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venerdì 9 ottobre 2015

Mons. Hindo ribadisce: Le operazioni statunitensi sono "solo di facciata, in realtà hanno lasciato liberi di agire i jihadisti"

Asia News 
09/10/2015


Vescovo siriano: 
L’ambigua politica Usa favorisce lo Stato islamico. Questa guerra di Daesh nasconde solo interessi economici ed è finalizzata a dividere il Paese, contro la volontà di un popolo.
Timori per i cristiani rapiti. 


I raid aerei americani in Siria sono operazioni di facciata, che in realtà non colpiscono le milizie dello Stato islamico (SI) le quali sono libere di agire sul terreno; solo gli attacchi dei russi degli ultimi giorni si sono rivelati efficaci, costringendo i jihadisti a ripiegare verso il deserto irakeno. 
È quanto racconta ad AsiaNews mons. Jacques Behnan Hindo, alla guida dell’Arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi, che riferisce le testimonianze raccolte dalla gente che vive nelle aree teatro del conflitto. “L’intervento di Mosca si è rivelato positivo - spiega il prelato - perché stanno colpendo davvero Daesh e i miliziani cominciano a fuggire. In una zona sono scappati a bordo di 20 auto in tutta fretta in direzione dell’Iraq, lasciando altre 20 auto sul posto. Segno di una vera e propria ritirata”. 
Il vescovo di Hassakè-Nisibi vive egli stesso sotto la minaccia dello SI: “Sono a meno di tre chilometri dalla città - racconta - un mese fa una loro offensiva è stata respinta e hanno ripiegato nei dintorni della città. Nelle ultime due settimane, grazie anche agli attacchi dei russi, hanno cominciato a ritirarsi”. 

Di contro, mons. Hindo riserva invece parole durissime verso gli Stati Uniti, i quali starebbero bombardando non le postazioni delle milizie jihadiste ma reparti e mezzi dell’esercito governativo siriano. “Non è questione di essere pro o contro il governo - racconta - ma la gente non ha mai creduto agli attacchi americani. Solo i curdi hanno davvero combattuto sul terreno, ma per difendere le proprie posizioni” e non è plausibile che possano, essi soli, risolvere l’emergenza. Inoltre Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna parlano solo di “attaccare Daesh, ma non parlano di al Nusra e di altre milizie fondamentaliste legate ad al Qaeda. Anzi, vi sono gruppi estremisti che hanno cambiato nome per rifarsi una verginità, e questi non vengono nemmeno menzionati. Anche questo è un grosso problema”.
Il presule denuncia una “ambiguità di fondo” nell’atteggiamento di Washington;  come emerge anche dal comportamento tenuto dagli americani durante il sequestro di centinaia di cristiani originari dei villaggi della valle del fiume Khabur. “La notte del 23 febbraio, quando Daesh ha attaccato, gli aerei americani hanno sorvolato a lungo la zona senza intervenire. Poi per tre giorni non si è più visto alcun caccia, lasciando campo libero ai miliziani. Questo ci fa pensare che in qualche modo sono stati aiutati dagli americani, che tengono un atteggiamento ambiguo”. 

In queste ore i media dello Stato islamico hanno diffuso un video (clicca qui per vedere alcuni estratti diffusi dalla tv libanese Otv e rilanciati da Aina) che mostra l’esecuzione di tre degli oltre 200 cristiani assiri ancora nelle mani dei miliziani jihadisti. 
“Ne hanno giustiziati tre - racconta mons. Hindo - e ne stanno preparando altri tre per una prossima esecuzione. In un primo momento hanno chiesto una somma enorme per la liberazione, quasi 120mila dollari per ciascuna delle 203 persone. Hanno respinto la proposta di un milione per il rilascio di tutti, ora è stata fatta una nuova proposta e stiamo aspettando una risposta”. 
Il prelato spiega che è difficile trattare con i rapitori, i contatti “sono brevissimi” e “non lasciano molti margini di manovra”. “Rispondo sì o no - racconta - e poi agiscono di conseguenza. Ora è rientrato nella zona anche il vescovo assiro, che si trovava a Erbil [per l’elezione del nuovo patriarca], per proseguire nelle trattative e seguire la vicenda in prima persona”. Nei giorni scorsi hanno liberato un anziano di 89 anni per comunicare la notizia dell’avvenuta esecuzione, poi la diffusione del video che sarebbe stato girato attorno al 23 settembre, festa islamica del sacrificio. “Analizzando il video - spiega mons. Hindo - si vede che il sole era ancora forte, mentre negli ultimi 10 giorni è calato di intensità. Questo fa ritenere plausibile la data del 23 come momento dell’esecuzione anche se non ci sono riferimenti alle celebrazioni”. 

Alla vicenda dei cristiani si associa anche il dramma vissuto dalla popolazione di Deir el-Zor, città di 250mila abitanti a est della Siria, da tempo assediata dalle milizie dello Stato islamico. “La gente muore di fame - denuncia il vescovo - mancano cibo e medicinali. Pensate che oggi un sacco di 50 kg di zucchero ha raggiunto il valore di una vettura o di una casa. La gente vende la macchina per comprarselo. Lo SI ha imposto un vero e proprio blocco, uomini, donne, anziani e bambini ridotti alla fame”. Per questo egli rilancia l’appello agli Stati Uniti, all’Arabia Saudita, al Qatar perché facciano “davvero qualcosa” per fronteggiare l’emergenza e salvare una popolazione civile allo stremo delle forze. 


In realtà, accusa mons. Hindo, i governi occidentali “stanno lavorando per la sicurezza di Israele e per dividere la Siria e l’Iraq, per mettere così le mani sulle ricchezze di questi Paesi. E non si tratta solo di petrolio, perché al largo delle nostre coste è stato da poco scoperto un importante giacimento di gas naturale. E ancora, sono in ballo - aggiunge - gli oleodotti che dall’Arabia Saudita e dal Qatar dovrebbero arrivare in Occidente. Damasco non ha accettato il passaggio sul proprio territorio, e questa è la conseguenza”. 
È una questione “molto complessa” , conclude mons. Hindo, dietro la quale “vi è l’economia; in Occidente si parla di religione, di sunniti e sciiti, di cristiani e musulmani ma questa guerra di Daesh e degli altri gruppi nasconde solo interessi economici ed è finalizzata a dividere il Paese”, contro la volontà di un popolo che in maggioranza “è unito e che vuole restare unito”.

http://www.asianews.it/notizie-it/Vescovo-siriano:-L%E2%80%99ambigua-politica-Usa-favorisce-lo-Stato-islamico.-Timori-per-i-cristiani-rapiti-35543.html


