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mercoledì 15 luglio 2015

Intervista al Patriarca siro-ortodosso Aphrem II: "Ci sono forze che alimentano Daesh con armi e denaro, perché serve utilizzarlo nella 'guerra a pezzi'”

«All’Occidente chiedo solo: smettetela di armare i nostri carnefici»



VaticanInsider , 29 giugno 2015
di GIANNI VALENTE

«Quando guardiamo i martiri, vediamo che la Chiesa non è soltanto una, santa, cattolica e apostolica. Nel suo cammino nella storia, la Chiesa è anche sofferente». 
Per Moran Mor Ignatius Aphrem II, Patriarca di Antiochia dei siro-ortodossi, nel martirio si rivela un tratto essenziale della natura della Chiesa. Una connotazione che si potrebbe aggiungere a quelle confessate nel Credo, e che accompagna sempre coloro che vivono nelle vicende del mondo a imitazione di Cristo, come suoi discepoli. Un tratto distintivo che adesso riaffiora con nettezza in tante vicende dei cristiani e delle Chiese del Medio Oriente.
Anche in questi giorni il Patriarca Aphrem – che lo scorso 19 giugno aveva incontrato a Roma Papa Francesco – si è trovato coinvolto nelle nuove tribolazioni che affliggono il suo popolo. L’ultima sua missione pastorale, appena conclusa, l’ha compiuta a Qamishli, la sua città natale, dove è andato a trovare le migliaia di nuovi profughi cristiani fuggiti davanti all’offensiva compiuta dai jihadisti dello Stato Islamico contro il vicino centro urbano di Hassakè, nella provincia siriana nord-orientale di Jazira.
Santità, quale è la connotazione propria del martirio cristiano?
«Gesù ha sofferto senza motivo, gratuitamente. A noi, che seguiamo Lui, può accadere lo stesso. E quando accade, i cristiani non organizzano rivendicazioni per protestare “contro” il martirio. Anche perché Gesù ha promesso che non ci lascia soli, non ci fa mancare il soccorso della sua grazia, come testimoniano i racconti dei primi martiri e anche dei martiri di oggi, che vanno incontro al martirio con il volto lieto e la pace nel cuore. Lo ha detto Cristo stesso: beati voi, quando vi perseguiteranno a causa mia. I martiri non sono persone sconfitte, non sono discriminati che devono emanciparsi dalla discriminazione. Il martirio è un mistero di amore gratuito».
Eppure tanti continuano a parlare del martirio come un’anomalia da cancellare, o un fenomeno sociale da denunciare, contro cui mobilitarsi e alzare la voce. 
«Il martirio non è un sacrificio offerto a Dio, come quelli che si offrivano agli dèi pagani. I martiri cristiani non cercano il martirio per dimostrare la loro fede. E non spargono volontariamente il proprio sangue per acquistare il favore di Dio, o acquisire qualche altro guadagno, fosse pure quello del Paradiso. Per questo la cosa più blasfema è quella di definire come “martiri” i kamikaze suicidi».
In Occidente molti ripetono che bisogna fare qualcosa per i cristiani del Medio Oriente. Serve un intervento armato?
«All’Occidente, per difendere i cristiani e tutti gli altri, non chiediamo interventi militari. Ma che piuttosto la smettano di armare e appoggiare i gruppi terroristi che stanno distruggendo i nostri Paesi e massacrando i nostri popoli. Se vogliono aiutare, sostengano i governi locali a cui servono eserciti e forze sufficienti per mantenere la sicurezza e difendere i rispettivi popoli da chi li attacca. Occorre rafforzare le istituzioni statali e renderle stabili. E invece, vediamo che in tanti modi si fomenta dall'esterno la loro dissoluzione forzata.
Prima del suo viaggio recente in Europa, Lei con i vescovi della Chiesa siro-ortodossa avete incontrato il Presidente Assad. Cosa vi ha detto?
«Il presidente Assad ci ha esortato a fare il possibile affinché i cristiani non vadano via dalla Siria. “So che soffrite” ha detto “ma per favore non lasciate questa terra, che è la vostra terra da millenni, da prima che arrivasse l’Islam”. Ci ha detto che serviranno anche i cristiani, quando si tratterà di ricostruire il Paese devastato».
Assad vi ha chiesto di portare qualche messaggio al Papa?
«Ci ha detto di chiedere che il Papa e la Santa Sede, con la sua diplomazia e la sua rete di rapporti, aiutino i governi a comprendere quello che sta davvero accadendo in Siria. Li aiutino a prendere atto di come stanno davvero le cose».
Alcuni circoli occidentali accusano i cristiani d’Oriente di essere sottomessi ai regimi autoritari.
«Noi non siamo sottomessi ad Assad e ai cosiddetti governi autoritari. Noi, semplicemente, riconosciamo i governi legittimi. I cittadini siriani in larga maggioranza appoggiano il governo di Assad, e lo hanno sempre appoggiato. Noi riconosciamo i legittimi governanti, e preghiamo per loro, come ci insegna a fare anche il Nuovo Testamento. 
E poi vediamo che dall’altra parte non c’è una opposizione democratica, ma solo gruppi estremisti. Soprattutto, vediamo che questi gruppi negli ultimi anni usano una ideologia venuta da fuori, portata da predicatori dell’odio venuti e sostenuti dall’Arabia Saudita, dal Qatar o dall’Egitto. Sono gruppi che ricevono armi anche attraverso la Turchia, come abbiamo visto anche dai media».
Ma cosa è davvero lo Stato Islamico? È il vero volto dell’Islam, o un’entità artificiale utilizzata per giochi di potere?
«Lo Stato Islamico (Daesh) non è certo l’Islam che abbiamo conosciuto e con cui abbiamo convissuto per centinaia di anni. Ci sono forze che lo alimentano con armi e denaro, perché serve utilizzarlo in quella che Papa Francesco ha definito la “guerra a pezzi”. Ma tutto questo si serve anche di un’ideologia religiosa aberrante che dice di richiamarsi al Corano. E può farlo perché nell’islam non esiste una struttura d’autorità che abbia la forza di fornire un’interpretazione autentica del Corano e sconfessare con autorevolezza questi predicatori di odio. Ogni predicatore può dare la sua interpretazione letterale anche dei singoli versetti che appaiono giustificare la violenza, e in base a questo emanare le fatwa senza essere smentito da qualche autorità superiore».
Lei ha citato la Turchia. Le autorità turche premono per far tornare sul proprio territorio la sede del Patriarcato siro-ortodosso, che per alcuni secoli era stata collocata vicino a Mardin. Cosa farete?
«Il nostro Patriarcato porta il titolo di Antiochia. E quando è sorto, Antiochia faceva parte della Siria. Era la capitale della Siria di allora. Le nostre antiche chiese in Turchia hanno per noi un grande valore storico, ma stiamo e resteremo a Damasco, che è la capitale della Siria di oggi. È una nostra scelta libera, e nessuna pressione di governi o parti politiche ce la farà cambiare. Abbiamo dato il nome alla terra che ancora oggi si chiama Siria. E non ce ne andremo».
Le sofferenze vissute insieme dai cristiani in Medio Oriente quali effetti hanno nei rapporti ecumenici tra le diverse Chiese e comunità?
«Quelli che uccidono i cristiani non fanno distinzioni tra cattolici, ortodossi o protestanti. Lo ripete sempre anche Papa Francesco, quando parla dell’ecumenismo del sangue. Questo non lascia le cose come stanno. Vivere insieme in queste situazioni ha l'effetto di avvicinarci, di farci scoprire la sorgente della nostra unità. I pastori si ritrovano come fratelli nella stessa fede, e possono prendere insieme decisioni importanti. Per esempio, sarà importante arrivare a decidere una data comune per celebrare la Pasqua. E davanti alle tribolazioni del popolo di Dio, che soffriamo insieme, i contrasti sulle questioni di potere ecclesiastico si rivelano come cose irrilevanti».
Cosa manca per vivere la piena comunione sacramentale?
«Dobbiamo confessare insieme la stessa fede e chiarire prima i punti dottrinali e teologici dove ancora risultano esserci delle differenze. Ma devo dire che su questo punto noi cristiani siri siamo già avanti, perché già c’è l'accordo sull'ospitalità reciproca tra siri ortodossi e siri cattolici. Quando un fedele non ha modo di partecipare alla liturgia e ricevere i sacramenti presso la propria Chiesa, può partecipare alla liturgia nei luoghi di culto dell'altra Chiesa. E può avvicinarsi anche all'eucaristia».


