayan, vicario del Patriarca di
Cilicia, che riproponiamo parzialmente in questo post, essendo peraltro l'articolo reperibile su internet per intero. (qui)
Leonardo Piccini
La Siria vista da qui è molto vicina: dopo due anni di guerra quale è il bilancio per la comunità armena siriana?
«Lo dico chiaro e forte perché tutti gli italiani sappiano: assistiamo, ancora una volta nel silenzio totale e complice dell’Occidente, alla distruzione della comunità armena, e questa volta in Siria. Un eccidio che avviene proprio in questo momento e che oggi minaccia anche la comunità cattolica. So che forse, non è politicamente corretto, ma tanto gli armeni quanto i cattolici sono sempre stati rispettati e difesi da Assad, perché considerati cittadini leali, intraprendenti e fedeli. Oggi, questa ribellione armata che è capeggiata da Paesi come l’ Arabia Saudita e la Turchia, mette in serio pericolo la sopravvivenza stessa degli armeni e dei cattolici.
A Deir el Zor, una città simbolo per gli armeni, perché qui vennero deportati dai turchi migliaia di nostri fedeli, gli insorti anti Assad hanno distrutto a colpi di razzo il convento e dato alle fiamme il mausoleo che ricordava il nostro olocausto.
In Siria abbiamo informazioni dettagliate di linciaggi di armeni e cristiani, e della distruzione sistematica di molte chiese. È una tragedia terribile: chiedo a papa Francesco di alzare alta la voce contro queste uccisioni di massa, perché la pace si fonda solo sulla giustizia dei popoli».
Leonardo Piccini
«Un nuovo genocidio armeno nella
Siria degli anti Assad»
(...)
Che rapporti avete con la Chiesa Cattolica?
«Noi armeni
siamo molto attaccati alla Chiesa di Roma, che protesse e difese la nostra
identità nazionale e culturale con due grandi Papi del passato: papa Benedetto
XIV e papa Benedetto XV. L’Armenia istituì una propria Chiesa indipendente.
Noi abbiamo una lunga tradizione di lotta e di indipendenza: dal 451 d.C. nella
prima battaglia contro i Persiani ad oggi, la nostra storia è fatta di battaglie
per la Religione e per la Patria. Non siamo mai stati sconfitti. Da questo senso
comune di appartenenza discende la nostra speranza per la nostra sopravvivenza e
per un futuro migliore».
La Siria vista da qui è molto vicina: dopo due anni di guerra quale è il bilancio per la comunità armena siriana?
«Lo dico chiaro e forte perché tutti gli italiani sappiano: assistiamo, ancora una volta nel silenzio totale e complice dell’Occidente, alla distruzione della comunità armena, e questa volta in Siria. Un eccidio che avviene proprio in questo momento e che oggi minaccia anche la comunità cattolica. So che forse, non è politicamente corretto, ma tanto gli armeni quanto i cattolici sono sempre stati rispettati e difesi da Assad, perché considerati cittadini leali, intraprendenti e fedeli. Oggi, questa ribellione armata che è capeggiata da Paesi come l’ Arabia Saudita e la Turchia, mette in serio pericolo la sopravvivenza stessa degli armeni e dei cattolici.
A Deir el Zor, una città simbolo per gli armeni, perché qui vennero deportati dai turchi migliaia di nostri fedeli, gli insorti anti Assad hanno distrutto a colpi di razzo il convento e dato alle fiamme il mausoleo che ricordava il nostro olocausto.
In Siria abbiamo informazioni dettagliate di linciaggi di armeni e cristiani, e della distruzione sistematica di molte chiese. È una tragedia terribile: chiedo a papa Francesco di alzare alta la voce contro queste uccisioni di massa, perché la pace si fonda solo sulla giustizia dei popoli».
Proponiamo alcuni video:
The Armenian Genocide
Truth about Armenian Genocide
PREGHIERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
Memoriale di Tzitzernakaberd
Yerevan, 26 settembre 2001
- O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!
Ascolta, o Signore, il lamento che si leva da questo luogo,
l’invocazione dei morti dagli abissi del Metz Yeghérn,
il grido del sangue innocente che implora come il sangue di Abele,
come Rachele che piange per i suoi figli perché non sono più.
Ascolta, o Signore, la voce del Vescovo di Roma,
che riecheggia la supplica del suo Predecessore, il Papa Benedetto XV,
quando nel 1915 alzò la voce in difesa
"del popolo armeno gravemente afflitto,
condotto alla soglia dell’annientamento".
Guarda al popolo di questa terra,
che da così lungo tempo ha posto in te la sua fiducia,
che è passato attraverso la grande tribolazione
e mai è venuto meno alla fedeltà verso di te.