LEGGI ANCHE : Siria: Russia e Occidente ai ferri corti

giovedì 8 ottobre 2015

Il dramma dei profughi nella testimonianza di un siriano cristiano, che finisce detenuto in Turchia

" solamente il mare ha avuto pietà dei siriani" 

Ci racconta Yousef, un cristiano arrestato in Turchia, come è iniziata la sua fuga dalla guerra in Siria,  come è stata affondata la barca che portava 150 persone, il 15 di settembre 2015, e come sono finiti tutti in un campo di detenzione in Turchia vivendo in condizioni pessime.
Con lui ci sono 65 cristiani tra cui bambini e donne, con loro stanno pure gli integralisti

Ascoltiamo la sua storia inviata  attraverso Whatsapp:

" Studiavo alla facoltà di ingegneria meccanica a Damasco, ma sono andato fuori dal paese perchè la situazione si era fatta molto pericolosa. 
Prima sono andato in Libano, e da li sono andato nei Paesi del Golfo, spostandomi in continuazione perchè nessuno di essi mi ha voluto dare un permesso di soggiorno. Dopo di che sono partito per la Turchia e sono rimasto circa 6 mesi, ma non sono riuscito a trovare un lavoro. Così sono rientrato in Libano dove sono rimasto 2 anni, lavorando in una casa farmaceutica, ma ultimamente la situazione in Libano e' diventata pessima per i siriani, quindi sono ritornato di nuovo in Turchia con i miei cugini. Siamo atterrati ad Adana e dopo ci siamo diretti verso Bodrum, abbiamo tentato di scappare verso l'Europa col gommone ma non siamo riusciti. E nel secondo tentativo il motore si e' spento mentre eravamo a poca distanza dalle acque greche,  nel terzo tentativo il gommone ha perso l'equilibro. Allora abbiamo deciso di partire con lo yacht perchè è più sicuro. Eravamo un gruppo di 7 persone (io , i cugini più un amico con la sua famiglia e sua sorella).
Eravamo in un albergo dove c'erano pure altri siriani (circa 300), tra di loro c'erano circa 50 cristiani, poi si sono aggregate altre due famiglie. Così eravamo in totale circa 75 cristiani. 
Ci hanno divisi in gruppi (ogni gruppo di 30 o 40 persone) ed ogni gruppo l'hanno fatto salire dentro un camion chiuso, che viene utilizzato per il trasporto della carne. Siamo rimasti dentro il camion per circa un' ora e mezzo, in quel tragitto pensavamo di morire dentro. Con il GPS seguivo tutto il tragitto, alla fine siamo arrivati a Sorba. Da li e' iniziata la durissima camminata per due ore e mezzo tra le rocce e le spine fino ad arrivare al mare. Eravamo distrutti dalla stanchezza, alcuni di quelli che erano con noi hanno provato a tornare indietro, ma i camion erano già andati, ormai eravamo nelle mani dei trafficanti turchi che ci hanno trattato malissimo, ma non potevamo fare niente. Siamo arrivati ad una scogliera d circa 200 m2, e lì abbiamo aspettato 3 ore. Alla fine e' arrivato lo Yacht che era un po' malandato. Siamo saliti tutti, le famiglie erano messe nel piano sotto mentre i giovani nel piano sopra. Quando e' arrivato lo Yacht l'autista turco e' andato via ed e' salito uno siriano di Lattakia che era uno di noi e voleva come noi scappare in Europa. 
Abbiamo fatto un' ora di navigazione ed andava tutto bene, finchè abbiamo visto una barca della guardia costiera turca. La guardia ha puntato una luce contro di noi ed ha iniziato a girare intorno al nostro Yacht. Non abbiamo voluto fermare, ma la barca della guardia ha iniziato a girare velocemente intorno al nostro Yacht causando delle onde forti. La gente ha iniziato a sentire il panico perchè la barca cominciava a perdere l'equilibrio. Abbiamo fatto vedere alla guardia turca che non avevamo niente di pericoloso, e che abbiamo con noi dei bambini. Abbiamo chiesto all'autista di fermare. Ma la guardia ha iniziato a sparare, non sappiamo se hanno sparato contro di noi o in aria, perchè al momento della sparatoria ci siamo buttati in terra. Quelli che erano sotto hanno sentito un grande rumore che usciva dal motore della Yacht, non sappiamo se era il motore colpito dalla guardia o se e' stato un guasto. Le guardie hanno continuato a girare intorno a noi ed avevano nelle loro mani delle telecamere per filmare tutta la scena. Alcuni di noi parlavano il turco ed hanno detto loro che abbiamo dei bambini ma nessuno ci dava retta. Alla fine si sono fermati ma nel frattempo l'acqua ha cominciato a salire dentro la barca, in poco tempo ci siamo trovati nell'acqua. Alcuni bambini, donne e uomini sono stati salvati grazie ad una piccola barca era dentro lo Yacht. Alcuni avevano un salvavita, alcuni si sono buttati nell'acqua senza niente, ma alcuni di quelli che erano rimasti nel piano sotto sono morti. Sono morte circa 30 persone tra di loro c'erano 13 bambini. Una famiglia intera è finita nella bocca del mare. 
La situazione era drammatica, nel frattempo sono arrivati altri Turchi a guardare la scena avendo delle telecamere, e mentre cercavamo di avvicinarci loro si allontanavano. Dopo di che si sono avvicinati ed hanno cominciato a tirarci su filmando tutto anche da un elicottero. Ci hanno lasciti sotto il sole per 2 o 3 ore. Dopo un'ora di navigazione siamo arrivati al centro di polizia di Bodrum dove ci hanno lasciati per 4 ore. Dopo ci hanno divisi in 3 o 4 gruppi. Siamo finiti in un centro di polizia dove ci hanno lasciato li per 20 ore all'aperto, senza una coperta dandoci poco da mangiare e non bastava per tutti, anzi, alcuni del nostro gruppo non hanno avuto niente da mangiare. Ci hanno dato un po' di acqua dopo che abbiamo perso la pazienza. Eravamo sotto un forte controllo fino all'ora di dormire. 
Al secondo giorno sono arrivati dei bus, e ci hanno detto che ci portano a Mugla (dista 60 km), ma siccome qualcuno di noi capisce il turco, abbiamo saputo che ci volevano portare ad un campo di profughi, allora abbiamo protestato ed abbiamo creato un muro di donne e bambini e noi uomini ci siamo messi dietro, sperando che non ci caricassero, ma la polizia ha iniziato a colpirci e ci hanno messi nei bus per forza. Con noi solo saliti dei poliziotti armati vestiti in borghese, molto probabile che erano dei servizi segreti turchi. I bus hanno viaggiato per circa 20 ore senza che nessuno ci dicesse dove ci portano. Ci siamo fermati una volta sola per mangiare e bere, abbiamo chiesto a loro "dove ci portate?” ma nessuno ci rispondeva.
Alla fine siamo arrivati in un campo che si chiama Uthmanya nella regione di Doschi. Quando siamo entrati dentro abbiamo capito che ci hanno portato dentro un campo di detenzione e non un campo di profughi. Un campo dove c'è una sorveglianza forte, torri, telecamere, filo spinato. Ci hanno messo dentro delle carovane (non erano male) ma non ci proteggeva dal caldo durante la giornata o dal freddo della notte (eravamo in una zona di montagna). Il cibo non era nè di buona qualita' e nè di quantita', il pasto e' Burgul o riso sia al pranzo che alla cena.
La grande sorpresa è che ci hanno messi in una prigione con gli estremisti islamici, abbiamo visto alcuni di loro feriti per le battaglie in Siria. Ci sono pure dei mendicanti, la nostra accusa era quella di mendicanza, ma senza darci nessun tipo di spiegazione, noi dobbiamo solamente obbedire.
Quando siamo arrivati nel campo di detenzione abbiamo saputo che un giovane è morto perchè ha rifiutato di mangiare (protestando), questo giovane siriano e' morto dopo tre giorni della sua protesta ed i suoi amici lo hanno portato fuori dalla camera .
Ieri e' arrivato un gruppo dal UN che ha fatto delle interviste. Non ci hanno promesso niente, ma ci hanno detto che faranno un verbale e lo portano alla UN. "