Lei ha preso parte da poco a un convegno promosso a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio sul Sayfo, il Genocidio dei cristiani siriaci compiuto dai Giovani Turchi nello stesso tempo in cui avvenne il Genocidio armeno. Perché tenete così tanto a ricordare quelle vicende dolorose?
«A Qamishli, quando ero bambino, la sera andavo spesso in chiesa un’ora prima della preghiera. Mi sedevo tra gli anziani e ascoltavo le loro storie. Molti di loro erano sopravvissuti al Sayfo. Parlavano di famiglie lacerate, di bambini strappati ai genitori e affidati ai musulmani. Vedevo che, per loro, parlare di quelle vicende tremende era anche un modo per liberarsi da quel male che pesava sui loro cuori. Ma per tanto tempo non è stato possibile parlare pubblicamente di questo. Negli ultimi anni, quando le Chiese hanno iniziato a commemorare pubblicamente quei tragici eventi, tante persone hanno potuto sentire storie che erano sepolte nella memoria familiare come un tabù, qualcosa che non si doveva neanche nominare. E per loro è stata una specie di liberazione. 
Come Chiese, quando parliamo del Sayfo, non abbiamo altro scopo che favorire questa riconciliazione interiore. E i nostri amici turchi dovranno prima o poi capirlo: far memoria di quei fatti non è per noi un pretesto per andare contro di loro, ma può aiutare anche loro a comprendere il loro passato e riconciliarsi con esso». 

mercoledì 8 luglio 2015

Emergenza Siria: un centro estivo porta la gioia nel cuore di Aleppo martoriata


In questi giorni abbiamo cominciato il Campo estivo per i bambini e i ragazzi di Aleppo. Siamo partiti che erano in 50 e adesso, in pochissimo tempo, siamo già arrivati a 120 presenze!” dice p. Ibrahim, frate della Custodia di Terra Santa e parroco di Aleppo.
Un’iniziativa coraggiosa, che porta la festa e la gioia tra le macerie di una città sotto assedio dal 2012. Il motto scelto per il campo sono le parole di San Paolo “Gioite nel Signore sempre, vi dico, rallegratevi, rallegratevi, rallegratevi”.
All’inizio c’è stata qualche difficoltà, come racconta sempre p. Ibrahim: “I genitori all’inizio erano molto impauriti alla sola idea di lasciar uscire i figli da casa e non avevano quindi il coraggio di venire da noi a registrarli. Abbiamo così telefonato a tutte le famiglie per convincerli. Il giorno dell’inaugurazione è stato un grande giorno di festa, con canti e balli, cioccolatini, dolci e anche un clown! I genitori erano commossi e pieni di stupore, forse ancor più dei loro bambini”.
Partiti con i bambini tra i sei e i dieci anni, i frati del convento di S. Francesco hanno dovuto ben presto allargare le iscrizioni e accogliere anche i più piccoli, fino ai tre anni.
E grazie alla Provvidenza e allo Spirito che soffia impetuosamente” continua p. Ibrahim “sono in aumento anche i volontari che ci aiutano nelle attività; e tra di loro, inaspettatamente, ci sono tante le mamme che si sono lasciate coinvolgere senza riserve”.
Così per quattro giorni alla settimana, i bambini di Aleppo hanno un posto dove andare a giocare, inontrarsi in un ambiente accogliente, esprimere i loro talenti. E sono previsti anche corsi di cucina, così a turno i più grandi preparano il pranzo, e poi si mangia tutti insieme.
Continua entusiasta il parroco francescano: “Qui da noi Internet non funziona un granché, così i bambini e i loro genitori vengono sottratti alla calamità dei “rapporti virtuali”, dovendosi necessariamente aprire al mondo delle relazioni umane “reali”. Questo fatto li rende più sani sotto tutti i punti di vista: umano, psicologico, intellettuale e spirituale. I genitori a gran voce ci hanno richiesto che il Campo estivo fosse aperto tutti i giorni della settimana, ma noi abbiamo risposto che è assolutamente necessario che i bambini abbiano del tempo da trascorrere a casa con loro. Non vogliamo sottrarli alla famiglia sostituendoci ad essa, ma ci preme cooperare con le famiglie alla loro crescita umana”.
Fra i bambini più piccoli, molti sono denutriti, così tra un’attività e l’altra al campo estivo si cerca di dare loro del latte “…ma anche cioccolatini e dolci, per farli felici”.
Conclude poi p. Ibrahim: “La ragione vera, la più profonda,  per cui facciamo  questo Campo estivo è perché desideriamo che, attraverso tutto quello che si propone, le persone possano percepire i segni, anche minimi, della delicatezza della Carità cristiana. Carità che passa anche attraverso un po’ di latte oppure dei  cioccolatini; che a volte sta nel prendersi cura di un bisogno particolare o nell’offrire un piccolo giocattolo. È in tal modo che la sofferenza viene purificata, gli occhi delle persone cominciano a vedere e il cuore a sperimentare la presenza del Divino nella quotidianità, Divino che si esprime nell’abbraccio amorevole della Chiesa. Noi desideriamo che si rafforzi, nell’esperienza, la percezione del volto di Cristo presente, il volto tenero di Dio rivolto al popolo sofferente”.

