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lunedì 20 ottobre 2014

Concistoro Medio Oriente, compito delle NU e situazione del Libano

Nel Concistoro i membri del Collegio Cardinalizio si confronteranno circa l’attuale situazione dei cristiani in Medio Oriente e l’impegno della Chiesa per la pace in quella regione con la presenza dei Patriarchi mediorientali.


Intervista al cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei maroniti:

Radio Vaticana , 19 Ottobre 2014

 R. – Siamo molto grati al Santo Padre per questa seconda iniziativa, dopo quella dell’incontro con i nunzi, per conoscere la realtà del Medio Oriente e, adesso, per il Concistoro. Vuol dire che il Papa ha una grande preoccupazione, e a giusto titolo, sia per il Medio Oriente come tale, e la pace, sia anche per la presenza cristiana, la quale vive momenti molto cruciali. E poi siamo anche grati che lui abbia invitato i Patriarchi a partecipare. Noi stiamo preparando un foglio, a nome dei Patriarchi, partendo da dove sono arrivati con l’incontro dei nunzi. Quindi faremo la nostra lettura sulle attese della Chiesa e della comunità internazionale. Io penso che rappresenti un grande conforto morale per i cristiani del Medio Oriente, ma anche per il Paese del Medio Oriente, che il Papa abbia questo interesse e questa preoccupazione, perché tutti hanno bisogno di un sostegno morale. E’ un vero sostegno morale, ma è anche un vero sostegno diplomatico, perché la Santa Sede ha anche un suo ruolo, una sua influenza importante a livello internazionale. Noi faremo quindi sentire la nostra voce e poi mostreremo che tutte queste Chiese del Medio Oriente, sia cattoliche sia ortodosse, formano una sola unità, una sola voce. Abbiamo anche sempre dei vertici con i capi musulmani, per parlare tutti insieme la stessa lingua. Questo lo diremo domani.

D. – Preoccupa sempre più l’avanzata del sedicente Stato islamico. Questo sicuramente sarà un tema cui sarà dedicata particolare attenzione...

R. – Quello che noi diciamo, abbiamo detto e diremo ai governi locali e alle comunità internazionali è di fermare l’azione dell’aggressore. Non è possibile che nel XXI secolo si torni alla legge preistorica, dove un’organizzazione arriva, ti sradica dalla tua casa e dalla tua terra, dice “tu sei fuori”, e la comunità internazionale guarda inerte e neutrale. Non è possibile. Noi denunciamo tutto questo e sollecitiamo il contributo, più che il contributo l’azione, della comunità internazionale. Bisogna fermare l’aggressore. Quello che ci duole, che ci dispiace, che notiamo, in questo periodo di guerra in Medio Oriente, è che molti Paesi di Oriente ed Occidente sostengono le organizzazioni fondamentaliste, terroriste per interessi propri - politici, economici - e sostengono queste organizzazioni terroriste con denaro, con armi e politicamente. Questo ci duole veramente molto. E noi lo denunciamo e lo abbiamo denunciato. Chiediamo quindi alla comunità internazionale di assumersi le sue responsabilità. E quando parliamo di comunità internazionale, non intendiamo qualcosa di anonimo, ma le Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza, il Tribunale internazionale penale. Questi devono agire, altrimenti dove andiamo? Le Nazioni Unite perdono la loro ragione di essere. Questa assemblea delle nazioni è stata creata per proteggere la pace nel mondo e la giustizia, no? Adesso, però, diventa uno strumento in mano alle grandi potenze. Non è possibile accettarlo.

D. – In Libano, com’è vissuta l’avanzata dello Stato islamico?

R. – C’è ora una parte, dove si sono infiltrati, nella Beka'a, e quindi l’esercito è in agguato. Ci dispiace, però, di alcune voci a favore. In questo periodo di guerra in Siria, infatti, i confini tra Siria e Libano sono aperti e tutte queste organizzazioni si trovano sui confini. Quindi, né il Libano né la Siria possono proteggersi. Riusciamo comunque ancora a resistere.

© www.radiovaticana.org


IL  PATRIARCA BECHARA RAI SU SINODO, MEDIO ORIENTE E LIBANO  – di GIUSEPPE RUSCONI –
www.rossoporpora.org – 20 ottobre 2014



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   E’ legittimo pensare che gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano commesso ripetuti e gravi errori di strategia sia nei confronti dell’Iraq che della Siria? Se sì, gli Stati Uniti secondo Lei stanno cercando di porre riparo per quanto possibile a tali errori?
Penso di sì. Spero che vogliano rivedere la loro strategia, rendendola una strategia per la pace in tutto il Medio Oriente. Ciò significa tentare di risolvere in primo luogo il conflitto israelo-palestinese, impegnarsi in uno sforzo serio per porre fine alla guerra in Siria e in Iraq e bloccare le aggressioni delle organizzazioni terroristiche. Dovrebbero in ogni caso utilizzare la loro influenza per spingere i Paesi sunniti e sciiti a un dialogo costruttivo, così da eliminare i conflitti nella regione evitando altri disastri umanitari.
  Non sarebbe più efficace se alcuni Stati cessassero di fornire armi e acquistare petrolio dall’ Isis e bloccassero i passaggi degli estremisti islamici attraverso le proprie frontiere ?
 Certo: è questa la richiesta essenziale. Tutto il problema nasce dal fatto  che ci sono Stati d’Oriente e d’Occidente che purtroppo - per interessi politici ed economici propri -sostengono le diverse organizzazioni fondamentaliste. Alcuni con armi e denaro, altri con l’acquisto illegittimo del petrolio, altri ancora offrendo ai terroristi e ai mercenari il libero passaggio delle frontiere. Non solo: c’è anche chi sostiene i terroristi politicamente. Bisogna assolutamente che le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza facciano cessare questo tipo di “delitto”.
  Come definirebbe il conflitto in Siria?
 E' una guerra civile, ma anche una guerra tra Stati sunniti e Stati sciiti per interessi propri. Perciò è ormai una guerra senza senso. Si tratta solo di distruggere di più, di assassinare di più, di accrescere gli odi e l’esodo di popolazioni intere. Dieci milioni di siriani sono ormai rifugiati in altri Paesi e regioni, sradicati dalle loro case distrutte o gravemente danneggiate.
 Emergono in Libano divisioni tra i musulmani nel valutare quanto accade in Siria?
 I musulmani libanesi sono adesso piuttosto divisi: i sunniti sostengono l’opposizione sunnita siriana e gli sciiti sostengono il regime alleato dell’Iran e dell’ Hezbollah libanese. E’ noto però che prima dell’assassinio nel 2005 del primo ministro sunnita Hariri, sunniti e sciiti sostenevano ambedue Assad.
  Secondo Lei, dopo il prolungato attacco islamista di qualche settimana fa ad Arsal (quasi al confine con la Siria) e dopo gli scontri tra islamisti e Hezbollah, è concreto il pericolo che anche il Libano divenga terra di combattimento, con i cristiani a farne le spese maggiori? Peggio ancora: c’è il rischio che il Libano si dissolva?
Il pericolo per il Libano è reale, ma l’esercito libanese è ben preparato. Speriamo di non dover tornare a qualche anno fa, al conflitto interno: nessuna fazione vuole la guerra, pur essendo precaria, critica, la situazione della sicurezza. Tutti i libanesi aspirano e vogliono la stabilità. Il pericolo di dissoluzione è apparente: le buone volontà sono ancora più forti.

leggi tutta l'intervista qui:  http://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/428-il-patriarca-bechara-rai-su-sinodo-medio-oriente-e-libano.html



