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lunedì 18 gennaio 2016

SPEZZIAMO L'EMBARGO

L’Italia abbia coraggio, per i siriani



Avvenire, 17 gennaio 2016
di Giorgio Paolucci

«Aleppo sta morendo di sete. Aiutateci! ». È il grido di dolore lanciato in un drammatica testimonianza pubblicata da questo giornale alla vigilia di Natale da padre Ibrahim Asabagh, il francescano della Custodia di Terra Santa, giovane parroco della parrocchia latina di san Francesco, a servizio della comunità assieme ad altri quattro frati nella città di Aleppo.  Insieme ai suoi confratelli e a un pugno di volontari, cristiani e musulmani, da mesi si prodiga per aiutare come può gli abitanti della sua zona, costretti a fare i conti con le conseguenze devastanti del taglio delle forniture idriche deciso dalle milizie jihadiste che si sono impadronite dell’acquedotto e condizionano l’erogazione dell’acqua alla liberazione di un gruppo di 'combattenti' prigionieri dall’esercito siriano.
Per rendere più agevole la distribuzione dell’acqua messa a disposizione dai pozzi della parrocchia, Ibrahim ha acquistato alcuni serbatoi, ma tutto questo non basta per rispondere al bisogno sempre più pressante e drammatico della popolazione. Molti lettori in questi giorni hanno scritto per chiedere come aiutare. Uno per tutti: il sindaco di Pieve di Cadore (Belluno), Maria Antonia Ciotti, che vorrebbe lanciare una sottoscrizione per inviare a padre Ibrahim denaro utile ad acquistare serbatoi d’acqua. 
Operazione benemerita ma complicata, perché a causa dell’embargo decretato quattro anni fa dall’Unione Europea nei confronti della Siria e più volte riconfermato, è impossibile inviare denaro in maniera diretta tramite bonifico bancario.

Nonostante le difficoltà, la Custodia di Terra Santa è in grado di raccogliere aiuti e realizzare progetti grazie al supporto della Associazione pro Terra Sancta che opera al fianco dei frati in tutto il Medio Oriente e riesce a fare arrivare aiuti finanziari tempestivamente attraverso canali regolari, ma stretti. È insomma difficile, spesso impossibile, dare corso a 'normali' operazioni di solidarietà, in ragione delle sanzioni introdotte nel 2011 con l’intenzione di indebolire il regime di Assad e che hanno solo sortito l’effetto di peggiorare drammaticamente le condizioni di vita del popolo siriano.
Lo scrivevano a chiare lettere, nel luglio del 2015, le suore trappiste che vivono nel governatorato siriano di Homs, vicino al confine con il Libano, in un forte e coraggioso appello: «Queste misure non colpiscono affatto chi è al potere. Le sanzioni colpiscono la gente, e in modo durissimo... Niente materie prime per lavorare, niente medicinali, anche per le malattie gravi. Tutto carissimo, i prezzi degli alimenti sono arrivati a dieci volte tanto (...). Senza lavoro, in un Paese in guerra, dilagano la violenza, la delinquenza, il contrabbando, la corruzione, la speculazione, l’insicurezza. Questi, sono i frutti delle sanzioni (...). È possibile pensare di usare anni di sofferenza della gente per ottenere un risultato politico, mascherandolo poi come il bene vero della gente stessa? No, non è proprio possibile. E se non sappiamo trovare altri strumenti, allora siamo veramente indegni di chiamarci Paesi democratici». 

Oggi non è possibile far entrare legalmente in Siria carburante, olio da riscaldamento, impianti per la raffinazione del petrolio e per la produzione di gas liquido necessario alla produzione di energia elettrica. E la carenza di benzina ed energia elettrica paralizza di fatto l’agricoltura, l’industria, l’artigianato. La storia recente – dall’Iraq a Cuba – insegna che le sanzioni affamano, piagano e umiliano i popoli e non indeboliscono in maniera decisiva i governanti.
Di fronte a una situazione così tragica e paradossale, sarebbe importante se il Governo e il Parlamento italiano, senza più aspettare una decisione in sede europea, considerassero l’idea di abolire unilateralmente le sanzioni che stanno affamando quel che resta di un popolo  di profughi e di vittime di una guerra senza quartiere. 
Sì, sarebbe molto importante se l’Italia decidesse di 'rompere il fronte' con un gesto esemplare di realismo e di solidarietà capace di mettere l’Europa davanti alla responsabilità politica e morale di 'sanzionare' una iniziativa umanitaria oppure, finalmente, di capovolgere il proprio sguardo e il proprio atteggiamento al cospetto di una tragedia che alcune potenze occidentali hanno cinicamente contribuito a scatenare.

http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/spezziamo-embargo-siria.aspx