Per donare ora in favore dell’Emergenza in Siria, clicca qui:

http://www.proterrasancta.org/it/emergenza-siria-un-centro-estivo-porta-la-gioia-nel-cuore-di-aleppo/



«Nella palude della guerra, ogni giorno assisto a tanti miracoli»


Intervista a padre Ibrahim Sabbagh, che guida una parrocchia nella città siriana: «È facile eliminarci fisicamente, ma nessuno ci riesce. Questo dimostra che Cristo è presente»


TEMPI, 3 luglio 2015

«Io come parroco assisto a tanti miracoli ogni giorno. Dio non ci fa mai mancare la sua tenerezza». Padre Ibrahim Sabbagh non parla metaforicamente e la prova di quello che dice sta nel fatto che non ha paura di morire. Il frate francescano vive ad Aleppo, dove ha accettato di recarsi nel 2014 in piena guerra per guidare una parrocchia. La situazione della seconda città più importante della Siria è così grave che il cardinaleAngelo Scola l’ha definita la «Sarajevo del XXI secolo». Ogni giorno nella parte della città dove vivono i cristiani, sotto il controllo del governo, divisa da quella in mano ai ribelli, cadono bombe e razzi. Nel numero di Tempi in edicola settimana scorsa è presente un ampio servizio sulla “Sarajevo del XXI secolo”, con testimonianze dalla città martoriata. Di seguito, riportiamo la testimonianza di padre Ibrahim, per il quale la morte è diventata un’esperienza quotidiana, «regna il terrore», eppure «ci sono fiori che nascono e crescono sulla palude della guerra».

Perché ad Aleppo regna il terrore?  Noi sappiamo che la città di Aleppo è circondata, ma queste bombe, questi regali di morte che cadono dal cielo, sono il male peggiore perché non fanno differenza fra un bambino, un anziano, un soldato, un uomo armato o non armato. Quindi regna il terrore.

Perché subite questi attacchi?  Il 15 giugno abbiamo subito un attacco molto pesante, con decine di morti e centinaia di feriti, perché l’inviato dell’Onu, Staffan De Mistura, ha incontrato il presidente Assad. Di solito i bombardamenti si fanno più forti durante queste visite, perché alcuni gruppi ribelli non vogliono la pace e manifestano così questa mancanza di volontà. Siamo in una fase molto difficile, ci aspettiamo il peggio.

I cristiani hanno paura?Sì, sono spaventati, come le altre minoranze. Non vi potete immaginare i casi di terrore che dobbiamo trattare ogni giorno. Due settimane fa una bomba è caduta vicino ad una farmacia, uccidendo il farmacista, un uomo di 45 anni. La mattina dopo è venuta da me una donna: passava davanti alla farmacia quando è caduta la bomba, ma è sopravvissuta. Mi ha detto che non riesce più a dormire, è sfinita ma deve lo stesso alzarsi per andare al lavoro. Sono cose piccole ma quotidiane e diventano sempre più pesanti per chi soffre questa tortura da quasi cinque anni.

Perché è tornato in Siria? Che cosa può fare un sacerdote in mezzo alla guerra?  Noi pastori cerchiamo di consolare la nostra gente con la parola, l’assistenza spirituale e anche quella materiale, per quanto possiamo. Cerchiamo di alleggerire un po’ la croce a queste persone, anche se non possiamo portarla via. Cerchiamo in ogni modo di manifestare la presenza del Buon pastore, della tenerezza di Dio, perché la gente ne ha bisogno. Noi abbiamo anche organizzato un oratorio per i bambini, che ora sono più di 120 e vengono quattro volte la settimana; abbiamo preparato al matrimonio nove coppie che si stanno sposando in chiesa con grande coraggio e vogliono iniziare un cammino di nuove famiglie nonostante tutte le difficoltà che ci sono. Aiutiamo anche i poveri, i senza tetto, i bisognosi.

Dio però non sembra molto tenero con voi.  Per il futuro non si vede una via d’uscita, non sappiamo come finiremo, eppure siamo pieni di speranza che questo mondo cristiano, che qui ha già sofferto tante persecuzioni, riuscirà a veder passare anche questa crisi attuale, anche queste ondate di jihadisti e a resistere, rimanendo qua per testimoniare la presenza di Cristo.

Tanti scappano.  Alcuni dall’Occidente pensano e ci consigliano di organizzare un’emigrazione comune. Noi, come chiesa locale, siamo contrari perché è il Signore che ha voluto piantare la nostra presenza, questo albero di ulivo, qui in Oriente, in Siria. Noi oggi non possiamo sradicare questo albero e piantarlo in un altro pianeta o in un altro continente, come se fosse la stessa cosa. Non ci sentiamo di avere questo diritto. Sicuramente ci sono casi eccezionali, ma è Dio che ci ha voluti qua, a Lui spetta la decisione di farci andare via.

Lei spera ancora in una risoluzione positiva del conflitto?Io dico sempre alla mia gente: noi vinceremo questa guerra, questa crisi con la preghiera, prima di tutto, e con la nostra carità e con la comunione fra di noi.

Le cose però, anche ad Aleppo, non si stanno mettendo molto bene.  Guardando con gli occhi del corpo, il futuro è molto nebuloso, ma allo stesso tempo siamo pieni di fede e di speranza e con gli occhi della fede riusciamo a vedere una via d’uscita. Io come parroco assisto a tanti miracoli ogni giorno. Quando sono caduti molti missili e bombe alla metà di aprile, tante abitazioni ed edifici sono andati distrutti o semi-distrutti: noi ci aspettavamo centinaia di morti in tutta la zona cristiana, ma il numero dei morti è stato di 12 e pochi feriti. Per me questo è stato un miracolo: ci si aspetta sempre il peggio ogni giorno, ma ogni giorno arriva sempre il minimo di quel peggio che ci aspettavamo. Questo è già un grande miracolo e non è il solo.

Cioè?  Io assisto anche fra me e me a tanti miracoli: ogni volto che penso o prego per qualcuno che ha bisogno di cibo, ma non abbiamo niente da dargli, subito arriva qualcuno a dirmi: è arrivato del cibo da distribuire alla gente. Quando penso o prego per una famiglia che ha bisogno di pagare l’affitto, o per una donna che deve partorire e deve coprire delle spese, subito arriva qualche dono della provvidenza per colmare questo bisogno specifico. Ecco perché non smettiamo di ringraziare il Signore: nonostante il male a cui assistiamo ogni giorno e che vediamo con i nostri occhi, non ci manca questa presenza tenera del Signore.

