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lunedì 30 aprile 2012

Il Papa in Libano per la missione dei cristiani e la Primavera araba: ancora un contributo

Continuiamo il confronto sulla Primavera Araba attraverso questo articolo ripreso da "La Bussola Quotidiana" , dopo gli articoli pubblicati su questo Blog il 24 e il 16 aprile

Ma quale primavera araba
Nicola Scopelliti
Dal numero in uscita del mensile "Studi Cattolici" pubblichiamo questa intervista a mons. Paul Dahad, vicario apostolico dei Latini in Libano

Beirut (Libano): nonostante i campi profughi siano pieni di rifugiati siriani, provenienti dalla vicina cittadina di Tall Kalakh e dalla regione di Homs, una delle roccaforti dei manifestanti e dei sempre più numerosi disertori dell’esercito, l’ormai inesistente regime di Bashâr al-Assad ha deciso di far minare il confine con il Libano. L’obiettivo principale è quello di fermare il traffico d’armi. Ma l’iniziativa di Damasco sancisce un riconoscimento, de facto, della divisione della Siria dal Libano, considerato da sempre, da parte siriana, il «giardino di Damasco». La zona, ora minata, Wadi Khaled, è situata tra i villaggi di Kneisse e Hnaider, ed è stata scelta dai disertori per trovare rifugio nel Paese dei cedri. La situazione, purtroppo, con il trascorrere dei giorni diventa, come riferiscono le cronache dei media internazionali, sempre più difficile. Ma qual è la reale situazione in Libano? Ne parliamo con l’Arcivescovo mons. Paul Dahdad OCD, vicario apostolico dei Latini di Beirut, il cui territorio è suddiviso in otto parrocchie.

Eccellenza, che cosa vuol dire essere vescovo in Libano, in una terra così martoriata?
Mi presento: ho sempre svolto il mio ministero sacerdotale ed episcopale in terre martoriate. Sono rientrato in Libano come sacerdote novello nel 1967. Nel 1983 sono stato nominato arcivescovo di Baghdad dei Latini. Successivamente, ho vissuto la guerra civile libanese e le sue conseguenze. In piena guerra iracheno-iraniana sono arrivato come vescovo in Iraq. I primi cinque anni sono stati di guerra. Ci fu un intervallo di pace, per due anni, dal 1988 al 1990. Ma con l’invasione del Kuwait scoppiò un altro conflitto, che ricordiamo col nome di «Tempesta del deserto», con tutte le conseguenze sociali ed economiche che si possono immaginare. Sono stati tempi drammatici e tragici. Sono poi ritornato in Libano come vicario apostolico di Beirut dei Latini nel 1999, rimanendo Amministratore apostolico di Baghdad «sede vacante».

Ma in Libano non ci sono, per fortuna, gravi conflitti
.
No, ma si vive nell’instabilità, nella mancanza di sicurezza e nell’incertezza per il futuro. Essere vescovo in questa situazione vuol dire essere presente per incoraggiare, consolare, aiutare moralmente e materialmente nella misura del possibile. A volte non si può fare un granché, ma essere presenti, tra la gente, è molto importante per dare a essa un senso di sicurezza. Nel frattempo aspettiamo tempi migliori.

Quale la sua opinione sulla cosiddetta «primavera araba»? «Primavera araba» è uno dei tanti slogan inventati dai governanti e dai media occidentali come: «scontro di civiltà», «asse del bene e asse del male», «caos creativo»… Uno slogan inventato e non frutto di realtà. Non mi pare che si tratti di una primavera, ma di un inverno cupo. Con la primavera la natura si risveglia, rifiorisce. Sinora i bei fiori profumati non si son visti. Se son rose fioriranno, ma non so quando.

Le popolazioni che si sono ribellate reclamano maggiore libertà e una via araba alla democrazia. Sarà possibile?

Mi permetto di dire che la democrazia non è una merce che si compra o si vende, che si importa o si esporta. La democrazia è un valore umano e cristiano a cui bisogna educare i popoli. Imporre la democrazia con la forza delle armi è una contraddizione. Ci vuole molto tempo per familiarizzare col sistema democratico. Ad alcuni non conviene e non fa comodo. E non si può avere la democrazia con la bacchetta magica. Le popolazioni si ribellano, ma sono altri che colgono i frutti di questa ribellione. I popoli, come dice Cristo, sono pecore senza pastore, destinate al macello.
leggi tutto l'articolo su:
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-ma-quale-primavera-araba-5178.htm



Minoranze religiose capro espiatorio in Medio Oriente, se le rivoluzioni arabe “si inacidiscono”
Londra (Agenzia Fides) – Se le rivoluzioni avviate dalla Primavera Araba “vanno a male”, vi saranno forti rischi per le minoranze etniche e religiose in Medio Oriente: è quanto emerge dal nuovo rapporto “Popoli in pericolo”, (“Peoples under threat”), appena pubblicato dall'Ong “Minority Rights Group” (MRG) e inviato all’Agenzia Fides, focalizzato sulla situazione delle minoranze in Medio Oriente. “Se il 2011 sarà ricordato come l'anno della Primavera araba, il 2012 potrebbe diventare l'anno delle rivoluzioni inacidite” dice in una nota inviata all'Agenzia Fides Mark Lattimer, Direttore esecutivo di MRG. “I grandi cambiamenti in Medio Oriente e Nord Africa, se da un lato aumentano le speranze per la democratizzazione, rappresentano per le minoranze etniche e religiose un evento pericoloso quanto la violenta disgregazione dell'Unione Sovietica e della ex Jugoslavia”, ammonisce.
Il Rapporto nota che Siria, Libia, Egitto, Yemen, Sud Sudan sono tra gli stati dove le comunità di minoranza sono più a rischio di omicidi di massa. Appena si apre uno spazio politico e uno spiraglio di libertà, rivendicazioni etniche e settarie vengono esacerbate e, in tali dinamiche, “le minoranze costituiscono spesso un capro espiatorio” spiega MRG.
In Siria, dove il governo è dominato dagli alawiti, le comunità di sciiti e alawiti sono in pericolo se il conflitto si intensificherà, mentre anche i cristiani sono profondamente preoccupati per la possibilità di attacchi dei militanti sunniti.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39169&lan=ita

domenica 29 aprile 2012

Chi ha a cuore la vita del popolo sirano?


Abbiamo paura di pronunciare la parola ‘guerra civile’, ma si sta andando in quella direzione, i segnali portano in quel senso” dice padre Pizzaballa intervistato da Radio Vaticana sulla situazione in Siria, ed aggiunge “Non c’è una guerra generalizzata, non c’è un fronte aperto su tutto il Paese” e conclude: “però, purtroppo tutto fa pensare a questo”.

Il paese è allo stremo, la gente ne paga le conseguenze, intere città assediate, rapimenti, violenze diffuse. Quella degli oppositori non è più la pacifica richiesta di maggiore democrazia.  Complice la repressione violenta del regime,  le richieste iniziali sono state sostituite da quelle di azzeramento di  tutto l’establishment attualmente al potere. Così  le legittime richieste popolari hanno lasciato il campo alla violenza settaria, ad una guerra senza quartiere, dilagata ‘a macchia di leopardo’ in tutto il paese.

Naturalmente si è levata l’indignazione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che più volte hanno richiesto una risoluzione Onu che aprisse la strada per un intervento, anche militare.  L’impressione che se ne ricava è che si stia buttando benzina sul fuoco anziché calmare la situazione.  E’ paradossale che nell’area i governi più attivi nel richiedere ad Assad  le libertà democratiche e il rispetto dei diritti umani  siano le monarchie del Qatar e dell’ Arabia Saudita, monarchie assolutistiche che non concedono ai loro popoli ciò che chiedono a terzi. A  sostenere il regime siriano ci sono invece Cina, Russia e Iran che interpretano la situazione esplosiva del paese come il risultato dell’ennesima ingerenza ‘umanitaria’ occidentale.
Essa è giudicata come un tentativo -giocato in campo mediatico, finanziario e militare- messo in atto unicamente al fine di perseguire i propri obiettivi:  cambiare globalmente la mappa geopolitica della regione mediorientale a proprio favore.

Assad se ne deve andare” questo è sinteticamente il ‘dialogo’ intavolato dalla comunità internazionale. Ma se Assad lasciasse né lui né tutte le istituzioni che reggono il paese  avrebbero scampo. Il motivo è semplice: ogni ruolo chiave istituzionale, soprattutto i vertici dell’esercito, sono ricoperti dagli alawiti, la minoranza religiosa che rappresenta  solo il 20% della popolazione, mentre la maggioranza è sunnita. Se gli alawiti non gradivano la perdita dello ‘status quo’ nella fase iniziale delle proteste,  ora in un contesto di guerra civile e di violenza diffusa (non controllabile nemmeno dall’opposizione), con vari agenti sul campo, sanno bene che l’epilogo sarebbe quello di essere frettolosamente giudicati da una delle tante formazioni armate della ribellione, ed essere uccisi. Perciò non  hanno nulla da perdere.
D’altra parte sanno di avere tutti contro: “inutile” è stata  giudicata dalla Lega Araba e dall’ONU la missione degli Osservatori in Siria iniziata nel dicembre scorso e cessata dopo soli 23 giorni, nonostante avesse ristabilito un clima costruttivo, ottenuto il ritiro dei militari in varie città, la liberazione dei prigionieri, la distribuzione di aiuti alla popolazione.

