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martedì 27 agosto 2013

«Chi vuole la guerra non vuole il bene della Siria». «Noi cristiani siriani, venduti dall'Occidente per il petrolio»

«Si fermi il rumore delle armi». Appello contro l’intervento militare in Siria 
Sottoscrivete l’appello di Tempi, Ora pro Siria e Samizdat-on-line contro l’intervento militare in Siria. Il testo con le firme sarà inviato ai parlamentari italiani e al ministro degli Esteri Emma Bonino

Mons. Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico-osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, boccia senza sconti qualsiasi opzione militare per la Siria. Rilancia la via diplomatica e l’allarme per la moltiplicazione di presenze militari straniere e per la degenerazione del conflitto, di cui farebbero le spese le minoranze. In particolare quella cristiana che sta come un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro.





AVVENIRE - 7 agosto 2013
intervista di Giorgio Paolucci

È ancora possibile un’azione diplomatica efficace per risolvere il caso siriano o dobbiamo rassegnarci alla logica delle armi?
Una soluzione militare non è realistica, sono convinto che la via della ragione possa prevalere. Anche se una parte vincesse, sarà necessario un periodo di riconciliazione e di ricostruzione politica, economica e sociale. La guerra civile non porterà alcuna soluzione, è un’assurdità e serve interessi estranei alla popolazione. Sta distruggendo non solo le infrastrutture ma anche l’economia e soprattutto le persone e il tessuto sociale, il futuro del Paese ne sarà condizionato per decenni. Chi vuole la guerra non ama la Siria. Rimane la possibilità di riprendere la conferenza diplomatica di Ginevra con la partecipazione dei Paesi della regione implicati nel conflitto, fermando l’invio di armi a tutti i combattenti e con l’obiettivo di formare un governo di transizione che includa tutti gli interessi e le comunità.

Quale ruolo può svolgere l’Onu che finora è stato un attore debole della vicenda?
La comunità internazionale, le Nazioni Unite in particolare, può avere una funzione di di facilitazione e pacificazione. I Paesi della regione e le grandi potenze devono smetterla di versare benzina sul fuoco e aiutare i belligeranti a dialogare e a trovare una soluzione condivisa. Inoltre hanno l’obbligo morale di provvedere un aiuto umanitario adeguato per le vittime. I numeri fanno rabbrividire: due milioni di rifugiati, centomila persone uccise, 3,6 milioni di sfollati interni, la violenza contro le donne usata come strumento di guerra.

La Siria è un Paese sempre più diviso, non solo pro e contro Assad, ma anche nel fronte degli oppositori al regime. E tra costoro aumenta l’influenza dei gruppi più estremisti. Ammesso e non concesso che Assad prima o poi cadrà, chi governerà la Siria il giorno dopo? Ci sono pericoli reali che si arrivi a uno stato confessionale islamico a forti tinte radicali?
I pericoli, per nulla ipotetici, sono il rischio di un allargamento regionale della guerra, l’esacerbarsi delle relazioni tra le potenze coinvolte e l’inasprimento del conflitto tra sciiti e sunniti che tenderebbe ad estendersi al di là dei confini. L’attuale presenza di migliaia di mercenari (si parla di almeno 6mila combattenti stranieri da più di 40 Paesi, ispirati da un islamismo radicale) non promette certo un cammino verso la pacificazione. Questa situazione allontana ancora di più la ricostruzione di una società dove ogni cittadino abbia gli stessi diritti, indipendentemente dalla comunità di appartenenza. Fin d’ora si dovrebbe insistere sul concetto di cittadinanza come premessa per una vera soluzione politica e per un futuro di convivialità.

I cristiani, che rappresentano il 10 per cento della popolazione, appaiono sempre più come vasi di coccio tra vasi di ferro. Le violenze di cui sono oggetto (rapimenti, attacchi alle chiese, minacce) sono una vendetta contro il “fiancheggiamento” di molti di loro al regime, oppure si può dire che sono esposti alla violenza come tutti i siriani?
La situazione dei cristiani in una società pluralista ma dominata da spaccature religiose e confessionali è molto delicata. L’esempio dell’Iraq fa paura e incrina la loro fiducia in un avvenire sicuro. La posizione politica dei cristiani nei confronti di Assad non è uniforme. La loro situazione non può essere avulsa dall’insieme del conflitto e in particolare dalla situazione di tutte le minoranze siriane. I cristiani possono giocare un ruolo di ponte tra le comunità e svolgere un compito umanitario al servizio di tutte le realtà nazionali. Altrimenti non rispondono alla loro “ragion d’essere” nel Medio Oriente, che purtroppo diviene sempre più frammentato e dove i diversi gruppi religiosi ed etnici vivono nel conflitto e nell’isolamento

Come si sta muovendo la Santa Sede?
La voce di papa Francesco si è fatta sentire chiaramente: la strada della guerra non porta ad alcuna soluzione. I rappresentanti pontifici alle Nazioni Unite hanno ribadito senza ambiguità che ci vuole la volontà politica di dialogare includendo tutte le componenti della società siriana e di fermare ogni invio di armi. La Santa Sede incoraggia e coordina un ampio fronte di attività umanitarie per assistere rifugiati e sfollati dentro e fuori della Siria con il coinvolgimento quotidiano di organizzazioni cattoliche, parrocchie locali, comunità religiose.

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/Tomasi-nunzio-guerra-non-vuole-bene-Siria.aspx

Patriarca Younan: «Noi cristiani siriani, venduti dall'Occidente per il petrolio»


Terrasanta.net- 26 agosto 2013

I cristiani siriani «sono stati traditi e venduti dall’Occidente» attacca il patriarca siro-cattolico Youssef III Younan. Nei giorni in cui si discute di un intervento militare, il patriarca critica ancora una volta «la politica cinica e machiavellica» delle potenze che in questi due anni e mezzo hanno armato i ribelli, salvo poi rendersi conto che non può esserci una soluzione militare alla crisi.

Patriarca Younan, nei giorni scorsi un altro dei vostri sacerdoti è stato ferito a Damasco. Che cosa si sa sulle sue condizioni? Si tratta di padre Amer Qassar. Ha 34 anni ed è stato ordinato sacerdote della diocesi di Damasco nel 2003. È parroco della nostra chiesa di Qatanah, nel sud della capitale. Lo scorso mercoledì 21 agosto intorno alle 18 stava andando alla chiesa di Nostra Signora di Fatima, nel centro di Damasco, quando una bomba è esplosa a pochi metri da lui, ferendolo gravemente al volto, allo stomaco e alle gambe. È stato sotto i ferri per ore e, da quanto mi ha detto suo fratello, grazie a Dio sta un po’ meglio, ma non può parlare. Preghiamo per la sua guarigione.

Gli Stati Uniti e la Francia stanno pensando di intervenire militarmente. Lei che ne pensa?
Invece di aiutare le varie parti in conflitto a trovare vie per la riconciliazione, avviare il dialogo per delle riforme basate su un sistema pluralista di governo, queste potenze fino ad oggi hanno armato i ribelli, incitato alla violenza e avvelenato ancora di più le relazioni fra sunniti e sciiti. L’Occidente pensa che con i sunniti al governo la democrazia rimpiazzerà la dittatura, ma questa è una grande illusione: cambiare il regime con la forza, senza dare sicurezza ai partiti d’ispirazione laica, scatenerà un conflitto peggiore che in Iraq.

