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giovedì 29 ottobre 2015

Viaggio in Siria (1)

  Dal 17 al 26 ottobre mi sono recata in Siria, ospite delle monache Trappiste di Azeir, un villaggio cristiano affacciato sulla valle verdeggiante in cui scorre il fiume che separa la Siria dal Libano, non lontano da Tartous.
Su questa collina boscosa cinque suore italiane (a cui presto si uniranno due postulanti locali) stanno costruendo un luogo bellissimo e semplice dedicato alla preghiera, al silenzio, all'incontro personale con Dio, che offra agli ospiti l'occasione di incontro con un'esperienza che ogni giorno vive nell'orizzonte della libertà, cioè della coscienza di chi è l'uomo e per quale ragione sta al mondo.

   Tra gli ospiti, incontro Layla, insegnante e poetessa di Aleppo che tra queste mura silenziose cerca di curare la ferita profonda della devastazione della sua città. Mi racconta dei palazzi sventrati, tra le cui macerie, con le mani, lei e i suoi famigliari cercavano i corpi dei vicini. Layla parla italiano e mi aiuta a comunicare con i cristiani del luogo e a superare la barriera insormontabile della lingua araba; con lei vado a visitare e portare un messaggio di amicizia ai bambini della scuola statale del villaggio, a cui dono del cioccolato che ho portato con me. Il giorno successivo, l'autista del taxi che mi conduce nella Valle dei Cristiani e papà di due alunni della scuola mi racconta che i suoi due bimbi sono tornati trionfanti tenendo come una reliquia la barretta di cioccolato che non vogliono che nessuno mangi perché “l'hanno portato dall'Italia proprio per me!”...   La scuola è povera ma dignitosa e organizzata con ordine; il maestro George mi dice con uno sguardo luminoso: “noi cerchiamo di rendere la vita più bella con tutti gli strumenti che abbiamo”.

   'Rendere la vita più bella' è veramente la sfida di oggi: scopro con sconcerto che proprio tutti se ne vogliono andare. Il ritornello comune è: “non c'è più niente per me, non c'è possibilità per il mio futuro”.    Nell'incontro con una famiglia cristiana di Bayda emerge tutto il dramma degli sfollati da Aleppo: la mamma rimasta vedova si reca tre volte alla settimana a lavorare a Latakia, la figlia Miriam di 16 anni frequenta con impegno il liceo artistico, il piccolo Daoud va alla scuola elementare, deve restare lunghe ore in casa da solo ma si comporta con piena responsabilità; poche frasi dicono la durezza della condizione di sfollati: “eravamo benestanti ora siamo quasi dei miserabili … Non siamo né vivi né morti...”. E Miriam si domanda: “per cosa restare qui? Restiamo per morire?”.

   La difficoltà principale a cui tutti devono far fronte è l'aumento spropositato del costo della vita: gli alimenti, le medicine, qualsiasi servizio costa 10 volte più di quanto era prima della guerra. Tutti vogliono andare in Germania, convinti che come rifugiati avranno il servizio sanitario, la previdenza, la sovvenzione da parte dello Stato e la certezza di ottenere prima o poi un lavoro dignitoso. Anche la prospettiva di finire in fondo al mare non è così terribile dopo aver vissuto i bombardamenti giorno e notte ad Aleppo o a Homs: “se muoio in mare sarà lo stesso che morire sotto le bombe” ... “viviamo nella paura: adesso arrivano! Ed ogni uomo armato che viene nella nostra direzione ci fa sussultare”.
Le sanzioni internazionali strangolano ogni impresa locale e favoriscono il proliferare delle mafie  e dei profittatori di tutti generi, sulla pelle degli sfollati e della gente comune.
Anche il vescovo di Tartous mons. Antoine Shbeir mi conferma che, pur essendo la cittadina di mare al riparo da bombardamenti, i giovani e le famiglie se ne vanno perché non reggono il costo della vita: lo stipendio mensile ormai basta solo a malapena a pagare l'affitto. Ma, aggiunge: “ora con l'intervento dei russi hanno ripreso un po' di speranza e alcuni che erano decisi ad andarsene stanno ripensandoci”.