Aleppo un tempo era un modello di convivenza religiosa. E oggi?
La situazione è molto buona. Qui, come è sempre stato anche in passato, ci incontriamo tutti insieme, anche con i sunniti, parliamo di tutto e collaboriamo per il bene del paese. Le nostre associazioni aiutano anche i musulmani, per rispondere ai loro bisogni. Non è qualcosa di cui ci vantiamo, per noi è un dovere perché è parte dell’insegnamento di Gesù. Stiamo davvero eccellendo e progrediamo nella collaborazione tra noi e con le altre confessioni.

A sentirla parlare, quasi non sembra che Aleppo sia sconvolta dalla guerra.  Ci sono due fiori che stanno nascendo e crescendo forti sulla palude della guerra. Il primo è questo: grazie alla sofferenza, ad Aleppo la nostra comunità cristiana è più fraterna, anche con gli altri riti e i musulmani. Il nostro è il vero ecumenismo, semplice, pratico che si costruisce ogni giorno nel trasmettere la presenza del Signore nel campo della carità e nel vivere insieme in una società compatta e unita. L’ecumenismo intellettuale, invece, degli studi, dei libri, dei convegni è destinato al fallimento.

E il secondo fiore?  Guardando al futuro, vedo che questa pianta del cristianesimo, che riflette la presenza di Dio nella storia e in Siria, è molto debole, piccola e delicata, ma tutte queste tempeste non riescono a devastarla. Questo è il più grande miracolo al quale assisto. Mi accorgo cioè di quanto sia facile eliminarci fisicamente, ma vedo che nessuna forza riesce a calpestare, soffocare, devastare questa piccola pianta: questo dimostra che Cristo è presente e provvede.

http://www.tempi.it/aleppo-palude-guerra-ogni-giorno-assisto-a-tanti-miracoli#.VZdhE_ntmko


SE VOI CI VOLETE BENE, AIUTATECI A RESTARE A CASA NOSTRA

Nuovo appello di Mgr Jeanbart, Arcivescovo greco melkita di Aleppo, mentre la città è sottoposta ad attacchi di eccezionale intensità
« Bâtir et Rester »
.....

Se si vuole un bene per noi, si preghi con noi perchè questa guerra finisca.
Se ci volete bene, rivendicate la pace per il nostro paese.
Se ci volete bene, aiutateci a sostenere i cristiani che hanno deciso di rimanere per il perdurare della presenza cristiana nel Paese.
Se ci volete bene, aiutateci a sostenerli nella loro lotta contro il fallimento e nel loro impegno per "Costruire e Restare."

Aleppo , 2 luglio 2015.
Metropolita Jean Clement JEANBART

Arcivescovo di Aleppo

Leggi qui l'appello:   http://www.oeuvre-orient.fr/2015/07/04/si-vous-nous-voulez-du-bien-aidez-nous-a-rester-chez-nous/

venerdì 3 luglio 2015

Le Monache siriane: "Vi chiediamo, operate per la cessazione delle inique sanzioni che uccidono la nostra gente"

 Ci era giunta da un lettore la segnalazione di un Appello sottoscritto in Germania, rivolto alla Cancelliera Federale Angela Merkel , ai deputati ed alle frazioni parlamentari di Berlino e di Bruxelles. Tra i firmatari sono inclusi membri del Parlamento, noti rappresentanti del movimento per la pace, personaggi della politica, delle Chiese, della Scienza e della Cultura. 
Lo facciamo nostro, sperando che anche in Italia vi siano personalità che lo presentino ai luoghi opportuni per intraprendere un'azione efficace per l'intervento umanitario urgente a favore del popolo siriano.


APPELLO DALLE MONACHE TRAPPISTE E DAL POPOLO SIRIANO 

Sempre più persone ci chiedono : ma noi cosa possiamo fare ? Ora che sono evidenti per tutti le implicazioni politiche, le manipolazioni internazionali, gli interessi che hanno provocato e mantengono vivo il conflitto siriano, ora che tutti- o quasi- ne parlano, e che incredibilmente tutto –o quasi- va avanti come prima… chi davvero vorrebbe poter fare qualcosa per la Siria e soprattutto per i siriani e tutto il Medio Oriente, si sente impotente.
Ma non è così, qualcosa si può fare.. Prima di tutto, non smettere di voler capire ciò che riguarda questa guerra, informarsi, cercare di ascoltare tutte le parti.
E’ già moltissimo, perché molto di ciò che è accaduto è stato possibile grazie alla disinformazione, al potere e alla violenza di una comunicazione asservita ai vari interessi di parte, così come accade purtroppo per tante altre realtà.

E’ importante anche guardare “oltre” questa guerra.. Non fermiamo i nostri occhi solo sulle macerie, sugli orrori di cui può rendersi capace un’umanità abbruttita, non restiamo sospesi in questo sentimento vago e scoraggiante di qualcosa di ineluttabile che è lì, contro il quale non possiamo fare nulla. Guardiamo a cosa possiamo fare OGGI.
Fare per costruire, per progettare un futuro. Che ci sarà, oh sì che ci sarà.
Noi , qui ne siamo certi, per paradossale che sembri , più le difficoltà si moltiplicano più sappiamo reagire…
Quello che vogliono oggi i siriani, quello di cui hanno bisogno, è soprattutto vivere.
Banale, ovvio, ridicolo dirlo. Ma oggi lo si deve dire: senza “la vita di base”, tutti gli altri valori diventano ridicoli.

La vita C’E’, in realtà, a dispetto di tutto. Solo che è messa alla prova, fa fatica ; letteralmente, fatica da morire. Perché non solo non è aiutata, ma è ostacolata, impedita da quell’iniquo strumento di “democrazia” che sono le SANZIONI INTERNAZIONALI..
Dalla Germania, e forse da qualche altra parte , si sta muovendo qualcosa. Qualcuno ha finalmente deciso di prendere seriamente in mano la questione delle sanzioni. Mobilitatevi anche voi, appoggiateli, create altre petizioni. Fate qualcosa.
E’ veramente ora di finirla con questa vergogna.. Si sa benissimo che queste misure non colpiscono affatto chi è al potere. Le sanzioni colpiscono la gente, ed in modo durissimo… Niente materie prime per lavorare, niente medicinali, anche per le malattie gravi. Tutto carissimo, i prezzi degli alimenti sono arrivati a dieci volte tanto... Senza lavoro, in un paese in guerra, dilaga la violenza, la delinquenza, il contrabbando, la corruzione, la speculazione, l’insicurezza. Questi, sono i frutti delle sanzioni..

La gente non ne può più.. “Benissimo, è proprio questo che si vuole con le sanzioni: esasperare la gente perché faccia pressione sul governo”.
Benissimo ? E CHI lo vuole ? Quattro anni ( e più) di sofferenza della gente, quattro anni di vita tirata con i denti… Provate a immaginare quanti sono quattro anni per un bambino in crescita ? Quanto importanti ?
E’ possibile pensare di usare anni di sofferenza della gente per ottenere un risultato politico, strategico ? mascherandolo poi come il bene vero della gente stessa? No, non è proprio possibile. E se non sappiamo trovare altri strumenti, allora siamo veramente  indegni di chiamarci paesi democratici.. (cioè, paesi che dovrebbero avere a cuore le sorti del popolo !!!!)