Caritas Libano: L'ondata di profughi mette a dura prova il nostro popolo

di Carlo Giorgi
Terrasanta.net  4 ottobre 2014

«Noi libanesi non siamo un gregge che vaga in una terra di nessuno: siamo i proprietari della nostra terra, siamo arrivati qui prima di tutti gli altri, anche prima dei musulmani…; siamo esseri umani che hanno il diritto di vivere dignitosamente e la comunità internazionale deve assumersi le sue responsabilità nel garantire la nostra dignità. Un fatto è certo: non possiamo essere noi a venire cacciati via e a pagare così il prezzo di altri!». Padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano, tuona durante l’incontro che ha riservato a Terrasanta.net. Le sue parole sono lo specchio dell’esasperazione di tutti i libanesi, costretti a fronteggiare praticamente da soli, una crisi senza precedenti.
A causa della guerra in Siria, infatti, negli ultimi quattro anni la pressione demografica esercitata in Libano dai profughi è cresciuta progressivamente: i profughi siriani registrati dall’Onu in Libano oggi sono un milione e 130 mila (cifra esplosiva se si pensa che è raddoppiata nel giro di un solo anno), riversandosi su uno Stato, il Libano, privo di spazio e risorse. I siriani che oggi affollano l’area metropolitana di Beirut sono oltre 310 mila. Mentre nella regione di confine della Bekaa – dove vivono 750 mila abitanti autoctoni – si sono affollati in campi profughi e rifugi di fortuna altri 420 mila siriani. Per provvedere ad una tale massa sconfinata di persone, secondo le Nazioni Unite sarebbero necessari almeno un miliardo e mezzo di dollari mentre oggi gli organismi internazionali possono contare solo su 600 mila dollari: meno della metà dei fondi necessari.
«Il Libano, che è un piccolo Paese, ha accolto molti più rifugiati di Paesi più grandi, come Giordania e Turchia – spiega padre Karam –. Sistemare queste persone, aiutarle per il cibo e i vestiti è un’impresa al di sopra delle nostre possibilità. Basti pensare al problema delle scuole: ci sono circa 600 mila studenti siriani che dovrebbero iniziare l’anno scolastico. Le nostre scuole non ne possono accogliere più di 350 mila, non c’è posto per tutti… E degli altri che cosa facciamo? Saranno educati ad essere jihadisti ? Moltissimi ragazzi rimangono fuori, ci sarebbe bisogno di insegnanti, educatori…».
Le risorse del Paese non bastano per tutti …E questo provoca tensione sociale; quando, ad esempio, la Caritas aiuta i profughi a livello sanitario, con le medicine e le cure psicologiche; e poi dice al libanese in difficoltà: con te non posso fare la stessa cosa che sto facendo gratuitamente con il siriano… la gente si arrabbia e l’odio cresce. A causa dell’aumento enorme di stranieri sul nostro territorio sono aumentati i furti, le occupazioni di appartamenti… Per non parlare di quello che è successo negli ultimi mesi ad Arsal, nella valle della Bekaa…
Si riferisce agli scontri tra l’esercito libanese e le milizie fondamentaliste?Due soldati dell’esercito libanese, uno sunnita ed uno sciita, sono stati decapitati dalle milizie dello Stato islamico; altri sono stati presi in ostaggio. Mi ha colpito il fatto che i media internazionali abbiano parlato dei tre giornalisti, due americani e uno inglese, che sono stati decapitati… mentre dei due soldati dell’esercito libanese nessuno ne ha parlato. Ho ancora negli occhi l’immagine dei loro corpi decapitati… Questo fatto ha toccato molto la popolazione libanese.
Che appello lancia alla comunità internazionale?
Il nostro popolo è stanco: ci sentiamo come il formaggio dentro un panino, morsicato da una parte e dall’altra. Abbiamo diritto di vivere in pace, vogliamo la pace. Ma che sia una pace con dignità e giustizia. Per questo dalla comunità internazionale attendiamo una pace giusta, non una pace tagliata a pezzi… Oggi siamo minacciati nella libertà e la tentazione, per molte famiglie cristiane, è quella di scappare. Ma d’altra parte, quando uno è minacciato nella sua libertà, soprattutto quella religiosa, che cosa dovrebbe fare?

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6905&wi_codseq= &language=it

mercoledì 15 ottobre 2014

Contro la sopraffazione Isis risvegliare la coscienza dell'Europa (e dell'Italia) cristiana


All'interno della Cattedrale di Bayeux, è allestita una mostra fotografica di Laurent Van der Stockt sulla guerra siriana: « Je veux montrer que ces morts sont des gens comme nous ».   http://blogs.mediapart.fr/blog/michel-puech/091014/les-syriens-du-photographe-laurent-van-der-stockt-en-la-cathedrale-de-bayeux

Intervista a Samaan Daoud, partendo da una affermazione decisamente forte del prelato caldeo Amel Nona, arcivescovo di Mosul. Una affermazione che induce alla riflessione.

di Giuseppe Marasti
da  ECONOMIA ITALIANA

«Le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e cristiani occidentali nel prossimo futuro. I vostri princìpi liberali e democratici qui non valgono nulla... L'Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra». Cosa ne pensa al riguardo?
«Io non condivido pienamente quello che ha detto il vescovo. Direi che è necessario spiegare che c'è un Islam che crede nelle libertà e nel rispetto e un Islam damasceno (siriano) che ha sempre rispettato gli altri. Senza trascurare che c'è un Islam fanatico, quello che io chiamo "Islam Politico"».

L'Italia con Mare Nostrum ha "salvato" quest'anno oltre 130.000 persone. Ma cosa significa ha "salvato"?
«Purtroppo nelle guerre galleggiano la povertà e la malavita. Per cui tanti siriani e non siriani cercano di scappare verso l'Europa, sperando di trovare la salvezza».

Non c'è alcun controllo su chi entra. Potrebbero esserci anche "tagliagole" dell'Isis...
«Certo. La prova è chiara, così come sappiamo che non pochi europei musulmani di seconda generazione sono partiti per combattere con l’Isis. Allora chi ci dice che tra i nuovi arrivi non ci possano essere dei fanatici wahabiti?».

Non le pare che si stia assistendo incredibilmente a una invasione programmata, che l'Italia tra l'altro non è più in grado di sopportare?
«Certo. In primis sappiamo che l'Islam si espande grazie al ventre delle loro donne. Inoltre i musulmani sfruttano il fatto che in Europa c'è libertà di culto, mantenendo le loro strette osservanze religiose grazie alle leggi europee, come il niqab (versione araba del velo integrale)».

Non ritiene che siamo gestiti da politici e burocrati del tutto incapaci, che non riescono a pensare prima di agire?
«Secondo me i politici italiani stanno dimostrando scarsa sensibilità e una scarsa coscienza, avendo perso buona parte dei valori cristiani. Non a caso tanti politici attaccano la Chiesa e la sua moralità».

Come vede il futuro, anche sotto il profilo economico e religioso, dell'Italia e dell'Europa più in generale?
«Non sono esperto di economia, ma parlo di fatti. Prima che la Libia venisse attaccata, l'Italia comprava il 25% del petrolio libico, ora ne acquista circa il 14%. Prima che iniziasse la guerra civile in Siria, l'Italia era il primo partner europeo. Ora invece i rapporti si sono azzerati. Ed è quanto sta succedendo con la Russia. Secondo me l'Italia da un po' di tempo non ha più una politica chiara o indipendente».

Della situazione siriana se ne parla sicuramente meno del dovuto. Fonti bene informate raccontano di non poche stragi di cristiani e di numerose chiese distrutte. Come giustifica l'assenza dell'Occidente?
«1) Perché l'Occidente rincorre i propri interessi, che identifica nell'  "Islam Politico". Idem per la Turchia, dove comandano di fatto i fratelli musulmani, il Qatar e l'Arabia Saudita. Si vede molto bene questa grande alleanza economica e politica.
2) L'Europa ha perso la sua identità Cristiana. Per questo poco importa se i cristiani in Oriente vengono massacrati. Per il Vecchio Continente c'è ora solo il "Dio Denaro"».

