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Dall'Osservatore Romano del 15/09/2012

Il Papa spiega il significato della sua visita in Libano

Sotto il segno della fraternità e del dialogo

All'arrivo a Beirut l'indicazione del modello libanese quale esempio di convivenza per il Medio Oriente e il mondo

Mai pensato di rinunciare a questo viaggio. Benedetto XVI lo ha ripetuto senza esitazioni rispondendo alle domande postegli dai giornalisti questa mattina, venerdì 14 settembre, durante il consueto incontro a bordo dell’aereo che lo ha condotto a Beirut. Il Papa non ha mai esitato. Semmai l’aggravarsi delle tensioni e il complicarsi della situazione ha reso ancor più vivo il suo desiderio di offrire un segno di fraternità e un invito al dialogo a tutte le popolazioni mediorientali, la cui condizione di sofferenza non avrà fine — ha affermato — sino a quando non si impedirà il passaggio delle armi destinate ai belligeranti, come accade nel drammatico contesto della crisi siriana.
Messo un punto fermo su questo, il Pontefice ha affrontato questioni e argomenti divenuti di attualità scottante soprattutto in questi ultimi tempi. E ricordando due tragici avvenimenti che hanno segnato il recente passato della regione e del mondo — la strage avvenuta nel 1982 nei campi dei profughi palestinesi di Sabra e Chatila, proprio in Libano, e l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 — ha parlato dell’inquietudine dinanzi alla crescita dei fondamentalismi e alle aggressioni di cui sono vittime numerosi cristiani. Ha poi accennato al rischio che nei Paesi dove è sbocciata la cosiddetta «primavera araba» proprio i cristiani, in quanto minoranza, possano soccombere, con un esplicito riferimento alla situazione della Siria. Infine ha sottolineato il valore dell’esortazione postsinodale che consegnerà domenica 16 e il ruolo che le Chiese d’Europa e delle Americhe possono svolgere per sostenere i loro fratelli del Medio Oriente.

L'audacia della fede

In una terra martoriata e divisa e a due passi da una guerra
Sir 13 settembre 2012
Lo ha voluto il Papa, lo vuole fortemente, questo viaggio in Libano. Per la Chiesa e per il mondo, non solo per i cattolici e i cristiani del Medio Oriente, che lo attendono con gioia, con ansia, con speranza. Lo ha voluto con il coraggio della fede e la serenità della testimonianza, al di là di tutti i pericoli, che pure sono ben presenti a tutti.
La Terra Santa, il Medio Oriente, hanno bisogno di pace e di speranza. Sono due beni grandi che nessuno può imporre, nessuno può fabbricare. Sono un dono, che reciprocamente, tutti sono chiamati a darsi, sono il frutto di un percorso, che è necessario sviluppare insieme. Con questo spirito, con questa convinzione, con questo sereno coraggio Benedetto XVI vola in Libano, una terra felice e martoriata, forte e divisa, a due passi da una guerra in corso e nel cuore di una regione che con la guerra fa drammaticamente i suoi conti tutti i giorni, da decenni. Proprio per questo bisogna andare al di là di quelle logiche di violenza e di potenza che si rincorrono, apparentemente senza fine, sulla pelle degli innocenti e dei poveri. Che pagano per tutti. E fra questi ci sono proprio anche i cristiani, spesso costretti all’emigrazione, ad abbandonare quelle terre di cui sono parte decisiva.
Venendo a confortare, incoraggiare, guidare i cattolici, il Papa viene a testimoniare una logica nuova e antica, con il coraggio e la serenità che gli conosciamo e che sa parlare a tutti. E proprio per questo può dare frutti abbondanti, e insperati.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=246213&rifi=guest&rifp=guest


Dall'intervista in volo per Beirut: "deve finalmente cessare l’importazione di armi, perché senza l’importazione della armi la guerra non potrebbe continuare, invece dell’importazione delle armi che è un peccato grave si dovrebbe importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni da accettare "

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In Siria come tempo fa in Iraq molti cristiani si sentono costretti a malincuore a lasciare il loro paese che cosa intende fare o dire la chiesa cattolica per aiutare in questa situazione per arginare la scomparsa dei Cristiani in Siria e in altri paesi medio orientali?
«Bisogna innanzitutto dire che non solo i cristiani fuggono ma anche i musulmani ma naturalmente il pericolo che i cristiani si allontanino e perdano la loro presenza in queste terre è grande dobbiamo fare noi il possibile per aiutarli a rimanere. L’aiuto essenziale sarebbe la cessazione della guerra della violenza, questa crea questa fuga e quindi il primo atto è fare tutto il possibile perché finisca la violenza e che sia realmente creata una possibilità di rimanere insieme anche in futuro. Cosa possiamo fare contro la guerra? Naturalmente sempre difendere il messaggio della pace, coscienti che la violenza non risolve mai un problema, e rafforzare le forze della pace. Direi importante è che il lavoro dei giornalisti che possono aiutare molto per dimostrare come la violenza distrugge e non costruisce, non è utile per nessuno. Poi direi forse gesti nella cristianità, giorni di preghiera per il Medio Oriente, per i cristiani e i musulmani, mostrare la possibilità di dialogo e di soluzione. Direi anche deve finalmente cessare l’importazione di armi, perché senza l’importazione della armi la guerra non potrebbe continuare, invece dell’importazione delle armi che è un peccato grave si dovrebbe importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni da accettare ognuno nella sua alterità e dobbiamo quindi nel mondo rendere visibili il rispetto delle religioni, gli uni degli altri, rispetto dell’uomo come creatura di Dio, l’amore del prossimo come fondamentale per tutte le religioni. In questo senso con tutti i gesti possibili, con aiuti anche materiali aiutare perché cessi la guerra la violenza e tutti possono ricostruire il paese».
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