   Il lavoro della ricostruzione umana sarà enorme, si è davvero rotta la convivenza e si è instaurata la sfiducia e il sospetto, Quello che prima della guerra era normale - stare fianco a fianco sunniti, alawiti, cristiani- ora è diventato tremendamente difficile: la ferita di tanta violenza, dei tradimenti, delazioni, di inimmaginabili vendette, lascia un rancore e una diffidenza che ai più pare impossibile sanare. Tra i bambini della scuoletta di Azeir,  ci sono gli orfani di due panettieri locali che si erano trasferiti a Homs per fare funzionare il forno ogni giorno e sono stati uccisi dai 'musallaheen', cioè i ribelli, solo perché ogni giorno lavoravano e quindi erano considerati sostenitori del governo. E gli abitanti delle cittadine cristiane situate sotto il Castello (il Crack des Chevaliers) ricordano con raccapriccio i massacri efferati che tra quelle mura sono stati compiuti dalle bande e il tormento dei proiettili che piovevano su di loro notte e dì.
I cristiani che prima erano l'elemento di moderazione nella società ora sono considerati, dai seguaci del Califfato, dei kuffar: infedeli; un 'Califfato' il cui sogno alberga nei pensieri di molti più sunniti di quanto si pensi ... Come del resto 'infedeli' sono considerati anche i sunniti 'laici' come il Mufti Hassoun o il ministro al Moallem..   I cristiani mi parlano con sdegno della devastazione e sfacelo operato da quelli che noi ora chiamiamo 'ribelli moderati' nelle chiese di Rableh e di Qaryatayn, da cui tutte le antiche bellissime sacre immagini sono state rubate prima della distruzione..
Lo slogan scandito nei primi giorni della 'rivoluzione' “alawiti nella tomba, cristiani a Beirut” si è rivelato realtà, e ormai non vi sono più remore nel ribadirne l'intento.


  Su ogni casa campeggia almeno un poster con la foto del 'martire': non c'è famiglia in cui manchi un figlio, o fratello, o marito, morto tra le fila dell'esercito siriano.  All'entrata di Tartous sussulto passando sotto interi muri tappezzati da questi volti, soprattutto di ragazzi, che rappresentano il tributo del popolo a questa guerra che non ha voluto, e di cui 'non ne può più'.

   Eppure piccoli segni  di speranza col passare dei giorni si presentano (e concordiamo di promuovere in Italia il modo per supportarli) :  gente che ancora osa credere nella possibilità di guardare l'altro con rispetto, di rinnovare in sé la speranza e la decisione della convivenza sperimentata in passato e da affermare ancora nel futuro:
- l'insegnante cristiana di musica che ogni mattina va a a fare lezione nel vicino villaggio sciita e anche nel villaggio sunnita
- i cristiani di Homs che tornano nel quartiere al Hamidiyah e il pellegrinaggio di musulmani e cristiani al convento gesuita in cui riposa padre Frans Van der Lugt
- le suore che gestiscono egregiamente la scuola 'al Amal' ( La Speranza) di Marmarita aperte agli sfollati provenienti da ogni parte di Siria
- i cooperanti salesiani sfollati da Aleppo che vogliono rimettere in piedi piccole attività lavorative: l'inizio di possibili attività di promozione della donna, laboratori di cucito, stamperie …
- la professoressa sfollata che non vuole vedere i suoi figli emigrare e vorrebbe allestire un salone vicino alla Parrocchia come biblioteca e centro di incontro giovanile 

  Percorriamo l'incantevole valle di Myssiaf (come sarà bella la Siria senza guerra!), ad  uno degli innumerevoli posti di controllo il militare restituisce alle suore e a me i documenti con questo saluto: "La Siria è illuminata dalla vostra presenza".