La nascita del fantomatico Stato Islamico gestito da terroristi spietati da chi è finanziato? E in quale misura?
«L'Isis è stato creato nel 2004 da Abu Musab al-Zarqawi, di ideologia qaedista, quando gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq. Nel 2012, dopo che gli Stati Uniti si erano ritirati dall'Iraq lasciando un grande vuoto, l'Isis lo ha subito riempito. E così sono entrati in Siria dal confine iracheno, con l'aiuto dei turchi e di altri gruppi islamisti che combattevano sul terreno siriano (Fronte di al-Nusra, Fronte Islamico, Free Syrian Army). In questo modo sono riusciti a prendere la provincia di Raqqa, ma subito dopo questa "organizzazione" ha cacciato via tutti gli altri gruppi ed è rimasta sola nella zona nord-est. Osservando tale scenario, ci si rende conto che l'Isis è stato aiutato anche dagli europei (in modo diretto o indiretto), con il beneplacito dell'America. D'altra parte l'Isis serviva agli occidentali nella guerra contro il governo di Damasco, in quanto dotata di "soldati" disposti a morire per una ideologia. Organizzazione che ha attratto peraltro sunniti da diverse parti del mondo. Non a caso in Siria ci sono jihadisti che provengono da 80 Paesi. Senza trascurare un altro tassello importante: sia l'Isis che altri gruppi islamisti sono finanziati da tutti (Europa, America, Qatar, Arabia Saudita...)».

Chi è che fornisce le armi a questi terroristi?
«La risposta è stata data dagli stessi politici europei, quando Francia, Londra e Stati Uniti hanno detto che bisognava aiutare i ribelli moderati dando loro armi non letali. C'è da ritenere che buona parte del danaro dato a questi moderati sia finito tra le mani dei jihadisti fanatici! Ma di moderati, sin dall'inizio, ce n'erano davvero?».

Mosul ed Arbil sono due cittadine irachene. Com'è la situazione ora?
«La situazione è sempre critica, si vive con la paura. I colpi di mortaio colpiscono i luoghi cristiani perché sono considerati a favore del governo di Assad. Noi cristiani viviamo in pace e stiamo bene con questo governo, possiamo esercitare la nostra fede senza problemi e viviamo in piena libertà religiosa. Ritengo che l'Islam non creda nella democrazia, così come l'Occidente non sembra intenzionato a supportare la democrazia in Siria. In buona sostanza, si vuole dominare il nostro Paese con sistemi musulmani, facendogli indossare un abito che si chiama libertà e democrazia. Per cui al primo vento, come abbiamo visto, l'abito è caduto e ci siamo dovuti confrontare con fanatici che tagliano teste e mangiano cuori».

La Chiesa cosa dovrebbe o potrebbe fare per aiutare i cristiani così ferocemente perseguitati, solo perché tali?
«Purtroppo la Chiesa si sente incapace di raffrontarsi con l'insensibilità politica in atto. Sarebbe quindi opportuno spiegare al popolo cristiano che questa guerra non è contro il "cattivo" Assad e il suo popolo, ma è una guerra contro il "diavolo" che vuole distruggere la Chiesa sia in Medio Oriente che in Europa. "Diavolo" che sta indossando l'abito dell'Islam. Mentre voi europei state subendo la perdita dei valori, soprattutto quelli inerenti la famiglia».

C'è già chi pensa anche alla legge del "contrappasso". Lei in casi estremi sarebbe d'accordo nell'applicarla?
«Io sono contro la possibilità di armare i cristiani in Medio Oriente. In Siria siamo pieni di armi. Armare i cristiani vuol dire farli uccidere tutti, in quanto sarebbe una grossa provocazione contro i musulmani e quindi si favorirebbe altro sangue».

Come si potrebbe fermare questo genocidio, che non ha proprio alcuna ragione?
«1) Prosciugare i fondi a questi gruppi di fanatici. Poi la Turchia deve chiudere il suo confine dal quale arrivano gran parte degli aiuti.
2) Obbligare i Paesi fanatici, come Arabia Saudita e Qatar, a non mandare uomini e quattrini in Siria.
 3) Fare una grossa operazione militare guidata dall'esercito arabo siriano a fronte di una collaborazione mondiale.
4) Muoversi su una politica del perdono e della riconciliazione tra tutti siriani.
5) Puntare su una nuova educazione sociale nella quale tutti i siriani siano uguali e rispettosi della legge.
6) È infine necessario studiare una nuova normativa che permetta al cristiano di essere un cittadino alla pari di un musulmano».

http://m.economiaitaliana.it/it/articolo.php/Samaan-Daoud-la-mia-ricetta-su-un-Islam-piu-liberale-e-contro-la-sopraffazione-Isis?LT=PRIMA&ID=13760

lunedì 13 ottobre 2014

Arcivescovi e sacerdoti rapiti in Siria: 540 giorni nell'oblio del mondo

Nessun indizio, nessun riscatto, nessuna informazione mai trapelata dal 22 aprile 2013. Intanto i rapitori si sono trasformati in un Califfato ricco e organizzato



di Naman Tarcha

Sono spariti nel nulla i due arcivescovi Johanna Ibrahim, vescovo Siro ortodosso, e Bulos Yazjil, vescovo greco ortodosso. Sono trascorsi esattamente 540 giorni da quel 22 aprile 2013, quando i due presuli sono stati rapiti durante una missione umanitaria di mediazione per liberare due preti siriani: p. Michel Kaial, giovane sacerdote armeno cattolico, e Isaac Mahfouz, greco ortodosso, sequestrati dai gruppi armati nel nord della Siria. 

I due arcivescovi sono stati prelevati sull'autostrada che collega la città Aleppo al confine turco siriano, mentre rientravano dalla Turchia. Rabbia e angoscia hanno segnato sin dai primi giorni, la comunità cristiana siriana per il destino dei due presuli molto amati e stimati dai fedeli.
Ibrahim, vescovo di Aleppo della chiesa Siro ortodossa, è infatti uno dei principali esponenti delle Chiese Orientali in tutto il Medio Oriente; Yazji è invece il fratello dell'attuale Patriarca Greco Ortodosso in tutto il mondo e Capo della più numerosa comunità cristiana in Siria.
Era chiaro sin dall'inizio che i rapitori erano a conoscenza della importanza di cui godevano le loro vittime; anzi, con il senno di poi, appare chiaro che tutto fosse stato progettato nei minimi dettagli. Di fatto, in tutto questo tempo non è trapelata alcuna informazione sull'identità dei rapinatori, né sul luogo e sul destino delle vittime, tantomeno sono state avanzate richieste di risarcimento o riscatto.
L'obiettivo è dunque politico. Ovvero traumatizzare le comunità cristiane in Siria, spaventarle e costringerle ad abbandonare il paese. Una tattica che rientra nel tentativo degli estremisti di svuotare il Medio Oriente dai cristiani, cittadini autoctoni e proprietari di quelle terre.
Diverse volte si era accesa la speranza per le trattative in corso, grazie alla mediazione del Qatar che, in diretto contatto con i gruppi armati, era già stato protagonista del rilascio delle monache di Maloula rapite dai terroristi di Al Nusra, gruppo affiliato ad Al Qaeda.
Malgrado i forti rapporti della Turchia con diversi gruppi armati, i negoziati tuttavia non hanno portato a nulla. Dei due arcivescovi fino ad oggi non c'è nessuna traccia e quelli che erano gruppi armati e combattenti d'opposizione nel frattempo si sono trasformati in uno Stato Islamico, con un Califfato, organizzato, attrezzato, super armato, considerato uno dei più ricchi gruppi terroristici al mondo.
Il silenzio assordante dell'Occidente su questi crimini in Siria, oggi sotto una grave minaccia di terrorismo, scuote le coscienze dei cittadini europei e accende forte dibattito sulle politiche adottate dai propri governi sull'altra sponda del Mediterraneo.
Allo stesso tempo, spinge tanti siriani a non credere alle superficiali e apparenti preoccupazioni di Usa e Europa sul destino delle minoranze etnico religiose e dei cristiani d'Oriente soprattutto, attualmente le vere vittime del terrorismo. 