La situazione in Siria è complessa: padre Paolo dell’Oglio (da 30 anni in Siria) racconta che “a prescindere dalle appartenenze religiose, è ancora massiccia, anche se scossa, l’adesione popolare al potere costituito” e aggiunge “alcune aree sono ormai in mano all’ ‘esercito libero’ “ e “In generale il clima politico è confuso, la sicurezza carente. Si registrano episodi di furto, teppismo, sabotaggio, attentati, rapimenti, rese di conti, vendette e uccisioni. La violenza non fa che aumentare”. Non sono parole di un filo-governativo ma quelle di un frate espulso dal Paese perché giudicato troppo sbilanciato a favore dei “ribelli”. E’ evidente che comunque si voglia chiamare, una speranza che per vivere  ha bisogno dell’annientamento dell’avversario in qualunque modo si chiami è tirannia: il rischio in assenza di un negoziato e un accordo è che il potere semplicemente passi solo di mano.
Non cambia nulla se non si guarda con simpatia all’uomo in quanto tale ed al suo destino, se non si parte  dalla dignità insopprimibile di ognuno.

E’ invalsa invece l’aspettativa che le rivoluzioni da sole, ad agni costo e con qualsiasi mezzo possano risolvere ogni cosa. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che la soluzione che vediamo adottata da un po’ di tempo per migliorare la vita dei popoli è falsa.
Se in Siria non si torna al dialogo e le voci delle armi non cessano, non rimarranno che rovine a contendersi.

venerdì 27 aprile 2012

LETTERA DALLA SIRIA

 Pubblicata sul Bollettino di aprile 2012 della Parrocchia “Sant'Ambrogio” di Merate


Nell'ottobre 2010 un gruppo della Parrocchia ha compiuto un viaggio in Siria vivendo un'esperienza davvero indimenticabile, da un punto di vista umano, culturale e spirituale... Non sono trascorsi neanche due anni da allora, ma la situazione di quel paese è radicalmente cambiata,  Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto un messaggio via e-mail dalla guida siriana che ci aveva condotto - con grande competenza e capacità - alla scoperta della Siria..
San Simeone lo stilita

Cari signori, amici e tutti quelli che mi ricordano o forse non mi ricordano più, è quasi un anno da quando la crisi nel mio paese  è cominciata. Vi scrivo perché credo che c'è qualcosa che devo informarvi e scusatemi se faccio errori linguistici.

Sono sicuro che se voi non sarete d'accordo con quello che dico, almeno dopo questa e-mail sarete consapevoli che tanta gente come me esiste. Noi esistiamo e siamo tanti, anche se i media internazionali non vogliono riconoscerci. Ecco perché vi scrivo: perché conosco tutti voi e ho fiducia grande di voi e so che mi considerate una persona seria e onesta. Voglio far arrivare la mia voce!

Noi siamo CONTRO la rivolta che sta succedendo nel nostro paese! E vi dico ancora che siamo una parte grande della popolazione siriana. È una sorpresa, vero?

Vi spiego cosa è successo  dal nostro punto di vista. Potete sentirmi come un testimone che vive vicino e dentro quello che succede: dall'inizio c'era parte della gente che ha chiesto la riforma pacifica e loro avevano ragione. Perché tante cose non andavano bene. Lo Stato ha promesso di fare quello che la gente aveva chiesto. Ma nello stesso tempo c'erano gruppi armati che hanno usato le richieste pacifiche e giuste per creare i problemi più grandi e per dire che l'esercito siriano uccide la gente, ma in realtà loro uccidevano i soldati siriani...

Questa era una bugia grande che l'opposizione siriana ad Istanbul ha creato e dato al mondo come verità. Però, la verità è che gli islamisti ( come partiti politici ) nel mondo islamico appoggiano la rivolta in Siria.

Loro usano la rivolta per arrivare al potere. Purtroppo tanta gente religiosa in maniera semplice crede a tutto quello che gli imam dei paesi del Golfo Arabo dicono, specialmente la promessa di andare in cielo se sopportano la rivolta.

Loro dicono che questa rivolta a parte del Jihad, la guerra santa. Immaginate!

Non solo i gruppi armati hanno attaccato dei soldati e ufficiali dell'esercito ma anche gli impiegati al governo, ingegneri e tecnici. .. Hanno attaccato anche la gente che non voleva partecipare alla rivolta!! E hanno bruciato le loro macchine!

La parte a cui appartengo è la gente siriana laica che contiene cristiani e musulmani e altri che vogliono un paese laico che rispetti tutti. Il nostro presidente ha promesso di fare un referendum per cambiare la Costituzione come la gente aveva chiesto all'inizio. La gente che vuole la riforma- come noi-ha votato (sì o no non importa) e l'opposizione (armata e non armata) non ha votato.  8,5 milioni hanno votato! Ma i media dicono che noi non esistiamo forse? O che siamo stati obbligati a partecipare?? Che strano!

Secondo noi, la riforma viene gradualmente e senza distruggere il paese. Nella nuova Costituzione non ci sarà più un  partito solo al potere come era in precedenza. Ci sarà il pluralismo vero siccome altri partiti potranno ugualmente partecipare alla vita politica. Un presidente può essere eletto due volte al massimo. Non è questo che abbiamo chiesto un anno fa? Si!

Allora perché ci deve essere una rivolta aggressiva e soprattutto piena di propaganda falsa. Perché perdiamo lo scopo: la riforma? Chi vuoli i fanatici con le loro barbe e il loro discorso medioevale?

La situazione sociale a causa della rivolta armata: tanta gente ha perso il lavoro per mancanza di stabilità. I prezzi sono raddoppiati! Le sanzioni imposte su di noi ci soffocano e non cambiano nulla sul livello politico. Il latte per i nostri bambini, ad esempio, è l'80% più caro... I ribelli hanno attaccato le infrastrutture, oleodotti, centrali di elettricità... E quindi hanno lasciato tanta gente senza elettricità e senza diesel in questo inverno freddissimo...

Se non mi credete, va bene, ma almeno credete che noi esistiamo e che siamo tanti. E che noi non siamo parte del governo o l'esercito o il partito che governa. Siamo gente siriana che non ha avuto la possibilità di dire al mondo che la rivolta ha un altro viso cattivo che non sapete....

Vi chiedo, se volete bene alla gente siriana, di non appoggiare la rivolta ma il DIALOGO. L'unica soluzione è il dialogo tra il governo e l'opposizione. Basta sangue! Basta rivolta! Vogliamo il dialogo perché i nostri bambini abbiano un futuro.

Grazie per avermi dato il vostro tempo e la vostra attenzione. Un caro saluto G. E.


PER LE STRADE DI DAMASCO E ALEPPO ... IL FANTASMA IRACHENO

Alla MISNA, a cui chiede di mantenere l’anonimato per motivi di sicurezza, una fonte ben informata raggiunta in Siria racconta le vicende del paese mediorientale dove la comunità internazionale sta cercando di far rispettare un fragile cessate-il-fuoco, passo iniziale per una possibile soluzione politica della crisi. E parla “della strana sensazione di trovarsi in un paese in guerra dove i combattimenti sono circoscritti, appaiono a volte lontani, e dove la gente a fatica affronta un argomento che pure la riguarda”.
Crack des Chevaliers