Lei ha additato spesso l’ambiguità dell’Occidente verso le monarchie del Golfo. Ritiene ancora questi Paesi corresponsabili della guerra in Siria?Certamente, perché siamo delusi dalla politica cinica, machiavellica di questi Paesi e dell’Occidente: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti… non vedono che il petrolio e dimenticano i loro principi. Sono più di due anni che, insieme alla Turchia, vanno dicendo che il regime cadrà: questa è la più grande bugia raccontata alle rispettive opinioni pubbliche o il peggiore errore di calcolo che sia stato fatto negli ultimi dieci anni. Il regime è ancora lì, il Paese è distrutto e più di 100 mila persone sono morte. Noi cristiani siamo stati traditi e venduti per il petrolio. L’Occidente sostiene nel nome della democrazia dei regimi che non hanno niente di democratico: Qatar e Arabia Saudita sono fra i Paesi più retrogradi del mondo. I loro capi vengono ricevuti nei palazzi occidentali quali eroi di democrazia di pluralismo politico e di tolleranza!

Perché l’escalation di violenza contro i cristiani? Tutta la popolazione soffre, ma i cristiani in particolare. Sono vittime dell’odio di una comunità che pensa di difendere la causa di Dio anche con la forza. Due mesi fa un altro nostro sacerdote, François Mourad, è stato ucciso nel convento di Ghassanieh, nel nord Ovest della Siria, al confine con la Turchia, dai terroristi di Jabhat Al-Nusrah. Un’altra strage di una ventina di cristiani è avvenuta una decina di giorni fa a ovest di Homs.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=5447&wi_codseq=SI001 &language=it

"Si fermi il rumore delle armi": ESCALATION & INGERENZA

Guerra in Siria, i limiti del "modello Kosovo"


SIR- Lunedì 26 Agosto 2013 
di Stefano Costalli

Sembra ormai certo che alle atrocità della sanguinosa guerra civile siriana si sia aggiunto anche l’uso di armi chimiche su vasta scala. Medici Senza Frontiere, organizzazione solitamente affidabile, parla di oltre 350 morti causati da un attacco con gas sarin effettuato il 21 agosto. 
Non è ancora chiaro se l’attacco sia stato deciso dal regime di Assad o dai ribelli, ma chiunque sia il responsabile aveva ben presente che l’uso di armi chimiche era stato individuato dal presidente Obama come la linea da non oltrepassare, oltre la quale gli Stati Uniti avrebbero seriamente pensato a un intervento armato nel conflitto.
Il ricorso alle armi chimiche è una grave violazione del diritto internazionale, poiché provoca sofferenze inutili a chi viene colpito e non permette neppure di provare a discriminare fra combattenti e civili. Tuttavia, da un punto di vista politico complessivo, la guerra in Siria non per questo cambia. 
Lo stesso numero di vittime avrebbe potuto essere ucciso a colpi di mortaio, che finora non risulta abbiano discriminato molto fra obiettivi consentiti e vietati dal diritto internazionale. Fissare la cosiddetta “linea rossa” sull’uso di queste armi sembra dunque essere stata l’ennesima dimostrazione dell’assenza di una visione politica e diplomatica seria e lungimirante da parte degli Stati Uniti e dell’Occidente. Se un effetto vi è stato, è stato semmai quello di fornire un incentivo a chi fosse sufficientemente cinico da ricorrere all’uso dei gas per mettere la comunità internazionale all’angolo e accusare il proprio nemico dell’attacco proibito.
Dopo i fatti degli ultimi giorni, gli Stati Uniti stanno avvicinando la Sesta Flotta al teatro del conflitto, mentre Francia e Gran Bretagna parlano già di intervento armato sul “modello Kosovo”, anche in assenza di un via libera da parte dell’Onu, che difficilmente arriverebbe data la contrarietà di Russia e Cina. 
Davanti al rullo dei tamburi di guerra sorgono alcune domande: se le considerazioni umanitarie sono così importanti, non erano sufficienti i centomila morti della guerra precedenti all’attacco chimico per impegnarsi seriamente e a fondo sulla via diplomatica? E ammesso e non concesso che le situazioni siano paragonabili, l’intervento in Kosovo del 1999 è davvero un esempio positivo da seguire? Non va dimenticato che le cifre delle stragi erano state gonfiate ad arte per provocare l’intervento, che l’Uck era una formazione ben più estremista di quanto si credesse e che sono occorsi anni per dare una sistemazione appena soddisfacente ad un territorio ben più piccolo e molto meno cruciale dal punto di vista geopolitico di quanto lo sia la Siria.
Obama ha chiarito più volte che se anche ci sarà un intervento, questo non implicherà l’uso di truppe a terra. E chi gestirà poi la fase post-conflittuale? 
La Siria è al centro dello scontro fra sciiti e sunniti in Medio Oriente e l’intervento non risolverà i problemi etnici, tribali, religiosi del Paese (o della regione). 
Purtroppo, come più volte abbiamo notato, la capacità diplomatica su cui gli Stati Uniti e l’Occidente hanno costruito i loro maggiori successi in politica estera sembra in qualche modo perduta. Negli ultimi decenni si tende a ricorrere sempre più all’uso della forza per risolvere le crisi, con un’efficacia peraltro molto scarsa. L’Iran e in questa fase soprattutto la Russia avrebbero un ruolo cruciale per tentare di forzare la mano ad Assad con metodi diplomatici, ma i rapporti fra Russia e Stati Uniti sono molto tesi, mentre l’Ue è muta come al solito. 
Papa Francesco invece si è pronunciato, con parole forti e vere sia dal punto di vista etico che politico. Se solo venissero ascoltate.

La nostra selezione di articoli e note di stampa 

Siria: vescovo di Aleppo contro intervento militare

«Aspettiamo una forza internazionale che aiuti a dialogare e non a fare la guerra». Intanto, Bonino conferma «alcuni contatti flebili» riguardo a padre Dall’Oglio e Domenico Quirico.
«Se ci fosse un intervento militare, questo vorrebbe dire una guerra mondiale». Lo ha detto mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e presidente di Caritas Siria, in un'intervista a Radio Vaticana, sottolineando che in Siria «di nuovo c'e' questo rischio. La cosa non e' cosi' facile»

leggi qui:   http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-siria-27390/



Siria, gli Usa pronti a una seconda Libia

di Gianandrea Gaiani
Far cadere Assad per consegnare la Siria a chi? Al caos? Ad al-Qaeda?



Seduti...a guardare il vulcano

Sull'altra sponda del mare Mediterraneo si sviluppano crisi potenzialmente devastanti


USA, Armi Chimiche e Abominevoli “Pretesti Democratici”

 leggi qui:  http://www.quieuropa.it/usa-armi-chimiche-e-abominevoli-pretesti-democratici/



Siria. Bombardamenti col gas nervino? «Abito a 500 metri» dal luogo degli attacchi e «non ho sentito niente»


Intervista a Samaan che dubita dell’uso di Sarin da parte dell’esercito siriano. I ribelli? Ormai hanno smesso di avanzare e «non sono i paladini della democrazia e della libertà»
  leggi quihttp://www.tempi.it/siria-bombardamenti-gas-nervino-abito-a-500-metri-dal-luogo-dei-presunti-attacchi-e-non-ho-sentito-niente#.Uhw2621H7wp


 Il turbolento contesto di Raqqa e la missione di p. Paolo Dall’Oglio

leggi qui:  http://www.fides.org/it/news/53382-ASIA_SIRIA_Il_turbolento_contesto_di_Raqqa_e_la_missione_di_p_Paolo_Dall_Oglio#.Uht0r21H7wq



Patriarca maronita: Le bombe a Roueiss e a Tripoli un crimine contro Dio, l'umanità e il Libano

Nell'omelia di ieri, il card. Bechara Rai domanda unità fra i politici per salvare il Libano. La riconciliazione vissuta dalla popolazione. Visita alla moschea di al-Taqwa , a Tripoli. Le tragedie di Roueiss (nella banlieue sud di Beirut) e di Tripoli sono "nostre tragedie perché siamo un solo corpo e una sola famiglia". 
 leggi qui: http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarca-maronita:-Le-bombe-a-Roueiss-e-a-Tripoli-un-crimine-contro-Dio,-l%27umanit%C3%A0-e-il-Libano-28836.html


Syrie : D’une rébellion manipulée à une guerre existentielle



Bientôt un Proche-Orient vidé de ses Chrétiens ?

leggi qui:  http://www.leveilleurdeninive.com/2013/08/bientot-un-proche-orient-vide-de-ses.html 

lunedì 26 agosto 2013

TORNA LA MINACCIA DELLE ARMI CHIMICHE: intervista a mons. Giuseppe Nazzaro, ex vicario apostolico di Aleppo.