domenica 17 gennaio 2016

N. S. di Soufanieh di Damasco e la preghiera per l'Unità dei Cristiani


da: Piccole Note

di Pina Baglioni


Nell’inferno della guerra siriana ha trovato casa un pezzo di Paradiso.  Ormai dal 22 novembre del 1982. Precisamente a Soufanieh, un modesto quartiere a nord di Damasco, fuori dalle mura della città, presso la porta detta “di Tommaso”.
Qui, in una vecchia e umile abitazione, abita la famiglia Nazzour: Myrna, suo marito Nicolas e i loro due figli, Myriam e John-Emmanuel. E proprio nella loro casetta accadono, da trentatré anni, miracoli straordinari: una piccola icona con la cornicetta in plastica, copia dell’immagine di Nostra Signora di Kazan, veneratissima in Russia – dov’è custodita l’originale – e in tutto il mondo ortodosso, trasuda olio miracoloso che guarisce anime e corpi di ortodossi, cattolici e musulmani.
È ormai venerata in Siria e in tutto il mondo come la Madonna di Soufanieh. Nicolas Nazzour, di fede greco-ortodossa, aveva acquistato l’icona a Sofia nel 1980, che poi aveva conservato  amorevolmente su un piccolo mobile di casa, come accade per tante immagini sacre che i fedeli custodiscono nelle proprie dimore.
Una normalità che presto diventa qualcosa di straordinario: il miracolo dell’olio è solo uno dei mirabili segni di predilezione che il Signore ha accordato a questo angolo della periferia di Damasco: Myrna, la madre di famiglia, cattolica melchita, di media istruzione e di formazione religiosa elementare, è stata fatta oggetto di una serie di grazie che hanno reso la sua umile casa un santuario mariano incastonato in uno dei Paesi più martoriati del mondo.
Myrna aveva diciotto anni quando tutto ebbe inizio. E da trentatrè anni vive sempre alla stessa maniera, umilmente, ricevendo nella sua abitazione – conosciuta ormai come “la casa della Vergine Maria” – un flusso costante di fedeli provenienti da ogni dove: cattolici, ortodossi, protestanti, musulmani, senza distinzioni di sorta.
Da quel giorno le capita di essere invitata a raccontare quanto le accade anche in Paesi lontani, dove sono sorti gruppi di preghiera devoti alla Madonna di Soufanieh.
La vergine Maria trova casa a Soufanieh
Tutto comincia il 22 novembre del 1982, giorno in cui Myrna, sposata da poco, va a trovare, insieme con alcune amiche, sua cognata Laila, seriamente ammalata. Appena le ragazze cominciano a pregare, ecco che le sue mani si ricoprono di olio. Lo sconcerto è immaginabile. Istintivamente, le donne decidono di ungere con quell’olio il volto e le mani della malata. Che, dopo qualche giorno, guarisce.
Il 27 novembre accade dell’altro: anche dall’iconcina raffigurante Nostra Signora di Kazan conservata in casa di Myrna comincia a colare olio. Qualche giorno dopo, Myrna va dalla madre, malata anche lei. Quando cominciano a pregare, ecco che dalle mani della ragazza, esce altro olio. E la madre guarisce.
Paura, sconcerto, meraviglia. Stati d’animo opposti si affollano nelle menti e nei cuori della famiglia Nazzour. Ma non è finita: l’11 dicembre, Samir Hanna, un vicino di casa che soffre di continui attacchi di cuore, ha avuto da poco un’emorragia cerebrale che gli ha provocato una paralisi: appena lo ungono con un po’ di quell’olio, guarisce. E così accade a Ghalya Armouche la quale, paralizzata anche lei, guarisce.
A quel punto, Nicolas, il marito di Myrna, decide di informare il 
Patriarcato ortodosso. Anche perché ormai a Soufanieh s’è sparsa la voce e la gente comincia ad accalcarsi all’uscio di casa per vedere con i propri occhi quanto vi accade.
Da lì a poco si presenta in casa monsignor Boulos Pandéli, vicario patriarcale, accompagnato da due giovani sacerdoti. Tutti constatano la trasudazione di olio dall’icona e dalle mani di Myrna. E ne informano immediatamente il Patriarca, il quale ordina di far analizzare la sostanza. Cosa che accadrà tra il 1984 e il 1985, presso laboratori di Damasco, Germania, Francia e Italia. Alla fine, le analisi chimiche daranno risultato univoco: si tratta di semplice olio d’oliva.
Dopo la visita dei religiosi, si precipitano nella casa di Myrna due agenti dei servizi segreti siriani, che, avvertiti dei fatti, vogliono capire cosa stia avvenendo da quelle parti. I due esaminano accuratamente l’icona, che proprio in quel momento ricomincia a trasudare olio: la smontano, la rimontano. E alla fine, mentre se ne vanno, esclamano ad alta voce: «Dio è grande!» (“Allah Akbar”: il grido che suonerà poi come bestemmia sulla bocca dei terroristi che stanno insanguinando il Paese e il mondo).
Le apparizioni della Madonna, le stimmate e l’unità della Chiesa
Per Myrna, quanto accaduto è solo l’inizio. Nella notte del 15 dicembre dell’82, mentre se ne sta in terrazzo a riposare, vede una luce abbagliante provenire da una pianta di eucalipto vicino ad un piccolo ruscello che scorre proprio accanto alla sua casa. All’interno del globo di luce, ecco una sorta di mezzaluna blu che subito dopo scompare per lasciare spazio ad una donna bellissima che avanza verso di lei. È vestita di bianco, con una cintura blu in vita. In testa indossa un cappuccio e porta sulla spalla destra uno scialle, anche quello di colore blu. In mano tiene un rosario che sembra di cristallo. La signora dice qualcosa, ma Myrna non sente nulla: atterrita, scappa.
Quella sarà la prima di cinque apparizioni, che si protrarranno fino al 24 marzo del 1983. Myrna, intanto, si è resa conto dell’identità della donna che la viene a trovare: è la vergine Maria, che si rende visibile solo a lei. «Figli miei pensate a Dio»: sono le prime parole che Myrna riesce a sentire nel corso della seconda apparizione, il 18 dicembre 1982.
«Vi ho dato l’olio, e ve ne darò di più di quanto ne avete chiesto – aggiunge Maria – Annunciate mio Figlio, l’Emmanuele. Colui che lo annuncerà sarà salvato, colui che non lo annuncerà, la sua fede sarà vana… non sto chiedendo soldi da dare alla Chiesa. Non vi sto chiedendo di costruirmi una chiesa, ma un luogo di pellegrinaggio. Date con generosità. Non private nessuno di coloro che vi chiedono aiuto».