“La tregua è rotta da entrambe le parti in quelli che sono ormai i tradizionali luoghi di confronto armato – prosegue la fonte della MISNA – ma a Damasco e Aleppo sembra quasi che il conflitto non arrivi. Almeno in apparenza. Poi però bisogna fare i conti con le decine di migliaia di sfollati interni (stime correnti indicano almeno 500.000 persone tra sfollati e profughi riparati oltreconfine, ndr) che in Siria si sono trasferiti in particolare nelle prime due città del paese, Damasco e Aleppo appunto, dove vivono in appartamenti presi in affitto o ospiti di parenti”.
Sono famiglie numerose quelle in fuga, e spesso costrette in due stanze possono vivere anche 15 persone. “Dai loro racconti – aggiunge la fonte – emerge la paura di quanto visto, il timore che il conflitto possa estendersi. Racconti a volte drammatici, di parenti uccisi da cecchini, di bombardamenti, di vendette, di minacce a intere comunità come quella che ha costretto alla fuga 5000 cristiani della città di Qusayr. La Siria è stata un esempio di tolleranza religiosa e Qusayr è un caso isolato, il conflitto rischia però di trasformarsi in aperta guerra civile e di travolgere questo antico equilibrio”.
“La parte di popolazione più impaurita, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è la comunità cristiana” dice la fonte della MISNA raggiunta in Siria. “Sono gli iracheni, centinaia di migliaia di persone, fuggiti dal conflitto nel loro paese e che in Siria avevano trovato un rifugio ideale, migliore di quello che avrebbero trovato in Turchia o in altri paesi della regione”.
Gli iracheni in Siria vivono soprattutto nelle grandi città e si erano ben integrati con la popolazione locale: “Adesso sono loro per primi che si sentono in trappola – prosegue l’interlocutore della MISNA – che rivedono i fantasmi del passato, che temono una recrudescenza dei combattimenti. Pur in un contesto diverso, loro hanno esperienza di cosa significhi una guerra e delle devastazioni che arreca. Ma sono pur sempre stranieri in un paese che li ha accolti e che ora vedono crollare anche sotto i colpi di una massiccia campagna mediatica”.
Rileggendo le notizie diffuse dalla stampa internazionale, le ricostruzioni di noti canali satellitari finanziati dai paesi del Golfo, i bilanci di un conflitto dati da una parte e poi ‘ufficializzati’ dall’Onu, la fonte della MISNA si interroga sulla verità dei fatti che arrivano all’opinione pubblica internazionale. “In Siria non c’è democrazia – sottolinea – ma non c’è nemmeno una situazione in cui l’intera popolazione è contro il regime. C’è, è vero, un generale desiderio di maggiore libertà in tutti i campi della vita sociale e politica, il bisogno di una crescita economica e di una più equa redistribuzione della ricchezza e delle risorse. Ma tutto questo non sta portando a un sostegno unanime dell’iniziativa armata e d’altra parte il regime ha dimostrato di essere in grado, almeno fino a questo punto, di resistere alle pressioni. Il flusso di armi diretto sia all’opposizione sia al regime non aiuterà però chi sta cercando di lavorare per la pace. E questo gli iracheni che in Siria avevano trovato una nuova casa lo sanno molto bene”.

martedì 24 aprile 2012

Il Papa in Libano per la missione dei cristiani e la Primavera araba: continuiamo la riflessione

Il 16 aprile su questo Blog abbiamo ripreso la riflessione di Padre Samir Khalil Samir pubblicata su Asia News. Continuiamo il confronto sulla Primavera Araba attraverso questo interessante articolo

Primavera Araba: modelli, conseguenze, attualità
di Amer Al Sabaileh


T
utti ci chiediamo perché la rivolta popolare egiziana e tunisina sono state non violente, a differenza di quella libica e ora di quella siriana, così segnate da atti di violenza efferata e da distruzioni. In realtà, per poter rispondere a questa domanda, bisogna guardare ai modelli della “rivoluzione” dal punto di vista delle potenze internazionali, cioè il blocco dei Paesi amici degli USA (Egitto, Marocco, Giordania, Arabia Saudita e paesi del Golfo) e il blocco dei Paesi definiti dai primi come “poteri del male” (Iran, Siria, Hezballah libanese).

Dopo la rivolta egiziana, sembrava che gli USA si liberassero dei loro vecchi amici. I paesi alleati degli Stati Uniti, in particolare l’Arabia Saudita e il Qatar, hanno capito che poteva verificarsi anche il rovesciamento del loro regime. Si sono verificati, infatti, tentativi di rivolta nell’est dell’Arabia, soffocati immediatamente con la forza. Poi, davanti agli occhi di tutto il mondo, che assiste passivamente, i Sauditi hanno mandato le loro truppe in Bahrain per opprimere il grande movimento popolare del Paese. Come si può allora credere alla sincerità delle affermazioni di questi regimi che si ergono ora a sostenitori delle rivendicazioni del popolo siriano alla libertà e alla democrazia?

Oggi non si può parlare, nel caso della Siria, di una sollevazione popolare contro un regime dittatoriale corrotto, come è stato in Tunisia prima e in Egitto poi. L’impressione che si ricava dalle poche immagini che giungono dalla Siria è piuttosto di una situazione di caos e di violenza organizzata da bande armate che vogliono destabilizzare il Paese, confermata dal fatto che questa violenza si dirige soprattutto contro la popolazione civile. La rivolta siriana infatti non appare simile ai modelli precedenti, ma sembra piuttosto creata dall’esterno, così che non è possibile parlare di una rivoluzione popolare come quella che ci mostravano le immagini di piazza Tahrir in Egitto.

Non difendo sicuramente il regime siriano, tant’è vero che in Siria ci sarebbero stati tutti gli elementi per giustificare una rivolta popolare: tuttavia si ritiene che la crisi siriana attuale non presenti i caratteri di una lotta per i diritti umani e la libertà. Inoltre la pressione esercitata fin da subito sul regime siriano sarebbe stata sufficiente per permettere un transito verso una fase di maggiore democrazia nel Paese: in realtà non c’è la volontà di cogliere i segnali positivi che vengono dal regime siriano in vista di una soluzione, ma anzi si vuole spingere la Siria nel caos e nella violenza con il rischio di trascinare nella catastrofe anche i paesi confinanti (Libano, Giordania, Iraq e Turchia). Le forze usate per questo piano di destabilizzazione della Siria sono quelle dell’islam radicale, salafita, già utilizzate in Afganistan, al tempo della guerra contro i Russi, poi in Iraq e anche in Libia nella recente guerra fatta passare come guerra di liberazione dal regime di Gheddafi. L’utilizzo di queste forze è veramente rischioso perché si è già visto come poi siano difficilmente gestibili.

Chi utilizza queste forze per i propri interessi (storicamente l’Arabia Saudita e attualmente anche il Qatar), lo fa soprattutto per dare stabilità al proprio regime, in quanto gli elementi principali per fare scoppiare una rivoluzione esistono manifestamente anche nei Paesi “moderati” che hanno in comune tre fattori: (1) sono amici dichiarati di Israele e dell’America, (2) esiste al loro interno un legame molto stretto tra business e potere e (3) vi svolgono un ruolo particolare le mogli dei dittatori, implicate pesantemente nella corruzione nel campo della finanza.


“La rivoluzione”: dagli amici dell’America ai suoi nemici

Il regime siriano, pur destinato a finire perché basato sulla paura e sull’assenza di un vero dialogo politico, non presenta nessuna delle tre costanti dette prima: di conseguenza una rivolta avrebbe richiesto tempi lunghi di maturazione. Allora, per far precipitare la situazione, si è ideata la guerra libica, che non appartiene al modello della primavera araba ma che ha determinato subito l’intervento militare della NATO e dei paesi arabi alleati, quali Giordania e Qatar. Intervento facile, perché la Libia non ha importanza dal punto di vista geopolitico: è in gran parte deserto e procura vantaggi enormi (è un mare di petrolio). Mentre l’attenzione della gente è concentrata sulla Libia, viene creata la figura del cugino di Baschār El-Asad, l’uomo che coniuga business e autorità: è il cugino corrotto che ha in mano la finanza del Paese, prima sconosciuto al mondo arabo ora improvvisamente noto. Poi iniziano gli scontri armati nella località di Dara‘a, causati all’inizio da un fatto forse non rilevante: l’incapacità del governatore di risolvere un problema locale legato a una crisi momentanea.

In realtà la decisione di far cadere il regime siriano era già stata presa da tempo, negli anni novanta, ma l’astuzia politica di Asad padre era riuscita sempre a contrastare questo progetto. Anche la guerra nel sud del Libano e poi la guerra di Gaza avevano l’obiettivo di colpire la Siria.

Dopo la prima fase della crisi siriana, quando i media non avevano ancora attaccato Baschār, si comincia a fare il nome del fratello, Maher, descrivendolo come un pericoloso assassino. Mentre Baschar è riformista ma debole, il fratello è autoritario e sanguinario. Infine si fa comparire la figura di Asma, la moglie corrotta di Baschār El Asad. Progressivamente si creano cioè le tre costanti secondo il modello descritto sopra. D’altronde l’America sa di non potere intervenire militarmente in Siria per non mettere a rischio la sicurezza di Israele e allora cerca di indebolire il regime, come fece a suo tempo con Saddam in Iraq, creando punti di instabilità e di conflitto in varie direzioni. Gli integralisti islamici utilizzati come strumento di destabilizzazione della Siria sono gli stessi creati in Libia con l’avallo delle potenze occidentali.