Video:   Siria, il patriarca di Antiochia: 
"La Russia fa bene a intervenire"

lunedì 5 ottobre 2015

«Mandate alimenti e vestiti ma firmate l’embargo contro la Siria. Denunciate le violenze dei jihadisti e poi li armate»


Intervista a Georges Abou Khazen, francescano, vicario apostolico latino di Aleppo


TEMPI
 di Rodolfo Casadei

Eccellenza, cosa deve fare l’Europa con i profughi siriani che bussano alle sue porte?

Noi ringraziamo di cuore per il senso di umanità e di solidarietà che sta mostrando l’Europa, però vorremmo che anziché curare gli effetti andasse alla radice, alla causa. Una volta eliminata la causa, non ci sarebbe più il problema di questi profughi, che stavano bene nel loro paese. La Siria è stata sempre un paese di accoglienza per profughi di altri popoli, sin dal XIX secolo: armeni, palestinesi, libanesi, iracheni. Ma adesso ci troviamo con quasi la metà della popolazione profuga, fuori e dentro i nostri confini. Perché non si preme per la pace e per il dialogo? Finirebbe il problema. Per prima cosa, si cessi di vendere o fornire armi ai contendenti.

Europei e americani insistono che la colpa della guerra in Siria è del regime del presidente Assad, che ha represso le proteste democratiche del marzo-maggio 2011 costringendo gli oppositori a prendere le armi, e che ci sarà pace soltanto se il presidente darà le dimissioni e abbandonerà il paese. Cosa ne pensa?
Le persone che ricoprono cariche pubbliche vanno e vengono, non è un problema di persone. Il problema è che non si crei un vuoto di potere, altrimenti rischiamo di diventare come la Libia, peggio della Libia. La richiesta di dimissioni del presidente è un pretesto per tenere aperto il conflitto.
Invece il vero obiettivo deve essere la riconciliazione e la formazione di un governo di unità nazionale, la garanzia della sicurezza per tutti i siriani, la fine del caos attuale.

Tempi ha fatto un appello per l’abrogazione delle sanzioni contro la Siria, perché crediamo che non avvicinino la pace e che solo aggiungano sofferenze. Ma americani ed europei insistono che questo è l’unico modo per far piegare il regime siriano. Cosa ne pensa?
Fate bene a chiedere la fine delle sanzioni, siamo pienamente d’accordo con questa posizione. Le Chiese in Siria chiedono la fine dell’embargo sin dal giorno in cui sono state decise queste sanzioni. Proprio ieri parlavo di questo con Stephen O’Brien, il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari. Da una parte le Nazioni Unite forniscono aiuti umanitari alla Siria, dall’altra mantengono sanzioni contro il paese che non toccano veramente il governo e i personaggi altolocati, ma fanno soffrire le persone già povere. Queste sanzioni sono una punizione contro il popolo.
Obama dopo tanti anni ha riconosciuto che l’embargo americano contro Cuba è stato un errore, e l’ha abolito; allora perché perseverare nell’errore per quanto riguarda la Siria? Ad Aleppo abbiamo avuto un inverno terribile, con temperature vicine a dieci gradi sotto zero, e il freddo l’ha patito la povera gente, non certo le personalità altolocate contro le quali sono state pensate le sanzioni. Quando non si trovano le medicine, quando non si riescono a pagare gli studi dei figli, è la gente comune a soffrire, non il governo. In passato lo Stato erogava migliaia di borse di studio per gli universitari, che servivano a pagare i loro studi in patria e la specializzazione all’estero. A causa della guerra lo Stato non ha più risorse economiche per questi aiuti, a mantenere i figli nelle università straniere ci devono pensare le famiglie, tante non ce la fanno e così perdiamo la possibilità di dare ai nostri giovani più brillanti un’alta qualificazione.


La Russia ha deciso di sostenere maggiormente il governo siriano. Secondo gli Stati Uniti è un fatto negativo, aumenterà le sofferenze dei siriani. Cosa pensa dell’intervento della Russia?
Chiaramente la Russia si muove per i suoi interessi, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, ma il ruolo che sta svolgendo in questo momento è molto positivo per la Siria. Perché è l’unica potenza che sta cercando veramente di riunire tutte le parti in conflitto e di concludere un compromesso. Stanno coinvolgendo l’opposizione, la Turchia, l’Arabia Saudita e l’Iran in un negoziato vero per una soluzione. Il fatto che la Russia aiuti il governo centrale, nell’attuale contesto non è sbagliato.
Gli altri, le altre potenze, cosa fanno? Chi stanno armando e addestrando? Stanno sostenendo jihadisti, gruppi intransigenti, fanatici e integralisti religiosi. E purtroppo ad armarli è anche l’Occidente. Allora non si può parlare solo degli aiuti militari russi: tutti dovrebbero cessare di armare le parti in conflitto. Le assicuro che questo è il modo di pensare della maggioranza dei siriani riguardo al ruolo della Russia nella nostra crisi.