Aiutateci a restare. Questo grande compito , ridestare la speranza dei cristiani per trovare le ragioni per restare e radicare la speranza in un fondo umano più vero, è l'impegno che si assumono le Monache: perchè tutto ricomincia da una testimonianza che rimette in moto il riconoscimento della ragione per cui val la pena rimanere e sperare che ci sia un futuro. O come dice suor Marta: “Adesso basta piangerci addosso, muoviamoci! Anche qui , dove non c'è certamente l'ottimo delle condizioni, puoi dare un senso alla tua vita, sostenendo gli altri, operando per la dignità della vita e per la bellezza, che è dono gratuito!”.

Fiorenza
(segue)

mercoledì 28 ottobre 2015

Siria, dove i genitori non sanno se i figli torneranno da scuola...

La testimonianza di Samaan Daoud, profugo cristiano siriano che insieme alla sua famiglia è fuggito in Italia, al convegno 'Genocidio dei Cristiani. La Jihad da Oriente a Casa nostra'.

Roma,  (ZENIT.org)  , di Federico Cenci 

“Io sono un siriano e un cristiano, sono di Damasco, nato e cresciuto a pochi metri di distanza dal luogo in cui San Paolo si è convertito. Sono fierissimo della mia appartenenza”. È con parole solenni e dense di emozione che Samaan Daoud, profugo cristiano siriano, ha iniziato il racconto della sua esperienza nel corso del convegno La jihad da Oriente a casa nostra, che si tiene questo pomeriggio, 19 ottobre, nell’Aula dei Gruppi parlamentari, a Roma.
Samaan, padre di famiglia, in un perfetto italiano ha spiegato di essersi trasferito alla periferia di Damasco una volta sposato. Viveva in una zona residenziale, tranquilla almeno fino al marzo 2011, data d’inizio del conflitto che sta falcidiando la Siria.
Ma l’impeto d’odio non ha risparmiato nemmeno i luoghi lontani dai centri di potere della capitale siriana. La sua casa, in particolare, si trovava in un punto nevralgico dello scontro tra l’esercito regolare e i gruppi ribelli. “I colpi di mortaio sono arrivati fin dentro il mio giardino di casa”, ha raccontato.
Soprattutto, metaforicamente sono arrivati fin dentro il suo cuore procurandogli ferite che il tempo non potrà cancellare. L’uomo ricorda che un colpo di mortaio un giorno ha sfiorato uno dei suoi due figli ed ha colpito a morte un altro bambino all’uscita da scuola. “Ogni giorno, in Siria, quando i genitori mandano i bambini a scuola sanno che potrebbero non tornare più a casa”, spiega.
D’altronde tra le decine di migliaia di morti che la guerra ha provocato in Siria, molti sono bambini. Dei quasi 4milioni di rifugiati, circa la metà sono bambini. Numeri che testimoniano come le vittime principali della guerra siano i più innocenti.
E che testimoniano, al contempo, l’insopprimibile stato di tensione in cui si trovano a vivere i siriani. “Il grido Allah akbar è diventato per noi una maledizione, perché ogni volta che lo ascoltavamo capivamo che stavano arrivando i gruppi terroristi a portarci guerra, e non la benedizione del Signore”, afferma Samaan.
Il sinistro grido è diventato sempre più ricorrente nelle orecchie sue e dei suoi vicini di casa, anche una volta che si era trasferito di nuovo nel centro di Damasco. Da circa un anno e mezzo a questa parte, infatti, i ribelli hanno cominciato ad usare missili più potenti, di lunga gittata, capaci di colpire anche il cuore della capitale siriana da luoghi assai distanti.
La situazione era diventata insopportabile tanto che, non senza patimenti d’animo, lui e la sua famiglia hanno deciso di abbandonare la propria terra per trasferirsi in Italia, dove Samaan ha vissuto alcuni anni nel corso degli studi universitari.
La famiglia Daoud si trova da un mese nel nostro Paese, ma ha lasciato il cuore e la mente in Siria. È quasi commosso Samaan, quando ricorda la condizione in cui versa la Siria oggi. Quando era a Damasco ha spesso accompagnato cronisti italiani per far loro da interprete. I suoi occhi hanno visto lo sfacelo causato dall’Isis, “in villaggi non solo cristiani, ma anche musulmani”, ci tiene a precisare. E aggiunge: “Perché questi terroristi sterminano tutti coloro che non sono disposti ad accettare la loro linea”.
In futuro il Medio Oriente potrebbe ritrovarsi senza più presenza cristiana. In Siria - la riflessione di Samaan - i cristiani erano “il lievito”, perché pur rappresentando solo il 10% della popolazione, era all’interno delle loro comunità che pulsavano la cultura e il fermento industriale.
Da un lato Samaan afferma di invidiare coloro che sono rimasti in Siria, perché “sono martiri viventi, che ancora camminano - dice -. Sono persone che non sono state ancora uccise ma che portano la croce ogni giorno”. Croce che si manifesta in questi mesi sotto forma di mancanza di acqua e di luce elettrica, in ampie zone popolari di Damasco vessate dai colpi di mortaio.
In conclusione del suo intervento Samaan ha citato lo scrittore e filosofo libanese Kahill Gibran, il quale nel suo libro Le tempeste in modo poetico descrive le persecuzioni del passato e prefigura l’esperienza tragica che sta vivendo ancora oggi il Medio Oriente: “Ma la mia famiglia non è morta ribellandosi, e nemmeno è stata distrutta dalla guerra e nemmeno travolta dalle macerie durante un terremoto. La mia famiglia è morta in croce”.