Credo che nessuno possa immaginare le disastrose conseguenze che la caduta della Siria potrebbe originare, ben peggiori dello scenario iracheno. Il pericolo è legato agli strumenti utilizzati per rovesciare il regime, già introdotto in Libia: le forze radicali (salafite) sponsorizzate dal Qatar. Il Qatar ha manifestato di essere lo sponsor ufficiale di tutti i gruppi radicali inaugurando la moschea più grande della regione, sotto il nome del fondatore del wahabismo Mohammad Bin Abd al Wahab, e inoltre con l’istituzione di un ufficio di rappresentanza per i Taliban a Doha, la capitale del Qatar. Anche i fratelli musulmani ora dichiarano che con l’America si può trattare, con questa nuova America che difende i diritti degli stati alla libertà e alla democrazia. Gli americani, ad esempio, favoriscono il ritorno di Hamas in Giordania: ma di un Hamas nuovo, pragmatico, politico. Questo spiega perché certi Paesi debbano servirsi ora, per realizzare i loro piani, di forze islamiche estremiste, prima messe al bando e combattute con tutti i mezzi. E spiega il ruolo ambiguo giocato dal Qatar in Libia, e il suo sforzo attuale per avere lo stesso ruolo in Siria. L’esportazione di questi gruppi sarebbe controllabile dopo? Temo che la risposta sia assolutamente negativa: dunque dobbiamo temere già da ora le conseguenze catastrofiche di questa politica.

Il ruolo del Qatar nell’appoggio ai Fratelli musulmani dovunque in Medio Oriente ormai è chiaro. A dire il vero, pare che il progetto di islamizzare i paesi arabi abbia avuto il consenso americano con la supervisione del Qatar. Questo è ormai confermato dalla generosità del Qatar nell’offrire tutti i mezzi possibili per attuare il progetto dei “Fratelli musulmani”, dal sostegno economico a quello dei media (Al Jazeera). Anche Hamas ha abbandonato la Siria, preferendo l’alleanza con il Qatar, il quale l’ha accolto a braccia aperte trovando un’altra carta vincente da giocare. Recentemente, il Qatar è riuscito a far ritornare i leader di Hamas in Giordania da cui erano stati espulsi nel 1999. Ciò solleva molte domande riguardanti il futuro di questo movimento e il futuro della Giordania.

La Nuova Hamas è definita una Hamas politicamente più matura, addomesticata, pronta ad adottare la resistenza popolare. In realtà il suo ritorno rappresenta l’inserimento degli interessi di molti giocatori. Per i “Fratelli Musulmani” sarebbe la forza necessaria per poter arrivare al potere. La presenza di Hamas come forza politica darà ai “Fratelli Musulmani” quello che ancora gli è necessario: la popolarità per ottenere un numero maggiore di consensi. La popolarità di Hamas è concentrata e fortemente presente nei campi profughi palestinesi in Giordania.

L’alleanza tra Qatar, Hamas e “Fratelli Musulmani” oggi corrisponde al desiderio americano-israeliano di mettere fine alla questione palestinese. In realtà, l’ingovernabilità siriana potrebbe portare a un caos regionale, con prezzi da pagare altissimi. Giocare alla trasformazione della regione è un fatto gravissimo: la Giordania è il paese cruciale della zona, è il garante della stabilità e una qualsiasi imprudenza volta a cambiare la sua faccia potrebbe generare risultati catastrofici.

È importante notare qui che molti di questi islamisti sono stati scarcerati recentemente. Anche in Giordania ne sono stati rilasciati recentemente 222. La Gran Bretagna ha appena deciso la liberazione di uno dei più pericolosi salafiti e pretende che la Giordania lo accolga e rispetti i suoi diritti. In poco tempo questi nemici di un tempo stanno diventando tutti ricchi. Molti di loro entrano in politica e hanno rapporti con Israele. La televisione israeliana, ad esempio, ha dato spazio su un suo canale al rappresentante dei salafiti egiziani (il partito An-Nur). In Egitto gli integralisti sono riusciti a emergere nelle elezioni, ottenendo i voti delle masse povere e ignoranti alle quali danno soldi forniti dall’Arabia Saudita. È noto che l’Arabia Saudita è storicamente quella che appoggia i salafiti mentre il Qatar, attraverso l’emittente Al Jazeera, finanzia e sostiene i fratelli musulmani. Se questi sono gli strumenti per attuare il piano, ci si deve chiedere da dove essi entrano in Siria.

Non può essere l’Iraq a farli entrare, dal momento che si è dichiarato contrario a una alleanza contro la Siria; la Turchia ha minacciato l’ingresso di truppe turche sul suolo siriano per la protezione dei civili ma poi ha desistito da questa sua intenzione, perché in Turchia ci sono 17 milioni di alawiti che hanno immediatamente attaccato il governo di Erdogan; tant’è vero che recentemente il ministro degli esteri turco, in una sua visita in Iran, ha dichiarato che non può essere la Turchia a tenere sotto controllo la Siria. In Libano ci sono stati scontri armati a Tripoli, per opera di milizie finanziate dall’uomo politico libanese, Hariri, con il denaro dell’Arabia Saudita ma l’esercito libanese ha bloccato queste truppe al confine con la Siria. Non resta che la Giordania, nella quale vi sono attualmente 43 mila libici con la scusa della necessità di ricevere le cure mediche; ma di essi solo 15 mila sono negli ospedali. Perché questi libici si trovano in Giordania? Probabilmente sono gli stessi che hanno fatto la guerra in Libia e che sappiamo essere stati finanziati dal Qatar.

Il regime siriano dunque si trova a combattere contro queste bande di salafiti, non contro il popolo siriano come si vuole fare credere. Come mai questi combattenti sono muniti di armi anti-missile di fabbricazione francese? Proprio questo modello di armi è stato acquistato recentemente dal Qatar dalla Francia.

Questo gioco è estremamente pericoloso. La lezione afgana dovrebbe avere insegnato che queste forze, una volta create, non sono altrettanto facilmente eliminabili. La posizione della Giordania poi è particolarmente delicata perché essa, non avendo risorse e ricchezze proprie, è costretta a dipendere dagli aiuti che le vengono dall’esterno, rendendosi così soggetta ai ricatti degli Stati più forti e ricchi.

Inoltre, sembra che la Giordania sia progressivamente sottoposta a una pressione pesante che la sta mettendo in ginocchio. Occorre essere molto attenti per non cadere nella trappola delle falsificazione mediatica, creata da canali satellitari quali Al Jazeera e El Arabiya e riprodotta fedelmente dai media occidentali che danno una visione falsata della crisi siriana.

Tutto questo rappresenta la contraddizione più forte oggi: i Paesi del Golfo, che non hanno mai conosciuto la democrazia, chiamano altri Paesi ad adottare un processo democratico volto a concedere più libertà ai popoli, mentre loro stessi non hanno mai sperimentato neppure le elezioni.

Tutti i sostenitori della pace devono almeno preoccuparsi per questo piano di islamizzazione della zona medio-orientale in senso radicale. Il timore è che questa regione venga frantumata in tanti staterelli confessionali, tanti piccoli Stati deboli che giustificherebbero la presenza di Israele come Stato ebraico e garantirebbero la sua sicurezza secondo un piano antico ma ancora attuale, che rischia ora di vedere la sua realizzazione. Questo porterebbe a far perdere al Medio Oriente quel carattere di incontro di civiltà, religioni e culture che rappresenta una ricchezza che ha caratterizzato l’Impero Ottomano.

Qui mi sento costretto a fare un appello ai tutti gli amici cristiani e alle Chiese perché siano lucide e presenti nel decidere il futuro di questi popoli. Bisogna, in tutti modi, salvare l’identità religiosa e il tessuto culturale dell’Oriente perche non è ragionevole che il destino dei Paesi che rappresentano la culla storica della civiltà come Giordania, Siria, Libano e Egitto venga deciso dall’enorme ricchezza economica posseduta da alcuni piccoli stati privi di qualsiasi cultura, storia, religione e umanità. Infine, è rilevante osservare l’ultima fatwa rilasciata recentemente dal Mufti dell’Arabia Saudita, in cui ha chiamato alla distruzione di tutte le chiese in Arabia.

da IL Margine, 32, (2012) n° 4

lunedì 23 aprile 2012

23 aprile: in Siria si fa memoria di San Giorgio

Indomito testimone, fortissimo difensore dei cristiani nella prova

Monastery of Saint George


  Siria, cristiani vessati dai ribelli

L’opposizione al regime impone la tassa islamica ai fedeli di Homs 

di Marco Tosatti  -  da Vatican Insider 21/04/2012

Da Homs, una delle città più travagliate dei mesi e nelle settimane passate dagli scontri fra l’esercito siriano e i ribelli giungono notizie che non fanno sperare in un futuro meno tragico per i cristiani di quel Paese, il giorno in cui la lunga dittatura del partito Baath, controllato dalla minoranza alawita del clan Assad dovesse finire. “L’esercito dell’opposizione impone la tassa islamica sui cristiani di Homs”; la notizia ha cominciato a circolare una settimana fa, e ha trovato conferma nei giorni scorsi.