Asciuga ogni lacrima dai suoi occhi
e fa' che la sua agonia nel ventesimo secolo
lasci il posto ad una messe di vita che dura per sempre.
Profondamente turbati dalla terribile violenza inflitta al popolo armeno,
ci chiediamo con sgomento come il mondo possa ancora
conoscere aberrazioni tanto disumane.
Ma rinnovando la nostra speranza nella tua promessa, o Signore,
imploriamo riposo per i defunti nella pace che non ha fine,
e la guarigione, mediante la potenza del tuo amore, di ferite ancora aperte.
La nostra anima anela a te, Signore, più che la sentinella il mattino,
mentre attendiamo il compimento della redenzione conquistata sulla Croce,
la luce di Pasqua che è l’alba di una vita invincibile,
la gloria della nuova Gerusalemme dove la morte non sarà più.
O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!
martedì 23 aprile 2013
La preghiera del Papa per la liberazione dei vescovi ortodossi rapiti in Siria
nel pomeriggio si era diffusa la notizia della liberazione dei due Vescovi, purtroppo non confermata ! |
2013-04-23 Radio Vaticana
“Il rapimento dei due Metropoliti di Aleppo, rispettivamente della Chiesa siro-ortodossa, Mar Gregorios Ibrahim, e di quella greco-ortodossa di Antiochia, Paul Yazigi, e l’uccisione del loro autista, mentre compivano una missione umanitaria, è una drammatica conferma della tragica situazione in cui vivono la popolazione della Siria e le sue comunità cristiane”: è quanto afferma in una dichiarazione il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.
“Il Santo Padre Francesco – prosegue il portavoce vaticano - è stato informato di questo nuovo gravissimo fatto, che si aggiunge al crescere della violenza negli ultimi giorni e a un’emergenza umanitaria di proporzioni vastissime, segue gli eventi con partecipazione profonda e intensa preghiera per la salute e la liberazione dei due vescovi rapiti e perché, con l’impegno di tutti, il popolo siriano possa finalmente vedere risposte efficaci al dramma umanitario e sorgere all’orizzonte speranze reali di pace e di riconciliazione”.
http://www.news.va/it/news/la-preghiera-del-papa-per-la-liberazione-dei-vesco
La guerra siriana continua a sfornare orrori.
A sequestrarli sono state forze antigovernative: forse per questo nessun giornale italiano ha riportato la notizia, dal momento che, purtroppo, la guerra di propaganda che accompagna il conflitto tende a mettere in evidenza solo la cronaca nera attribuibile al regime piuttosto che quella scritta a piene mani dai cosiddetti ribelli.
Il crimine segna un salto di qualità nel conflitto: è la prima volta che le gerarchie ecclesiastiche sono toccate a questo livello. E rende sempre più evidente ciò che da tempo denuncia la minoranza cristiana siriana (e non solo: basta pensare ai numerosi appelli di papa Francesco), ovvero che la Chiesa è nel mirino delle forze antigovernative: anzitutto perché la sua presenza è un presidio contro il dilagare del terrore (conforto nella tribolazione), mentre proprio la paura è una delle armi sulle quali conta chi vuole abbattere un regime che ancora gode del sostegno popolare; inoltre perché la Chiesa si è contraddistinta nel denunciare gli orrori della guerra, in particolare quelli che accompagnano l’avanzare delle forze antigovernative, aprendo spiragli nella cortina fumogena che la propaganda ha steso sul conflitto.
Infine, e non ultima ragione, perché da tempo gli uomini di Chiesa della regione si consumano nel ricercare vie di pace, laddove l’unico interesse delle forze esterne che alimentano la guerra è perseguire, a ogni costo, i fini geostrategici stabiliti ab initio.
Così il sequestro ha anche il sapore di intimidazione rivolta alle chiese siriane e non solo: un invito, non molto cortese, al silenzio.
Mesi fa, sempre ad Aleppo, erano stati rapiti due sacerdoti, dei quali non si ha ancora alcuna notizia. Cosa che fa ipotizzare il peggio: se fossero stati solo sequestrati ci sarebbero state delle rivendicazioni o delle proposte per trattative. Ma la speranza è l’ultima a morire.
Ieri il vescovo Vincenzo Paglia ha annunciato che la causa di beatificazione del vescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero si è finalmente sbloccata dopo decenni di stallo: si deve acclararne il martirio. Romero, voce di quelli che non hanno voce, fu ucciso sull’altare, al momento della consacrazione, durante gli anni della dittatura militare in Salvador.