lunedì 26 ottobre 2015

Ci ha lasciato quest'oggi mons. Giuseppe Nazzaro, fu padre dei cattolici latini ad Aleppo


E' scomparso questa mattina nell’ospedale San Giovanni Moscati di Avellino il vescovo Giuseppe Nazzaro, già vicario apostolico latino di Aleppo, in Siria, e, prima ancora, Custode di Terra Santa. Monsignor Nazzaro era nato il 22 dicembre 1937 a San Potito Ultra (Avellino) ed era entrato nel seminario minore della Custodia di Terra Santa, a Roma, nel 1950.
Vestì il saio francescano nel 1956 ed emise la professione solenne nel ‘60. Ad Aleppo giunse per la prima volta nel 1966, un anno dopo l’ordinazione sacerdotale. Vari incarichi in seno alla Custodia lo condussero però ben presto a Roma (1968), ad Alessandria d’Egitto (1971) e al Cairo (1977).
Nel corso del Capitolo custodiale del 1986 venne nominato segretario della Custodia. È del 1992 la sua nomina a Custode di Terra Santa. Al termine del mandato, nel 1998, fu trasferito in Italia. Ma nel 2001 venne nuovamente inviato in Siria. Un anno dopo venne scelto come vicario apostolico d’Aleppo da san Giovanni Paolo II e ordinato vescovo il 6 gennaio 2003 dal Papa stesso nella basilica di San Pietro.
Monsignor Nazzaro lasciò l’incarico nel 2013, al compimento dei 75 anni, quando ormai la Siria era già da due anni stravolta da disordini e moti di piazza contro il governo centrale, ben presto trasformatisi in un vero e proprio conflitto. 
Padre Nazzaro ha speso le ultime energie della sua vita viaggiando, pronunciando discorsi e rilasciando interviste per sensibilizzare l’opinione pubblica, i media e i politici sulla tragedia del popolo siriano.
I funerali si svolgeranno domani pomeriggio, alle 15.30, nel suo paese natale.