In Siria l’Isis propone ai cristiani un contratto di sottomissione: è disposto ad accettare l’esistenza dei cristiani, ma in regime di dhimmitudine. I cristiani sarebbero liberi di vivere come cristiani, pagando una tassa allo Stato islamico ed evitando manifestazioni pubbliche del loro culto. Cosa pensano i cristiani dell’Oriente di questa proposta?
Intanto bisogna vedere se questa offerta è reale, perché i fatti dicono altro: dove è arrivato lo Stato Islamico i cristiani se ne sono dovuti andare, praticamente non ce ne sono più, sia in Iraq sia in Siria. A me sembra solo propaganda. E comunque sia, noi, in quanto cristiani e uomini liberi, esigiamo il diritto alla cittadinanza come tutte le altre persone. Questa è anche l’unica soluzione per mettere fine alla guerra in Siria. Tutti devono essere cittadini con gli stessi diritti. Non vogliamo tornare indietro di secoli: è inaccettabile.

Che rapporto c’è fra Isis e islam? L’Isis rappresenta l’islam o è una degenerazione di questa religione?
Ci sono varie interpretazioni dell’islam. C’è un islam moderato, aperto, come quello che per molto tempo ha caratterizzato la Siria. La maggioranza musulmana ha accettato gli altri: in Siria ci sono 23 gruppi etnici e religiosi differenti, che vivevano in pace e in sintonia, costituivano un bel mosaico. L’Isis vuole un paese monocolore, vuole la sharia per tutti. La loro è un’interpretazione intransigente del Corano che coincide al 100 per cento con quella che vige in Arabia Saudita. Basta guardare alle esecuzioni capitali, che l’Isis compie secondo le stesse modalità applicate in Arabia Saudita: decapitazioni e lapidazioni pubbliche dopo la preghiera del venerdì.
Ma mentre tutti inorridiscono per quello che fa l’Isis, dell’Arabia Saudita si tace.

Un intervento militare internazionale con truppe di terra contro l’Isis sarebbe giusto? Se fosse approvato da tutto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu lei sarebbe d’accordo?
Io e in generale tutte le Chiese siamo contrari a un intervento militare. La guerra non risolve niente, aumenta solo le sofferenze, l’odio e il desiderio di vendetta. Noi vediamo le cose in un altro modo: siamo d’accordo che il mondo deve farla finita con l’Isis, ma farla finita con l’Isis significa un’altra cosa.
Io mi domando: chi ha creato l’Isis, chi lo arma, da dove entrano in Siria? Noi sappiamo chi li manda. Dunque, basta chiudere il rubinetto. E a questo proposito, vi ricordo che i paesi vicini acquistano petrolio dall’Isis, acquistano i reperti archeologici siriani e iracheni che l’Isis trafuga. È un giro di miliardi: mettervi fine equivale a mettere fine all’Isis, senza bisogno di guerre.

La guerra civile sta mettendo a dura prova i rapporti fra le persone in Siria. La convivenza fra gente di fede religiosa diversa è ancora possibile? La guerra ha messo in crisi la convivenza fra cristiani e musulmani o l’ha purificata?
In certi momenti l’ha messa in crisi, in certi momenti l’ha purificata. La crisi è avvenuta con l’arrivo dei jihadisti e dell’Isis, e con tutto il male che hanno fatto ai cristiani. I quali hanno pensato: «Abbiamo vissuto in pace coi musulmani finora, e guarda adesso cosa ci fanno». È venuta meno la fiducia, e questa è una brutta cosa che rappresenta un problema per la riconciliazione futura. D’altra parte, in Siria ci sono musulmani moderati che si vergognano di quello che stanno facendo i jihadisti e l’Isis. Con questi il rapporto è positivo, e con loro possiamo costruire una nuova società, pluralista, dove tutti siano accettati e rispettati. Molti di loro sono pronti a questo. Non solo a tornare a vivere come prima, ma ancora meglio, con più diritti riconosciuti a tutte le minoranze. Questo è il positivo, questa è la purificazione che viene dal fuoco della guerra.

Cosa chiedono i cristiani d’Oriente ai loro fratelli cristiani in Occidente in questo drammatico momento storico?
Vi chiediamo di lavorare per la pace. Noi vi ringraziamo perché è grazie ai vostri aiuti che continuiamo a vivere e a sostenere materialmente molte persone bisognose, cristiani e non cristiani. Ci aiutate a presentare il bel volto della carità, che è il vero volto del cristianesimo, quello dell’accoglienza verso tutti indipendentemente dalla religione di appartenenza. Però vi domandiamo anche di essere operatori di pace. Perché se abbiamo la pace, la Siria è un paese abbastanza ricco da potersi riprendere con le sue stesse forze. Fate di tutto affinché noi cristiani possiamo restare in Medio Oriente, perché la nostra presenza là non è preziosa solo per noi stessi, ma per tutti. Noi cristiani siamo lì come fattori di riconciliazione, di pace; siamo l’unico gruppo religioso che ha buone relazioni con tutti gli altri gruppi. Inoltre siamo fattori di cultura, di modernizzazione. Senza il cristianesimo nel Medio Oriente i vari paesi diventerebbero come l’Afghanistan dei talebani. E sarebbero Afghanistan talebani alle porte dell’Europa.

http://www.tempi.it/occidente-deve-fermare-la-guerra-in-siria-agendo-sulle-cause-non-curarne-gli-effetti-nei-suoi-confini#.VglsCPntmko

venerdì 2 ottobre 2015

Vescovo Hindo: "E' un'ammissione spudorata del fatto che dietro alla guerra ad Assad c'è anche la Cia, e che si tratta di un conflitto etero-diretto”

L'Arcivescovo Hindo: “inquietanti le parole di McCain sui ribelli anti-Assad armati dalla Cia”


Agenzia Fides   2/10/2015

Hassakè -  “Il senatore statunitense John McCain ha protestato dicendo che i russi non stanno bombardando le postazioni dello Stato Islamico, ma piuttosto i ribelli anti-Assad addestrati dalla Cia. Io trovo inquietanti queste parole. Rappresentano un'ammissione spudorata del fatto che dietro alla guerra ad Assad c'è anche la Cia, e che si tratta di un conflitto etero-diretto da circoli di potere lontani dalla Siria e dai loro alleati nella regione mediorientale”. 
Così l'Arcivescovo siriano Jacques Behnan Hindo, alla guida dell'Arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi, commenta con l'Agenzia Fides alcuni recenti sviluppi del conflitto siriano, segnati dall'intervento diretto delle forze militari russe contro le postazioni delle milizie jihadiste. 

“La propaganda occidentale” sottolinea l'Arcivescovo Hindo “continua a parlare di ribelli moderati, che non esistono: nella galassia dei gruppi armati, quelli dell'Esercito Siriano Libero li trovi solo se li cerchi con la lente d'ingrandimento. Tutte le altre sigle, a parte lo Stato Islamico (Daesh), sono confluite o sono state fagocitate di fatto dal Fronte al-Nusra, che è il braccio militare di al-Qaida in Siria”. 
A giudizio dell'Arcivescovo siro-cattolico, “c'è qualcosa di veramente inquietante in tutto questo: c'è una superpotenza che a 14 anni dall’11 settembre protesta perchè i russi colpiscono le milizie di al-Qaeda in Siria. Che vuol dire? Che adesso al-Qaida è un alleato degli Usa, solo perchè in Siria ha un altro nome? Ma disprezzano davvero così tanto la nostra intelligenza e la nostra memoria?”.