Mons. Giuseppe Nazzaro, francescano, già Vicario Episcopale per la zona del Cairo e dell’Alto Egitto e poi vicario apostolico di Aleppo, a ragione può essere considerato un profondo conoscitore della realtà siriana e mediorientale. Il suo punto di vista è inequivocabile: l’Occidente sta vivendo al suo interno una grave crisi economica e morale e sta palesando invece all’esterno un’idea distorta di progresso; tutto ciò in Siria si riverbera nell’incapacità di capire che la pace non si ottiene con la guerra.

Intervista di Patrizio Ricci

D - L’intervento occidentale in Siria sembra di nuovo imminente: nonostante abbia negato, il governo siriano è accusato di aver usato armi chimiche. L’avrebbe fatto proprio a Damasco, dove gli ispettori Onu cercano la ‘pistola fumante’. E’ così o ci sfugge qualcosa?
R - Io ritengo che il Consiglio Europeo non abbia diritto ad intervenire per la semplicissima ragione che in tutto quello che è successo fino ad oggi l’Europa è fortemente coinvolta. L’Europa dovrebbe essere la meno titolata a parlare sia perché ha armato quella gente, sia perché fino ad oggi ha preso delle cantonate (ndr: le stragi di civili, avvenute in prossimità di ogni iniziativa di mediazione internazionale, si sono sempre rivelate ‘false flag’). L’Europa ha portato avanti esclusivamente un certo discorso senza mai voler guardare nell’altro campo cosa c’è.

D - Quali sono le ragioni per cui l’Europa appoggia i ribelli?
R - Secondo me (e posso sbagliarmi) l’Europa ha sposato la causa del commercio e in base a questo prende le sue decisioni. Adesso la situazione che c’è in Siria chi l’ha voluta? Chi l’ha patrocinata e chi la sostiene? In questi giorni i paesi del Golfo stanno sostenendo la causa dell’esercito egiziano, perché bisogna che combattano i terroristi: sono le notizie che ci dà la televisione italiana. Ebbene questi stessi paesi combattono Assad e sostengono i terroristi che sono in Siria. Allora, com’è possibile questa contraddizione?

D - E’ credibile che Assad abbia usato le armi chimiche a Damasco?
R - A mio avviso l’utilizzo delle bombe chimiche è tutto da provare. Se sono state utilizzate, non è certo chi le abbia gettate. Qualche tempo fa, un grosso sostenitore della ribellione siriana ha dichiarato ed ha scritto che se i terroristi fossero riusciti ad avere le armi chimiche avrebbero potuto usarle tranquillamente per lo scopo finale (ndr, la caduta di Assad). Perciò non è escluso che potrebbe venir fuori proprio lo scenario immaginato da questo personaggio che oggi si dice sia in mano ai terroristi: si gettano le armi chimiche, arrivano gli ispettori dell’Onu e s’incolpa il governo.


D - Come pensa si evolverà la situazione?
R - Il governo è già stato incolpato, c’è stata già la condanna finale da parte del ‘mondo’ e da parte dei mezzi di comunicazione: Al Jazeera e Al Arabiya hanno già stabilito chi sia il colpevole e con quello che loro dicono si è ‘aggiustata’ l’informazione. 
 A questo punto, a mio avviso, dobbiamo riflettere tutti: chi stiamo sostenendo noi? Le cose stanno in questo modo, oppure come loro vogliono farle apparire, oppure ancora ci stanno prendendo in giro? Ma attenzione: è nel DNA del potere non rivelare quello che è e quello che pensa per poter fare poi ciò che vuole. Ci sono vie traverse per raggiungere un obiettivo. Oggi si sta giocando la carta del ‘fine giustifica i mezzi’. È il machiavellismo totale.

D - Ma non sono libertà e democrazia il fine della cosiddetta ‘opposizione armata’?
R - All’origine del dramma siriano c’è una guerra tra gruppi religiosi. I Paesi del Golfo stanno sostenendo l’Egitto perché è sunnita. Allora se la Fratellanza Mussulmana, come ci dicono, dovesse prendere il potere, non si fermerebbe là , andrebbe avanti contro di loro. E’ per questo che le potenze del Golfo si sentono minacciate . Ecco, questa è la ragione per cui oggi sostengono l’Egitto e combattono il governo siriano.

D - Non sta avvenendo una primavera siriana quindi…
R - Per come io la conosco, la Siria era già il paese islamico più democratico di tutto il Medio Oriente.

D - Di questo purtroppo però non se ne parla, non tutti sanno queste cose…
R - No! Non è che non lo sanno, non lo vogliono sapere. Guardi che non c’è più cieco di chi non vuol vedere e non c’è più sordo (o ignorante) di chi non vuol sentire (o ascoltare). E’ questa la situazione che noi abbiamo provato a combattere. Tutti siamo bravi a decidere sulla pelle altrui, perché non ci siamo in mezzo. Bisogna trovarsi là: ad esempio, quando l’esercito ha aperto il varco da Aleppo per far defluire la gente assediata da giorni, i terroristi hanno preso di mira i pullman, hanno fatto il tiro a segno sui pullman pieni di civili, li hanno bloccati e sequestrati, hanno lasciato la gente in mezzo alla strada senza nulla, come dire ‘arrangiatevi, fate quello che volete’. Nessuno ha parlato di questo, nessun governo, nessun giornale, radio o televisione ha parlato di questi fatti. È esattamente questa la questione: tutta l’informazione fornita è informazione voluta in un dato modo, volutamente destabilizzante. Cosicché poi chi detiene il potere può fare come vuole. Questa è un’immoralità, portata avanti fino ad oggi. Per questo io dico: che l’occidente se ne stia fuori. Non armi nessuno. Le armi a questi signori non gliele ho dato mica io o lei… gliele hanno date proprio questi governi che oggi pretendono di intervenire.

D - E’ un controsenso evidente; strano però che non si colga il paradosso e che si continui a dire che si agisce per la libertà dei popoli e per creare un futuro migliore all’umanità…
R - Non è un controsenso, perché tutti pensano solo alla spartizione finale della torta… Per creare la libertà dei popoli prima di tutto bisogna conoscere i popoli, conoscere la loro psicologia, la loro mentalità, il loro credo. Se non si conosce, è inutile intervenire negli affari altrui con il pretesto di risolvere i problemi: aumentiamo solo i guai. Posso sbagliarmi (e spero di sbagliarmi) ma mi sembra che si stia cercando di attirare l’attenzione sul vicino per distrarre l’attenzione su ciò che succede a casa propria…

D - Cosa si dovrebbe fare?
R - Ognuno dovrebbe occuparsi di casa propria e farsi un esame di coscienza per quello che si è fatto e per come si è agito. Ammesso che si abbia una coscienza, perché ormai è in dubbio anche questo. Perché è veramente ingiusto sacrificare un popolo per i miei interessi … Non posso distruggere una civiltà per portare avanti la ‘mia’ civiltà. La civiltà che noi stiamo distruggendo in Siria e in Egitto in passato ci ha insegnato molto… quanto dipendiamo da quella civiltà! E’ evidente che l’Occidente è in una grave crisi e c’è una visione distorta dell’uomo: noi stiamo praticamente distruggendo le basi di noi stessi. 

http://www.laperfettaletizia.com/2013/08/torna-la-minaccia-delle-armi-chimiche.html 

domenica 25 agosto 2013

Il Papa all'Angelus: "Tutti insieme preghiamo : Maria , Regina della Pace, prega per noi!"