continua la lettura su http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-homs-14488/



Allarme per i cristiani sotto tiro

“Il pericolo è che il fondamentalismo islamico, foraggiato da paesi esteri, si impadronisca della rivoluzione siriana"

21 -04-2012 da AGENZIA FIDES gravi notizie

Imperversano bande armate senza controllo: cristiani sotto tiro
Qusayr (Agenzia Fides) – Bande di miliziani islamici, senza controllo, imperversano nel conflitto in corso in Siria, uccidendo civili innocenti e prendendo di mira i cristiani. Lo confermano fonti dirette dell’Agenzia Fides in diverse località della Siria, che lanciano un allarme per il prosieguo della cosiddetta “rivoluzione siriana”.
La situazione è tragica nella città di Qusayr, nel Nord della Siria, nel distretto di Homs: bande di miliziani, nelle file dell’opposizione sirana, hanno completamente distrutto un'intera strada cristiana vicino alla chiesa cattolica. Il parroco è fuggito e “non c’è nemmeno la possibilità di seppellire i cadaveri” nota un fonte di Fides.
Si consumano terribili vendette contro chi prova a denunciare la situazione: il cristiano André Arbache, padre di famiglia di 30 anni, nel gennaio scorso è stato rapito perché suo fratello ha denunciato apertamente in tv le violenze delle bande armate. André è stato costretto ad arruolarsi nell’Esercito di Liberazione Siriano. Due giorni fa il suo cadavere è stato ritrovato a Qusayr, decapitato e abbandonato, straziato dai cani.
I cristiani sono vittime di sequestri: tre fedeli rapiti, Sate Semaan, Oussama Semaan e Assaad Nakhlé, sono stati lasciti dopo il pagamento di un pesante riscatto. Episodi simili sono registrati anche a Yabrud e Deir Atieh, nei pressi di Qara. “Nessuno sa bene chi sono questi miliziani: sappiamo solo che non hanno nessuno gerarchia e che sono divisi in bande armate, che cercano denaro e che non esitano compiere violenze e ruberie sui civili”, continua la fonte di Fides.
“Circolano notizie terribili di famiglie intere massacrate, e vi sono quanti istigano alla guerra confessionale”, prosegue. Il canale Tv salafita “Channel TV Safa Cheikh Arour” ha invitato l'Esercito di Liberazione siriano “ad attaccare i cristiani infedeli” a Saydnaya e Maaloula e a “perseguire i cristiani alleati con il regime”. In località come Qalamoun la coesistenza tra le diverse comunità, fino a ieri garantita, è fortemente minacciata e alcuni estremisti invitano a “tagliare qualsiasi rapporto con i cristiani”.

Si fa strada la militanza islamica nell’opposizione siriana
Dal “Giorno della dignità” al “Venerdì delle Armate dell’Islam”:sta tutto in questi due titoli, scelti per le manifestazioni dell’opposizione siriana, il sintomo di come la militanza islamica, wahabita e salafita, si sta facendo strada nelle file dei ribelli siriani. Come successo nelle esperienze della “Primavera araba” in Yemen, i dissidenti hanno scelto dare un titolo, ogni volta differente, alle manifestazioni di protesta di ogni venerdì. La prima giornata di protesta pubblica, nel marzo 2011, che inaugurò la rivolta, venne chiamata “Giorno della dignità” e indicava il desiderio di rinascita, di dignità, diritti e democrazia che c’è nei rivoluzionari.
A circa un anno dall’inizio delle sollevazioni popolari, come confermano fonti di Fides in Siria, la militanza islamica sta prendendo sempre più corpo: nella scelta del titolo per la manifestazione del 13 aprile scorso, operata tramite un sondaggio sul social network “Facebook”, nelle oltre 30mila risposte degli attivisti, il titolo più gettonato è stato a lungo “Venerdì delle armate dell’islam: salvezza della Siria”. Un chiaro segno di come, dalla base, stia crescendo una ideologia islamica che preoccupa tutte le minoranze religiose, inclusi i cristiani. Solo “sul filo di lana”, grazie all’intervento dei leader del “Consiglio della Rivoluzione Siriana”, la scelta è poi caduta sul nome “Una rivoluzione per tutti i siriani”.
“La vicenda e l’inneggiare alle armate dell’islam da parte di tanti attivisti è segno evidente che l’opposizione siriana è divisa e che l’anima islamica whahabita e salafita, incoraggiata da forze esterne, sta prendendo piede”, commenta allarmata un fonte di Fides nella comunità cristiana in Siria. “Il pericolo è che il fondamentalismo islamico, foraggiato da paesi esteri, si impadronisca della rivoluzione siriana: allora sarebbe la fine per le minoranze etniche e religiose, che già stanno soffrendo molto in Siria, nochè per il pluralismo culturale e religioso che caratterizza la nazione siriana”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38926&lan=ita

mercoledì 18 aprile 2012

La Chiesa ortodossa: a Homs nessuna celebrazione di Pasqua, chiediamo la fine della violenza

Agenzia Fides  18/4/2012
A Homs la Pasqua ortodossa, che cadeva il 15 aprile scorso, non è stata celebrata: come riferito all’Agenzia Fides, esponenti della Chiesa ortodossa in Homs hanno riferito che non si sono tenute liturgie pasquali.

 I pochi cristiani rimasti in città, infatti, (meno di un migliaio) sono intrappolati dai bombardamenti prolungati e non hanno avuto alcuna possibilità di raggiungere le chiese, molte delle quali, fra l’altro, sono state distrutte o danneggiate dai combattimenti. La mancata celebrazione della Pasqua ad Homs, nota una fonte di Fides, “è un fatto doloroso che dovrebbe sensibilizzare le parti in lotta e la comunità internazionale perché si ponga fine alla violenza”.
A Homs anche la Pasqua dei cristiani latini, l’8 aprile scorso, ha coinciso con un periodo di intensi bombardamenti ed è stata celebrata nel nascondimento. La comunità dei gesuiti ha tenuto una piccola celebrazione con pochi fedeli, mentre la chiesa di “Nostra Signora della Pace”, dei greco cattolici, gravemente danneggiata è rimasta e rimarrà chiusa.
Attualmente a Homs truppe e artiglieria pesante del governo siriano occupano il centro urbano e, nonostante l’accettazione del piano di pace Onu e del cessate il fuoco, nella città continuano gli scontri a fuoco con le forze di opposizione.
Le famiglie cristiane in città, strette dal fuoco incrociato, “pensano solo a rimanere in vita e pregano perché questo incubo finisca presto” nota la fonte di Fides. La popolazione siriana è frustrata dalla lunga crisi e l’esodo dei profughi verso Giordania, Libano e Turchia continua.
La condizione dei fedeli cristiani è a rischio, spiega la fonte di Fides, perché “sotto l'attuale regime essi sono stati protetti, e dunque alcuni li considerano allineati con il regime. Questo li rende vulnerabili agli attacchi dei rivoluzionari o di forze non ben identificate”. I cristiani in Siria sono anche preoccupati dalla situazione dei cristiani in paesi come Iraq e Egitto dove, all’indomani dei cambi di regime, i fedeli sono vittime di attacchi. In Siria il cristianesimo è presente da duemila anni. Nel paese, prima dell’inizio del conflitto, vivevano circa 1,2 milioni di cristiani, di diverse confessioni.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38899&lan=ita

martedì 17 aprile 2012

Nonostante il piano Annan sia stato presentato come un estremo tentativo fatto dalla comunità internazionale per trovare una soluzione pacifica, ora esso appare come una nuova tappa per giungere ad un intervento armato esterno in Siria

Damasco, ribelli e regime violano il cessate il fuoco.
17-04-2012

Fonti di AsiaNews descrivono la situazione caotica, instabile e pericolosa. Opposizione composta da gruppi estremisti giunti in Siria solo per uccidere. Al via la missione degli osservatori di Onu e Lega Araba.

Damasco (AsiaNews) - "Il cessate il fuoco di Kofi Annan è fallito. Nei primi due giorni vi è stata una diminuzione dei morti, ma ora si è iniziato di nuovo a sparare. Ieri oltre 50 persone sono morte negli scontri fra esercito e bande ribelli". È quanto affermano fonti di AsiaNews, che descrivono la situazione in Siria "caotica, instabile e pericolosa". "Un funzionario del governo di Assad - sottolineano - mi ha confessato che nessuna delle due parti vuole fermare le violenze. La guerra durerà a lungo".

Ieri, il primo gruppo di sei osservatori della missione Onu-Lega Araba è giunto in Sira per controllare il rispetto del cessate il fuoco, in vigore dal 12 aprile, e attuare il piano di Kofi Annan. Oggi, i funzionari hanno allestito la loro sede operativa e iniziato a contattare membri del regime e leader ribelli. In totale, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite invierà in Siria un team di 250 osservatori.