Nel colloquio con Fides, l'Arcivescovo Hindo ripete che “a decidere se e quando Assad dovrà andare via, saremo noi siriani, e non il Daesh o l'Occidente. Ed è certo che se Assad va via adesso, la Siria diventerà come la Libia”. 
L'Arcivescovo siriano lancia anche un allarme: “Ci giungono notizie tremende dalla città di Deir el Zor, assediata dal Daesh da molto tempo. I viveri non possono arrivare in città, non hanno più cibo, e la popolazione sta letteralmente morendo di fame. Occorre fare subito qualcosa, prima che sia troppo tardi”

http://www.fides.org/it/news/58508-ASIA_SIRIA_L_Arcivescovo_Hindo_inquietanti_le_parole_di_McCain_sui_ribelli_anti_Assad_armati_dalla_Cia

UN APPROFONDIMENTO QUI: 
Da dove è venuto fuori #ISIS /Daesh? Dubbi sospetti e evidenze.

 http://www.lastampa.it/2015/10/01/blogs/underblog/da-dove-venuto-fuori-isis-daesh-dubbi-sospetti-e-evidenze-st2OctKibM7VeDQXE8crMJ/pagina.html

martedì 29 settembre 2015

''Per battere l'Isis occorrono i siriani, Assad compreso'': la voce dei Vescovi di Siria


I vescovi siriani sono ''stanchi delle tante parole e dei pochi fatti'' messi in campo dalla comunità internazionale per provare a fermare il bagno di sangue causato dal conflitto, giunto ormai al suo quinto anno, e dai terroristi dello Stato islamico. Voci molto severe da Aleppo e da Damasco. Per tutti lo stesso interrogativo: ''Come si può sconfiggere il terrorismo senza lo Stato siriano?''

S.I.R. , 29 settembre 2015


Mentre a New York si parla, in Siria si continua a morire. A gridarlo alle orecchie dei Grandi della Terra, impegnati all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, sono alcuni vescovi siriani, “stanchi delle tante parole e dei pochi fatti” messi in campo dalla comunità internazionale per provare a fermare il bagno di sangue causato dal conflitto, giunto ormai al suo quinto anno, e dai terroristi dello Stato islamico (Is). Nei loro discorsi  Obama e Putin hanno ribadito la necessità di combattere e sconfiggere l’Is, mostrando, tuttavia, profonde divergenze sul ruolo del leader siriano Bashar al Assad. Per la Casa Bianca Assad non deve essere sostenuto poiché “ha brutalizzato il suo popolo”. Una soluzione in Siria, pertanto, deve essere “la transizione a un nuovo leader”. Dal Cremlino, invece, è arrivato l’appoggio al governo di Damasco e al suo esercito, “l'unico in grado di sconfiggere l'Is. Non cooperare con Assad è un errore”.

Da Aleppo. “Gli unici che combattono lo Stato islamico sono i curdi e i soldati dell’esercito regolare siriano. Se a New York sono seri non possono pensare di escludere il governo di Assad”, afferma monsignor George Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. “Solo dopo aver sconfitto lo Stato islamico si negozi una transizione ma è importante non creare un vuoto, perché - spiega il Vicario - il rischio è diventare come la Libia se non peggio. Le grandi potenze, purtroppo, guardano solo ai loro interessi anche perché a pagare è questa povera gente privata di tutto, affetti, lavoro, casa. Vogliamo un cessate il fuoco per fermare il bagno di sangue. Si fa presto a parlare da New York, ma vengano qui ad ascoltare la popolazione. Devono decidere sulla base di che? Dei voleri di Qatar o Arabia Saudita o di altri grandi potenze?”. 
Da Aleppo, città-martire della Siria, da mesi sotto assedio, padre George parla di situazione drammatica anche se “la gente gioisce per la poca acqua che arriva e per l'elettricità che viene erogata per due ore. E intanto mentre si continua a morire e a bombardare c’è chi parla di democrazia e di diritti umani”.

Da Damasco.  “Sono cinque anni di guerra durante i quali abbiamo cercato di resistere. Ora la popolazione è stanca e va via, fugge perché non esiste una posizione internazionale che intende combattere unitariamente lo Stato islamico”. Gregorio III Laham, patriarca melchita di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme non usa mezzi termini. I discorsi di New York mostrano chiaramente che “i grandi Paesi non sono d’accordo come combattere e soprattutto chi combattere”. 
“Mi chiedo - sono le sue parole - come si possa pensare di difendere una nazione da un nemico, senza volerla coinvolgere. E non mi riferisco al presidente Assad, ma al Paese. Non puoi combattere un nemico in casa mia senza che io non sia consultato. Vogliono cacciare Assad spargendo il sangue del suo popolo? Chi deve difendermi? Forse gli aerei americani che vengono da lontano o chi è qui, il governo con l’esercito? Vogliono affossare un popolo per uccidere una persona, il presidente. È un crimine che il Tribunale internazionale dell’Aja deve perseguire”, dichiara il patriarca che ribadisce: “Davanti a un pericolo internazionale è urgente avere una posizione internazionale comune, Siria, Iraq, Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Iran, Cina, Ue, Usa e Russia e via dicendo. Una voce che riconosca che il pericolo riguarda tutti, e non solo il Medio Oriente. Rimuovere Assad senza avere l’alternativa è assurdo. In Siria agiscono ben 28 gruppi di opposizione. Sono piccoli gruppi armati, divisi al loro interno e destinati a passare prima o poi nelle fila dello Stato islamico”. Perché, dice Gregorios, “non creare una coalizione che comprenda anche la Siria per combattere l’Is? Una volta debellato questo nemico sono certo che si troveranno soluzioni politiche”. “Questo è ciò che vuole il popolo siriano che aspira alla pace e chiede la fine della sofferenza. I cristiani devono fare la loro parte cominciando a rimuovere le divisioni tra le diversi denominazioni. L’unità darebbe forza morale e sarebbe una risposta all’estremismo islamico”. 
Anche per l’arcivescovo siro-cattolico di Damasco, monsignor Elias Tabe, “il presidente Assad è l’unico che può ancora tenere insieme il Paese nonostante le correnti contrarie. Essendo stato eletto dal suo popolo deve essere coinvolto nel tentativo di fronteggiare lo Stato islamico”. Ben venga anche il supporto della Russia che, spiega l’arcivescovo, “ha sempre avuto forti legami con il Medio Oriente. I russi conoscono bene il territorio siriano e ciò sarà certamente di aiuto. Tuttavia è inutile negarlo - conclude mons. Tabe - qui la Russia difende anche i suoi interessi. Ma i terroristi dell’Is vanno combattuti”.