venerdì 10 ottobre 2014

Padre Haddad: "Non si può pretendere di combattere l'Isis, continuando ad inviare aiuti ed armi ai cosiddetti 'ribelli' siriani"

    Dopo  l'arresto eseguito dalla polizia jihadista, padre Hanna è potuto tornare nel suo convento spogliato delle croci. 
    Pare che il tribunale islamico ora lo voglia sottoporre a processo, con l'accusa assurda di collaborazionismo con il regime di Assad. 


Raid inutili se continua flusso soldi e armi a 'ribelli' Siria

ANSAmed) - ROMA, 10 OTTOBRE
di Elisa Pinna

Non si può pretendere di combattere l'Isis, continuando ad inviare aiuti ed armi ai cosidetti 'ribelli' siriani. E' una "follia" che vanifica tutti i bombardamenti della coalizione internazionale "già per altro rivelatisi abbastanza inutili", afferma in un'intervista ad ANSAmed padre Mtanious Hadad, rappresentante a Roma della Chiesa Melchita e cittadino siriano, che in veste di cristiano orientale si sente di parlare anche a nome delle comunità cristiane orientali della Siria e dell'Iraq, "paesi ora purtroppo accomunati dallo stesso boia". 
"L'Isis è un mostro creato dagli Stati Uniti, da Israele, da alcuni paesi arabi, con l'obiettivo di colpire il governo di Baghdad in un primo momento e poi quello del presidente Assad", spiega il religioso.

La missione dei jihadisti, "i quali non hanno nulla a che spartire con il vero Islam", è quello di "frantumare Stati, di colpire la laicità e la convivenza tra le fedi".
 "In Siria - dice padre Hadad - non esiste alcuna guerra civile. La guerra è tra i siriani e i terroristi. Non ci sono ribelli buoni o democratici: tutti hanno le armi e le usano per distruggere uno Stato laico, con un Presidente eletto dal suo popolo".

"Stati Uniti, Israele, paesi del Golfo, tra cui in prima fila Qatar e Arabia Saudita hanno contribuito con soldi, armi, addestramento a creare - secondo Hadad - i gruppi di combattenti anti-Assad che compongono l'Isis. Si tratta di mercenari assetati di sangue che provengono da 80 paesi.
 A pagare il prezzo più alto del terrorismo fomentato soprattutto dall'estero sono stati i cristiani, sottolinea Hadad,che è anche archimandrita e Rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma. "In Iraq, i cristiani erano un milione e 500 mila ed ora sono rimasti in 300 mila. Anche in Siria, i cristiani più ricchi sono già emigrati negli Stati Uniti o in Australia. Prima della guerra, la comunità cristiana rappresentava il 10% della popolazione, ora si calcola che sia scesa all'8%". Molti cristiani siriani si trovano nei paesi circostanti, con la speranza di tornare. Altri sono rimasti in patria perche' hanno figli o parenti nell'esercito nazionale.

"Tuttavia - commenta ancora l'apocrisario melchita - se questa situazione si protrarrà ancora a lungo, vi è un pericolo concreto che i cristiani siano costretti a lasciare la loro terra per sempre, la terra in cui vivono da duemila anni". 
Padre Hadad si chiede come sia possibile che Obama parli di "tre anni" per estirpare l'Isis. "una coalizione internazionale contro un gruppo di 30 mila persone. E' uno scherzo?" 
A suo avviso, per sconfiggere il terrorismo in Medioriente, serve piuttosto "una presa di coscienza generale e l'umiltà di riconoscere i propri errori". 
"Le condizioni per mettere fine ad una guerra sporca che va avanti ormai da più di tre anni non sono difficili da individuare: interrompere il flusso di armi e denaro ai jihadisti, fermare il passaggio di terroristi dalla Turchia, non comprare il petrolio messo in vendita dall'Isis sul mercato nero, sempre attraverso la Turchia".
"La Siria in un mese tornerebbe alla pace, se riuscisse a liberarsi dal terrorismo straniero". Ed anche per i cristiani della regione - conclude padre Hadad - ci sarebbe una speranza in più di rimanere nella loro terra. 

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/italia/2014/10/10/isis-cristiani-doriente-mostro-creato-da-politica-usa_4efcf097-9cb5-4dec-9912-68008cd04ecd.html



La presenza dei cristiani in Medio Oriente è "una garanzia per tutti"

La testimonianza di mons. Mtanious Haddad, Procuratore del Patriarca Greco-Melkita-Cattolica e Rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma


giovedì 9 ottobre 2014

Liberato Padre Hanna Jallouf



La Custodia di Terra Santa conferma la notizia giunta pochi minuti fa dalla Siria. Dopo la liberazione di alcune donne che facevano parte del gruppo di parrocchiani di Knayeh (villaggio cristiano nella Valle dell'Oronte) prelevati da miliziani jihadisti vicini al movimento Al Nusra nella notte tra il 5 e 6 ottobre, anche il parroco fra Hanna Jallouf ha potuto tornare a casa. Al telefono il frate minore ha confermato di essere rientrato al convento di San Giuseppe dove è stato posto, per così dire, «agli arresti domiciliari». Il frate può muoversi liberamente nel villaggio, ma non allontanarsi da Knayeh.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6919&wi_codseq=SI001 &language=it

Liberate quattro donne rapite insieme a padre Hanna; nessun messaggio dai rapitori

Agenzia Fides.  9/10/2014

Nella giornata di ieri sono state liberate le 4 donne che facevano parte del gruppo di circa venti ostaggi sequestrati da una banda armata insieme a padre Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh, nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 ottobre (vedi Fides 7/10/2014). Lo riferisce all’Agenzia Fides il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. “Alle donne liberate - spiega il Vescovo Abou Khazen - i rapitori non hanno detto niente. Non sono state nemmeno interrogate”. Fonti locali confermano che i sequestratori erano armati. Finora gli autori del sequestro non hanno fatto pervenire alcun messaggio ai parenti e agli amici dei sequestrati, non si sono qualificati e non hanno fatto rivendicazioni. Ma il numero così cospicuo dei rapiti lascia intuire che non si tratti di banditi comuni. La Custodia Francescana di Terra Santa ha attribuito il sequestro collettivo ad una brigata di Jabhat al-Nusra, la fazione jihadista che controlla l'area. Il luogo di detenzione dei sequestrati dista pochi chilometri dal villaggio di Knayeh.
Il Vescovo Georges Abou Khazen riferisce a Fides le espressioni di affetto che giungono da tutta la Siria alla comunità cattolica di Knayeh, dove opera anche suor Patrizia Guarino, delle Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria. “Suor Patrizia - racconta il Vescovo Abou Khazen - è venerata da tutti. Lei è l'infermiera del villaggio, e tutti la vedono anche come una guida spirituale, che aiuta a guarire non solo le malattie e i dolori del corpo, ma anche le sofferenze dell'anima”.

http://www.fides.org/it/news/56114-ASIA_SIRIA_Liberate_quattro_donne_rapite_insieme_a_padre_Hanna_nessun_messaggio_dai_rapitori#.VDaRymAcT84

martedì 7 ottobre 2014

Rapimento di padre Hanna Jallouf OFM: chiediamo la preghiera di tutti i cristiani!


