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domenica 23 dicembre 2012

Tutto il male che sta intorno a noi fa spazio al Bambino


da IL SUSSIDIARIO 23/12/2012


Tempo di Avvento, ormai Natale. I quartieri cristiani di Aleppo, negli anni  passati, in questo periodo si riempivano di luminarie, di addobbi; le facciate  delle case e i balconi traboccavano di festa. Anche troppo, è vero. Ma era pur bello, nel vento pungente che sferzava le strade, lasciarsi scaldare il cuore da  quell’annuncio di luce.
Quest’anno la gente muore di fame, in molti quartieri non c’è acqua, non c’è pane, non c’è corrente, non c’è gasolio. Non c’è lavoro. Non c’è sicurezza. In tutta la Siria, i prezzi sono spaventosi, anche quelli dei generi di prima necessità. Grazie alle distruzioni della guerra e alle sanzioni internazionali, il paese è in ginocchio, la gente soffre davvero.
 Cosa vuol dire celebrare il Natale, quest’anno, in Siria? E’ possibile? Che senso ha?
Proviamo a dirvi come lo stiamo vivendo noi. Innanzitutto, sì: ci prepariamo alla festa. Perché il Natale non è un sentimento zuccheroso, la nostalgia del sentirsi buoni come quando eravamo bambini. La gioia del Natale è una gioia dirompente, è l’annuncio delle nostre solitudini riempite, è la luce che viene nella notte. Il Bambino che nasce è colui che viene per sconfiggere la morte. Non a caso nelle icone Gesù non nasce in una stalla, ma in una grotta, e il fondo è scuro, la greppia è come il sepolcro. Lì Dio si spoglia, per darci la vita.
Se ci pensassimo! Se davvero ci fermassimo e cercassimo di comprendere... Dio con noi! Un Dio che si fa carne, nella debolezza di un bambino. Questo è l’annuncio folle dei cristiani. Ma di tanta pazzia funesta che riempie il nostro mondo, quella cristiana è davvero la più deleteria? E’ forse più “realista” la promessa di vita che ci offre la politica internazionale? E’ curioso, ma già duemila anni fa l’Occidente di allora imponeva la sua politica. Si chiamava Pax Romana, con i suoi vantaggi e le sue schiavitù. Oggi si chiama libertà, diritti dell’uomo, democrazia. Con le sue conquiste e le sue schiavitù.

 Viene il Signore, fra l’indifferenza di alcuni, fra la povertà e la sofferenza di molti. Come duemila anni fa. I grandi banchettavano nelle regge, i poveri si davano da fare per guadagnare a giornata. Così ci racconta il Vangelo, così è la storia di oggi. Gesù nasce povero, fuori città… Non c’è posto per lui. Alla grotta di Betlemme vanno i pastori, i semplici, gli emarginati di quel tempo.
Quelli che non potevano neppure risiedere in città, perché impuri. E vanno i Magi, i sapienti, coloro che cercavano davvero il senso. E poi... ma sì, c’è posto anche per l’asino e per il bue: per far compagnia al Signore, per scaldarlo come possono, da povere bestie.

Certo, il Natale ci interroga. Non è una risposta facile, è una risposta di Vita che non elimina la morte. La vince, la redime, ma non ce ne toglie il carico. E questo frammento di storia della Siria è duro, duro da comprendere, duro da vivere. Pieno di morte. Troppi elementi in gioco, troppe verità e menzogne da tutte le parti, troppi interessi intrecciati l’uno con l’altro. Abbiamo nel cuore tante storie: donne e bambini, gente innocente, da una parte e dall’altra, uccisa nei bombardamenti, nelle esplosioni, nelle repressioni, nelle vendette.

Gente che ha perso tutto, che ha lasciato le case, i villaggi. Chiese distrutte, moltissimi cristiani fuggiti. Portiamo nel cuore le aspirazioni di libertà, di giustizia, di tanti siriani, i veri manifestanti pacifici, rimaste soffocate da un gioco internazionale più grande, che li ha esclusi di fatto poiché hanno rifiutato di prendere le armi e di invocare l’intervento armato dei paesi occidentali.

  Quest’anno per le strade non ci sono luminarie, ma fotografie dei tanti soldati morti, ragazzi, a centinaia, tacciati con disprezzo di “lealismo”, letteralmente fatti a pezzi se cadono nelle mani dei ribelli...
Davanti agli occhi abbiamo anche le immagini dei tanti mercenari, dei salafiti giunti da ogni parte per la jihad: anch’essi per la maggior parte giovani, ragazzi imbottiti di satellitari, di droga e di armi. Anch’essi morti a centinaia.
Pensiamo a tanti amici, costretti a lasciare le loro case, a tanti altri che ci hanno aiutato, e che non riusciamo più neppure a rintracciare. Pensiamo a George, 35 anni, rimasto senza lavoro: ha affittato una macchina, per trasportare merci, guadagnare qualcosa e dare da mangiare ai suoi figli. Ucciso da un cecchino nei territori vicini alla Turchia. Una storia fra infinite altre.
 Ma, oggi come allora, non dobbiamo farci ingannare: l’ultima parola non è questa, la storia vera non la fanno i potenti della terra. “Dio è il più grande”, è vero. Ma è il più grande nell’amore, per questo è il solo veramente libero, e che può liberarci.
 A noi è chiesto solo di comprendere, cioè “prendere tutto” e metterlo davanti alla mangiatoia. Anche le cose più atroci, più aberranti, le più dolorose e le più vili, dove va perduta la dignità dell’uomo, tutto dobbiamo accogliere, fare nostro, e portare ai piedi di questo Bambino. Perché Lui solo è la risposta.
A noi non è chiesto di capire ogni cosa, ma di allargarci per far spazio alla verità di Dio che sola può giudicare secondo giustizia e diventare misericordia per tutti.