E poi si continuano a mandare soldi, aiuti.. E di questo, va detto con sincerità, qui tutti sono davvero grati, perché l’Occidente sa essere, è davvero molto generoso. Voi stessi che leggete, sì, tante volte avete aperto il cuore. Ma non è assurdo ? non sarebbe meglio creare lavoro, creare opportunità ? Fermare le speculazioni che aumentano a dismisura i costi ? Far ripartire la vita, ed investire in progetti? Non serve aggiungere altro..

Vi chiediamo, con tutto il cuore, di smuovere questa situazione, anzi : di fermare il prima possibile l’applicazione delle sanzioni.
Questo, POTETE FARLO. Grazie.

Le sorelle trappiste




IL TESTO DELL'APPELLO TEDESCO

PROPOSTA DI CAMPAGNA CONTRO LE SANZIONI ALLA SIRIA 
Basta con l'embargo, affinché il popolo siriano possa ritrovare la pace!
Da oltre 4 anni gli Usa conducono - per procura - una guerra sanguinosissima contro la Siria. Forniscono ai gruppi islamisti le armi più moderne, li fanno istruire dai propri consiglieri militari nei campi d'addestramento in Turchia e in Giordania. Il regime wahabita saudita e le altre monarchie del golfo replicano il copione già sperimentato in Afghanistan negli anni '70 e mettono a disposizione miliardi di dollari per reclutare e armare le truppe di Isis e Al Nusra.

La responsabilità del governo tedesco e dell‘ Unione europea
L‘Unione europea e il governo tedesco partecipano a questa sporca guerra. Dal 2011 hanno decretato l'embargo contro la Siria. Lo scopo dichiarato di tale embargo era quello di paralizzare l'economia del paese e di spingere la popolazione a ribellarsi contro il governo. In combutta con Usa, Arabia Saudita e con le altre monarchie del Golfo, Europa e Germania hanno:
congelato i conti siriani all'estero
vietato le importazioni dalla Siria, in particolare quelle  di petrolio grezzo come pure ogni tipo di transazione economica, in modo da impedire l'importazione dei beni indispensabili al popolo e all'economia del paese. Anche le rimesse degli emigranti sono bloccate!
proibito le importazioni da parte della Siria di carburante, olio da riscaldamento, tecnologia e impianti per la raffinazione del petrolio e per la produzione di gas liquido necessario per la produzione di energia elettrica. Senza benzina e senza corrente elettrica, l'agricoltura, come anche l'industria alimentare, l'artigianato e l'industria sono di fatto paralizzate.
Il notiziario televisivo del 14 febbraio 2012 si chiedeva cinicamente: “Fino a quando potrà resistere l‘economia di Assad?” per concludere trionfalmente: “L‘economia siriana è a terra. L‘inflazione galoppa. Il costo dei generi alimentari è raddoppiato, mentre scarseggiano diesel e merci d‘importazione”.
Persino a Damasco manca la corrente per 3 ore al giorno, e in altre località per periodi ancora più lunghi. Oggi, a distanza di 3 anni, il prodotto nazionale lordo è diminuito del 60%, la percentuale è passata dal 15% al 58%. Il 64,7% dei siriani vive in uno stato di miseria estrema e non è più in grado di procurarsi gli alimenti di base. In questa situazione di degrado, che diffonde fanatismo e criminalità, Isis e Al Nusra trovano un fertile terreno per reclutare nuovi combattenti…

Affamare un popolo è un crimine
L'aver dichiarato l'embargo contro un paese come la Siria equivale a una dichiarazione di guerra particolarmente disumana. In Iraq negli anni 1990 l’embargo fece un milione di persone, fra le quali almeno 500mila bambini. L'embargo alla Siria funziona da moltiplicatore ed alimenta la guerra fratricida: 220.000 morti, quasi un milione di feriti e mutilati, più di 10 milioni di profughi: non vi bastano ancora?
Chiediamo ai deputati e al governo di agire subito:
l‘embargo contro la Siria deve cessare a più presto in modo che l‘economia del paese possa riprendersi e che ulteriori sofferenze vengano risparmiate alla popolazione
siano elargiti al paese generosi aiuti economici per la ricostruzione.
_ siano immediatamente riprese le relazioni diplomatiche e si rispetti la sovranità del paese.
É giunto il momento per il governo tedesco e l`Unione Europea di assumere il ruolo di intermediazione in questo conflitto e di dare così un contributo al ristabilimento della pace in Siria e nella regione.

Continuare a mantenere l'embargo equivale ad essere corresponsabili di un genocidio!

Link al sito dell'iniziativa:  http://www.freundschaft-mit-valjevo.de/wordpress/

mercoledì 1 luglio 2015

La verità emerge

Come gli Stati Uniti hanno alimentato la crescita di ISIS

 in Siria e in Iraq



The Guardian, 12 giugno 2015 (trad. ossin)

Seumas Milne


La guerra contro il terrorismo, la campagna senza fine lanciata 14 anni fa da George Bush, si contorce in contraddizioni sempre più grottesche. Lunedì, il processo a Londra di uno svedese, Bherlin Gildo, accusato di atti di terrorismo in Siria, si è interrotto quando è diventato chiaro che i servizi di informazione britannici avevano armato gli stessi gruppi ribelli nei quali l’imputato aveva militato
Il Procuratore ha ritirato l’accusa, evidentemente per non mettere in imbarazzo i servizi di informazione. La difesa aveva sostenuto che proseguire il processo sarebbe stato un “affronto alla giustizia”, dal momento che vi era la prova anche lo Stato britannico aveva fornito un “appoggio massiccio” all’opposizione armata siriana.

E non si era trattato solo “dell’aiuto non letale” proclamato dal governo (giubbotti antiproiettile e veicoli militari), ma di addestramento, appoggio logistico e approvvigionamento segreto di “armi in grande quantità”. Secondo i rapporti citati nel corso del processo, il MI6 aveva cooperato con la CIA nella realizzazione di una “rete di approvvigionamento” di armi provenienti dagli stock libici e destinati ai ribelli siriani nel 2012, dopo la caduta del regime di Gheddafi.

In tutta evidenza, l’assurdità di sbattere qualcuno in prigione per avere fatto la stessa cosa che stavano facendo i ministri e i loro agenti di sicurezza era eccessiva. Ma si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di casi. Meno fortunato è stato un autista di taxi a Londra, Anis Sardar, condannato due settimane fa all’ergastolo per avere partecipato nel 2007 alla resistenza contro l’occupazione dell’Iraq da parte delle forze statunitense e britanniche. L’opposizione armata ad una invasione e ad un’occupazione illegale non costituisce assolutamente un fatto di terrorismo o un assassinio, secondo le definizioni accettate, ivi compreso dalla Convenzione di Ginevra.