A Maria, regina della vittoria di Lepanto, nostra Signora del Rosario , chiediamo la liberazione del Parroco e dei tanti cristiani del villaggio di Knayeh  rapiti dagli islamisti  e la protezione per i frati e delle suore che vivono nelle zone controllate dalle brigate di Al Nusra

Il Vescovo Khazen conferma: rapiti il parroco e una ventina di cristiani del villaggio di Knayeh

Agenzia Fides 7/10/2014

“Purtroppo devo confermare la notizia del rapimento di padre Hanna Jallouf OFM, parroco siriano nel villaggio di Knayeh, che è stato sequestrato insieme a una ventina di cristiani”. Così riferisce all'Agenzia Fides il Vescovo Georges Abou Khazen O.F.M., Vicario Apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. 
“Il sequestro collettivo - aggiunge il Vescovo Khazen - è avvenuto nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 ottobre. Al momento non sappiamo chi li abbia sequestrati, se sono stati gruppi di jihadisti o altri. Non riusciamo a contattare nessuno, e non siamo stati contattati da nessuno. Sappiamo soltanto che anche ieri il convento è stato saccheggiato, e altre persone del villaggio si sono nascoste. Tra i rapiti ci sono giovani, sia ragazzi che ragazze”.
Knayeh è un villaggio cristiano nella valle dell'Oronte, nella Siria settentrionale, vicino al confine con la Turchia. I frati minori della Custodia di Terra Santa sono presenti nella valle dell'Oronte da oltre 125 anni. Prima che iniziasse il conflitto, il convento, il centro giovanile, l'asilo e l'ambulatorio, gestito dalle suore francescane, erano, come lo sono anche oggi, il centro della vita del villaggio. Padre Jallouf animava con entusiasmo le attività parrocchiali, l'oratorio, le iniziative estive, le giornate di ritiro e di spiritualità.




In Siria un frate della Custodia rapito con una ventina di parrocchiani

Terrasanta.net | 7 ottobre 2014

Da Gerusalemme, dove ha sede la curia della Custodia di Terra Santa, giunge la conferma del rapimento in Siria di un frate della comunità: il siriano fra Hanna Jallouf (52 anni). 
Il religioso è parroco del villaggio cristiano di Knayeh, nella vallata del fiume Oronte vicino al confine con la Turchia, ed è stato prelevato nella notte tra il 5 e 6 ottobre con una ventina di altri ostaggi. Gli autori del sequestro sarebbero uomini armati vicini al movimento jihadista Jahbat Al-Nusra. Alcune suore francescane sono riuscite a scampare al sequestro trovando rifugio in alcune case private.

Nel 2008 quando la Siria non era ancora stata stravolta dal conflitto in atto, un servizio al lavoro di fra Hanna era stato pubblicato su Eco di Terra Santa. I frati minori della Custodia – riferivamo - sono presenti nella valle dell’Oronte da oltre 125 anni. Il convento, il centro giovanile, l’asilo e l’ambulatorio di Knayeh, gestito dalle suore francescane, sono anche oggi il centro della vita del villaggio, che conserva con orgoglio una forte identità cristiana e ha fornito alla Chiesa siriana molte vocazioni sacerdotali e religiose, sia maschili sia femminili. 
«Secondo la tradizione – spiegava fra Hanna al nostro direttore Giuseppe Caffulli - san Paolo dopo aver avuto la notizia e la gioia di poter convertire gli elleni al cristianesimo, si recò da Gerusalemme verso Antiochia. Allora c’erano tre strade che collegavano Apamea ad Antiochia. Una era la strada militare verso Aleppo, un’altra passava vicino al corso dell’Oronte, per sei mesi impraticabile a causa delle piene; una terza passava proprio dietro questa collina. Senz’altro san Paolo è passato di qua, evangelizzando queste terre. Insomma, siamo certamente i discendenti dei primi cristiani convertiti dall’apostolo missionario».
Abuna Hanna ad Amman (in Giordania) è stato direttore del prestigioso Collegio di Terra Santa, ma poi è tornato tra le montagne dell’Oronte. «La mia famiglia – spiegava ai lettori di Eco - proviene da queste valli e per me è stato un gradito ritorno a casa. Ma anche una nuova sfida, perché i villaggi dell’Oronte, un tempo il fiore all’occhiello del cattolicesimo di Siria, stanno conoscendo oggi una pesante diaspora… I giovani se ne vanno in cerca di lavoro e di fortuna. E questo indebolisce le comunità cristiane, mette in pericolo l’esistenza stessa delle nostre chiese. Di fronte a questa situazione, serve nuovamente scommettere sul futuro».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6911&wi_codseq= &language=it

Syria: Statement of the Custody: 

http://fr.custodia.org/default.asp?id=1019&id_n=27828



Da due anni lui e i suoi fedeli vivevano sul filo del rasoio. Tollerati e sopportati, ma minacciati e controllati.

Il Giornale Mar, 07/10/2014 
Gian Micalessin

 Ora anche quell'incerto limbo è tramontato. Da domenica notte il padre francescano Hanna Jallouf e venti suoi parrocchiani sono prigionieri, ostaggi dei militanti Al Qaidisti di Al Nusra. E per duemila cristiani, stretti tra la frontiera turca e la turbolenta regione di Idlib roccaforte dei ribelli jihadisti di Al Nusra rischiano di aprirsi le porte dell'inferno.
Loro sono i cristiani di Knayem, Yacoubieh e Jdeideh, tre parrocchie del fiume Oronte dove la cristianità è di casa da duemila anni. Il primo ultimatum era arrivato un anno fa quando i capi jihadisti della zona avevano sancito le condizioni alle quali erano disposti a sopportar ela presenza cristiana sui propri territori. "Tutte le croci debbono sparire. È proibito suonare le campane. Le donne non debbono uscire di casa senza coprirsi la faccia e i capelli. Le statue devono sparire. In caso d'inadempienza, si applicherà la legge islamica". Come dire chi non si adegua o se ne va o verrà fatto fuori. Quell’ultimo terribile “aut aut” riassumeva le condizioni imposte non solo ai Cristiani dell’Oronte, ma a quelli di tutta la Siria. Padre Hanna Jallouf, il parroco di Knaye conosciuto dai fedeli come Abu Hanna, l’aveva capito da tempo. 
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continua la lettura qui: http://www.ilgiornale.it/news/mondo/siria-padre-francescano-rapito-dai-jihadisti-nusra-1057812.html

lunedì 6 ottobre 2014

Appunti di viaggio, di Samaan Daoud



Grazie all' invito del mio caro amico Gianantonio Micalessin, ho potuto partecipare in Italia all’evento del Meeting di Rimini per presentare insieme a lui il suo documentario “Maalula l’ultima trincea”.
Mi ha colpito molto l’organizzazione del Meeting che era cosi elegante e così bella, è stata una nuova esperienza; mi ha molto impressionato la gente attenta che c’era durante la presentazione del documentario (quasi 3000 persone). E grazie al Meeting e a Cl (comunione e liberazione) e a Ora pro Siria ho avuto altri incontri.