lunedì 28 settembre 2015

L’Isis e il traffico di opere d’arte: ma chi compra?

 tomb of Elhbel in Palmyra, before its destruction
Piccole Note

«L’archeologa Joanne Farchakh ha rivelato al quotidiano The Indipendent che gli islamisti vendono le statue e altre opere d’arte di importanza storica ai distributori internazionali. In questo modo guadagnano quantità enormi di denaro per queste opere uniche e poi fanno saltare in aria i templi e gli edifici antichi per dissimulare l’evidenza del saccheggio. “Le antichità di Palmira sono già in vendita a Londra. Ci sono opere siriane e irachene saccheggiate dallo Stato islamico che già si trovano in Europa. Non sono più in Turchia, dove sono stati spediti in un primo momento”»
Da tempo le cronache registrano le devastazioni dell’Is ai danni del patrimonio artistico nei luoghi da questi controllati. In genere tali atti (che comunque restano meno gravi dei delitti da essi compiuti contro uomini, donne e bambini) vengono ascritti, da commentatori e analisti, all’ideologia religiosa della quale tali allegri macellai sono impregnati.
Una spiegazione banale e fumosa, che deriva dal cliché che vede in questa banda di tagliagole dei trinariciuti invasati religiosi. Non è così, se non per tanti spostati che ne ingrossano le fila. A chi controlla e guida questi macellai, e per i mercenari ben pagati che ne costituiscono l’ossatura, della religione islamica non interessa granché. È solo uno strumento utile per creare una cortina fumogena attorno a un’organizzazione ben più complessa e articolata, che si muove – o è mossa – in base a solidi interessi geopolitici ed economici. Esemplare, appunto, il caso della vendita di beni archeologici denunciata dalla Farchakh.
Certo la devastazione di tali tesori ha anche uno scopo di oscuro marketing: serve allo Stato islamico per incrementare la leggenda nera della quale ha bisogno per accreditarsi al mondo come il male assoluto, immagine che gli è essenziale in questo teatrino al rilancio nel quale si muove come il più acerrimo antagonista della civiltà (non solo occidentale). Ma anche a un marketing di più bassa lega, per far entrare nelle casse dell’Agenzie del terrore, e nelle tasche dei suoi leader, soldi. Tanti soldi  (per reperti che magari tra due o tre decenni, dopo diversi passaggi, vedremo esposti al Louvre, al British o altrove).
La denuncia dell’archeologa intervistata dall’Indipendent si somma ad altre, precedenti, provenienti dai luoghi del saccheggio., delle quali abbiamo dato conto anche nel nostro piccolo sito, È un dato ormai acclarato, eppure…
Allorquando il web e i media sono stati inondati dalle immagini delle devastazioni made in Isis voci autorevoli hanno gridato tutto il loro orrore per l’ennesima deriva della barbarie islamista. Così com’è successo per il caso dell’uccisione dell’archeologo di Palmira, Khaled Asaad, che era riuscito a salvare tale sito archeologico dalle devastazioni della guerra e nascosto parte dei suoi tesori (probabilmente questo il motivo per il quale è stato torturato – perché rivelasse i nascondigli più riposti di quei tesori – e probabilmente ucciso perché in grado di smascherare le dinamiche del saccheggio).
Grida di scandalo e di orrore spesso sincere, ovviamente, ma a volte un po’ meno. Infatti, a quello scandalo non è seguito alcun atto di serio contrasto da parte delle autorità costituite.

ISIL e traffico di Antichità : FBI avverte galleristi, collezionisti  https://www.fbi.gov/news/stories/2015/august/isil-and-antiquities-trafficking 

Non ci vorrebbe molto a dare mandato alle forza di sicurezza e di intelligence perché indaghino sui traffici di reperti archeologici, ad oggi sparsi tra Londra e il resto d’Europa, come rivelato dalla Farchakh. Com’è accennato nelle sue parole, dietro tale traffico c’è una rete  estesa e ben consolidata, ci sono intermediatori, partecipa di connivenze probabilmente ad alto livello. Eppure…
Ad oggi, che il traffico di opere d’arte made in Isis (che, va ricordato, gronda sangue) dura tempo, non un solo reperto è stato sequestrato: una statuetta, almeno un coccio. Non una sola persona arrestata per aver partecipato alla vendita o all’acquisto di questi tesori d’arte. Nulla di nulla.
O polizia e intelligence europei sono del tutto incapaci o non è stato dato loro alcun mandato in proposito. Non sappiamo quale delle due opzioni preferire.
   
Mons Georges Abou Khazen , vicario apostolico di Aleppo intervistato da TG LA7
    

sabato 26 settembre 2015

Sako: "Vanno via le forze migliori, le uniche che potevano tentare di ricostruire ciò che è stato distrutto in questi anni".


Il Patriarca caldeo Louis Raphael I sui rifugiati in fuga verso l’Europa: «In questo momento è irresponsabile ogni dichiarazione che adesso possa avere l’effetto di incitare la nostra gente a emigrare»


Vaticaninsider, 14-09-2015
GIANNI VALENTE

«Adesso la nostra gente ci critica. Vogliono che noi troviamo per loro gli aerei, i visti per partire e anche le case di accoglienza nei Paesi europei. Questo è impossibile. Uno Stato non può farlo. E non può farlo neanche la Chiesa». Si dice preoccupato Louis Raphael I, Patriarca caldeo di Baghdad. Non lo convincono nemmeno certe ricadute della nuova politica europea verso i profughi in fuga dalla Siria e da altri scenari di guerra. Una mobilitazione in cui pure sono state coinvolte anche tante Chiese sorelle del Vecchio Continente. Perplessità a preoccupazioni che sente di condividere con tanti altri pastori delle Chiese d’Oriente.

Come vede le ultime mosse della comunità internazionale riguardo al Medio Oriente? Si muove finalmente qualcosa?
«Venerdì scorso mi sono incontrato alla cattedrale caldea con tutti i capi delle Chiese presenti a Baghdad, insieme a tante suore e sacerdoti. Ci chiediamo come mai accade ora tutto questo, dopo 4 anni di guerra in Siria e dopo 12 di conflitti e stragi in Iraq. Dopo che la situazione si è lasciata incancrenire per così tanto tempo. C’è qualcosa di enigmatico in questa dinamica. Sono preoccupato».