C’è un messaggio che la vergine ripeterà più di una volta a Myrna, sottolineato in modo particolare nell’ultima apparizione, avvenuta giovedì 24 marzo del 1983: «Il mio Dio l’ha detto: riunitevi in una sola Chiesa. La Chiesa che Gesù ha fondato è una, perché Gesù è uno. La Chiesa è il regno del cielo sulla terra. Colui che l’ha divisa ha peccato, e colui che gioisce della sua divisione, ha peccato lo stesso. Gesù la costruì: era molto piccola. E quando crebbe fu divisa. Colui che l’ha divisa non ha amore in Lui. Riunitevi. Io vi dico: pregate, pregate, pregate. Come sono belli i miei figli quando implorano inginocchiati. Non abbiate paura, io sono con voi. Non dividetevi come sono divisi i grandi. Pregate per gli abitanti del cielo e della terra».
Che l’unità della Chiesa fosse al centro dei messaggi sarà evidente in relazione a un altro segno divino che Myrna si troverà ad accogliere: le stimmate della passione di Gesù. La prima volta le vede comparire sul suo corpo venerdì 25 dicembre 1983: verso le 16 si aprono ferite sui suoi piedi, alle mani e al costato. I dolori sono lancinanti, ma non c’è effusione di sangue. Alle 23,00 le piaghe si cicatrizzano.
E come nel caso della manifestazione dell’olio, più di un medico e alcuni ufficiali dei servizi segreti vanno a vedere cosa sta succedendo. E anche stavolta non possono che constatare la buona fede di Myrna e l’autenticità di questi fenomeni. Ma c’è un aspetto stupefacente che li collega direttamente alla richiesta dell’unità della Chiesa: le stimmate compaiono esclusivamente quando la Pasqua  ortodossa coincide con la Pasqua cattolica. Accadrà infatti nell’84, nell’87, nel ’90, nel 2001. E il 20 aprile dello scorso anno.
Anche Gesù parla a Myrna
Alle apparizioni sono succedute le visioni di Gesù e della Madonna, che producono in Myrna stati di estasi, durante i quali si accascia priva di forze mentre il suo corpo trasuda olio. Estasi che possono durare cinque minuti come delle ore.
«Figli miei, pregate per la pace e soprattutto per la pace in Oriente», le dirà la Madonna durante una di queste nel giorno della festa dell’Assunzione del 1999, mentre si trova in Belgio.
A maggio del 1984, il Signore le insegna una preghiera: «Beneamato Gesù, accordami di riposarmi in Te, sopra ogni altra cosa, sopra ogni creatura, sopra tutti i tuoi angeli, sopra ogni elogio, sopra ogni gioia di esaltazione, sopra ogni gloria e dignità, sopra tutto l’esercito celeste, perché Tu solo sei l’Altissimo, Tu solo sei potente e buono al sommo grado. Vieni a me e consolami e slega le mie catene, e accordami la libertà. Perché senza di Te la mia gioia è incompleta. Senza di Te la mia tavola è vuota. Allora verrò per dire: “eccomi sono venuto perché mi hai invitato”».
E ancora, il 10 aprile 2004, Sabato santo: «Un comando per voi: tornate ciascuno a casa vostra, portate l’Oriente nei vostri cuori. Di qui una nuova luce ha brillato, voi ne siete i raggi in un mondo dove potere, lussuria e cose materiali attirano così tanto da mettere a rischio l’umanità intera. Quanto a voi, salvaguardate il vostro essere orientali. Non permettete, in Oriente, che vi sia tolta la vostra volontà, la vostra libertà, la vostra fede».
Ogni volta che Myrna vede il Signore ha bisogno di molto tempo per recuperare la vista. Come nella visione del novembre del 1984: ci vollero ben settantadue ore per riacquistarla. Numerosi test sono stati eseguiti sulla donna, soprattutto sulla vista, la sensibilità e i riflessi: esami risultati sempre negativi, come se nulla fosse accaduto.
Oggi, a Soufanieh, è rimasto tutto come quel 27 novembre del 1982 nella casa di Myrna. La gente, di ogni religione, arriva da ogni parte del mondo per implorare la Madonna e ricevere un po’ di quell’olio benedetto. Tra questi, numerosissimi sono i musulmani. Le grazie e le conversioni continuano, nonostante le tante difficoltà che tormentano la martoriata Siria.
L’unica differenza, è che la famiglia Nazzour ha dovuto fare qualche cambiamento per via di tutta la gente che si accalca senza sosta presso la loro casa. Il vecchio patio è stato ricoperto con un tetto, la terrazza rinforzata per evitare che venga giù per il peso delle persone. E nel mezzo del patio è stata messa l’iconcina della Madonna di Soufanieh che continua a donare olio, che viene costantemente raccolto in un piattino di alabastro.  «Scusateci, non accettiamo denaro», recita una scritta ben visibile posta presso l’icona.
Un testimone d’eccezione: padre René Laurentin
«Cos’è quest’olio? Probabilmente è un segno del potere divino. Ma perché avete scelto proprio me? Sono una qualunque, di scarsa istruzione. In migliaia avrebbero meritato tanto privilegio. In ogni caso, sia fatta la Tua volontà. Ti offro le mie azioni, la mia fatica, i miei dolori, la mia gioia. Ho messo tutta la mia speranza in te», sono stati questi i primi pensieri di Myrna nei giorni dei primi miracoli, come ha confidato nel 1987 a padre René Laurentin, forse la più alta autorità in materia di apparizioni mariane che la Chiesa abbia avuto in tempi recenti.
Padre Laurentin si è recato a Soufanieh nel 1982 per vedere con i propri occhi ciò di cui aveva tanto sentito parlare. Il 25 novembre si reca con Myrna, il marito e la piccola Myriam, una dei due figli della coppia, a far visita al nunzio apostolico a Damasco. E nel corso della conversazione, ecco che le mani di Myrna cominciano a coprirsi di olio, tra la meraviglia di tutti; il giorno dopo, la casa di Myrna e di Nicolas si riempie di gente.
Ma, improvvisamente, scatta un blackout, fatto abbastanza abituale in Siria. Quando la luce torna, Myrna è in uno stato di estasi: stesa sul letto, dalle sue mani scorre copiosamente olio benedetto. Ad assistere al fenomeno anche il medico della donna, Gamil Mergy, un ateo convertito grazie ai miracoli di Soufanieh, che prontamente tampona le mani di Myrna perché quella grazia di Dio non vada perduta.
Nei giorni successivi, il grande teologo avrà modo di parlare con i due coniugi e conoscerli meglio. Prima delle visite della vergine Maria e di Gesù erano entrambi fedeli normalissimi, dediti al minimo indispensabile per conservare la fede.
 Nicolas, per esempio, non andava neanche in chiesa. Alla domanda di come la loro vita fosse cambiata e quanto tempo dedicassero alla preghiera, Myrna aveva risposto: «La nostra vita è quella di sempre. È solo più vera, piena di gioia. Un po’ più faticosa, certo, vista tutta la gente che ospitiamo nella nostra casa. Poi, ci sono i tremendi dolori delle stimmate, ancora più intensi di quelli del parto. Ma li accolgo come un grande dono di Dio.
Le preghiere? «Recitiamo semplicemente il santo rosario e le preghiere ordinarie della Chiesa». Tutto semplice, come semplice è la grazia del Signore.