Ma il terrorismo è oramai una questione di punti di vista. E soprattutto in Medio Oriente, dove i terroristi di oggi sono i combattenti contro la tirannia di domani – e gli alleati dei nemici – spesso in base solo ad una incredibile conferenza telefonica di un dirigente occidentale.

L’anno scorso gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e altre forze occidentali sono tornate in Iraq, asseritamente per distruggere il gruppo iper settario terrorista dello Stato Islamico (in passato conosciuto col nome di Al Qaeda in Iraq). Ciò è avvenuto dopo che ISIS aveva invaso enormi porzioni del territorio iracheno e siriano e proclamato un sedicente califfato islamico.

La campagna non va bene. Il mese scorso ISIS ha conquistato la città irachena di Ramadi mentre, dall’altro lato di una frontiera attualmente inesistente, le sue forze hanno conquistato la città siriana di Palmira. Il franchising ufficiale di Al Qaeda, il Fronte al-Nusra, è avanzato anch’esso in Siria.

Alcuni iracheni si lamentano che gli Stati Uniti sono rimasti a guardare mentre accadevano questi fatto. Gli Statunitensi insistono nel fatto che cercano di evitare perdite civili e rivendicano successi significativi. In privato, i responsabili dicono che non vogliono che li si veda bombardare dei bastioni sunniti in una guerra settaria e correre il rischio di destabilizzare i loro alleati sunniti del Golfo.

Un po’ di chiarezza sul modo in cui siamo arrivati a questo punto viene da un rapporto segreto della intelligence USA recentemente declassificato, scritto nell’agosto 2012, che stranamente prevedeva – e addirittura apprezzava – la prospettiva della creazione di un “principato salafita” nell’est della Siria e di uno Stato islamico controllato da Al Qaeda in Iraq e in Siria. 

In contrasto evidente con le affermazione dell’Occidente all’epoca, il documento del Defense Intelligence Agency indica in Al Qaeda in Iraq (poi diventato ISIS) e in altri salafiti i “principali motori dell’insurrezione in Siria” – e dichiara che “i paesi occidentali, gli Stati del Golfo e la Turchia” appoggiano l’opposizione nel tentativo di conquistare l’est della Siria.

Evocando “la possibilità della creazione di un principato salafita dichiarato o meno”, il rapporto del Pentagono prosegue: “quello che davvero vogliono le potenze che appoggiano l’opposizione è di isolare il regime siriano, considerato come la chiave strategica dell’espansione sciita (Iraq e Iran)”.

Ed è esattamente quello che è accaduto due anni dopo. Il rapporto non era un documento politico. Esso è pieno di omissis e di espressioni ambigue. Ma sono chiarissime le implicazioni. Un anno dopo la ribellione siriana, gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno, non solo armato e sostenuto un’opposizione che sapevano essere dominata da gruppi settari estremisti: erano perfino pronti ad approvare la creazione di una sorta di “Stato Islamico” – nonostante il “grave pericolo” che esso rappresentava per l’unità dell’Iraq – come un cuscinetto sunnita destinato ad indebolire la Siria.

Ciò non significa che siano stati gli USA a creare ISIS, ovviamente, anche se qualcuno dei loro alleati del Golfo vi ha giocato un ruolo – e il vice presidente statunitense Joe Bilden lo ha riconosciuto l’anno scorso. Ma certamente, in Iraq, Al Qaeda non c’era prima che Stati Uniti e Gran Bretagna invadessero il paese. E certamente gli Stati Uniti hanno sfruttato l’esistenza di ISIS, come di altre forze estremiste, nel quadro del tentativo di mantenere il controllo occidentale sull’area.

La situazione è mutata quando ISIS ha cominciato a decapitare gli Occidentali e pubblicato queste atrocità on line, e i paesi del Golfo sostengono attualmente altri gruppi nella guerra siriana, come il Fronte al-Nusra. Ma questa abitudine occidentale e statunitense di giocare coi gruppi jihadisti, che poi si rivoltano e mordono, risale almeno alla guerra del 1980 contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, quando è nata Al Qaeda originale sotto tutela CIA.

La situazione è stata aggiustata durante l’occupazione dell’Iraq, quando le forze statunitense al comando del generale Petraeus hanno patrocinato una sporca guerra di squadroni della morte alla salvadoregna, per indebolire la resistenza irachena. 

E riaggiustata nel 2011 durante la guerra della NATO contro la Libia, dove la settimana scorsa ISIS ha preso il controllo di Sirte, la città natale di Gheddafi.

In realtà la politica statunitense e occidentale in questa polveriera che è diventata il Medio Oriente rientra nella classica linea del “divide et impera”. Le forze statunitensi bombardano un gruppo di ribelli, mentre ne sostengono un altro in Siria e montano operazioni militari congiunte con l’Iran contro ISIS in Iraq, pur sostenendo la campagna militare dell’Arabia Saudita contro le forze Houthi, sostenute dall’Iran, in Yemen. E tuttavia, per quanto confusa possa sembrare la politica degli USA, un Iraq e una Siria indebolite e divise convengono loro assolutamente.

Ciò che è chiaro è che ISIS e le sue mostruosità non saranno sconfitte dalle stesse potenze che le hanno aiutate a vincere in Iraq e in Siria, le cui guerre dichiarate o clandestine hanno favorito il loro affermarsi. Gli interventi militari senza fine in Medio oriente hanno portato solo distruzioni e divisioni. Solo i popoli della regione possono guarire questa malattia – non coloro che hanno incubato il virus.


http://www.ossin.org/crisi-siriana/la-verita-emerge-come-gli-stati-uniti-hanno-alimentato-la-crescita-di-isis-in-siria-e-in-iraq.html

lunedì 29 giugno 2015

Intervista al vicario apostolico di Aleppo, Georges Abou Khazen: «Ogni giorno combattenti armati e addestrati dall’Occidente arrivano per ucciderci ...»

«Aleppo è davvero la Sarajevo del XXI secolo. Noi cristiani siamo terrorizzati, ma sempre più attaccati alla fede»


Tempi, 29 giugno 2015


«Non siamo sicuri né in casa, né in strada, né in chiesa, né in moschea». Così si vive ad Aleppo, un tempo capitale economica della Siria, invasa nel luglio 2012 dai ribelli e dai jihadisti di Al-Qaeda. Ora la seconda città più importante del paese è divisa in due (Aleppo ovest in mano al governo, Aleppo est sotto il controllo dei ribelli) e ogni giorno le bombe che cadono sui quartieri civili mietono vittime. Nel numero di Tempi in edicola è presente un ampio servizio sulla “Sarajevo del XXI secolo”, con testimonianze dalla città martoriata. Di seguito, riportiamo l’intervista integrale a Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo, che vive nella parte ovest insieme a tutti gli altri cristiani: «I jihadisti stanno cercando di entrare e occupare tutta la città. Noi abbiamo paura».