Si riferisce alla questione dei rifugiati? La preoccupa chi apre le porte o chi le chiude?
«La questione non si può affrontare in materia sentimentale e superficiale. Serve un discernimento. Le soluzioni durevoli sono solo quelle che si possono realizzare sul posto. Soluzioni che richiedono tempo, e la pazienza di avviare e accompagnare i processi. Ma questo non sembra interessare ai capi delle nazioni e agli organismi internazionali. Preferiscono operare sull’onda delle emozioni suscitate nell’opinione pubblica».  

C’è chi suggerisce di accogliere prima i profughi cristiani e quelli delle minoranze religiose perseguitate. È una buona idea?
«Questo non si può fare. Diventerebbe un problema anche per noi. Alimenterà tutti quelli che dicono che vogliono dare una giustificazione religiosa alle guerre. Quelli che da una parte e dall’altra dicono che qui i cristiani non possono stare. I Paesi europei devono accogliere chi ha veramente bisogno, senza guardare la religione. E devono evitare di agire alla cieca. E di favorire chi gioca sempre con la pelle dei cristiani».

A cosa allude?
«Esistono agenzie e gruppi che aiutano i cristiani a andar via. Hanno proprio come missione quella di aiutare l’esodo dei cristiani. Lo finanziano. Lavorano per spingere i cristiani a lasciare i propri Paesi, e lo dicono apertamente, presentandola come un’opera a favore dei perseguitati. Non so quale strategia perseguano.
Forse, quando questi Paesi saranno vuoti dell’intralcio dei cristiani, sarà più facile scatenare nuove guerre, vendere e sperimentare nuove armi. Bisogna studiare questi fenomeni, altro che chiacchiere».

Ma è possibile fermare padri e madri di famiglia che vogliono dare una speranza di futuro dei loro figli?
«Noi non fermiamo nessuno. Sarebbe ingiusto, oltre che impossibile. Ma non possiamo neanche spingerli a fuggire. Adesso la nostra gente ci critica. Vogliono che portiamo gli aerei, i visti e che gli troviamo le case di accoglienza negli altri Paesi. Questo è impossibile. Uno stato non può farlo. E non può farlo neanche la Chiesa.  Una comunità cristiana che è nata in queste terre non può mettersi a organizzare i viaggi dell’esodo che segnerà la sua estinzione. La scelta di partire possiamo rispettarla come scelta personale, ma non possiamo istigarla noi».
Cosma e Damiano, i due santi medici "anargiri" 
ricordati oggi 26 settembre nel santorale,
furono sepolti in una splendida basilica
in Cyrro (NE di Aleppo)


Quindi c’è chi chiede alle chiese stesse di organizzare la fuga di massa...
«Vuol dire che adesso c’è davvero il pericolo che nessun cristiano rimarrà in Medio Oriente, in Iraq, in Siria. In questo momento è irresponsabile ogni dichiarazione che adesso possa avere l’effetto di incitare la nostra gente alla fuga. Non si può parlare senza tener conto di tutti i fattori, delle possibili conseguenze e di come le nostre parole possono essere interpretate».

Secondo alcuni, l’apertura improvvisa agli immigrati risponde anche a calcoli economici. Davvero c’è in ballo anche questo?
«Sento dire che vogliono giovani, che non vogliono i vecchi e i malati. E su questa linea convergono governi di destra e di sinistra. C’è qualcosa di strano. Io posso confermare che non vanno via solo gli sfollati. I preti mi raccontano che sta andando via anche chi economicamente non sta messo male, magari ha il lavoro in banca. Gente che non avrebbe bisogno. Sentono che adesso si è aperta un’occasione, temono che presto questa finestra si chiuderà, e ne approfittano. Mentre quelli davvero più poveri non ci pensano a andar via.  È una perdita per tutti. Vanno via le forze migliori, le uniche che potevano tentare di ricostruire ciò che è stato distrutto in questi anni. E questo riguarda noi cristiani in maniera particolare. I cristiani con la convivenza, con la loro apertura e la loro umanità, potevano avere un ruolo decisivo nella terra dove sono nati e sono sempre vissuti i loro padri. Potevano anche col tempo aiutare i loro concittadini musulmani a liberarsi dell’ideologia jihadista che fa tanto soffrire anche loro. Noi abbiamo aperto chiese, ma anche scuole, ambulatori e ospedali. C’è una rete di realtà che per tanto tempo ha contribuito realmente a migliorare la convivenza e le vita sociale della collettività, offrendo un servizio a tutti. Adesso anche tutto questo è destinato a spegnersi». 

Lei, nell’ultimo anno, ha lottato nella sua Chiesa contro il fenomeno dei preti e dei religiosi che emigravano in Occidente senza il consenso del proprio vescovo…
«I preti e i religiosi che scappano dal Medio oriente sono “emigranti di lusso”. Approfittano del loro status, delle conoscenze e degli appoggi ecclesiastici per scappare, presentandosi come perseguitati e sfruttando questa etichetta per guadagnare anche soldi. A volte, c'è chi con la parola-chiave della persecuzione riesce a mettere in piedi un “business” redditizio e sacrilego.  Molti di loro sono scappati da zone sicure, dove non c’era nessuna persecuzione, e poi hanno aiutato anche tutta la loro famiglia a trovare una bella sistemazione comoda magari in Nord America. Senza l’autorizzazione del proprio vescovo, e tradendo lo spirito del buon pastore».

Ma servono pastori anche nelle comunità dei cristiani mediorientali emigrati in Occidente…
«I vescovi che seguono le comunità della diaspora non possono venire a “rubare” i preti in Medio Oriente. Che li cerchino nelle loro comunità, che loro dicono essere così fiorenti. Se abbiamo abbracciato il sacerdozio in queste terre, la nostra vita è già data al Signore, e non dobbiamo pensare a cercare il lusso per il nostro clan familiare. Questi “emigranti di lusso” hanno dato il cattivo esempio al popolo. Il nostro sacerdozio va speso qui dove la gente soffre. Per stare accanto a loro, mostrare che anche qui, in questa situazione, è possibile vivere la gioia del Vangelo».

Di recente, avete denunciato la sottrazione illecita di case e terreni appartenenti ai cristiani andati via. E questo non solo nelle terre finite sotto il Califfato…
«Le aree sotto il Daesh non vengono liberate. Forse questo fa comodo a qualcuno. Intanto, adesso, anche a Baghdad e a Kirkuk  le case e le terre dei cristiani vengono illecitamente espropriate. C’è il rischio di veder alterati per sempre gli equilibri demografici in quelle zone.  Ci vuole un’azione internazionale per imporre che siano rispettati anche i diritti e le proprietà di chi è stato costretto con la forza a andar via e magari pensa di tornare. L’Onu si dovrebbe occupare di queste cose».