In Italia Claude Zerez, il siriano che scrisse a Hollande



In Italia Claude Zerez, il siriano che scrisse a Hollande

E' in Italia Claude Zerez. Nel 2012 scrisse ad Hollande: “Che si sente ad Aleppo?: Dopo la Siria, l’Europa.”
E’ in Italia il cristiano siriano Claude Zerez, padre di Pascale Zerez uccisa su un  bus pubblico di Homs il 9 ottobre 2012 da un attacco dell’ Esercito Libero Siriano, l’ opposizione armata al governo di Damasco sostenuta dall’ Occidente. Pascale aveva 20 anni ed era sposata da tre mesi. Pochi giorni dopo la tragica morte della figlia, Claude scrisse una lettera aperta ad Hollande e un appello al popolo francese che furono pubblicati da molti giornali francesi.
Claude Zerez terrà alcuni incontri in Lombardia e a Firenze su  “ La condizione dei cristiani perseguitati all’ interno del conflitto siriano”.
Il 14 ottobre 2012, pochi giorni dopo la tragica morte di Pascale, Claude Zerez scrisse una lettera aperta al Presidente della Repubblica Francese Hollande e al ministro degli Affari Esteri. La lettera fu pubblicata da molti giornali francesi.
Ai due importanti esponenti della Repubblica Francese, Claude spiegò che gli autori dell’ attacco mortale in cui aveva perso la vita sua figlia appartenevano ad un gruppo considerato parte dell’ Esercito Libero Siriano, gruppo armato sostenuto dall’ occidente e che il “..movimento porta con sé i semi di una nuova dittatura che sicuramente farà rimpiangere la precedente”.
“…Sotto lo slogan di libertà e di democrazia e di partecipazione al potere…., Lei con i suoi alleati, ha incoraggiato l’ introduzione nel nostro territorio di gruppi estremisti salafiti e altri elementi del movimento di Al Qaeda che vengono ad uccidere e ad essere uccisi qui da noi, distruggendo ciò che possono sulla loro strada; perchè dunque averceli inviati ?”
Continuava poi affermando che “in Siria la vostra politica …ha introdotto l’arbitrarietà, così si può riassumere in un altro slogan: libertà ed uguaglianza in Siria, mentre in Qatar oligarchia e privilegi…..Può essere certo che gli sconvolgimenti che viviamo noi, li verrete a vivere al più presto anche Voi.
Che cosa si sente echeggiare per le strade di Aleppo? Dopo la Siria, L’Europa.”
Invita quindi la Repubblica Francese a cessare il “ …sostegno agli elementi armati che non obbediscono a nessuna legge…”
Nello stesso giorno indirizza un appello al popolo di Francia introdotto da queste parole (traduzione del Cntro di Iniziativa per la Verità e la Giustizia, IVG)
“Colpito personalmente il 9 ottobre 2012 dalla morte di Pascale, mia figlia di 20 anni, mi rivolgo alle amate popolazioni della Francia, a nome mio ed a nome di tutti i miei fratelli e sorelle di Siria feriti dalla guerra.”
Nell’ appello al popolo francese invitava i “cari amici e fratelli” a valutare con attenzione le informazioni “ che Vi forniscono” e spiegava come il suo appello fosse una richiesta urgente di sostenere i cristiani siriani. “ Noi vogliamo continuare a vivere pacificamente con l’Islam, ma la guerra e i suoi ideatori stanno cercando di distruggere questo”. Chiede inoltre ai cristiani di Francia e a tutto il popolo francese: “…perchè l’avvio della solidarietà è così lento ? “.
Negli ultimi tempi Claude ha continuato il suo percorso di fede e perdono, che è indispensabile per una riconciliazione in Siria e in tutto il Medio Oriente. Ma porta sempre avanti anche una forte denuncia per la tragica situazione dei cristiani in tutto il Medio Oriente e chiede agli europei, soprattutto agli europei cristiani, solidarietà concreta per i credenti perseguitati.
I prossimi incontri di Claude Zerez in Italia
“La condizione dei cristiani perseguitati all’ interno del conflitto siriano”
 Testimonianza di Claude Zerez, ora rifugiato in Francia. Dal dramma dell’ uccisione della figlia Pascale ad Aleppo alla forza della fede.
-  Firenze, giovedì 21 gennaio 2016, ore 21.00
Convento della S.S. Annunziata di Firenze
Via Cesare Battisti, 6
- Bergamo, venerdì 22 gennaio 2016, ore 21.00
Casa del Giovane – Sala Nembrini
Via Gavazzeni, 13
- Voghera, sabato 23 gennaio 2016,
- Bresso (MI), domenica 24 gennaio 2016, ore 18.00
sala Ludovico Conti, c/o libreria Il Girasole
Centro Culturale Alessandro Manzoni
Via Roma, 66
Il testo integrale della lettera aperta ad Hollande lo trovate al link:
 E’ possibile leggere l’ appello al popolo francese al link:
Marco Palombo

giovedì 14 gennaio 2016

Padre Jacques Mourad ripercorre la sua esperienza: "Lui mi guardò rammaricato. Sa… dovremo ucciderla…"

“La mia miracolosa  fuga dall’Isis”