L'appello e le preghiere di Papa Francesco per la pace in Siria: "Si fermi il rumore delle armi. Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo"


Vaticano - 25/08/13  (a cura Redazione "Il sismografo")

"Con grande sofferenza e preoccupazione continuo a seguire la situazione in Siria. L’aumento della violenza in una guerra tra fratelli, con il moltiplicarsi di stragi e atti atroci, che tutti abbiamo potuto vedere anche nelle terribili immagini di questi giorni, mi spinge ancora una volta a levare alta la voce perché si fermi il rumore delle armi. Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo.
Dal profondo del mio cuore, vorrei manifestare la mia vicinanza con la preghiera e la solidarietà a tutte le vittime di questo conflitto, a tutti coloro che soffrono, specialmente i bambini, e invitare a tenere sempre accesa la speranza di pace. Faccio appello alla Comunità Internazionale perché si mostri più sensibile verso questa tragica situazione e metta tutto il suo impegno per aiutare l'amata Nazione siriana a trovare una soluzione ad una guerra che semina distruzione e morte. Tutti insieme preghiamo alla Madonna Regina della Pace..."
(NdR)
Dal giorno della sua elezione Papa Francesco, in diverse allocuzioni e circostanze, ha levato la sua voce e le sue preghiere per la fine della guerra in Siria, in favore del dialogo e della riconciliazione, e al tempo stesso ha chiesto sempre un maggiore impegno della comunità internazionale sia nell'ambito politico-diplomatico sia in quello della solidarietà e sostegno alle popolazioni colpite, in particolare i profughi, tra cui oltre un milione di bambini. 
Lo scorso 6 giugno, per esempio, incontrando i rappresentanti degli Organismi caritativi cattolici per la crisi in Siria, ha detto: "Di fronte al perdurare di violenze e sopraffazioni rinnovo con forza il mio appello alla pace”. Nel suo Messaggio Urbi et Orbi, 31 marzo scorso, dopo aver parlato sulle violenze in Iraq, Papa Francesco ha aggiunto: "Pace per l'amata Siria, per la sua popolazione ferita dal conflitto e per i numerosi profughi, che attendono aiuto e consolazione. Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?".

sabato 24 agosto 2013

Due appelli a Papa Francesco

  Il patriarca Bechara Raï: guerre in Medio Oriente, i cristiani pagano il prezzo più alto

 "Papa Francesco è il solo uomo a parlare di Pace. Solo la Santa Sede può mettere fine a una tale tragedia"




Radio Vaticana - 23-08-13

La situazione in Medio Oriente sta di giorno in giorno diventando sempre più critica: il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti,  nell'intervista rilasciata a Manuella Affejee  http://media01.radiovaticana.va/audio/ra/00387136.RM

R. –  Vede, tutto quello che succede in Medio Oriente – sia in Egitto, sia in Siria, sia in Iraq – è una guerra che ha due dimensioni. In Iraq e in Siria, la guerra è tra sunniti e sciiti; in Egitto la guerra è tra fondamentalisti, tra cui i Fratelli musulmani, e i moderati. Sono guerre senza fine ma – mi dispiace di doverlo dire – ci sono dei Paesi, soprattutto occidentali, ma anche dell’Oriente, che stanno fomentando tutti questi conflitti. Bisogna trovare una soluzione a tutti questi problemi. Noi cristiani, da 1400 anni stiamo vivendo insieme ai musulmani, e abbiamo veicolato in queste terre valori umani, morali, i valori della multi-confessionalità, della pluralità, della modernità … Grazie alla presenza di noi cristiani, nella nostra vita quotidiana in tutti questi Paesi arabi abbiamo creato una certa moderazione nel mondo musulmano. Oggi assistiamo alla distruzione totale di tutto quello che i cristiani hanno costruito nel corso di 1400 anni. E, al contempo, i cristiani pagano per queste guerre tra sunniti e sciiti e tra moderati e fondamentalisti, per quanto riguarda l’Egitto.

D. – La minoranza cristiana in Egitto sta pagando un prezzo alto nell’attuale situazione …

R. –  Come sempre, quando si verifica il caos o quando c’è una guerra, in generale i musulmani si scatenano contro i cristiani, come se i cristiani fossero sempre il capro espiatorio. Mi dispiace, ma in Egitto sono stati i Fratelli musulmani che hanno attaccato le chiese dei copti e i copti stessi … Purtroppo, questa è la mentalità di certi musulmani: ogni volta che c’è una situazione di caos, si attaccano i cristiani senza nemmeno sapere perché! La stessa cosa è successa anche in Iraq, e sta succedendo in Siria e ora in Egitto. Loro non sanno perché attaccano i cristiani, ma è così. Quello che i cristiani chiedono, nel mondo arabo, è la sicurezza e la stabilità: tutto qui.

D. – I Fratelli musulmani giustificano le loro aggressioni nei riguardi dei cristiani accusandoli di avere sostenuto apertamente il rovesciamento di Morsi …

R. –  In tutto il mondo arabo, i cristiani sono dalla parte delle istituzioni, rispettano il Paese in cui vivono, le autorità e la Costituzione. E’ risaputo che in Egitto i Fratelli musulmani in un anno hanno fatto un passo indietro con l’intenzione di applicare la Sharìa, mentre il popolo egiziano reclamava riforme in campo politico. Tutte le manifestazioni popolari avevano come scopo la richiesta di riforme politiche, il che significava muoversi nella direzione della democrazia. E come al solito l’Occidente – non ho il titolo per fare il nome delle Nazioni specifiche – ha dato il suo contributo sotto forma di miliardi di dollari ai Fratelli musulmani, perché arrivassero al potere. Una volta ottenuto il potere, hanno iniziato ad applicare la Sharìa, la legge islamica, cioè hanno fatto marcia indietro. Certamente, i cristiani sono contrari a questo: i cristiani vogliono un Egitto riformato, democratico, un Egitto che sappia rispettare i diritti umani. Sono sempre leali con lo Stato e le istituzioni …

D. – Quali sono le sue previsioni per il futuro del Medio Oriente?

R. – Secondo la comprensione dei fatti del giorno, che noi viviamo, c’è un determinato progetto di distruzione del mondo arabo per interessi politici ed economici. C’è anche il progetto di acuire quanto più possibile i conflitti inter-confessionali nel mondo musulmano, tra sunniti e sciiti. Quindi, il progetto c’è, ed è un progetto di distruzione del Medio Oriente. Purtroppo, questa politica viene dall’esterno. Io ho scritto già due volte al Santo Padre per spiegargli quello che sta succedendo e gli ho raccontato tutta la verità oggettiva. Purtroppo, lo scopo è la distruzione del mondo arabo, e chi paga sono i cristiani. In Iraq su un milione e mezzo di cristiani ne abbiamo perso un milione, nel silenzio totale della comunità internazionale.

Il Gran Muftì al Papa: "Vieni in Siria a portare la pace"

«Vorrei tanto parlare con Papa Francesco perché lui è un uomo del popolo e non un uomo di potere. Vorrei esortarlo a venire qui in Siria. Ed anche in Egitto, Giordania e Palestina. Vorrei chiedergli d'incontrare i mufti musulmani, le autorità cristiane e quelle ebraiche per cercare una soluzione alle guerra che ci divide. Noi musulmani e voi cristiani abbiamo costruito moschee e chiese. Ma ora bisogna uscire da moschee e chiese per ascoltare la voce del popolo. Per questo Papa Francesco potrebbe aiutarci a metter fine alle guerre».