Il 30 agosto ho iniziato il mio giro nelle varie zone d’Italia, nelle parrocchie, nei centri culturali e nei monasteri, dicendo a tutti gli italiani che incontravo che la Siria, la culla del cristianesimo e Damasco dove San Paolo ha riconosciuto Gesù Cristo, ora la Siria e soprattutto i cristiani della Siria rischiano la vita, vengono perseguitati ed uccisi come è successo ai tre giovani Martiri di Maalula. Noi in Siria siamo dei Martiri Viventi. 
Noi non stiamo cercando la morte ma il Diavolo sta operando e sta usando il fanatismo e l’estremismo religioso che trova una terra fertile nel pensiero Wahabita (Saudita) e nella politica dei Fratelli Musulmani (Qatar, Turchia, Tunisia). Questo progetto diabolico ha trovato insensibile la coscienza dei politici: vi hanno fatto capire che quello che sta succedendo in Siria è dovuto a un regime che sta ammazzando il popolo civile. Ma la verità è tutta un' altra. La verita’ è che in Siria ci sono ora molti gruppi jihadisti che arrivano da tutto il mondo e ci sono 3000 europei che combattono in Siria a fianco di ISIS. E che tanti ancora sono pronti ad operare pure in Europa nelle vostre case.
Ho parlato della sofferenza quotidiana della chiesa siriana (Maalula, Sadad, Aleppo, Raqqa, Maharde) e di come i cristiani stanno dando un grande esempio della fede in Cristo.

Mi ha colpito molto nei miei incontri il grande numero di persone che viene ad ascoltarmi, ad ascoltare un semplice siriano cristiano, ma che ama molto la sua terra ed è innamorato di Gesu’ Cristo e di Don Bosco. Mi rimarrà impresso in mente l’incontro di Bergamo in cui la sala dei frati cappuccini era piena e non poteva più contenere le persone ma la gente e’ stata lo stesso in piedi per più di due ore. Lo stesso e’ successo nella zona di Reggio Emilia: la gente e’ stata in piedi ed alcuni erano fuori ad ascoltare dalle finestre.
Quello che ho notato è che tanti italiani non sanno quasi niente di tutto quello che sta succedendo in Siria o in medio oriente, c'è una vera mancanza d’informazione, ed altri sanno poco ma non tanto chiaro.
Mi ha commosso molto il dialogo con le suore che ho incontrato in alcuni monasteri, perchè ho visto nei loro occhi una forte e costante preghiera sincera per noi.

Quando ero ancora in Italia mi ha sorpreso molto la decisione dell’America di colpire ISIS. Che ridicolo questo. L'America ed i suoi alleati occidentali ed Arabi decidono di colpire ISIS mentre questi stessi da 3 anni stanno armando i cosiddetti ribelli moderati. La domanda che ho fatto negli incontri era : chi sono quei moderati dei quali parla l’America e l’Occidente?
Non esiste moderazione nelle guerre. Anzi quelli che prima si chiamavano FSA (free Syrian army) sono diventati o Fronte aL-Nusra, o Fronte Islamico, o ISIS.
La prova è questa: chi ha realizzato l’attentato qualche giorno fa contro una scuola elementare a Homs causando la morte di 46 bambini? tenendo conto che ISIS non c'è nella zona di Homs... anzi ci sono solamente i cosiddetti moderati nella zona di AL-Wa’ar. 
Come il fatto che non vien mai menzionato, su di noi a Damasco piovono ogni giorno bombe che provengono da Jobar e dai quartieri in mano ai 'ribelli moderati', che colpiscono i civili anche nelle zone cristiane come Kassa e Bab Touma... Lo sapevate? : su Damasco  ci sono stati 1.887 attacchi con colpi di mortaio  solo durante i mesi di agosto e settembre, uccidendo 296 civili e ferendone  altri 1487!

Secondo me l’Occidente sta giocando col fuoco e questo fuoco prima e poi arriverà a casa vostra.
Italiani state ATTENTI.

A molte persone che mi chiedevano come aiutare i cristiani siriani suggerisco di sostenere i progetti di tanti che qui cercano di resistere, costruendo nella dignità e nello sforzo di salvare la propria umanità  opere di riconciliazione e piccole attività lavorative ed educative.

Spero di rivedervi tutti nel prossimo viaggio che, a Dio piacendo, farò in aprile in Italia 
( se volete potrete contattarmi tramite Ora pro Siria ).

Non dimenticateci: pregate per la Siria e i suoi cristiani!

  Samaan Daoud

sabato 4 ottobre 2014

L’odio, la morte e un’altra logica


la chiesa maronita di Hamidieh di Aleppo colpita da un missile degli islamisti


sepolti insieme i 50 bambini della scuola Akrama di Homs

il memoriale del genocidio armeno di Deir elZor distrutto da ISIS






giovedì 2 ottobre 2014

" .....perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli."
















1 ottobre 2014 : Scuola primaria Akrema , Homs: autobombe di 'ribelli moderati' , esplose al momento dell'uscita dalla scuola,  uccidono 52 persone , di cui 46  bambini .

martedì 30 settembre 2014

Il Patriarca caldeo: dietro la guerra, giochi politici sporchi

«Se non ci aiuta il Signore, per noi non c’è futuro». Si avverte anche sofferenza e apprensione nel Patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I. L'apprensione del pastore che vede il gregge in pericolo. La sofferenza del figlio della Chiesa caldea che vede correre verso la dissipazione una lunga storia cristiana, quella che ha irrigato per millenni le terre tra i due fiumi della Mesopotamia. E a angustiarlo non sono soltanto i sanguinari jihadisti dello  Stato Islamico. 



Vaticaninsider - 29/09/2014
Intervista di Gianni Valente

Davanti alle sofferenze del suo popolo, cosa si può fare fare? Qual è, adesso, il vostro compito?

La prima cosa è consolare chi soffre e ha paura, aiutare tutti, e soprattutto incoraggiare la gente a perseverare e restare saldi nella loro fede e nella loro terra. A non andar via. A rimanere. Quelli che vogliono, certo. Senza forzare nessuno. Ma è nostro dovere orientare le persone con lo sguardo che ci suggerisce il Vangelo. Quelli che vanno via devono sapere che l'Occidente non è la terra promessa, tantomeno il Paradiso.

Ma tanti vogliono solo scappare.

Il momento che stiamo vivendo è anche una prova. Ognuno di noi è chiamato a guardare nel suo cuore, e può scoprire anche che la consolazione del Signore è l'unica forza e l'unico tesoro. Quello che abbiamo di più caro. Ma molti sono vittime di questa frenesia di fuggire. Non riescono nemmeno a pensare a quello che sta succedendo davvero alle loro vite. Cercano un futuro. Ma la speranza di un futuro migliore, per chi ha il dono della fede, non può ridursi solo alla ricerca di una vita più agevole.

Eppure un vescovo, negli Stati Uniti, sta trattando anche con la Casa Bianca per organizzare il trasferimento negli Usa di decine di migliaia di caldei.

Quel vescovo pensa sicuramente “all'americana”, ma non sembra pensare e agire secondo il Vangelo. E poi è fuori dalla situazione concreta in cui viviamo. In America hanno messo i cesti con le richieste di asilo sopra l'altare, durante la messa. Come se la migrazione di migliaia di cristiani iracheni negli Usa fosse qualcosa su cui invocare la benedizione di Dio. Una scena strana, che non fa che confondere la fede di tanti. Purtroppo alcuni ecclesiastici diventano  businessmen invece di rimanere pastori delle anime. Ragionano in termini di business e non di pastorale evangelica, anche riguardo ai fedeli. Per qualcuno sono soltanto numeri, con cui far crescere sulla carta la quota dei battezzati su cui hanno giurisdizione. Li fanno trasferire da una situazione brutta a un'altra che alla lunga può risultare ancora più miserabile. Lasciati a se stessi, senza una adeguata cura pastorale.

Lei cosa si sente di dire a chi vuole andar via?