Gian Micalessin

Gli Occhi della Guerra, 14 gennaio 2016

Padre Jacques Murad spezza il pane, recita il Padre Nostro in arabo, poi fissa la famiglia, gli amici riuniti intorno alla tavola imbandita. “Non speravo di sopravvivere, figuratevi rivedere Roma e i miei amici siriani. Me l’avessero detto mesi fa non ci avrei creduto”.  Padre Jacques Murad una volta era un prete. Oggi è l’incarnazione di un miracolo. Un’incarnazione ancora incredula di fronte alla propria sorte, alla propria sopravvivenza.
«Pochi sono riusciti a farsi liberare dallo Stato Islamico. Ancora meno a sfuggirgli vivi. Solo il Signore m’ha concesso entrambe le cose». Padre Jacques guarda Samaan, l’amico siriano, il confratello con moglie e figli ritrovato nella capitale italiana. Si conoscono da oltre 15 anni, da quando Samaan frequentava Mar Musa, il monastero messo in piedi da padre Jacques e padre Paolo Dall’Oglio. Così in questo pranzo a Roma  Padre Jacques dà fondo ai ricordi e alle riflessioni della prigionia. Le più travagliate riguardano Padre Dall’Oglio, l’amico comune di Jacques e Samaan, l’amico scomparso nel nulla il 29 luglio 2013, quando raggiunse Raqqa appena occupata per incontrare i capi dello Stato Islamico.   «Ci ho pensato da quando mi hanno chiuso in quel bagno di Raqqa dove sono rimasto per 83 giorni. Non una galera con altri prigionieri, ma un semplice bagno, dove incontravo solo i miei carcerieri. La mia impressione è che nessuno, oltre a loro, dovesse sapere di me. Per questo mi sono convinto che Dall’Oglio possa essere ancora vivo. Che per qualche imperscrutabile ragione, chiara solo a chi dirige quel mostro chiamato Daesh, Paolo sia un asso nella manica da tirare fuori al momento opportuno».
Prende fiato, si spiega meglio. «Dentro Daesh nulla succede per caso. Al Baghdadi, o chi per lui, decide anche il più banale dettaglio. E nessuno piglia iniziative senza sue disposizioni. Padre Dall’Oglio non può esser stato ucciso senza un suo ordine. E soprattutto senza un motivo. L’avessero ammazzato ne avrebbero spiegato la ragione. Lo fanno sempre. Io in Siria non sono un personaggio chiave, ma ogni fase del mio rapimento dalla preparazione al rilascio, è stata approvata ai massimi livelli. E per ragioni ben precise. Quando mi hanno preso il 21 maggio sapevano già a cosa gli servivo. Mi sorvegliavano da settimane, erano pronti a conquistare il villaggio. Dovevano solo eliminare chi come me parlava con i musulmani, chi mediava e impediva allo Stato Islamico di conquistarsi il consenso. Gli amici musulmani me l’avevano detto: Daesh è già dentro, vattene finché sei in tempo. Ma io non potevo abbandonare. Quando mi hanno rapito non è stata una sorpresa. La vera sorpresa a Raqqa è stato l’incontro con lo sceicco saudita che m’interrogava. Era gentile, beneducato. Spiegava con un sorriso le cose più terribili. Mi ordinò di convertirmi. Io dissi: Mai. Lui mi guardo rammaricato. Sa… dovremo ucciderla…. Lo so bene, ma non mi convertirò mai. Lui sorrise. In fondo – disse – la capisco». 
Da quel momento padre Jacques è confuso. «Pensavo a quando mi avrebbero decapitato, ma capivo anche di non essere un semplice prigioniero. Ero una pedina in un gioco più grande di me e di chi m’interrogava. Ero uno strumento per l’occasione più opportuna». L’occasione arriva ad agosto, subito dopo la caduta di Qaryatayn e di 250 cristiani, nelle mani di Daesh. Padre Jacques non sa quel che succede, ma intuisce che per lui qualcosa sta cambiando. Ricorda la visita di un iracheno incappucciato che parla a nome di Al Baghdadi.
«Il Califfo ha considerato il suo caso e quello dei 250 cristiani catturati nel suo villaggio e ha deciso in base a quattro possibilità. Può farvi tutti schiavi, uccidere gli uomini e tenere schiave le donne, oppure farvi scegliere tra conversione e decapitazione. Ma la quarta possibilità, quella scelta dal Califfo, è di farvi dono della vita. In cambio dovrete pagare la jizya, la tassa che consente ai cristiani di vivere nelle terre del Califfato».   Così dopo tre mesi di prigionia a Raqqa, padre Jacques si ritrova scortato dai miliziani jihadisti in viaggio verso Qaryatayn
«Appena arrivati mi hanno portato dai miei fedeli. Ero felice, ma al tempo stesso ho capito perché mi avevano lasciato in vita. Mi avevano preso, tenuto vivo e riportato al villaggio per piegare non solo il Qaryatayn, ma tutti i cristiani di Siria alle loro regole». La consapevolezza di essere uno strumento nelle mani dei propri carcerieri diventa ancor più dolorosa quando Padre Jacques tenta inutilmente di fermare il ratto di alcune ragazze cristiane, strappate alle famiglie per venir date in sposa ai militanti di Daesh.
«In quel momento tutto mi diventa chiaro. Capisco che restando lì diventerei la giustificazione vivente delle loro nefandezze. Per questo comincio a pianificare la mia fuga e quella dei miei confratelli. La mia fortuna sono i miei vecchi amici musulmani e quelli beduini. Un musulmano viene a prendermi in moto e mi porta fuori travestito dal villaggio. Poi nei giorni successivi i beduini nascondono sui loro carri e sui camion più di duecento cristiani». Sono loro, i musulmani e i beduini, a portarli fuori dal villaggio, a farli passare sotto gli occhi dei miliziani e dei check point.  «Oggi in quel villaggio non ci sono più cristiani.  Sono tutti salvi.  Il vero miracolo del Signore non è stata la mia salvezza, ma quella di tutti i miei confratelli»

martedì 12 gennaio 2016

Arabia Saudita, perché il gigante è malato


AVVENIRE, 10 gennaio 2016
di Giorgio Ferrari

Da quando nel 1938 il pozzo Dammam numero 7 cominciò a pompare petrolio, l’Arabia dominata dalla famiglia Saud si trovò a possedere la più grande riserva mondiale di petrolio e una delle più vaste di gas naturale: sotto la sabbia del deserto, sotto le fondamenta dei faraonici palazzi del potere di Riad si nascondono riserve di greggio per almeno 267 miliardi di barili, solo recentemente superate nelle stime dai 297 miliardi del Venezuela. In realtà il petrolio, che rappresenta tuttora il 95% delle esportazioni e il 70% delle entrate del regno, si annida principalmente nella provincia orientale di Al-Sharqiyya, da cui si ricava quasi l’80% del greggio saudita. Un greggio a buonissimo mercato, visto che produrlo costa solo 2 dollari al barile. Cuore della provincia è la città di al-Qatif, il più grande crocevia di oleodotti del mondo, a due passi da Dhahran – sede della Aramco, la compagnia petrolifera nazionale – e dall’immenso terminal petrolifero di Ras Tanura.

Da qui parte ogni giorno per il mondo l’oro nero saudita. È importante porre l’attenzione su questo spicchio del regno di re Salman: i suoi quattro milioni di abitanti sono in prevalenza sciiti, come sciita di al-Qatif era l’imam Nimr al-Nimr, decapitato qualche giorno fa. Al-Nimr, considerato il meno radicale fra gli sciiti sauditi, aveva capeggiato le proteste del 2011, l’anno delle primavere arabe e della rivolta nel Bahrein, ma per Riad era soprattutto un leader ritenuto pericoloso per l’unità territoriale del regno: «Tutto quel petrolio, quel gas naturale, quella ricchezza, insomma su cui vive e prospera da decenni l’Arabia Saudita – dice Mansour Alnoigadan, direttore del Centro studi e ricerche al-Mesbar di Dubai – sta sotto le scarpe di una minoranza sciita. Una minoranza che comincia a far paura, perché tutti sanno che negli appetiti di Teheran c’è proprio la zona petrolifera delle province orientali. Chi avesse in mano quella, avrebbe in mano il mondo ». Ed è esorcizzando questo timore che Riad soffia sul settarismo sciita provocando la reazione di Teheran.

«A dangerous sectarian game» , un gioco settario pericoloso, come ha scritto il New York Times, ma è l’unico gioco che in questo momento l’Arabia Saudita, gigante malato del tormentato scacchiere mediorientale, è in grado di condurre. Perché quella che in questi giorni di altissima tensione fra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita culla dell’ortodossia sunnita appare come la fiammata estrema di una guerra di religione non è forse altro che una guerra combattuta con l’arma del petrolio. La coltre della diaspora millenaria fra le due anime dell’islam non basta infatti a celare il nocciolo duro dei veri interessi che da un anno a questa parte agitano i sonni dell’ottantenne Salman bin Abd al-Aziz Al Saud, salito sul trono esattamente un anno fa. Un anno vissuto pericolosamente e altrettanto pericolosamente scarno di successi: a picco le relazioni con lo storico alleato americano, in difficoltà nelle campagne militari contro gli Houti nello Yemen e contro gli sciiti hezbollah in Siria, e soprattutto con un’economia messa a dura prova dal crollo dei prezzi del petrolio, tanto da aver costretto il sovrano a tagliare sussidi, a imporre tasse e imposte un tempo sconosciute e a una stretta di cinghia assolutamente inedita nell’Arabia Felix.