È la massima autorità religiosa del Paese, gli hanno ucciso un figlio. E a Papa Francesco dice: "Facciamo finire le guerre"

Il Giornale, 05/08/2013 
di Gian Micalessin



Il gran Muftì di Siria Ahmad Badreddin Hassoun la guerra la conosce bene. Ha 64 anni, da 13 è il gran Muftì di Siria. Due anni fa - dopo aver dichiarato di appoggiare il regime - ha sopportato l'uccisione del figlio 22enne freddato per vendetta alle porte di Aleppo. Eppure non ha mai esortato all'odio o alla vendetta. «Ho sempre spiegato - racconta in questa intervista a Il Giornale – che se Maometto avesse chiesto di uccidere non sarebbe stato un Profeta del Signore. Sono stato criticato da molti intellettuali musulmani, ma la verità è questa. Il Profeta a chi gli chiedeva di punire con la morte gli assassini ha sempre risposto che sarà Dio a condannarli per le sue colpe. Per questo ho perdonato chi ha ucciso mio figlio. E chiedo a tutti quelli che subiscono la stessa tragedia di fare lo stesso».
Lei però appoggia un governo accusato di massacrare il suo popolo...
«Se la Siria avesse fatto pace con Israele oggi sarebbe considerata il miglior paese del medio Oriente. Ho sempre ripetuto ad America e Israele fate la pace invece di raccontare bugie».
Le accuse arrivano anche dall'Europa..
«Nel 2008 il Parlamento europeo mi invitò a Bruxelles. Quando ho chiesto di mandare una delegazione a vedere quel che succede in Siria mi hanno risposto che verranno solo quando andrà via Assad. Com'è possibile accettare questi diktat da chi sta lontano e rifiuta di vedere la verità? Sono pronto a venire da voi e incontrare tutti i membri dell'opposizione. Il grande crimine dell'Europa è tagliare i canali diplomatici con la Siria, nascondere la vera immagine di questa guerra. L'ambasciatore francese all'inizio del caos cercò di farlo, ma Parigi gli ricordò che era l'ambasciatore di Francia non della Siria».
Perché credervi?
«Avete visto cos'è successo in Iraq? C'era un Saddam Hussein e adesso ne avete trenta. In Tunisia c'era un presidente e ora c'è il caos. In Libia avete fatto fuori Gheddafi e ve ne ritrovate altri cento. L'Egitto è ormai fuori controllo. Volete succeda anche in Siria? Se qui sorge uno stato islamico la guerra arriverà al cuore dell'Europa».
In Medio Oriente si temono nuovi attacchi di Al Qaida. Perché tanto odio per l'Occidente.
«Il problema è l'America. Guardate le manifestazioni a favore dei Fratelli Musulmani e dei militari in Egitto. Il punto comune è l'odio di entrambi per gli Usa. Al Qaida e queste minacce sono figlie degli stessi errori. L'America ha creato i talebani e loro hanno creato Al Qaida».
Tra le grinfie di Al Qaida è finito anche Paolo Dall'Oglio un prete italiano molto conosciuto qui in Siria….
«Mi auguro torni in Italia vivo. Paolo lo conosco bene, si è messo nei guai perché si è spinto in una terra senza legge. Dio insegna ad entrare nelle case dalla porta. Lui ci è entrato da dietro. Quando è arrivato in Siria l'ho accolto come un fratello, non come uno straniero. L'ho difeso dalle accuse della stessa chiesa cattolica siriana. Ma quando l'ho visto camminare con i ribelli ho capito che lui non aveva una vera vocazione di pace. Provo molta più angoscia per la sorte del vescovo siriaco Yohanna Ibrahim e di quello greco ortodosso Boulos Yazij rapiti da Al Qaida ad aprile. Loro cercavano veramente la riconciliazione».
In Siria è scomparso anche il giornalista Domenico Quirico entrato nel paese con i ribelli….
«Queste cose succedono perché i vostri mezzi d'informazione si fanno suggestionare dalla propaganda».
Dall'Europa sono partiti 600 volontari musulmani venuti a combattere contro il regime che lei difende….
«Lo so. E so che tra loro c'era anche un giovane italiano è morto da queste parti. A tutti questi musulmani vorrei dire di non svendere il proprio cervello. La nostra religione insegna la pace, non la guerra. A questi giovani chiedo di studiare bene il Corano e di non credere a chi li esorta a combattere all'estero. Un buon musulmano viaggia per costruire la pace non per combattere».
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Il Gran Muftì è la massima autorità religiosa dei sunniti di Siria. Emette pareri legali ed editti, fatwa ed interpretazioni della legge islamica se richiesto dai privati o dai giudici nell'ambito di un contenzioso. Le opinioni raccolte dal Gran Mufti servono come fonte d'informazione sull'applicazione pratica della legge islamica. Ahmad Badreddin Hassoun ricopre la carica dal luglio 2005. Invitato prima della guerra civile a numerosi incontri interreligiosi ha sempre sostenuto la necessità del dialogo tra le fedi. Ha sempre difeso il regime e sconfessato come musulmani appoggiati e pagati dall'estero i ribelli che combattono contro il governo.

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/gran-muft-papa-vieni-siria-portare-pace-chi-ha-sconfessato-i-941258.html

Gran Muftì di Siria: il Profeta condanna chi uccide. 

Intervista a Ahmad Badreddin Hassoun, esclusiva Rainews24

giovedì 22 agosto 2013

L'ORRORE ABITA IN SIRIA


Contenitori di gas tossico in Siria

da "Piccole Note" - 22 agosto 2013

«L’attacco con agenti tossici ieri in Siria sembra avere tutte le caratteristiche di un nuovo incidente del Tonchino: un “casus belli” creato ad arte per giustificare un’escalation militare delle potenze straniere, come quello che nel ’64 autorizzò l’intervento americano in Vietnam. La verità la scoprirà soltanto un’indagine polizesca: le impronte digitali sono fatte apposta per condurre all’esercito siriano». 
A commentare in questo modo la strage provocata in Siria dall’uso di gas tossico è Gwyn Winfield, alla guida delle Falcon Communications, autorità riconosciuta nel campo delle armi non convenzionali. Per Winfield, che ha rilasciato un’intervista alla Repubblica del 22 agosto, l’autore della strage non è Assad, e spiega: «È difficile credere che il regime di Assad lanci un’offensiva del genere in simultanea con l’arrivo a Damasco degli ispettori Onu incaricati delle indagini sulle armi chimiche. Come in ogni omicidio, l’investigatore dovrebbe chiedersi: cui prodest? Non giova certo al regime, che in ogni caso verrà incolpato».

Nota  a margine. Di fronte all’ennesimo orrore tanti quotidiani hanno ospitato articoli nei quali venivano esposte considerazioni simili a quella riportata. La tragedia siriana, quindi, precipita in un nuovo orrore. Sul quale è bene interrogarsi.

C’è un’ulteriore spiegazione, più sottile, che viene data alla strage del 21 agosto. Gli ispettori Onu erano appena arrivati in Siria per investigare su un’altra strage, quella avvenuta a Khan al-Assal nel marzo scorso: anche lì fu usato del gas tossico e incolpato il regime di Damasco. 
La Russia di recente aveva consegnato all’Onu un dossier nel quale si documenta la responsabilità dei ribelli nell’attacco di Khan al-Assal. Una tesi che è stata supportata anche da testimonianze concordi di diversi siriani scampati alla strage.
Dopo mesi di trattative, finalmente, ieri erano giunti a Damasco gli ispettori; i quali, però, date le circostanze, non indagheranno più sulla strage precedente, ma sull’attuale. Così, secondo il sito cattolico Le Vielleur de Ninive, la strage di ieri sarebbe stata perpetrata anche per un altro motivo: deviare le indagini dalla strage di Khan al-Assal (nella speranza, ovviamente, che il nuovo crimine sia stato organizzato meglio e venga attribuito ad Assad).