Esiste una via per uscire dal supplizio del Medio Oriente?
«L’ho detto all’incontro della Comunità di Sant’Egidio a Tirana, e poi anche a Parigi, alla conferenza organizzata dall’Œuvre d’Orient: Non c’è nessun “bottone magico” che si può schiacciare per risolvere tutto in un momento. Ci vorrà chissà quanto tempo per provare a risanare una situazione così devastata.
Per sconfiggere l’ideologia jihadista occorre coinvolgere le autorità musulmane e i governi arabi. Invece i circoli del potere occidentale hanno sostenuto proprio le forze e gli Stati dove i jihadisti hanno sempre trovato più appoggi. Adesso, riguardo ai rifugiati, si fa leva sul senso di umanità che fortunatamente ancora esiste in tante persone. Ma intanto vengono oscurate le connivenze e le protezioni di cui hanno goduto i jihadisti, i flussi di soldi e di armi. Hanno iniziato dal 2003 le guerre contro il terrorismo e per la democrazia, e il risultato è che è nato questo mostro del Daesh. Vorrà pur dire qualcosa».

mercoledì 23 settembre 2015

Siria, quel che è in gioco: o uno stato laico o lo stato basato sulla legge islamica

Siria, il “pizzo” all'Is è «contratto di protezione»
di Camille Eid

lunedì 21 settembre 2015

Twal: « È una follia bombardare, così come è stato profondamente ingiusto causare 300mila morti solo per tentare di rovesciare un regime»

Foua e Kafarya, senza più risorse le due cittadine sciite assediate da mesi dagli islamisti

Avvenire15 settembre 2015

Le immagini della nuova tragedia del Mar Egeo lo hanno profondamente commosso. Ma il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, avverte: «Se l’Occidente non cambierà strategia, in Europa avrete presto milioni di profughi siriani. È una follia bombardare, così come è stato profondamente ingiusto causare 300mila morti solo per tentare di rovesciare un regime». Twal, che in questi giorni partecipa all’assemblea del Ccee, il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (è stato lui stesso a invitare i presidenti degli episcopati in Terra Santa), è in prima linea e conosce bene la situazione: «Siamo una Chiesa del Calvario – afferma – dobbiamo far fronte a persecuzioni antiche e nuove (tra queste ultime le aggressioni del fondamentalismo ebraico, ndr). Ma restiamo qui a testimoniare Cristo risorto. E ringraziamo il Papa per il suo costante sostegno a tutti i cristiani perseguitati». 

Che cosa si può fare per uscire dalla spirale della guerra in Siria?  Nei mesi scorsi ho partecipato a un vertice a Parigi. Ho sentito dire che qualcuno proponeva di aiutare i cosiddetti ribelli moderati. In realtà non serve a niente. Non esistono ribelli moderati, così come non esistono bombe moderate. La nostra posizione è quella del Papa: bisogna fermare il commercio delle armi che alimenta la guerra. 
L’Occidente ha gravi colpe. Il tentativo di spodestare un regime (che tra l’altro ha sempre combattuto il fondamentalismo islamico) ha causato 300mila morti e sei-sette milioni di rifugiati. Non si è pensato minimamente alle conseguenze. Tuttora non vedo chi possa sostituire Assad. E non abbiamo imparato nulla dalle lezioni dell’Iraq e della Libia. È stato distrutto un Paese e si è dato mano libera all’Is. 

Lei è contrario all’ipotesi dei bombardamenti avanzata da Francia e Gran Bretagna?  
 E a che cosa servirebbe? Solo a fare altri milioni di profughi. E’ una politica cieca. Se gli Usa volessero, in pochi giorni potrebbero farla finita con l’Is. Pensate che nel deserto ogni giorno passano convogli con i rifornimenti. E sono ben visibili dai satelliti. Perché vengono lasciati indisturbati? 

Ha una soluzione?  Ripeto: bisogna finirla con la vendita delle armi. Se davvero si vuole arrestare l’Is c’è bisogno di una forza militare sul terreno. E l’unico che in questo momento ce l’ha è Assad. Dunque occorre cambiare strategia, cercare una soluzione politica con il regime e usare il suo esercito per fermare questi gruppi terroristici. 

La sua Chiesa è in prima linea anche per l’assistenza ai rifugiati in Giordania. Com’è la situazione?  
Ci prendiamo cura di 8mila rifugiati cristiani. Abbiamo messo a loro disposizione da un anno scuole e chiese, ma oggi la stanchezza si fa sentire, sia in chi accoglie, sia da parte dei rifugiati stessi che sentono di non avere un futuro. Ringrazio la Cei per il suo aiuto. L’ultima visita del segretario generale, monsignor Nunzio Galantino, è stata molto importante. Con l’aiuto della Chiesa italiana finanzieremo gli studi di 1.400 ragazzi e ragazze. 

Ma intanto i cristiani di Terra Santa sono loro stessi nella morsa delle persecuzioni.  Devo ringraziare i presidenti delle Conferenze episcopali d’Europa per essere venuti da noi, in un momento in cui lo stesso mondo arabo ci ha abbandonato e non parla più della causa palestinese. Adesso tutta l’attenzione del mondo è concentrata sulla Siria, sull’Iraq, sull’Is e nessuno si ricorda che qui l’occupazione militare continua, i muri ci sono ancora e per di più dobbiamo fare i conti con il risveglio del fanatismo religioso ebraico che fa paura agli stessi cittadini di Israele. Abbiamo il problema delle scuole cristiane che non ricevono quanto gli è dovuto dallo Stato, il problema del muro di Cremisan che prende i terreni ai nostri cristiani di Beit Jalla e Betlemme e negli ultimi tre anni abbiamo subito 80 atti di vandalismo da parte di ebrei. A queste aggressioni si deve porre fine. Speriamo che le autorità israeliane lo facciano al più presto. 
Si arriverà mai alla meta di due popoli e due stati? 
Noi lo auspichiamo da sempre. Ma sul terreno Israele ha disseminato tanti insediamenti che non c’è più una continuità territoriale per i palestinesi. Tuttavia, se c’è buona volontà tutto si può fare. Come ci sono un milione e mezzo di palestinesi in Israele, così una volta fatto lo Stato, se qualcuno vuole restare che resti, se vuole ritornare in Israele, pure. Ma con l’attuale governo di destra tutto è più difficile. 
http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/patriarca-gerusalemme-folle-bombardare-la-siria.aspx


Il Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e tutto l’Oriente, Ignatius Aphrem II, ai microfoni del Tg2000: "C’è un Islam fanatico di gruppi in lotta col governo siriano, e ci sono paesi che ancora supportano questi gruppi. Lo voglio dire, non è un segreto che la Turchia aiuta il Daesh (Isis), permettendo loro di entrare e uscire dalla Siria, anche recentemente”