Ma è soprattutto con il petrolio che Riad ha giocato duro, producendone in eccesso nonostante la contrarietà, le suppliche e perfino le minacce degli altri membri dell’Opec, tanto da far crollare le quotazioni fino a far giungere il barile sotto la soglia dei 30 dollari con un danno complessivo per i 13 Paesi del cartello attorno ai 500 miliardi di dollari e un previsto decremento del Pil nei prossimi due anni di 10 punti per l’Oman, 5 per gli Emirati e il Qatar e una cifra incalcolabile per il Venezuela. Il che non ha certo aumentato la simpatia dei produttori di petrolio per l’ingombrante leader saudita. In realtà però l’uso dell’arma del greggio aveva un duplice disegno. All’origine sembrava avere un scopo puramente commerciale: rendere troppo onerosa l’estrazione di shale gas, il gas di scisto argilloso di cui gli americani hanno incrementato la produzione raggiungendo così una sostanziale indipendenza energetica. Sul piano della concorrenza Riad si sentiva al sicuro: dei loro oltre 150 miliardi di barili di riserve gli iraniani potevano fare ben poco, dal momento che le sanzioni del 2012 gli impedivano di esportare greggio. Ma con gli accordi di Vienna fra Teheran e Washington sul nucleare e la revoca delle sanzioni l’Iran rischia di ritornare ad essere il peggior competitor di Riad, essendo di nuovo in grado di produrre 3–4 milioni di barili al giorno esportandone 2,5 milioni e il fatto non è più soltanto commerciale ma anche e soprattutto politico.

Ritorniamo dunque all’Arabia Saudita. La prova muscolare sul mercato del greggio, le guerre maldestre in Siria e Yemen, le esecuzioni capitali in massa non valgono a nascondere – come dice Bernard-Henri Lévy in un editoriale su Le Point – «un regime instaurato da un secolo ma che tutti gli osservatori sono concordi nel definire corrotto, guasto, in declino, sempre più evidentemente inadeguato ad assicurare la propria durata nel tempo». Il grande malato, insomma. Dal quale si comincia a prendere le distanze. E le contromisure.

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/Arabia-Saudita-gigante-malato-.aspx

lunedì 11 gennaio 2016

Riccardi: Medio Oriente senza cristiani sotto i colpi dell'islamismo

Presepe che fino alla fine di gennaio sarà esposto nella chiesa abbaziale del S.S. Salvatore a Bologna.  Si è inteso onorare, pregare, riflettere sulla persecuzione dei cristiani, in Siria-Iraq-Egitto e tutto medio-oriente senza dimenticare il Pakistan e l'Africa che stanno pagando un tributo all'indifferenza delle potenze occidentali ormai paragonabile se non superiore alla shoah ebraica. Questo presepe non ha la mangiatoia, ma Gesù bambino è sulla croce, al centro, al posto della paglia ci sono le spine, la Madonna offre una corona di spine. Ogni statua regge le foto di alcuni che non hanno temuto nè sono scappati, ma sono tutti morti a causa della loro identità cristiana, spesso dopo gesti di autentico eroismo umano.  Particolarmente presente la "passione" del popolo siriano. (M.S)

Un'analisi di Andrea Riccardi 

sul Corriere della Sera  21 dicembre 2015 


A Bagdad,  il patriarca Sako ha aperto la Porta Santa nella cattedrale caldea, parlando di cristiani «tribolati, ma non schiacciati». Ha ricordato un dramma nella tragedia mediorientale: quello dei cristiani. Soffrono come il resto della popolazione. Ma sono colpiti in modo particolare: da quelli uccisi negli attentati a Bagdad fino ai cristiani assiri utilizzati come scudi umani nella capitale del Califfato, Rakka.

Il Medio Oriente, tra breve, sarà senza cristiani. Erano circa il 10% dei siriani e il 3,5% degli iracheni. Nel 1948, gli ebrei furono scacciati dagli Stati arabi, mentre i cristiani restarono fedeli al nazionalismo arabo. Nella loro storia bimillenaria, questi hanno resistito a invasioni e violenze per convertirli: dagli arabi ai mongoli e agli ottomani. Nella notte tra i1 6 e i1 7 agosto 2014, di fronte a Daesh incalzante in Iraq, ben 120.000 cristiani sono fuggiti dalla piana di Ninive: nessuno si è convertito all'Islam per restare. Ora la guerra, l'islamismo e il vuoto di prospettive spingono i cristiani a andare in Occidente. I vescovi, a lungo critici sull'abbandono delle terre storiche, sono oggi possibilisti verso l`emigrazione. Il loro grido d'allarme per un intervento dell`Occidente (non molto realizzabile) non ha dato risultati. Qualche patriarca si è spinto a chiedere l`intervento armato.
Per decenni, le minoranze cristiane hanno vissuto sotto la protezione dei regimi baathisti, siriano e iracheno, che garantivano un po' di laicità e un freno all'islamismo. Del resto il Baath fu fondato nel 1947 da un cristiano (ortodosso), Michel Aflaq, morto nel 1989 (Saddam lo onorò, parlandone come di un convertito all'Islam, fatto poco certo). Quel mondo è stato travolto dalla guerra occidentale all'Iraq (osteggiata dai cristiani) e dalla crisi del regime di Assad (difeso dai patriarchi).