Lo ripeto: ogni cristiano, nella sua coscienza, deve pensare a quale futuro cerca. Provare a sentire l'amore di Dio in questa situazione. Interrogarsi su cosa gli sta chiedendo il Signore in questo momento. E magari accorgersi che noi abbiamo un futuro qui, in questa nostra terra martoriata e benedetta. E che tutto il Paese rappresenta la nostra missione.
 Il Presidente curdo Barzani, quando è venuto a trovarci con Hollande, ci ha detto: voi dovete avere pazienza, dovete rimanere. Dovete imparare da noi curdi, che abbiamo sofferto ma adesso abbiamo i nostri diritti. Prendere lezioni di perseveranza. A noi cristiani può far bene anche questo.

Intanto, gruppi cristiani con base negli Usa cercano - e dicono di trovare – proseliti nei campi profughi. Anche tra i non cristiani.

È un guaio. Una cosa immorale. Approfittano delle difficoltà e delle sofferenze di un popolo. Anche loro ragionano in termini di business, da manager della religione in cerca di clienti.

Contro i jihadisti dello Stato Islamico si sono costituiti anche gruppi armati che si presentano come “milizie cristiane”. Cosa ne pensa?

Ai politici, anche cristiani, che me l'hanno chiesto, ho detto sempre: se alcuni cristiani vogliono partecipare alla difesa o alla lotta per liberare le terre conquistate dai jihadisti, che entrino nell'esercito curdo o in quello nazionale iracheno. Fare delle “milizie cristiane”, che si connotano in maniera etnico-religiosa, è una follia e un suicidio, oltre a essere illegale.

Gli Usa hanno iniziato l'intervento armato con la “coalizione”. In Iraq, qualcosa del genere lo avete già visto.

Tutto questo mi sembra un gioco politico sporco. Bombardare questi jihadisti non li farà certo sparire. C'è il pericolo di uccidere tanti innocenti. Si distruggono le infrastrutture, che rimarranno distrutte. Gli americani già lo hanno fatto: hanno distrutto il Paese e non lo hanno ricostruito. La cosa più grave è che adesso tutti ripetono: la guerra durerà anni. Così mandano un doppio messaggio, pericolosissimo. Ai jihadisti dicono: tranquilli, avete tempo per organizzarvi con calma, trovare altri soldi, arruolare altri militanti a pagamento. Agli altri, al popolo dei rifugiati dicono: ne avrete per anni, per voi il futuro è possibile solo altrove, lontano dalle vostre case. E' meglio che ve ne andiate, se ci riuscite. Se si vuole davvero farla finita con i gruppi estremisti, si deve lavorare sull’educazione e sulla formazione, con programmi che davvero facciano percepire la falsità e la mostruosità di quell’ideologia sanguinaria.

Intanto, in Occidente, qualcuno ha provato a ritirar fuori lo stereotipo dello scontro di civiltà e degli islamici nemici della civiltà occidentale.

La realtà è che l'Occidente non ha altri moventi oltre ai propri interessi economici e di potere. Anche quest'ultima entità che si fa chiamare Stato Islamico è stata nutrita per anni con soldi e armi che venivano da Paesi cosiddetti “amici” dell'Occidente. Coi servizi segreti, quando vogliono, possono sapere tutto di ognuno di noi. Come mai non sanno da dove passano le armi, o a chi vendono oggi il petrolio? Gli Usa si sono mossi quando hanno decapitato i 2 poveri americani. E tutti quelli - siriani, iracheni, cristiani e musulmani – che avevano ammazzato e sgozzato fino a allora?

In tutto questo, c'è qualcosa che la fa sperare?

La scorsa settimana, a Baghdad, noi sacerdoti abbiamo fatto tutti insieme gli esercizi spirituali. I nostri preti fanno miracoli, malgrado tutta questa situazione: liturgie, catechismo, attività sociali e di carità, teatro, tante cose belle. A questo ci chiama oggi il Signore: consolare le persone, aiutarle a avere pazienza, a non perdere la speranza. Adesso è la cosa più importante.

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/iraq-iraq-irak-sako-36598/

L’Arcivescovo armeno di Aleppo: per il popolo, gli autori dei raid non sono certo dei “liberatori”


Agenzia Fides - 24/9/2014

I raid aerei contro le basi jihadiste in Siria, realizzati dagli Usa con il sostegno di alcuni Paesi arabi, non suscitano attese positive tra la popolazione siriana di Aleppo, timorosa “che questo tipo di intervento esterno possa peggiorare la situazione”. Lo riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati. “Qui la gente non ha una visione chiara di quello che sta succedendo - fa notare l'Arcivescovo - ma certo non vede gli autori dei bombardamenti come dei 'liberatori'. Il sentimento prevalente è che i raid non risolveranno i problemi, e potrebbero addirittura aumentarli. Aumenta ancora l'incertezza che tutti vivono ogni giorno. Quella con cui, ogni giorno, i padri e le madri di famiglia si chiedono se sia ancora possibile rimanere o se l'unica salvezza sia ormai da cercare nella fuga”.
Intanto le scuole nei quartieri di Aleppo controllati dal governo hanno riaperto. I capi delle Chiese e delle comunità cristiane si incontrano una volta al mese – la prossima riunione sarà sabato prossimo – per fare il punto della situazione e trovare forme condivise per alleviare le sofferenze e le difficoltà del popolo: “noi rimaniamo qui - ripete l'Arcivescovo Marayati - e cerchiamo di sostenere tutti per fare in modo che rimangano qui, che non vadano via, finchè è possibile. C'è acqua solo due ore al giorno, sui nostri quartieri cadono ogni giorno i missili dei ribelli, manca il cibo. Tanti vanno via. Ma c'è anche chi è tornato dal Libano e dall'area costiera di Lattakia, quando sono ricominciate le scuole. Il nostro unico compito, in questa situazione, è cercare di far vivere i germogli di speranza che fioriscono tra le macerie”.

venerdì 26 settembre 2014

Il Vescovo di Aleppo: l'intervento armato contro l'ISIS porterà altro caos



Intervista a padre Georges Abou Khazen

di Davide Malacaria

Ormai il 60% della popolazione ha abbandonato Aleppo, la città siriana che sta diventando il simbolo di questa guerra che dura tempo e che molti si ostinano a chiamare civile, ma che di civile non ha nulla. Simbolo perché la presenza cristiana è più numerosa che altrove in Siria, anche se ora è ridotta a un piccolo gregge. E perché ormai da anni resta in un tragico stallo che vede metà città occupata dai tagliagole anti-Assad che rendono impossibile la vita nei quartieri non occupati. I cosiddetti ribelli vi imperversano con bombardamenti continui, giorno e notte, e nei mesi scorsi hanno tagliato per ben due volte le tubature che rifornivano di acqua l’intera popolazione civile. Il vescovo di Aleppo, padre Georges Abou Khazen, racconta di quei giorni, quando flussi continui di gente si affollavano presso le fontane edificate vicino a chiese e moschee per tentare di limitare i danni di quell’atto terroristico che ha prostrato la città. Una penuria di acqua che ancora continua, nonostante il ripristino della rete idrica, aumentando i disagi di una popolazione stremata dai bombardamenti continui.

È a Roma il vescovo, come altri nuovi vescovi di fresca nomina riuniti in Vaticano. E lo incontriamo alla Delegazione di Terra Santa, sua dimora provvisoria prima di tornare alla sua città che da poco, rivela, sta conoscendo un nuovo orrore: i cannoni dell’inferno, come gli jihadisti chiamano il loro ultimo ritrovato balistico. Si tratta di bombole di gas che i cosiddetti ribelli anti-Assad lanciano a grande distanza e fanno esplodere contro civili inermi, spesso modificati applicando sulla bomba artigianale pezzi si ferro e altro che, nell’esplosione, spandono all’intorno schegge, aumentandone la portata letale. Una sorta di bombe a frammentazione fatte in casa, vietate dalle convenzioni internazionali. Bombole di gas che probabilmente arrivano in Siria sotto forma di aiuti umanitari alla popolazione…

Inoltre, prosegue il presule, i miliziani hanno iniziato a usare i tunnel sotterranei che partono dalla cittadella, l’antica fortezza di Aleppo, per raggiungere le varie zone della città: in particolare per piazzare i loro ordigni esplosivi sotto gli edifici storici; ormai il suk, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è un cumulo di macerie.