Il piano di Kofi Annan prevede: la fine delle violenze, l'applicazione progressiva di un cessate il fuoco, la fornitura di aiuti umanitari, il rilascio delle persone detenute senza processo, la libera circolazione ai giornalisti, l'avvio di un dialogo politico fra governo e opposizione.

Nonostante l'impegno del delegato di Onu e Lega araba per un dialogo fra governo Assad e ribelli, le fonti sottolineano che la popolazione è pessimista sul futuro del Paese. Esplosioni, scontri e violenze si stanno verificando anche a Damasco. "L'opposizione di cui parlano i media non esiste - continuano - i ribelli sono formati da varie fazioni molto divise fra loro. Per il Paese circolano gruppi di semplici criminali e terroristi stranieri, giunti in Siria solo per uccidere". "A tutt'oggi - aggiungono le fonti - il Free Syrian Army (Fsa) è considerato il rappresentante ufficiale dell'opposizione, ma in realtà esso è uno dei tanti eserciti che combattono contro il regime. La violazione del cessate il fuoco è da entrambe le parti". (S.C.)
http://www.asianews.it/notizie-it/Damasco,-ribelli-e-regime-violano-il-cessate-il-fuoco.-Fallisce-il-piano-di-Kofi-Annan-24524.html

lunedì 16 aprile 2012

La verità non usa mai le autostrade, ma va ricercata e passa per "la pietra scartata dai costruttori"

Da :VIETATO PARLARE

Durante il programma di Rai 1 A SUA IMMAGINE che segue l’Angelus del Papa, un commentatore, ha detto che il Papa ha recentemente rimproverato i Vescovi della Siria perché troppo pro-Assad.
Che il Papa abbia rimproverato che i Vescovi fossero troppo pro Assad non mi risulta , ma il punto non è questo: il punto è essere o non essere a favore della guerriglia armata in atto (che rifiuta ogni mediazione e compromesso), che si serve della mistificazione dei mass media per distorcere ciò che sta succedendo. Qui in questo blog si dice solo questo e che invece la sola rivoluzione a cui credo come cattolico e come uomo, è un’altra.
Invece, il ragionamento che ci hanno messo dentro, la logica di cui siamo intrisi, la logica che sembrano seguire la maggior parte dei mezzi di comunicazione è anticristiana : Pro o contro. Riducono la realtà a essere PRO O CONTRO. E’ un modo semplicistico e anticristiano di giudicare. L’informazione è contrassegnata dalla partigianeria o dal livore per il mancato intervento dell’occidente stile-Libia. Forti di questi altissimi pensieri, questi illustri pensatori della REALTA’ PENSATA, poi mi vogliono insegnare che la realtà non si può capire perché è complicata…
La risposta è l’idea di bene a cui apparteniamo. Domandarmi cosa io cerco in ogni cosa. E’ l’apertura al reale e non il conformarmi a delle opinioni sulla realtà.
Invece “pro o contro” o il sogno di un paradiso in terra non è l’idea che ho della giustizia e del benessere, della libertà. E l’ha ricordato Gregorio III patriarca cattolico siriano, di non pensare come questo mondo. Come dice il Vangelo stesso.

continua a leggere qui: http://www.vietatoparlare.it/2012/04/15/la-verita-usa-mai-le-grandi-autostrade-ma-va-ricercata-passa-sentieri-la-pietra-scartata-dai-costruttori/

«Questa è la guerra del mondo arabo. Diviso dai tanti interessi stranieri».

Parla il patriarca Gregorio III Laham

intervista di Antonio Picasso

A una anno dallo scoppio della guerra civile in Siria, la visione di Gregorio III Laham, Patriarca della Chiesa melchita, non cambia. «Il mondo avrebbe dovuto aiutare il regime a cambiare. Invece è rimasto immobile e continua a osservarci mentre sprofondiamo nel disordine». Abbiamo incontrato Sua Beatitudine pochi giorni fa, mentre era a Piacenza, dopo che aveva compiuto una lunga visita in Europa, per incontrare i confratelli di rito greco cattolico e, al tempo stesso, percepire il pensiero occidentale di quel che sta accadendo a Damasco.
Patriarca Laham, la Siria è famosa per essere il Paese dei misteri. Adesso, anche in questa guerra civile, sono molte le ombre che gravano sul regime e anche sul fronte dell’opposizione. La domanda è molto diretta: chi spara a chi?
La Siria è caduta nel caos. Tutto il Medioriente è stato attraversato da questo tsunami rivoluzionario. Ora il terrorismo straniero sta prendendo il sopravvento. Qualche giorno fa, quand’ero in Germania, mi sono messo a leggere i giornali europei, un po’ di tutte le lingue, e mi sono accorto della visione assolutamente parziale che voi avete delle cose. È sbagliato dire che il governo siriano sta uccidendo civili innocenti. Anche i manifestanti hanno le loro armi. Anzi, sono molto più organizzati di quanto si possa credere.
Lei pensa che siano sostenuti da governi stranieri?
Ne sono convinto! Sappiamo che le armi circolavano nel Paese prima dell’inizio delle manifestazioni. Come pure che la Siria è piena di depositi di armi illegali che ormai la polizia non riesce più a scovare. Del resto, siamo in una posizione di passaggio tra da sempre: fra la Turchia e la Penisola arabica. Un punto di transito inevitabile. E poi intendiamoci, un poliziotto lo sanno pagare tutti.
Anche prima? Anche quando Assad aveva ben saldo il potere?
Anche prima. Anche quando gli alawiti controllavano il territorio, con i loro clan e gli apparati di sicurezza. Una mazzetta la accettano tutti anche se si è alawiti. Certo, adesso è tutto molto più semplice. Nessuno sta più di guardia alle frontiere. I gruppi di criminali comuni, o di terroristi, o ancora di oppositori stranieri penetrano indisturbati nel Paese e arrivano a nutrire di nuove idee e soprattutto di forze fisiche chi già combatte contro il regime. È questa la situazione. Non come si legge sui vostri giornali. Le faccio l’esempio di un recente corteo che si è svolto nella mia città natale, Darayya. In piazza c’erano poche persone, circa trecento. A un certo punto un gruppo di questi ha preso d’assalto una stazione della polizia. Ma non limitandosi a scagliare pietre. Bensì sparando. Gli agenti hanno risposto al fuoco e nello scontro ci sono stati tre morti. La stampa occidentale si è limitata a dire che i poliziotti hanno ucciso tre persone. È diverso da come la sto raccontando io. Le aggiungo che poi, proprio in occasione dei funerali di quei tre morti, c’erano diecimila persone. E tutto si è svolto in pace. Un po’ strano per la commemorazione di tre oppositori assassinati dalla polizia. Possibile che un corteo di appena tre centinaia di partecipanti finisca nel peggiore dei modi e poi, quando ci sono diecimila persone, non succeda nulla? Vuole un altro esempio?
La prego…
Un nostro fedele – un cristiano stia ben attento! – era Dubai per affari. Camminando per strada ha sentito una persona vicina lui parlare al cellulare: «Sono a Homs! Stanno sparando! È pieno di morti!» Ma questo non era a Homs. Bensì a Dubai. È possibile che dall’altra parte del cellulare ci fosse un giornalista che ha creduto nel racconto farsa di questo bugiardo. Mi spiego quando le dico che i media occidentali sono vittime di una manipolazione studiata a tavolino, da parte di arabi di altri Paesi? Tra armi vendute sottobanco e notizie false, stanno strumentalizzando la nostra sofferenza.
Ma questo perché?
Per il caos. C’è molta gente che vuole spera di guadagnare da questa situazione. Senza rendersi conto dei rischi però. Il mondo ha già emesso la sua sentenza su Damasco: «Delenda Cartago» Poi a quel che verrà dopo, ci si penserà.
Quindi non crede che Assad si stia macchiando di una strage e che l’opposizione abbia il diritto di essere ascoltata?
L’opposizione è troppo divisa. Non può pretendere di essere l’alternativa valida a un regime che ha garantito stabilità per oltre quarant’anni. E poi non ha un vero esercito che l’appoggi.
Molti militari hanno disertato.
Non più di 1.500. Nulla in confronto alla fedeltà riscossa da Assad tra le fila delle Forze armate. Peraltro, e con questo rispondo alla prima parte della sua domanda, l’esercito ha ricevuto l’ordine di non sparare se non perché attaccato. L’Occidente lo deve capire: il regime non ha interesse a essere messo dalla parte del torto. E a nessuno piace questa situazione. Certo, prima le cose non erano facili. Perché il servizio segreto era terribile. Mentre l’economia stentava a decollare. Tuttavia, la Siria aveva imboccato la giusta strada. Laicismo, convivenza etnico-religiosa e sicurezza. Tre pilastri sui quali Bashar el-Assad stava costruendo le riforme. Si ricordi che a Damasco, a dispetto di tutte le critiche, c’erano le università straniere. Le stesse che adesso sono chiuse. Commercio e turismo erano due opportunità su cui non solo noi cristiani intendevamo affermare un futuro di progresso. Erano fonte di speranza per tutti. Ora il Paese è fermo.
Qual è stato l’errore?
L’errore è stato non permettere al regime di cambiare. Lo sbaglio lo si sta commettendo ancora adesso. Il referendum sulla Costituzione e le elezioni amministrative fissate per il 7 maggio sono un gesto di riconciliazione che Assad sta compiendo verso tutti gli avversari. Nazionali quanto stranieri. Eppure non lo si vuole capire. È dall’estero che ci si ostina a negare il dialogo con il governo.
Dall’estero da dove?
Dai Paesi arabi, ma soprattutto dall’Europa. E forse anche dagli Stati Uniti. Si pensa che il regime sia il peggiore dei mali. Senza rendersi conto che senza Assad si rischia davvero tanto.
Lei cosa prevede?
Il caos totale. Né più né meno. Con il pericolo di coinvolgere Israele, Libano e Giordania. Perché non credo che, dall’altra parte del confine Netanyahu sia tranquillo. Nel frattempo a Tripoli, in Libano, ci sono stati degli scontri tra alawiti del posto e (pare) gente scappata dalla Siria. Un incidente che ha coinvolto anche gli uomini di Hezbollah. E poi pensi alla Giordania: prima della guerra, era la Siria il suo primo partner commerciale. Come può notare, le ripercussioni negative sono già in atto. E francamente penso che sia difficile mettervi un freno. La chiesa greco cattolica ripone le speranze nel grembo di Kofi Annan e di monsignor Tomasi (l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, ndr).
Ecco, a proposito della Chiesa. Voi cristiani, che in Siria avete una così lunga tradizione, vi sentite in pericolo?
Finora la guerra non ha assunto dei risvolti confessionali. Questo però non significa che ci possiamo sentire tranquilli. A Qusayr sono morti sette melchiti. Molti altri sono scappati dai luoghi più colpiti. La nostra fortuna è di convivere con una maggioranza musulmana che sa di avere di fronte una chiesa solida e amica. In un Paese dove la libertà religiosa è un punto di merito per tutti, il cristianesimo si sente a casa. Del resto, la Siria è casa nostra! Così come lo sono il Libano, la Giordania e ovviamente la Terra Santa. Un mondo afflitto da turbolenze politiche, ma nel quale l’intervento della Croce è stata sempre un’iniezione positiva di dialogo. Tutto questo può crollare se prevarrà la violenza salafita.