Monsignor Abou Khazen, di che cosa avete paura? La pioggia di mortai e altri esplosivi continua. Soprattutto dopo la presa di Palmira, la gente è terrorizzata, ha paura che la città cada. Sono tanti quelli che scappano. Ora che gli esami di maturità sono finiti, sempre più persone vogliono lasciare Aleppo.

Quante persone scappano? Ogni giorno ci sono intere famiglie che se ne vanno, perché dal punto di vista della sicurezza e della sopravvivenza, la situazione è sempre più difficile. La disoccupazione e le difficili condizioni di vita fanno il resto.

Confidate in una soluzione pacifica del conflitto? L’inviato speciale dell’Onu, Staffan De Mistura, è stato a Damasco. Siamo molto scettici. Qui si parla di un accordo politico, di una soluzione, quando sul terreno ci sono centinaia di combattenti che ogni giorno entrano dalla frontiera con la Turchia. Questi combattenti sono armati e addestrati dall’Occidente, arrivano dall’Europa e da altri paesi musulmani. Come si concilia questo fatto con l’accordo da trovare? Io non lo so. Voi lo sapete chi li sta armando e allora le parole non valgono niente, bisogna smettere di addestrarli e armarli. Allora sì che si possono obbligare le parti a dialogare, altrimenti è facile parlare, tanto poi è la povera gente che ci rimette la pelle.

Come si favorisce la fine della guerra? Come ho detto. Ogni giorno centinaia di combattenti entrano in Siria da nord e da sud per ammazzarci. Bisogna obbligare le parti in conflitto a non armarli più.

Aleppo è la “Sarajevo del XXI secolo”? Sì, il cardinale Angelo Scola ha ragione a fare questo paragone. Davvero non ci si può immaginare le difficoltà in cui viviamo. La gente è in quotidiano pericolo di vita, eppure continua a vivere, a resistere, anche se tutto ciò che ha viene distrutto.

Che cosa fa la Chiesa locale in mezzo alla guerra?  Prima di tutto bisogna ringraziare la Chiesa universale, a cominciare dal Papa, per l’appoggio e l’interesse che dimostra verso i cristiani del Medio Oriente. Noi cerchiamo di aiutare la povera gente che ancora vive qui, ma anche quelli costretti a scappare con i soli vestiti addosso. Sono migliaia le famiglie che la Chiesa aiuta. Ma c’è anche un altro aspetto.
Quale? La Chiesa offre appoggio morale e spirituale. La presenza qui dei sacerdoti è una grande grazia: nessun vescovo o parroco o religioso ha lasciato il suo posto. Questo per la gente è importante, è un segno di speranza e incoraggiamento. Quando mi chiedono che cosa dovremmo fare, io rispondo: non lo so, non ho una risposta, ma sono qui e resterò qui. Per costruire.
 Che cosa?  
Noi continuiamo a fare programmi per i bambini: abbiamo oratori nelle parrocchie a cui partecipano centinaia di bambini. Così loro possono uscire un po’ dal solito ambiente e vedere qualche cosa di diverso. Questa presenza sta dando i suoi frutti, le persone cambiano.

Può farci un esempio? Io vedo che la gente è sempre più attaccata alla fede e alla pratica religiosa. Questa è una cosa grande, che mi commuove. Non so come sia possibile, ma la Chiesa cerca di trasmettere alla gente la fede in Dio e loro la approfondiscono.

Quali sono le conseguenze di questo approfondimento? Pensi che qui molte persone parlano di perdono. Non appena riconciliazione, ma perdono per tutti. Non è un caso che questi cristiani del Medio Oriente siano figli e nipoti di martiri. Basta pensare alla comunità armena, sopravvissuta a massacri, discendenti di persone che hanno lasciato tutto o hanno dato la vita per la fede. Speriamo che il Signore ci esaudisca e ci dia la pace.

giovedì 25 giugno 2015

Tra Ramadan, condivisione e "la speranza che non viene meno!" : dai Maristi di Aleppo



   Telegramma di cordoglio per la morte, avvenuta questa mattina, del Patriarca di Cilicia degli Armeni, Sua Beatitudine Nersès Bédros XIX Tarmouni, inviato dal Santo Padre Francesco al Sinodo Patriarcale di Cilicia degli Armeni:
    "Avendo appreso con viva commozione dell’improvvisa morte di sua Beatitudine Nerses Bedros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia degli Armeni, porgo le mie più sentite condoglianze al Sinodo e a tutti i fedeli del Patriarcato così duramente provati. Ricordando la nostra stretta collaborazione, di cui la recente proclamazione di san Gregorio di Narek come dottore della Chiesa è uno dei punti culminanti, affido al Padre misericordioso l’anima di questo pastore devoto che, come sacerdote, si è adoperato senza riserve al servizio delle comunità che gli sono state affidate, poi, come vescovo, ha esercitato con fede e zelo il suo ministero, prima ad Alessandria e in seguito come patriarca di Cilicia degli Armeni. Attraverso la preghiera mi unisco a tutte le persone colpite da questa improvvisa scomparsa e di tutto cuore imparto loro la benedizione apostolica, in particolare ai vescovi del Patriarcato di Cilicia degli Armeni, alla famiglia del defunto e a tutte le persone che parteciperanno alla liturgia esequiale."
FRANCESCO

© http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino.html - 25 giugno 2015




Lettera da Aleppo N° 22 (21 giugno 2015)

Dai Fratelli Maristi 


Oggi, 19 giugno 2015 è il primo venerdì di Ramadan…   Questa mattina le strade erano praticamente deserte. Tutti ancora dormivano. I musulmani che digiunano sono rimasti svegli fino a tardi per poter fare colazione prima della preghiera dell’aurora che annuncia l’inizio del digiuno.
Oggi abbiamo distribuito il paniere alimentare mensile alle famiglie sfollate nel quadro del progetto “Il paniere dei Maristi Blu”. La mamma di Douha non è venuta. Infatti la piccola Douha di 5 anni è all’ Ospedale St. Louis da domenica, curata con il progetto “Civili feriti di guerra”. E’ stata colpita gravemente alla testa e alla mano dalle esplosioni di una granata. La sua famiglia abita in uno dei quartieri più caldi della città. Essi sono poveri. Non hanno molti mezzi. In effetti, non ne hanno per niente. Questo quartiere è il meno caro. L’ultima casa in cui hanno abitato fino a domenica mattina è la casa della zia. Questi ultimi tre mesi sono stati sfollati due volte, sempre nello stesso quartiere ad alto rischio… Ad ogni granata che cadeva e distruggeva una parte della casa dovevano rifugiarsi altrove. Douha dovrà tornare nel quartiere e vivere nelle stesse condizioni d’insicurezza!