L’ultima considerazione che vogliamo fare sulla questione è un po’ forte e va presa per quel che è, una ipotesi senza alcun riscontro, frutto di mero ragionamento.
Chi ha seguito anche distrattamente le vicende siriane sa della sparizione di padre Paolo Dall’Oglio, scomparso il 28 luglio scorso. Non si sa nulla di lui, se non che è sparito in una zona controllata dalla forze anti-Assad. Le voci rimbalzano: forse è stato ucciso, forse solo sequestrato: finora non c’è stato nessun segnale credibile della sua esistenza in vita se non un sms inviato dal suo cellulare, che potrebbe aver inviato chiunque.
Padre Dall’Oglio è stato fin dal primo momento un fautore della cosiddetta ribellione siriana e un acerrimo nemico del regime di Damasco, che ha attaccato in diversi articoli e interviste. Pochi giorni prima di sparire, ha scritto un articolo sull’Huffingotn Post. Era il 19 luglio scorso, e l’articolo, al solito, era molto polemico con il regime. Ma c’è un passaggio, sorprendente a rileggerlo ora, che riportiamo: «Ma guardiamo alla cosa dal punto di vista etico della rivoluzione siriana. Ammettiamo per un istante che ci fossimo appropriati di armi chimiche sottratte agli arsenali di regime conquistati eroicamente. Immaginiamo di avere la capacità di usarle contro le forze armate del regime per risolvere il conflitto a nostro favore e salvare il nostro popolo da morte certa. Cosa ci sarebbe d’immorale?». 
Parole talmente forti che mettono i brividi. Troppo forti, invero, magari scritte in un momento di particolare scoramento. Ma ci potrebbe essere un’altra spiegazione. Dall’Oglio, nei suoi articoli, ha dimostrato di avere informazioni molto accurate di quanto accade all’interno delle milizie anti-Assad: ha buone fonti e ben addentrate.  Possibile quindi che sapesse che si stava preparando qualcosa e, in qualche modo, lo ha anticipato. Per una sorta di giustificazione previa? Un po’ forte a pensarlo. Molto più probabile, invece, che l’anticipazione fosse un modo per tentare di dare un segnale pubblico del pericolo imminente, lanciare un messaggio in bottiglia per tentare di fermare l’orrore incombente (nonostante l’avversione per il regime c’è un limite a tutto, tanto più che stiamo parlando di un padre gesuita).
Se fosse vero questo, il suo sequestro, se di sequestro si tratta e non di omicidio, ad opera dei cosiddetti ribelli potrebbe essere dovuto proprio a questa rivelazione.
Ripetiamo: quella esposta è solo un’ipotesi, potrebbe essere una semplice infelice coincidenza, ma appena abbiamo saputo del bombardamento con i gas in Siria, la nostra mente è corsa a quella rivelazione previa del gesuita. Nell’occasione, alle preghiere per le vittime dei gas tossici assassini, uniamo quelle per il padre scomparso.

http://www.piccolenote.it/13029/lorrore-abita-in-siria


Guerra in Siria. Mons. Tomasi: sì al dialogo, no a intervento armato



La crisi in Siria si aggrava e rischia di allargarsi dopo le immagini sconvolgenti di morte giunte ieri dal Paese con la possibilità che siano state usate armi chimiche contro i civili, compresi donne e bambini. Civili che stanno sempre più fuggendo dalla Siria creando un dramma nel dramma. Ascoltiamo in proposito la riflessione di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, al microfono di Sergio Centofanti:

R. – La comunità internazionale si sta giustamente preoccupando per gli ultimi sviluppi in Siria, che hanno fatto decine e decine di morti. Primo punto da osservare mi pare sia quello che il Santo Padre ha già sottolineato e cioè che la violenza non porta a nessuna soluzione e che quindi bisogna riprendere il dialogo per poter arrivare a Ginevra 2, dove i rappresentanti di tutte le componenti della società siriana possano essere presenti, esporre le loro ragioni e insieme creare una specie di governo di transizione. Per ottenere quest’obiettivo non si possono mettere condizioni che rendano di fatto impossibile questa iniziativa, come escludere l’uno o l’altro dei gruppi che sono coinvolti. Mi pare che questo sforzo sia assolutamente necessario per fermare la violenza. Occorre anche non continuare ad inviare armi sia all’opposizione che al governo. Non si crea certamente la pace, infatti, portando nuove armi a questa gente. Mi pare poi che per arrivare ad una giusta soluzione si debba evitare una lettura parziale della realtà della Siria e del Medio Oriente in generale. Ho l’impressione che la stampa e i grandi mezzi di comunicazione non considerino tutti gli aspetti che creano questa situazione di violenza e di continuo conflitto. Abbiamo visto in Egitto il caso dei Fratelli Musulmani, dove l’appoggio indiscriminato a loro ha portato ad altra violenza. Ci sono degli interessi ovvi: chi vuole un governo sunnita in Siria; chi vuole mantenere una partecipazione di tutte le minoranze. Bisognerebbe, quindi, partire dal concetto di cittadinanza, rispettare ogni cittadino come cittadino del Paese, e poi lasciare che le identità religiose, etniche, politiche, si sviluppino in un contesto di dialogo.

D. – In Siria ora si parla di attacchi con armi chimiche, anche se Damasco smentisce categoricamente...

R. – Non bisogna accelerare un giudizio senza avere sufficiente evidenza. La comunità internazionale, attraverso gli osservatori delle Nazioni Unite, che sono già presenti in Siria, potrebbe far luce su questa nuova tragedia. Non si può, a mio avviso, partire già con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono responsabili. Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente. Come nel caso delle investigazioni di un omicidio, bisogna farsi la domanda: a chi veramente interessa questo tipo di crimine disumano?

D. – C’è chi parla d’intervento armato, se fosse confermato l’attacco chimico...

R. – L’esperienza di simili interventi in Medio Oriente, in Iraq, in Afghanistan, mostrano che la strada dell’intervento armato non ha portato nessun risultato costruttivo. Rimane valido il principio: con la guerra si perde tutto.


Testo proveniente dalla pagina del sito RadioVaticana http://it.radiovaticana.va/news/2013/08/22/guerra_in_siria._mons._tomasi:_sì_al_dialogo,_no_a_intervento_armato/it1-721745


 

martedì 20 agosto 2013

Sulle due sponde mediterranee. Appello ai cristiani.

di Riccardo Redaelli



Sono ormai decine le chiese prese d’as­salto e bruciate in Egitto. E innumerevo­li le abitazioni, le scuole e i negozi della mi­noranza cristiana messi a ferro e fuoco. Nel Paese sconvolto dalla carneficina di questi giorni – in cui l’estremismo delle fazioni ha preso il sopravvento su ogni tentativo di mo­derazione e compromesso – i cittadini di fe­de copta vivono una tragedia nella tragedia: quella di essere un bersaglio facile, spesso indifeso, della rabbia islamista, che accusa i cristiani di aver boicottato la presidenza Morsi. Tanto che lo stesso imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, la più alta autorità reli­giosa sunnita, è intervenuto per chiedere la cessazione di questi attacchi e la protezione delle chiese.