http://www.linkiesta.it/blogs/multitalians/siria-parla-il-patriarca-gregorio-iii-laham

Un importante intervento su cui confrontarci per riflettere: Il papa in Libano per la missione dei cristiani e la Primavera araba, con l'occhio alla Siria

di Samir Khalil Samir
La presidenza libanese e la Chiesa cattolica in Libano hanno annunciato che Benedetto XVI visiterà il Paese dei Cedri dal 14 al 16 settembre prossimo. L'occasione è la consegna dell'Esortazione apostolica che segue al Sinodo sul Medio oriente, celebrato nell'ottobre 2010. A P. Samir Khalil AsiaNews ha chiesto un commento sul senso di questo viaggio. P. Samir è stato uno degli esperti che hanno lavorato a stretto contatto col papa prima, durante e dopo il Sinodo.


Beirut (AsiaNews) - L'annunciato viaggio di Benedetto XVI in Libano (14-16 settembre 2012) ha una sua particolare urgenza per i rivolgimenti in cui è in preda la regione. Certo, il motivo evidente è anzitutto quello di diffondere l'Esortazione apostolica che lui ha scritto in base a tutti i suggerimenti venuti dal Sinodo. Ma un motivo più profondo è quello di domandare ai cristiani di ridare alle loro società il senso profondo della Primavera araba, spesso snaturato dai politici e dai movimenti estremisti.


Il Sinodo delle Chiese del Medio oriente è avvenuto nell'ottobre 2010. Nel dicembre 2010 e nel gennaio 2011 è cominciata la cosiddetta "Primavera araba". Da allora tutto il mondo arabo è in piena ebollizione. Qualcuno ha detto che il Sinodo aveva pre-sentito tutti i cambiamenti che si stanno verificando oggi. Ma le crogiolanti trasformazioni di cui è oggetto il mondo arabo stanno cambiando il suo volto in modo radicale e costringe al cambiamento anche la vita dei cristiani.

La ‟Primavera araba" e la sua evoluzione

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 http://www.asianews.it/notizie-it/Il-papa-in-Libano-per-la-missione-dei-cristiani-e-la-Primavera-araba-24507.html

Un Arcivescovo fra i rifugiati: “Su di loro lo sguardo di Cristo sofferente”

Agenzia Fides 16/4/2012
 “I rifugiati siriani sono sotto shock, non riescono a rendersi conto della portata della tragedia che stanno vivendo. La loro dolorosa situazione è un'anticamera sulla strada per l'esodo. Vederli, incontrare i loro sguardi, è fonte di grande sofferenza per noi” racconta all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Samir Nassar, Arcivescovo Maronita di Damasco, che nei giorni scorsi ha visitato numerose famiglie di sfollati interni, molte proventi da Homs. I profughi del conflitto siriano sono assistiti dalla Caritas Siria che ha ricevuto anche l’aiuto del Pontifico Consiglio “Cor Unum”.

L’Arcivescovo racconta a Fides le sue impressioni: “Ci sentiamo impotenti di fronte al dramma che vive la nostra popolazione. La vita degli sfollati trova speranza solo se incrociano lo sguardo tenero di Cristo Salvatore sulla Croce. Accanto a loro abbiamo vissuto la Settimana Santa e la Pasqua”.
Mons. Nassar spiega che “lo sguardo di questi rifugiati esprime il loro stato d’animo, più delle parole. Alcuni sprofondano nel silenzio, in uno sguardo perso. I loro occhi dicono: perchè questo dramma su di noi, vittime innocenti? Qual è la nostra colpa, perché ha colpito la nostra famiglia e la nostra casa? Altri hanno uno sguardo di riconoscenza verso chi li aiuta, pur non perdendo la loro fierezza. Negli occhi di altri ci sono l’accusa, la rabbia, lo sconforto”. Sui visi dei profughi cristiani Mons. Nassar legge anche l’affidamento e la speranza. Con i loro occhi dicono: “Sia fatta la tua volontà, Signore! Preghiamo per gli altri, sopportiamo la sofferenza come una Croce salvifica. Non abbiamo paura. Ricominceremo una nuova vita: il Signore non ci abbandonerà”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38879&lan=ita

sabato 14 aprile 2012

Festa della Divina Misericordia: invito alla preghiera per la Siria

http://www.gloria.tv/?media=149641
"Ultima tavola di salvezza"
Gesù a Santa Faustina: "Desidero concedere grazie inimmaginabili alle anime che hanno fiducia nella Mia Misericordia.
La mia Misericordia è più grande delle tue miserie e di quelle del mondo intero."

 La Misericordia Divina è davvero come l’ultimo grido di allarme della sentinella che veglia sulla città, “l’ultima tavola di salvezza”, appunto. In questo giorno, ha promesso Gesù, infinite saranno le grazie concesse, e non bisogna aver timore di chiederne tante.

"Noi preghiamo affinchè la Siria esca purificata e pacificata da questa terribile prova e perchè la voce della maggioranza schiacciante del popolo siriano, di tutte le confessioni, sia ascoltata: avviare le riforme necessarie senza rompere il patto nazionale né cadere nella guerra confessionale.
Preghiamo che, in questo glorioso tempo pasquale, il Signore vincitore della morte, ci visiti come ha fatto con sua Madre e i suoi Apostoli e ci evangelizzi con la sua pace basata sulla distruzione del muro dell'odio attraverso il suo corpo sacrificato per noi. Lui solo ci insegna ad amare il prossimo fino a sacrificarsi per lui. Questo è il messaggio che noi ameremmo far capire sulla Siria a quelli che sono vicini e a quelli che sono lontani."
(dalla testimonianza di Madre Agnes Mariam de la Croix, pubblicata su questo Blog venerdì 6 aprile 2012)


venerdì 13 aprile 2012

Ora spazio al dialogo

Entrato in vigore il ''cessate il fuoco'', previsto dal Piano Annan
                                                                              SIR intervista l’arcivescovo greco-melchita di Aleppo, mons. Jean-Clément Jeanbart.
 

Mons. Jeanbart (arcivescovo di Aleppo): “Le violenze dei mesi scorsi hanno reso la vita impossibile alla popolazione. Ora è tempo di dialogare e pensare a ricostruire questo Paese. Gli spazi di dialogo esistono e sono ampi, garantiti dalla recente riforma della Costituzione che stabilisce, tra le varie cose, il pluralismo politico, la libertà di manifestare pacificamente e la libertà di stampa”.
 