A monsignore chiediamo dell’Isis, che incombe a 20 chilometri da Aleppo. «Ora si parla tanto di Isis – risponde – e americani e altri vogliono intervenire per fermarlo. Ma temo che si stia ripetendo un tragico errore: ogni volta che gli americani sono intervenuti militarmente in una regione hanno solo alimentato il caos e le divisioni. A proposito di questo Isis c’è poi da ricordare che Hillary Clinton di recente ha detto che gli Usa si trovano a combattere ciò che hanno creato loro stessi. Già perché l’Isis fu creato per andare contro Assad… ».
Non che non serva intervenire, specifica monsignore, ma per fermare questo mostro serve ben altro che le bombe: «Anzitutto occorre fermare i finanziamenti e il flusso di armi verso questi miliziani: hanno armi sofisticatissime, chi gliele dà?». Gli diciamo che sui giornali italiani scrivono che questi armamenti sono stati saccheggiati dall’Isis all’esercito iracheno. Sorride ironico: vero in parte, spiega, e in parte no. «Poi bisogna smettere di comprare il petrolio dall’Isis», continua. Anche qui accenniamo a quanto riferiscono i giornali, secondo i quali sarebbe venduto ad Assad e agli iracheni. Sorride di nuovo: «Lo comprano le grandi compagnie petrolifere, a dieci dollari al barile invece che a cento…», afferma con sicurezza, come di cosa che in Siria sanno anche i sassi.

E invece continuano a rullare i tamburi di guerra. «Un intervento militare – prosegue il presule – aumenterà la destabilizzazione e renderà ancora più difficile la convivenza tra islamici e cristiani. E dire che questa è andata avanti per secoli, nonostante episodi critici. La Siria era esemplare in questo: c’era convivenza, pluralismo, rispetto. Una caratteristica che ancora dura, anche sotto le bombe cristiani e musulmani si sostengono a vicenda, si aiutano come possono. Questo anche perché per secoli il punto di riferimento degli islamici è stata l’Università di Al Azar, al Cairo, che propugnava un islam moderato. Oggi si sta diffondendo un islam più intransigente, quello wahabita dell’Arabia Saudita: i miliziani apportatori di morte e distruzione vengono da queste scuole, sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria, quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E istituiscono i loro tribunali. Sono cose ignote all’islam della regione. E dire che l’Arabia Saudita sembra sia l’asse portante dell’alleanza che si sta formando contro l’Isis… ». Chiosa monsignore. Lo incalziamo, spiegando che in Occidente si pensa che siamo di fronte a una guerra tra islam e cristianesimo. Non è così, ripete: gli jihadisti ammazzano anche gli islamici che non la pensano come loro, buttano giù le loro moschee. Non è così, ripete.

Gli Stati Uniti, oltre a programmare l’intervento militare, hanno deciso di armare i ribelli moderati siriani. Chiediamo a monsignore cosa ne pensa di questa decisione. «Moderati? E quali sono? Ce lo dicano, noi in Siria non ne vediamo. Tutto il mondo ora parla dell’Isis, ma tutti i gruppi armati che stanno insanguinando la Siria fanno barbarie simili a quelle dell’Isis. Un tempo c’erano anche siriani tra i cosiddetti ribelli, ma oggi l’80% di questi sono stranieri. Non ci sono moderati in Siria. Tra l’altro lo stesso Obama ha detto solo un mese fa che parlare di ribelli moderati in Siria è solo “fantasia”… non ne verrà nulla di buono da questa decisione. Sono armi che vanno in mano a terroristi, ad Al Qaeda». Tra l’altro racconta dei tanti siriani che sono fuoriusciti dalle fila dei ribelli per tornare con Damasco. Un fenomeno carsico che ha interessato centinaia, se non migliaia di persone, del quale l’Occidente ignora l’esistenza.

Resta che Assad è dipinto come un tiranno sanguinario da tutti i media nostrani… «Non sarà la Regina d’Inghilterra, ma ci sono tanti regimi dispotici nel mondo arabo – risponde monsignore -. Parlano delle violazioni dei diritti dell’uomo da parte di Assad… guardino l’Arabia Saudita, dove alle donne è proibito praticamente tutto. Dove a chi non è wahabita è proibito anche pregare in pubblico… Avevano chiesto che il regime si aprisse: Assad ha aperto al pluralismo e nelle ultime elezioni c’erano diversi partiti. Nonostante la guerra sono state abolite le leggi d’emergenza. Ha dato vita a una nuova Costituzione. Alle elezioni il popolo lo ha votato in massa. Certo, non si tratta di una democrazia occidentale, ma ci sono regimi molto peggiori in Medio Oriente…», conclude. E aggiunge che dei cristiani non c’è più traccia nelle zone cadute in mano ai ribelli: le chiese sono state distrutte e non ci sono più sacerdoti né suore né fedeli. Una situazione particolarmente dolorosa per il vescovo.

Già, la Chiesa, come vive in questa tempesta? Monsignor Abou Khazen non fa discorsi teorici, parla di cose. E racconta dei 25.000 pasti che i gesuiti preparano ogni giorno per gli abitanti di Aleppo, cristiani e islamici. Un’opera sostenuta anche grazie alle donazioni di musulmani in quello che appare un ecumenismo della carità. Come tanta è la carità dispiegata nei quartieri cristiani verso i profughi musulmani che vi si affollano. Racconta dell’ospitalità delle famiglie cristiane, della loro sollecitudine verso questa gente che ha perso tutto. «Ci sono tanti ragazzi volontari che portano assistenza a queste persone, sia a livello umanitario, sia a livello psicologico, con particolare riguardo ai bambini». Ma cose analoghe capitano anche all’inverso, nei quartieri islamici dove trovano rifugio i cristiani.


Quindi racconta degli anziani e dei portatori di handicap ospitati in un locale del Vicariato: «Si trovavano in una struttura islamica che è stata bombardata dai miliziani, così li abbiamo ospitati noi. All’inizio c’erano anche dei bambini di un orfanotrofio, ma questi ultimi abbiamo dovuto spostarli in un’altra struttura, dal momento che era un po’ ingestibile. Questi locali appartenevano a uno studentato tenuto dalle suore. Pieni di crocifissi e immagini religiose. Immagini e crocifissi sono ancora tutti lì, insieme ai nostri ospiti che li hanno rispettati in maniera commovente». Il volto di monsignore si illumina mentre parla dei suoi “ospiti”, e rallegra il cuore.

Lo studentato è dedicato a “Gesù operaio”, specifica il presule. Quel titolo umile sta ancora lì, scolpito sulla pietra all’ingresso di questa struttura che ospita gli ultimi degli ultimi. Stride questa umiltà con il mostro feroce che ruggisce d’attorno.. Ma da queste parti è così da duemila anni. Dalla strage degli innocenti. Quella compiuta da Erode: non un truce islamista, ma uno scaltro funzionario dell’Impero.



Le ferite di Aleppo. Parla il vescovo Abou Khazen

«Mi viene da piangere confrontando quello che Aleppo e la Siria hanno rappresentato per secoli nella cultura, nell’arte e nella religione con lo scempio a cui siamo sottoposti in questi mesi. Ma sono convinto che siamo ancora in tempo per salvare questo tesoro dell’umanità»
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