Dai martiri di ieri a quelli di oggi. Papa Francesco di recente ha detto che questo è il secolo dei martiri. E parlava anche della Siria che oggi è un po’ di cuore della cristianità.
http://www.piccolenote.it/8821/rapiti-due-vescovi-ad-aleppo
Nonostante il silenzio stampa, Aleppo è sempre in guerra.
23 aprile. San Giorgio Martire |
Meno si parla di un paese in guerra, più è necessaria una
maggiore vigilanza. Cosa succede, allora, ad Aleppo? Una tregua? Una Pace?
Niente affatto.
Nelle zone cristiane, la minaccia continua a pesare
fortemente. I cecchini di stanza sulla "collina della Vergine", anche
chiamato quartiere di Sheikh el-Maksoud,
non abbassano la guardia.
L'esercito arabo siriano avrebbe ripreso più di un terzo
della collina, ma non ha potuto evitare i furti dalle proprietà private da
parte dei ribelli delle ASL e Forsat Al-Nosra (il movimento vassallo di
Al-Qaeda) che li hanno poi venduti a buon mercato alle bande di ladri che a
loro volta rivendono al "Souk al-haramiyyeh" (souk dei ladri) .
Così per le auto rubate, che vengono subito portate nelle
città di Afrin e Azaz situate a 30 km da Aleppo, o meglio sono esportate in
Turchia.
I rapimenti continuano; un commerciante cristiano J. Malek ha potuto
essere rilasciato a fronte di un grande riscatto, mentre la voce circa i due
sacerdoti rapiti diverse settimane fa, è molto preoccupante. Sarebbero stati
ammazzati?
Si dice che l'esercito arabo siriano aprirà da qui a pochi
giorni l'aeroporto di Aleppo. Il recupero di Sfireh e delle periferie di Aleppo
Est, gli permetterebbe un ritorno in questa zona.
Sembra sia in corso l’attuazione dell'assedio della città di
Aleppo, da parte dell'esercito arabo siriano, soprattutto della città vecchia
dove sono concentrate le bande di miliziani con le loro armi.
Il nostro quotidiano è po’ migliorato. Benchè i cristiani seppelliscano
sempre i loro morti in un terreno temporaneo, offerto dal governatore e situato
vicino al convento delle carmelitane (i ribelli controllano i cimiteri
cristiani), ora riceviamo elettricità sei ore il giorno e l'acqua viene erogata
per tre ore al giorno.
Grazie ad una iniziativa dei Padri Gesuiti e con il
patrocinio della città di Aleppo, molti movimenti laici, scout, la Mezzaluna
rossa, l’unione degli studenti (al-chabibet Thawrat) e altri volontari si
mobilitano per la pulizia della città allo scopo di rimuovere tonnellate di
rifiuti ivi accatastati. Senza questo lavoro, le epidemie minacciano,
soprattutto con l'avvicinarsi dell'estate.
Un altro segno che può essere percepito in modo positivo sta
nel fatto che molti profughi partiti per Turchia, Libano e Giordania, cercano
di tornare indietro per scappare dagli scandali che hanno dovuto subire nel
paese ospitante: ragazze vendute per matrimoni forzati , trattamenti inumani,
la mancanza di cibo e di medicine.
L'economia siriana è ancora una economia di guerra. Il
dollaro supera £ 123 siriane, mentre l'euro è al cambio di 155 lire siriane. Il
grammo di oro ha raggiunto £ 5200.
Con questa "molto
relativa calma," cominciamo a vedere quali potrebbero essere i problemi
del dopoguerra. Come fare senza tribunale , senza registri personali e di
negozi, senza documentazione di pensione,
con centinaia di migliaia di bambini che
hanno perso la scuola? Ma dalla guerra non siamo ancora fuori. Bombe e cecchini continuano. Gli universitari non vanno
più all'Università a causa di questi.
Accaniti fin dall'inizio del confronto, i ribelli non sanno
più come distruggere la Siria: hanno trovato una nuova arma, la droga che danno
ai giovani. Addirittura avrebbero diffuso
un prodotto eccitante che dà allucinazioni ai suoi consumatori per
incoraggiarli ad aderire al movimento di "ribellione".
Infine, vorremmo poter dispensare il lettore da questo rosario
di disgrazie di cui soffre il nostro paese e la sua società, ma ahimè, possiamo
ancora aggiungere l'immissione sul mercato di prodotti alimentari intossicati
di origine turca: diversi decessi sono
stati riportati a causa del consumo di olio di arachidi, di araq o di latte in
polvere contraffatto, venduto con il nome di "Nestle".
E come in ogni guerra, il traffico di organi diventa un
fatto banale.
Speriamo che il prossimo scritto dia conto di un
miglioramento più significativo. Nel frattempo, abbiamo ancora bisogno del vostro
sostegno .
Le Veilleur de Ninive