 

mercoledì 11 aprile 2012

«I ribelli ci uccidono. L’esercito deve restare»


Ci sentiamo indignati e impotenti di fronte al tipo di informazioni che circolano in Europa e fanno opinione, sostenendo le sanzioni internazionali

da "Avvenire"  - TESTIMONIANZE - 11 aprile 2012

Maalula, Monastero S. Tecla

Viviamo in Siria da più di sette anni, amiamo questo Paese e il suo popolo. Ci sentiamo indignati e impotenti di fronte al tipo di informazioni che circolano in Europa e fanno opinione, sostenendo le sanzioni internazionali, una delle armi più inique che l’Occidente usa per tenersi le mani pulite e dirigere comunque la storia di altri popoli. Pulite fino a un certo punto: si moltiplicano le segnalazioni della presenza di personale militare inglese, francese (e di altri Paesi) a fianco degli insorti per organizzare le azioni di guerriglia, grave violazione internazionale che passa sotto silenzio.
Sono state raccolte firme e fondi per aiutare la “primavera” del popolo siriano.

Ma chi ha dato – in perfetta buona fede – offerte e sostegno della “liberazione” della Siria deve sapere che ha finanziato assassini inumani, procurando loro armi, contribuito alla manipolazione dell’informazione, fomentato una instabilità civile che richiederà anni per essere risolta. Sconvolgendo l’equilibrio in un Paese dove la convivenza era pane quotidiano. Perché intervenendo senza conoscere la realtà non siamo più liberi, ma funzionali ad altri interessi che ci manipolano.

Non è nostro compito fornire una lettura socio-politica globale della vicenda siriana, altri lo stanno facendo meglio di noi. E chi lo vuole davvero può trovare informazioni alternative. Noi ci limitiamo a raccontare solo ciò che i nostri occhi vedono, qui nel piccolo villaggio di campagna dove viviamo. E dove, quasi ogni notte, i soldati presenti nella piccola guarnigione che lo presidia sono attaccati. Sia dagli insorti presenti nella zona, sia da bande mercenarie che passano il confine siriano nel tentativo di sopraffare l’esercito e aprire un varco per il flusso di armi e combattenti. I militari rispondono? Certo, e la gente ne è contenta perché di armi e mercenari il Paese è già pieno.

Sta per scadere l’ultimatum per il ritiro dell’esercito, che qui nessuno – nel senso letterale del termine – vuole. La gente si sente sicura solo quando i militari sono presenti. Ormai le violenze compiute dai cosiddetti liberatori nelle città, nei villaggi, sulle strade, sono tante e così brutali che la gente desidera solo vederli sconfitti. Gli abusi sono continui: uccisioni, case e beni requisiti o incendiati, persone, bambini usati come scudi umani. Sono i ribelli a bloccare le strade, a sparare sulle auto dei civili, a stuprare, a massacrare e rapire per estorcere denaro alle vittime. Invenzioni? La notte del Venerdì Santo, non lontano da dove abitiamo, hanno ucciso un ragazzo e ne hanno feriti altri due: tornavano alle loro case per celebrare la Pasqua. Il ragazzo morto aveva 30 anni ed era del nostro villaggio. Non sono i primi tra la nostra gente a pagare di persona. Ormai prima di spostarsi a fare la spesa o anche solo per andare a lavorare ci si assicura che l’esercito controlli la zona. Anche a noi è capitato di trovarci bloccati dalle sparatorie per tre ore in un tratto di autostrada e siamo riusciti a ripartire solo quando si è formato un corridoio di carri armati che proteggevano gli automobilisti in transito dai tiri dei rivoltosi.

Perché di tutto questo non si parla? Perché non si parla dei tanti militari assassinati in vari agguati, gli ultimi ieri ad Aleppo? Sono tanti i drammatici esempi che potremmo citare. Il fratello di un nostro operaio, tenuto prigioniero a Homs dai ribelli insieme ad altri civili, è ormai considerato morto, due padri di famiglia del nostro villaggio sono stati sempre a Homs dai rivoltosi perché compravano e distribuivano pane a chi era rimasto isolato. La questione che qui, però, ci preme sottolineare e per la quale invitiamo tutti a mobilitarsi è quella delle sanzioni internazionali. Chi sta pagando e pagherà ancora di più fra poco, è la gente povera.
Non c’è lavoro, non ci sono le materie prime e le esportazioni di prodotti locali, come bestiame e uova, sono ferme. Quel poco che c’è, poi, si vende a prezzi esorbitanti.

Tra le principali urgenze c’è quella del latte per i bambini. I prezzi dei cartoni sono raddoppiati, passando da 250 lire siriane a 500 (la paga giornaliera di un operaio è di 7-800 lire). Scarseggia il mangime per il bestiame: le poche confezioni disponibili sono passate da 650 a 1850 lire. Mancano i medicinali specialistici, scarseggia l’elettricità perché i ribelli hanno fatto saltare più volte le centrali e le linee di conduzione. Non c’è gasolio (e l’inverno è stato molto freddo quest’anno), perché la Siria non può più esportare il suo greggio in cambio di petrolio raffinato. I trattori quindi sono fermi e non si può lavorare la terra. Sono bloccati perfino i camion che prelevano la spazzatura. Ci sono problemi con l’acqua perché le pompe funzionano col gasolio. Il nostro villaggio e quello vicino – che condividono lo stesso pozzo – hanno acqua un unico giorno alla settimana e solo per 3-4 ore. Si rischia una vera carestia per l’avvenire: presto mancherà il grano e quindi anche il pane, il solo alimento che, per ora, il governo riesce a distribuire a un prezzo calmierato, anche ai più poveri. E poi si protesta perché la Croce Rossa non può portare aiuti. È possibile arrivare a sanzionare addirittura l’importazione di pannolini per i lattanti?

Tutto questo è profondamente ingiusto. Non si è riusciti a rovesciare il governo con le armi, lo si vuole fare esasperando la gente. Certo, è proprio questa la logica delle sanzioni. Quando, però, una grande maggioranza della popolazione – che piaccia o meno – non vuole un cambiamento violento della situazione, tale sistema diventa una vera sopraffazione. Chiediamo con forza a chi può fare qualcosa di sospendere le sanzioni e di intervenire. Che la nostra tanto osannata democrazia si dimostri capace di servire il vero bene del popolo.


Un gruppo di italiani che vive in Siria (Testo raccolto da Giorgio Paolucci)
http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/i-ribelli-ci-uccidono.aspx

Custode di Terra Santa: no all'intervento internazionale in Siria

«Abbiamo visto cosa è successo in Iraq e in Afghanistan».
da A.C.S.

10 aprile 2012

«Politica comprensibile. Ma senza alcuna possibilità di riuscita. Perché – che piaccia o no – in Siria il regime non ha futuro». Il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, commenta così ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la decisione di alcuni leader della Chiesa siriana – non ultimo il patriarca greco-melchita di Antiochia, Gregorio III Laham – di preservare lo status quo continuando a sostenere Assad.
«Anche se non la chiamiamo così, quella in Siria è una guerra civile - continua - e i cristiani sono stretti in una morsa tra il governo, che li ha sempre sostenuti, e l’opposizione». Per i fedeli la paura che il Paese si trasformi in un nuovo Iraq è forte e del tutto comprensibile. Ma il francescano spiega che la mentalità siriana è diversa da quella irachena: «frutto di una maggiore varietà etnica e religiosa». Intanto i cristiani hanno lasciato Homs. Ed è questa l’unica certezza per il ministro provinciale dei Frati minori, dal momento che «è praticamente impossibile ricevere notizie affidabili e oggettive dal Paese arabo».
Padre Pizzaballa è contrario a un possibile intervento esterno e ritiene che la collocazione della Siria nel cuore del Medio Oriente renda improbabile un’eventuale azione militare internazionale. «Non è come in Libia. Stavolta l’intervento avrebbe conseguenze sull’intera regione mediorientale». I Paesi occidentali devono scendere in campo, ma con la sola pressione politica e diplomatica. Altrimenti, «abbiamo visto cosa è successo in Iraq e in Afghanistan».
 
 
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.

martedì 10 aprile 2012

In Siria ultime speranze per il piano Annan

Funzionerà il piano di pace di Kofi Annan, inviato speciale dell'Onu e della Lega araba? Lo sapremo alla mezzanotte di quest’oggi, ma le premesse non ci sono. Il calendario previsto dal piano indica che, entro il 10 aprile, il governo siriano ritiri truppe e armamento pesante da città e villaggi del Paese. Nelle successive 48 ore, poi, bisognerà che il cessate il fuoco bilaterale - sia da parte dell'opposizione che dei governativi - si stabilizzi in tutto il Paese.
continua la lettura qui;
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=3835&wi_codseq=SI001 &language=it