Non è purtroppo una novità: in Medio O­riente, negli ultimi decenni, non vi è stata crisi politica e di sicurezza che non abbia vi­sto le minoranze cristiane quali vittime de­signate, dall’Iraq post-Saddam all’Egitto, dal­l’Algeria degli anni 90 alla Siria oggi scon­volta dalla guerra civile. Agli occhi dei setta­ri, quelle comunità appaiono infatti come una presenza pericolosa: ora accusate di complottare contro i partiti dell’islam poli­tico – e quindi di essere il nemico subdolo che mina la rivoluzione – ora additati come portatori dei deprecati valori “occidentali” e dell’idea di democrazia.
Dei “diversi” da al­lontanare o da schiacciare, perché testimo­niano la pluralità culturale e religiosa che è stata la caratteristica storica del Medio O­riente e che gli islamisti vogliono cancella­re a favore di una tetra e fittizia uniformità dottrinale.

Ed è paradossale pensare che le minacce ai cristiani del Medio Oriente vengano proprio perché essi incarnano i valori della tolleran­za e della democrazia, della pluralità reli­giosa e culturale, mentre in Europa avviene l’inverso: sempre più, la testimonianza del­l’essere cristiani è infatti dipinta come una sfida di retroguardia alla democrazia e alla tolleranza. Sulla sponda sud del Mediterra­neo vengono accusati di introdurre una de­mocrazia che minaccia la religione domi­nante, lungo quella settentrionale sono in­dicati come coloro che – in nome della reli­gione – sminuiscono la tolleranza e la ric­chezza culturale occidentale.

La colpa è del­le loro idee, che vengono attaccate come sempre più “balzane”: accompagnare al ri­spetto pieno di ogni apporto culturale e reli­gioso la salda consapevolezza delle radici giudaico–cristiane dell’Europa, la pretesa di festeggiare il Natale di Cristo a Natale e Pa­squa di Risurrezione a Pasqua, di difendere pubblicamente e anche a livello di discus­sione politica princìpi che saldano dottrina della Chiesa ai grandi valori della tradizione classica e del diritto delle genti.

Tutto ciò avviene perché si è diffuso il pre-giudizio – sbagliato e autolesionista – che al­la crescente pluralità etnica e culturale del­le popolazioni europee si debba rispondere nascondendo le proprie radici e omettendo ogni riferimento alla cultura cristiana che permea le nostre società. È quel fenomeno che viene chiamato di “neutralizzazione” del religioso. Apparentemente opposto a quel­lo che sembra un “eccesso di religione” dal­l’altra parte del Mediterraneo, e che invece a esso è strettamente collegato.

Perché tut­to ciò fa parte di una difficile, faticosa presa di coscienza del mutamento delle nostre so­cietà e del problema conseguente di rico­noscersi nella pluralità senza per questo di­venire una società di “indistinti”. Non a ca­so, il cardinale Scola, nel suo ultimo libro (“Non dimentichiamoci di Dio. Libertà di fe­di, di culture e politica”) sottolinea che lo spazio veramente pubblico, nelle società contemporanee, è solo quello che rende pos­sibile «il raccontarsi» reciproco, scommet­tendo sulla libertà dei cittadini di esprime­re la propria esperienza con una logica di mutuo riconoscimento. Una via obbligata sulle due sponde del Me­diterraneo. Dove il posto dei cristiani non può diventare quello del privato silente o, di nuovo, del martirio.

“Riconoscere” significa accettarsi e non negare ad alcuno e ad alcun gruppo e comunità di fede che accetti le sem­plici ed essenziali regole dell’autentica de­mocrazia piena cittadinanza, libertà di esi­stere e di dare significato e contributo alla vita delle società di cui è parte.
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/IL%20POSTO%20%20DEI%20CRISTIANI.aspx


APPELLO PER I CRISTIANI PERSEGUITATI

Padre Gheddo: i cristiani perseguitati sono la "rivoluzione" di  Gesù


Il Sussidiario - lunedì 19 agosto 2013
Intervista a padre Piero Gheddo 

Le decine di chiese date alle fiamme in questi giorni in Egitto confermano una  drammatica realtà che troppo spesso viene nascosta o volutamente censurata.
Ancora oggi, in molti Paesi del mondo, migliaia di cristiani vengono  perseguitati e costretti a subire ogni forma di violenza: ogni anno sono oltre  100mila i credenti uccisi, rapiti o torturati, mentre assistiamo a ripetute  distruzioni di luoghi di culto e simboli religiosi.
IlSussidiario.net ha commentato queste richieste con  padre Piero Gheddo, giornalista e missionario del Pime.

Come giudica l'appello del Meeting di Rimini?
 Si tratta indubbiamente di un messaggio attuale ed opportuno, del quale abbiamo  già parlato molte volte ma su cui è sempre necessario riportare l’attenzione.
Proprio perché il tema del Meeting di quest'anno è “Emergenza Uomo”, è  indispensabile tornare a parlare di questa drammatica situazione: in Egitto, ad  esempio, decine di chiese e di conventi sono stati bruciati.

Perché sono sempre i cristiani le prime vittime?
 Il cristianesimo ha rappresentato l’unica rivoluzione capace di cambiare  radicalmente il corso della storia umana. Siamo a conoscenza di tantissime  rivoluzioni, recenti e non, ma tutte si sono preoccupate di cambiare le leggi,  il potere politico o la disuguaglianza economica.
  
Cosa ha cambiato invece il cristianesimo?
 Ha cambiato il cuore dell’uomo, attraverso la Chiesa, la grazia di Dio, la  predicazione e i sacramenti. E proprio questo cambiamento rappresenta la  “rivoluzione” di Gesù, una rivoluzione dell’amore che ha portato al  riconoscimento della dignità e dell’uguaglianza di tutte le donne e di tutti gli  uomini, creati dallo stesso Dio. Non dimentichiamo che anche la Carta delle Nazioni Unite è fondata proprio sul cristianesimo e sui valori cristiani: la  rivoluzione dell’amore cambia in profondità l’uomo e, a lungo andare, anche la  società.

Spesso, in presenza di appelli, ci si chiede cosa possono fare i governi.  Secondo lei?
 Come sta avvenendo in Egitto, il caso più recente, spesso i Paesi non sembrano  neanche accorgersi delle continue persecuzioni, seppur denunciate. E’ per questo  motivo che la drammaticità di questa situazione dovrebbe essere sempre  evidenziata, appena possibile, ad esempio durante i viaggi istituzionali e  durante ogni accordo culturale o economico.

Che nesso c'è tra libertà religiosa e pace? Perché la libertà religiosa è il più  importante di tutti i diritti?
Perchè è il fondamento della libertà dell'uomo.....


lunedì 19 agosto 2013

Il vescovo-gesuita caldeo Antoine Audo spiega perché non potrà partecipare al Meeting di Rimini.

E racconta le paure, i fatalismi e i sorprendenti segni di speranza che convivono nella città sfigurata dalla guerra





Vaticaninsider - 11/08/2013
di Gianni Valente

«Dovevo andare al Meeting di Rimini, ma non è tempo di fare viaggi». Antoine Audo, gesuita e vescovo caldeo di Aleppo, preferisce stare accanto al suo popolo sofferente e non crede sia il momento di correre rischi inutili per partecipare a conferenze sulla condizione dei cristiani in Siria. Mentre spiega a Vatican Insider i motivi del suo forfait, Audo descrive la condizione attuale della città martire che era tra le più fiorenti del mondo arabo, e ora ha interi quartieri ridotti in macerie.


Da quando era iniziata la guerra, Lei era uscito e rientrato parecchie volte dalla Siria. E ora?