Noi per più di cinque anni abbiamo vissuto ad Aleppo; dal 2010 ci siamo trasferite ai confini della provincia di Homs, in un piccolo villaggio cristiano dove stiamo cercando di costruire il nostro monastero, fornendo lavoro almeno a qualche persona povera di questa zona.
Siamo semplicemente qui, vivendo la nostra vita benedettina, pregando e lavorando, condividendo le vicende della nostra gente, la pena, la tristezza, il dolore, la violenza, l’impotenza.
Ma anche sentendo attorno a noi una sorta di indomita resistenza, una capacità di solidarietà che non si è spenta, un attaccamento alla vita che diventa in qualche modo speranza, senza nome, senza illusioni, ma tenace...
 E’ questa speranza che portiamo, per tutti, al presepio, per questa speranza preghiamo. Vieni, Signore Gesù.
Suor Marta, monaca Trappista, Homs.

Gesù è con noi in questa terra insanguinata. Tra le bombe e nel segreto della nostra stanza


Da: Avvenire 23 dicembre 2012
Dalle Sorelle Trappiste in Siria...

 
Lui nasce anche in Siria

Arriva Natale. Anche in Siria, ad Aleppo, a Homs. Nel nostro villaggio. Si può, quest’anno, con questa guerra fratricida, dirci buon Natale? Sì, più che mai. Non solo si può, ma è urgente. Prima di tutto perché ciò di cui facciamo memoria è la venuta di Dio fra gli uomini. Aldilà di ogni nostra vicenda umana, per quanto tragica sia, questa è la cosa inaudita: Dio è l’Imanu­El, il Dio con noi. 

Questo ci riguarda da vicino, ora. 

Non celebriamo il Natale come una favola o un buon proposito, per dirci quanto sarebbe bello volersi tutti bene. Non lo celebriamo per dimenticare i nostri morti, per avere almeno per qualche ora il cuore leggero. Celebriamo il Natale perché guardando quel Bambino in un presepe non dimentichiamo che proprio Lui è l’Uomo risorto che è disceso in tutti i nostri inferni. Per liberare tutti i morti senza luce. Per redimerli, e quanto bisogno di redenzione abbiamo, tutti! Chi uccide e chi è stato ucciso, chi odia, chi soffre, chi dispera, chi sfrutta, chi non riesce a perdonare, chi fa il furbo, chi vive solo in superficie. 

Celebriamo il Natale perché è già Pasqua, un passaggio, l’unica via di uscita dalle nostre schiavitù, perché non c’è altra luce vera, nel mondo, non altra salvezza. Il dolore non va perduto, risorge in vita nuova. È questa, la Pace sulla terra. 

È Natale, in Siria, e non riguarda solo i cristiani. Perché anche i nostri fratelli musulmani ricordano il Natale di Gesù. È nel loro Libro sacro, e se anche non lo riconoscono come Dio, lo venerano come profeta. E proclamano la verginità di sua Madre. Siamo strani, noi figli di Abramo. Così vicini, così separati. 

Si è posata una stella, è discesa. 

Mentre costruiamo stazioni spaziali, inviamo sonde a esplorare l’universo, lanciamo in orbita la nostra vita su twitter, sfuggiamo sempre di più questo orizzonte basso in cui paure, guerre civili, inflazioni, corruzione, intolleranza, catastrofi naturali sembrano soffocarci, Qualcuno ci viene incontro. Egli che fin dall’inizio della creazione si libra più alto di ogni nostra possibile speranza, è sceso e di nuovo discende in mezzo a noi. Possiamo invocare una No Fly Zone,  una qualche barriera per difenderci. Ma non è necessario: Egli è inerme. Non ci disturberà, se non lo vogliamo. 

Ma sarebbe bello se quest’anno ci procurassimo un Bambinello. 

Anche Piccolo, anche di plastica, non importa. Ma bello, perché Dio è bellezza. E poi, nel segreto della nostra stanza, lontano dalla vergogna del mondo, che ci vuole forti e sicuri di noi stessi, nel silenzio, nel mezzo della notte, appoggiassimo la fronte ai suoi piedi. Forse ne avremmo un tepore, una pace, che da tempo non conosciamo. Se questa follia che la fede cristiana proclama, un Dio fatto carne, provassimo una volta a guardarla da vicino, a considerarla senza pregiudizi o idee scontate... 

Forse viaggeremmo anni-luce... 

Cantano gli angeli. Cantano, e forse anche piangono. Perché lo sanno bene, loro: il mondo non si divide mai in buoni e cattivi. E se noi non possiamo proprio fare a meno di schierarci, almeno dobbiamo sapere che da qualunque parte guardiamo, piangendo i nostri morti, dall’altra parte ci sono altrettanti morti e pianti. Dobbiamo essere coscienti che da tutti i lati dell’umano ci sono speranze, ragioni, odii, sofferenza, coraggio, ingiustizie, e infine amore. 

Magari amore 'sbagliato': ma se c’è un uomo non può esserci altro se non questo impasto di grandezza e meschinità di cui tutti siamo fatti. 

Gli Angeli però, dall’alto, ci vedono anche belli, fatti a immagine del Dio Altissimo, fatti per l’Amore 'giusto'. 

Cantano, dunque, aldilà di ogni lacrima, la loro speranza: «Gloria nei cieli, e pace sulla terra agli uomini che Egli ama».

E allora felice anno nuovo. Che il 2013 porti a noi, in Oriente, la pace, la riconciliazione, il dialogo, il perdono reciproco. Che a voi porti stabilità, serenità, lavoro. Che a tutti porti una fede che nutra e trasfiguri la vita.

Le sorelle trappiste