I cristiani hanno creduto alla causa araba, lavorando perché l'arabità non s'identificasse con l`Islam, preoccupati di uno Stato religioso. Alcuni hanno avuto posti di rilievo, come il ministro degli Esteri di Saddam, Tareq Aziz. Giulio Andreotti, ben noto nel mondo arabo, aveva tra i suoi interlocutori alcuni cristiani come il patriarca melkita, Maximos Hakim. Le élite cristiane hanno tanto lavorato per la convivenza, certo fragile. Tutto poi è crollato. I leader ecclesiastici non hanno elaborato un disegno alternativo. Hanno rifiutato dal 2006 l'idea di una zona protetta per i cristiani nella piana di Ninive, sostenuta dagli americani, considerandola un ghetto. La vita però era impossibile a Bagdad. 
Oggi le aree di rifugio sono Kurdistan, Giordania e Libano. Quest'ultimo resiste, ma è a rischio: Daesh vuole portarvi lo scontro come si è visto con gli attentati contro gli sciiti. Il Libano, ultimo ridotto dei cristiani (almeno il 35% dei libanesi), non può accoglierne stabilmente altri. Il Kurdistan ha ricevuto i cristiani in fuga e ne ospita più di 100.000. Il governo locale si presenta aperto al pluralismo: ha fatto memoria persino dell`espulsione degli ebrei dal Paese. Ha costruito un edificio per il patriarca assiro, che abiterà qui. I curdi siriani, nelle zone da loro controllate, proteggono i residui cristiani. Ma i cristiani sono in genere perplessi verso i curdi, memori delle stragi di cent`anni fa e degli scontri successivi. 
I cristiani, senza prospettive, vogliono lasciare il Medio Oriente. Ambienti neoprotestanti li favoriscono con operazioni come «New Ninive», per portarli soprattutto negli Stati Uniti, che stanno diventando la nuova patria delle Chiese d`Oriente. Gli ambienti cattolici, che seguono la vicenda con tanti interventi di solidarietà, non hanno avuto la possibilità o la capacità di elaborare una visione del futuro né di suggerirla agli orientali. Il nuovo Oriente finirà per essere l`Occidente americano? Si sta spegnendo drammaticamente, sotto i colpi dell`islamismo, quel mondo cristiano orientale che ha avuto una funzione originale nell`incontro tra Islam e modernità e nell`orizzonte del cristianesimo. Si prepara uno sconvolgimento nell`ecologia umana del Mediterraneo: la fine di un`antichissima presenza. È ancora tempo di fare qualcosa?
Forse solo la pace in Siria potrebbe mutare questo destino.

di Andrea Riccardi

domenica 10 gennaio 2016

Siria: "NOTIZIE", RAPPORTI E LORO FONTI

Siria: la verità su Madaya


Sibialiria, 9 gennaio 16


Dilaga su tutti i media main stream la “notizia” dei bambini che muoiono di fame a Madaya, in Siria, assediata dall’esercito di Assad che impedisce l’invio di viveri. Ma quali sono le fonti di questa “notizia”? Sostanzialmente, una foto nella quale quelli che appaiono “ribelli”, per nulla denutriti, invocano con uno striscione il Papa per far cessare l’assedio a Madaya, alcune foto  risalenti ad anni fa e buone per tutte le occasioni,  e – ça va sans dire – l'Osservatorio siriano per i diritti umani.

Ma perché mai il governo di Damasco dovrebbe volere la morte di cittadini siriani ostaggio dei terroristi di al-Nusra? Ce lo chiedevamo già davanti alla “notizia” del “bombardamento russo sul mercato di Idlib”. E anche per Madaya una risposta può essere data consultando siti solitamente bene informati – in questo caso,  Al Manar,  attivisti presenti in Medio Oriente – come Vanessa Beeley della Rete No Syria Intervention – e la Croce Rossa Internazionale. E il quadro che, così, ne esce fuori è completamente diverso da quello descritto dai media main-stream (che sono arrivati a pubblicare – ovviamente Repubblica – “notizie” come questa).

L’attuale strategia dei miliziani jihadisti, per sfuggire ai bombardamenti russi e ai rastrellamenti dell’esercito siriano, è asserragliarsi in centri urbani facendosi scudo delle popolazioni. Una situazione che comporta assedi che, finora il governo di Damasco – checché ne dicano i nostrani media – ha affrontato con moderazione. Nel caso di Madaya (ma stesso discorso potrebbe essere fatto per altri villaggi), ad esempio, già l’anno scorso (non certo da oggi)  il governo di Damasco ha permesso a colonne di soccorso della Croce Rossa Internazionale di entrare in questo centro, posto a 1400 metri di altitudine, per portare aiuti umanitari. Aiuti umanitari  requisiti, per lo più, dai miliziani jihadisti. Probabile che questa situazione abbia comportato casi di inedia, tra l’altro diffusissimi in tutta la Siria.

Anche per scongiurare l’aggravamento della situazione, il governo di Damasco, già nell’agosto 2015, aderiva ad una proposta della Croce Rossa Internazionale di un “cessate il fuoco” e di un salvacondotto che prevedeva l’allontanamento da Madaya di miliziani jihadisti feriti. L’ultimo trasbordo di miliziani feriti è avvenuto nel dicembre 2015 tramite autoveicoli della Croce Rossa Internazionale entrati a Madaya con aiuti umanitari.
Ci sarebbe da domandarsi – per fare nostre le parole di Vanessa Beeley – perché mai la Croce Rossa Internazionale non avrebbe portato in salvo, oltre ai miliziani feriti, anche i bambini e le persone di Madaya che stavano morendo di fame.

La Redazione di Sibialiria

http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3105

Patriarca Laham: Medaya ostaggio di bande armate e terroristi, a rischio la consegna di aiuti 


AsiaNews - Madaya è una città “presa in ostaggio da persone che vivono all’interno”, da bande armate e gruppi terroristi, oltre che da membri di Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico, SI], che usano i civili “come scudi umani”. È quanto afferma ad AsiaNews il Patriarca melchita Gregorio III Laham, il quale precisa che nella città siriana contesa fra governo e ribelli abitano “20mila, non 40mila abitanti come scritto in questi giorni sui media”. “Noi come Chiesa non abbiamo accesso a questa città - aggiunge - ma sappiamo che inviare aiuti è rischioso, perché spesso finiscono nelle mani, come già successo in altre parti, di bande criminali e gruppi terroristi”. ...

 leggi qui:  http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarca-Laham:-Medaya-ostaggio-di-bande-armate-e-terroristi,-a-rischio-la-consegna-di-aiuti-36364.html

mercoledì 6 gennaio 2016

Padre Daniel: "Abiteranno sicuri, perché Egli sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace!"