INFINITAMENTE GRATI A DIO DI AVERLO DATO ANCHE A NOI , 
ORA PRO SIRIA, COME PADRE E AMICO 

venerdì 23 ottobre 2015

I poveri del Libano


Ottobre 2015 n° 7

Notiziario di un gruppo di volontari libanesi membri di “Oui pour la vie”, associazione di volontariato con sede a Damour in Libano, legalmente riconosciuta e operante in favore dei più poveri.


La guerra ha ridotto le case di quelli che oggi sono profughi della Siria ad un cumulo di macerie e in molti casi si è presa anche gli affetti più cari. Senza più nulla e con la paura di rimanere vittime delle bombe, fuggono dal loro paese alla ricerca di una speranza e di una vita migliore oltre il confine con il Libano.
Una situazione al limite, che rischia di esplodere e creare tensioni in un Paese grande quanto l’Abruzzo, che conta circa quattro milioni di abitanti e che non riesce ad accogliere tutti i migranti in arrivo, fornendo loro l’assistenza necessaria: accesso alle strutture ospedaliere, servizi di accoglienza e inserimenti scolastici. Sono stati tanti i profughi che lo scorso inverno sono morti di freddo e di stenti.

Dal 30 giugno a oggi militari libanesi hanno sgomberato 95 campi in oltre 12 località sulla regione costiera a nord di Tripoli, a ridosso del confine con la Siria. Con un caldo torrido, in tende di plastica e sovraffollate, i rifugiati devono fare i conti con mancanza di acqua e pochissimo cibo. Si vive in una tenda di nylon.
In tutto i profughi di Siria e Iraq in Libano sono, di fatto, circa 2 milioni. Niente elettricità e niente ventilatori, acqua sporca e zanzare. Continuiamo, come “Oui pour la Vie” ad aiutarli con le nostre rinunce e visitandoli continuamente nei luoghi dove vivono cercano di sopravvivere, cercando anche di coinvolgerli nella nostra attività gratuita e di supporto per tutti. Sono enormi le necessità perché praticamente vivono su strada, e dato che non possiamo dare loro troppi contenitori di cibo, perché non hanno lo spazio per conservarli, avremmo pensato di attrezzare un paio di stanze come cucina, nel loro quartiere,  al costo di circa 400 dollari al mese, per poter loro preparare qualcosa di caldo, direttamente sul posto. Si chiede sempre a tutti di aiutarli e di farne pubblicità.

Una delle nostre volontarie aveva preparato un dolce per il suo ragazzo. Poi ha pensato, invece, di offrirlo a un bambino povero, senza dire niente a nessuno. Più tardi la mamma di questo ragazzo le ha confidato che suo figlio, ricevuto il dolce, lo aveva nascosto e lo mangiava un poco al giorno per conservarlo per più tempo. La nostra volontaria è stata contentissima di questa rinuncia fatta ad un momento personale di festa e sente il suo cuore ancora più sereno per continuare il suo impegno e anche il suo cammino verso il matrimonio.

Alcuni volontari entrati al Mc Donald avevano notato alcuni bambini che andavano là solo per giocare ma non avevano i soldi per mangiare. Hanno comprato loro dei sandwich e li hanno difesi da alcuni più grandi che li trattavano male.
Una famiglia vive in una baracca ed tutti dormono per terra sopra un telo. Uno dei nostri volontari ha regalato un pallone ai ragazzi e si è intrattenuto molto con tutta la famiglia, molto disagiata. Giocando, uno dei ragazzi che prima aveva male allo stomaco, poi stava molto meglio. La settimana successiva, questi ragazzi non avevano più il pallone perché lo avevano regalato ad un bambino vicino, che moriva dalla voglia di giocarci.

Chi è interessato a maggiori informazioni o a conoscere le modalità per una testimonianza in Italia o un  contributo in favore della nostra opera può inviare un sms al 333/5473721 in Italia o al 0096171509475 (Libano) 
o scrivere un email a:          info@ouipourlavielb.com

P. Damiano Puccini