Per lei e per molti bambini come lei, abbiamo lanciato il progetto educativo “Voglio imparare”. Come lei, molti bambini dei nostri diversi progetti sono minacciati quotidianamente, così come i loro parenti dagli spari. Penso a Hiba che si ritrova con tutta la sua famiglia di 8 persone per la strada. In tutte le famiglie noi troviamo le stesse paure, le stesse minacce, le stesse inquietudini…soprattutto quando sono infiammate dalle voci: ”Quelli vogliono entrare…Hanno già occupato quel quartiere, quella strada…Noi li abbiamo visti , abbiamo visto la loro bandiera, abbiamo sentito il loro grido. Li abbiamo visti passare…” Anche se non sono che voci annunciate da profeti di sventura.

Eh sì, ecco Aleppo, una città immersa nelle voci di una possibile invasione dei gruppi armati. Come se non fosse già abbastanza per la gente vivere sotto la minaccia dei colpi di granata e di mortai che dovesse anche vivere l’inquietudine del domani…
Bisogna cercare una risposta? Bisogna non creare il panico? Bisogna preoccuparsi e mettere in allarme la gente? Cosa fare, come agire, quali parole pronunciare? Quale atto tradirebbe la fiducia? Quale gesto? Tante domande che obbligano, noi Maristi Blu, ad essere portatori di Speranza.

Quando voi, gli amici di tutto il mondo, ci contattate per avere nostre notizie o per mostrarci la vostra solidarietà e il vostro appoggio, noi respiriamo, riprendiamo le forze e siamo incoraggiati a continuare il cammino per quanto sia duro…

Questa sera penso a tutti i nostri amici musulmani per i quali il digiuno è il periodo del ritorno a Dio e all’uomo, ad ogni uomo, soprattutto il più sfavorito ed il più povero. E’ il tempo del “Zakat”, l’elemosina. E’ il tempo in cui ognuno ha diritto all’”ftar”, il pasto che mette fine al digiuno. Io penso ai miei amici musulmani devoti che pregano e convertono i loro cuori. Durante il Ramadan, tutto il ritmo della vita è modificato. Tutti i commerci, tutte le attività culturali e ludiche ruotano attorno al Ramadan… 29 giorni nei quali la vita si trasforma in culto e in fede.
In Siria, il Ramadan è un’occasione di condivisione, di apertura all’altro: i vicini, i parenti gli amici… Sono sempre stato edificato da ogni persona che digiuna…La mamma di Kosai , 5 anni, è venuta a supplicarmi di convincerlo a non digiunare. Un accordo è stato concluso: un giorno su due…..

Nella tradizione dell’Oriente, per augurare ai musulmani un buon Ramadan, noi diciamo ”Mabrouk taaitkon”…”Che Dio benedica la vostra obbedienza”. E’ il tempo di regolare il proprio ritmo di vita al ritmo della fede. Un esempio…un modello in questo terzo millennio.
I nostri amici musulmani hanno sempre rispettato il fatto che i loro concittadini cristiani non digiunino. Nulla è imposto ai cristiani. Questi ultimi sono liberi di vivere la loro vita e la loro fede nella pura tradizione cristiana, senza alcuna minaccia o imposta da pagare.
Noi eravamo lontani dal fanatismo che impone una sola vista, un solo sguardo, una sola via…Come siamo lontani da questo mondo estremista, estraneo alla nostra storia e alla nostra tradizione culturale. Noi abbiamo sempre rispettato la fede, la cultura e le tradizioni dell’altro.
Oggi vogliono convincerci che l’altro sia un nemico. Oggi vogliono convincerci che vivere sia escludere l’altro, non lasciargli posto…Vogliono convincerci che la diversità non dovrebbe esistere… Una sola dottrina, una sola visione, una sola legge e tutti coloro che non aderiscono sono minacciati, perseguitati esclusi ed uccisi.
In questo grande mondo che cerca un senso, proporre Dio, vivere la propria Fede ed impegnarsi per l’uomo sono una testimonianza eloquente dei valori che danno senso.

Il nostro fratello Emili, Superiore Generale, ha voluto presentare i Maristi blu come modello di presenza evangelica nelle frontiere. Noi gli abbiamo detto che non siamo degli eroi e che la nostra scelta risponde ad una chiamata interiore.

La casa dei Maristi è piena di attività per i bambini, i giovani e gli adulti. Noi non chiudiamo per ferie. Le vacanze sono l’occasione per aprire le nostre porte, lanciare delle attività all’aria aperta…permettere agli educatori di fare esperienza dell’altro e permettere ai bambini di respirare l’aria della gioia e dell’amicizia.

Noi vogliamo condividere con voi un nuovo progetto che abbiamo iniziato e di cui siamo i responsabili. In coordinamento con le altre 19 associazioni caritative cristiane di Aleppo , abbiamo lanciato il progetto “Goccia di latte”. Più di 3000 bambini cristiani minori di 10 anni usufruiscono da due mesi di una distribuzione mensile di latte in polvere o del suo equivalente per i bambini sotto l’anno di età.
Gli altri progetti continuano. L’ultimo programma del MIT comprenderà quattro sessioni di formazione. Stiamo preparando i pacchi regalo di abiti nuovi per le 200 famiglie che celebreranno la festa del Fitr (fine del Ramadan). Molti feriti da colpi di mortaio e da proiettili sono curati all’Ospedale St. Louis. I panieri alimentari sono distribuiti regolarmente, tutti coloro che ne usufruiscono apprezzano la quantità e la qualità.

Approfitto dell’occasione per ringraziare tutti i nostri amici e benefattori senza i quali non avremmo potuto sostenere le famiglie più povere di Aleppo.
Nel congedarmi, vi lascio questo testo del nostro amico il Padre Jean Debruynne tratto da “Tre figlie della saggezza”, un gioco scenico scritto per le Guide (Scout) di Aleppo: “Forse sarà oggi.. forse domani… che un giorno nuovo ci dirà “sì” e ci aprirà le sue due mani …Ascoltate, io sento un passo. Verrà questa notte forse Colui che non era atteso. Lo vedremo apparire”.
La nostra speranza non viene meno!
Buone vacanze a voi tutti. Conservate Aleppo e i suoi abitanti presenti nelle vostre preghiere.
Fratel Georges Sabe, per i Maristi Blu di Aleppo
http://aleppohope.blogspot.it/2015/06/lettera-da-aleppo-tra-ramadan.html?spref=fb


Aleppo nuova Sarajevo.«I ribelli ci bombardano  ogni giorno. 

L’Occidente non sia complice: dica la verità sulla guerra»

leggi l'intervista a Nabil Antaki:
 http://www.tempi.it/aleppo-nuova-sarajevo-ribelli-bombardano-ogni-giorno-occidente-complice-verita-sulla-guerra#.VYwWgfntmko