Qara, 1 gennaio  2016


L'arrivo dei pastori
Due giorni prima di Natale sono arrivati già i primi pastori qui. E’ un gruppo di francesi, che hanno incontrato Madre Agnès-Mariam in una conferenza di pace a Ginevra e desiderano conoscere la comunità. 
Sono musulmani molto entusiasti, entrambi sposati con donna algerina, fedeli pellegrini alla Mecca e vogliono riportare l'islam alla carità e alla fraternità. Ci hanno raccontato che masse di musulmani in Algeria ora ritornano alle loro radici e diventano cristiani. Hanno fondato un'associazione per l'unità di tutti i credenti amanti della pace. 
La mattina abbiamo preso una semplice colazione, ma molto accogliente. Eravamo cinque nella mia piccola stanza (che non è solo la mia camera da letto, ma anche sala di studio, aula, sala conferenze, refettorio, spazio per riunioni e foresteria per gli uomini, cioè “all rolled in one” ! ). Così abbiamo potuto ascoltare le loro ardenti testimonianze e viceversa abbiamo testimoniato la nostra fede cristiana e il vero significato di " ìl profeta di Dio", Gesù, l’unico Salvatore di tutti i popoli. Le loro lotte di vita sono contro tutte le forme di fanatismo nell'islam e soprattutto contro il wahabismo della Arabia Saudita. Quello rappresenta per loro l'abominio più alto. Hanno raccontato storie infinite sulla corruzione, l’ ipocrisia, l’arroganza della classe dirigente in Arabia Saudita. Hanno visto tanti giovani con la mano mozzata o addirittura il braccio mozzato, che hanno lavorato come schiavi per i loro padroni e solo perché hanno commesso un piccolo errore di lavoro sono stati mutilati in tal modo. Nel frattempo, questi principi rubano ovunque le ricchezze altrui, fanno giungere beni di lusso e champagne per sé per mezzo di elicotteri e girellano da una prostituta all' altra. Nel mondo intero erigono centri per sedurre genti al rigoroso wahabismo, presentandolo come la sola e vera dottrina islamica . Nel frattempo, l'Arabia Saudita è stata nominata capo della Commissione ufficiale ONU dei Diritti Umani. Il mondo è impazzito! In Occidente, le donne sono pagate per passeggiare con il burqua sulle strade in modo sempre più diffuso.
I nostri amici musulmani francesi hanno capito perchè il wahabismo e il sionismo collaborano così strettamente: si tratta dello stesso mondo di soldi e violenza, potere, arroganza, dominazione, razzismo e odio verso gli altri. 
I nostri musulmani francesi dicono che tutto quello che è umano nell’islam è stato distrutto dal wahabismo, ugualmente come fanno i sionisti che corrompono tutto quello che è prezioso della fede ebraica. Ci insegnano che il wahabismo effettivamente deriva dal sionismo. La loro testimonianza sulla Francia è stata notevole. Tra tante comunità musulmane in Algeria, Libano, Siria e altrove hanno sentito una profonda base di convivenza pacifica tra le diverse religioni e gruppi etnici. Beh, invece, da noi in Francia, dice uno, si sente sempre di più come le comunità musulmane sono trasformate dal wahabismo e crescono sempre di più nell'odio verso tutti gli altri. E così preparano tanti giovani a mirare verso "il più alto obiettivo", cioè di partecipare alla lotta qui in Siria o altrove, per uccidere il più possibile di 'infedeli' o di morire come martiri per guadagnare il cielo! Questi giovani così ingannati credono di arrivare in questo modo sicuramente in cielo..

Auguri di un Buon Anno Nuovo
Come ogni uomo, anche noi desideriamo la pace per poter vivere in amore e in gioia. Noi speriamo che quest'anno la Siria possa essere liberata da tutto il terrore e ritrovare la sua sovranità. E che poi possiamo essere in grado di continuare a contribuire effettivamente alla faticosa ricostruzione di questo paese e al recupero della sua società armoniosa, in cui i cristiani hanno sempre svolto un ruolo eccezionale. Questa era la loro terra, molto prima che l'islam nascesse. Ringraziamo tutti i benefattori che ci permettono di continuare ad aiutare la popolazione e i cristiani di Siria.
Noi stessi provenienti dall'Europa, abbiamo trovato qui in Siria la nostra seconda preziosa patria. Una volta, Europa e Russia erano strettamente collegate. Poi è arrivata la separazione tra l'Occidente libero e il blocco orientale sotto la dittatura comunista. Ora i ruoli si sono invertiti. I paesi europei sono diventati vassalli di America e la Russia ha riacquistato la sua identità e la sua sovranità. Mentre la Russia per forza si volge verso la Cina, si inaugura in Europa in modo solenne un immenso centro commerciale o un McDonald o un centro islamico. In Russia invece si celebra l'inaugurazione di una splendida iconostasi in una nuova Chiesa ortodossa.
I paesi europei non solo hanno negato le loro radici cristiane, ma anche la loro sovranità e i loro valori spirituali e umani, del tutto assorbiti da una globalizzazione schiacciante . Sono diventati paesi senza frontiere, senza valori, senza identità o storia. Il sogno di una maggiore prosperità è scacciato dalla realtà del sempre crescente impoverimento, e la promessa di una maggiore libertà è schiacciata da una crescente dittatura totalitaria. Abbiamo un' Europa della dissoluzione delle famiglie, del LBGT e delle Femen, l'Europa del consumismo, delle multinazionali e del divertimento. I sommi sacerdoti dell'abolizione di tutti i confini e dell’ abolizione di tutti i valori resteranno ancora un po' di tempo con successo al potere, finché si raggiungerà il fondo del burrone. I testimoni della verità e della vita resteranno per il momento ancora sul bordo come i "perdenti".
Mio desiderio e speranza è che questo gruppo perseveri e diventi sempre più numeroso. Un medico che aiuta una madre a portare suo figlio al mondo e che rifiuta l'aborto e rifiuta anche l'eutanasia, ma chi aiuta il moribondo a morire in modo umano nel momento e nel modo da Dio previsto (il vero significato del parole greco “eu-thanatos”), oggi può essere condannato all'imprigionamento. Invece una massa di opponenti autentici non sono più da incarcerare: è la mia speranza, che questa moltitudine di opponenti autentici come testimoni della verità, della vita e della fede cristiana cresca sempre di più.

Se vi piace una storia commovente di Natale sulla resistenza in Siria, leggete allora Ugarit Dandache, Syrie:du ciel à la terre, les hommes de Kweiris ont gagné leur pari,mondalisation.ca dec 2015. Per tre anni, i soldati dell'aeroporto militare a est di Aleppo, grande 25 km quadrati, hanno vissuto in mezzo a un territorio controllato da Daesh, con la morte davanti agli occhi ogni giorno. Ora loro testimoniano come sono sopravvissuti come fratelli, ogni momento pronti a dare la vita l’uno per l'altro e per il loro popolo. Alcuni sono morti, ma tutti rimasero fedeli nella lotta contro le bugie e l’omicidio.
Dove sono i cristiani in Europa che desiderano offrire resistenza come dicono le parole di san Paolo: "Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. (Romani 12, 2)?

Un Buon Natale e un Beato e Grato 2016.

P. Daniel
(trad A. Wilking)

http://www.maryakub.net/2015/12/26/merry-christmas-nativity-icon-explained/