Ora è molto più pericoloso uscire da Aleppo. Devo essere prudente. E in ogni caso non è il momento di lasciare la mia gente. La tensione aumenta, e la presenza dei vescovi qui adesso è più importante per le nostre comunità, anche a livello psicologico. 
Si sente minacciato?
Tutti ripetono a me e agli altri vescovi di muoversi con discrezione, di non indossare le vesti episcopali quando usciamo per non essere rapiti anche noi come è successo al vescovo siro-ortodosso Yohanna Ibrahim e a quello greco- ortodosso Boulos al-Yazigi.
Che ne è stato di loro?
Girano tante voci. Le ultime, attribuite dai giornali a un politico degli Usa, collegavano il rapimento a un “complotto” con implicazioni ecclesiastiche per costringere il Patriarcato siro ortodosso a lasciare Damasco e a trasferirsi in Turchia. Ma non sono cose serie. Sono solo speculazioni interessate.
È circolata la notizia della sparizione di padre Dall’Oglio?
Ne parlano tutti. Tutti si chiedono quale fosse lo scopo del suo rientro in Siria. Il conflitto, il caos e la lotta tra le varie fazioni rende tutto ambiguo e problematico da spiegare.
Anche a Aleppo la situazione è confusa?
Qui cresce da mesi l’incertezza e la paura. Tutti si fanno in continuazione la stessa domanda: che ne sarà di noi? E l’inquietudine è particolarmente sentita nei quartieri cristiani. Secondo me, Aleppo continua a vivere la situazione peggiore, almeno dal punto di vista psicologico.
Per quale motivo?
Gli abitanti delle altre zone, compresa Damasco, hanno delle vie di fuga, se i loro quartieri vengono travolti dal conflitto. Da Damasco, da Homs, da Lattakia e dalla costa possono fuggire verso il Libano, la valle dei cristiani e Beirut. Aleppo invece è chiusa nella morsa delle forze in guerra. La Turchia lascia passare  le armi e i gruppi che entrano per combattere il regime di Assad, e il primo obiettivo rimane Aleppo. Mentre dicono che nel nord-est si consolida sempre di più il controllo dei curdi.
Dalle immagini satellitari diffuse da Amnesty si vedono quartieri di Aleppo ridotti in macerie.
Almeno in mezzo milione hanno dovuto lasciare le loro case. Ci sono zone completamente abbandonate. L’80 per cento della popolazione non lavora da mesi e mesi. Tanti non hanno più soldi nemmeno per mangiare.  Si respira dovunque una povertà disperata, in una città che una volta era fiorente e dinamica.
Quale stato d’animo registra tra i suoi fedeli?
In molti cresce il fatalismo: qualsiasi cosa accadrà - dicono - sarà volontà di Dio. Sono i discorsi che si fanno per tirare avanti. Altri provano a reagire, e la reazione più immediata e realista è la fuga, che è già iniziata da tempo. Chi ha ancora soldi e mezzi fugge verso il Libano, i Paesi del Golfo, o l’Europa. I poveri rimangono tutti qui.

O la fuga, o la rassegnazione.  Non c’e nient’altro?
I giovani, loro sono incredibili. Oggi quelli dei gruppi Scout hanno rimesso a posto le sale e gli impianti sportivi che gestiscono per ricominciare le loro attività. Vogliono uscire fuori dalla paura e dal senso di rovina che sembra inghiottire tutto.

 Il 28 luglio, mentre Papa Francesco era a Copacabana, più di mille giovani hanno partecipato a una giornata di preghiera e convivenza in comunione di spirito coi milioni di loro coetanei radunati dalla Gmg di Rio. Io e altri tre vescovi della città abbiamo partecipato a diversi momenti di quella giornata. E il prossimo fine settimana, dopo l’Assunta, circa 200 giovani organizzano un festival sulla speranza. Nella condizione in cui vivono, i nostri ragazzi sono molto colpiti e confortati quando sentono Papa Francesco che li invita a non farsi rubare la speranza.


E Lei?
Come vescovo e come gesuita mi sembra di cogliere dettagli importanti del suo stile, del suo modo di vivere la sua relazione con Cristo. Alla rinuncia di Benedetto XVI mi sono chiesto in che modo la Chiesa sarebbe mai potuta ripartire, dopo che si metteva da parte un teologo così grande e sensibile. Papa Francesco è stata la risposta inimmaginabile venuta dallo Spirito Santo. Come vescovo sento che è una ripartenza, un nuovo inizio.

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-audo-meeting-rimini-27102/


ALEPPO: Il dolore della comunità dei Fratelli Maristi e di tutta Aleppo per l'assassinio del dottor Amine Antaki



Le strade che conducono alla città  di Aleppo sono sempre sotto attacco da parte di gruppi terroristici. Sabato 10 agosto. un autobus civile, che trasportava civili provenienti dal Libano ad Aleppo è stato attaccato da un gruppo terroristico della cosiddetta "opposizione armata" in Siria. Il Dr. Amine Antaki, uno dei passeggeri degli autobus, è stato ucciso durante l'attentato, come attestano i testimoni.

I terroristi hanno sparato contro il bus sulla strada Khanaser ad Aleppo per fermarlo. Il Dr. Antaki che sedeva dietro al conducente, è stato ucciso da un colpo in testa durante l'assalto. I terroristi responsabili dell'attacco sono membri di un gruppo estremista jihadista. Sua moglie, seduta accanto a lui,  è sopravvissuta all'aggressione.

 Il Dr. Amine Antaki, nato nel 1944 in Siria, è stato un ginecologo molto conosciuto in Aleppo. Egli è stato considerato come uno dei migliori medici in Siria. Egli è stato anche coinvolto in molte attività sociali.
Viene ricordata da tutti la sua bontà, la timida modestia e la grande generosità con cui si è speso senza riserve nel dispensare la propria competenza di ginecologo famoso ma semplice.

"Amine era un vero Marista per l'educazione, la sua spiritualità e la sua testimonianza".
Della sua collaborazione all'opera di solidarietà dei Fratelli Maristi abbiamo raccontato qui: 
http://oraprosiria.blogspot.it/2013/07/lettera-da-aleppo-notizie-dai-maristi.html

sabato 17 agosto 2013

Siria, la rivolta è nelle mani degli islamisti

e in Iraq  e in Egitto......


da La nuova Bussola Quotidiana , 09-08-2013
di Gianandrea Gaiani


Al di là dei toni propagandistici tre sono gli elementi che emergono dai recenti sviluppi militari del conflitto siriano. Innanzitutto i governativi sono all’offensiva e con successo nei settori di Homs e Aleppo grazie agli aiuti militari russi e ai volontari sciiti giunti da Iran, Libano e Iraq.

Il secondo elemento è rappresentato dal crescente peso delle brigate islamiste, salafiti e membri di al-Qaeda, all’interno della galassia dei rivoltosi. Ormai sono loro a guidare le operazioni più importanti e a scontrarsi sempre più spesso con le milizie laiche o moderate e con i curdi. Come ha riferito il ministro degli Esteri, Emma Bonino, sembra siano stati gli uomini di al-Qaeda in Siria e Iraq a catturare il gesuita Padre Dall'Oglio anche se (come nel caso del reporter Domenico Quirico) non vi sono state rivendicazioni ufficiali. Il sospetto è che la cattura di ostaggi occidentali si riveli funzionale al piano di al-Qaeda di proporre uno scambio con i prigionieri ancora detenuti a Guantanamo e in altre carceri.

Gli unici successi militari registrati dai ribelli siriani sono da attribuirsi alle forze jihadiste. Gli “stranieri” dell'organizzazione Jaish al-Muhajireen wa Ansar (Esercito degli Emigranti e degli Aiutanti), il cui leader è il georgiano Abu Omar al-Aishani, hanno espugnato la base aerea di al-Menagh, vicino ad Aleppo . "Il valore di questa base è altamente simbolico", ha detto Charles Lister, analista del Jane's Terrorism and Insurgency Center, società di consulenza militare britannica. "Si tratta della prima grande conquista da parte dell'opposizione dopo diversi mesi - ha aggiunto - ma dal momento che è sotto il controllo di gruppi jihadisti, dimostra l'importanza del loro ruolo nei combattimenti". Lister ha seguito nell'ultimo anno l'ascesa dell'organizzazione jihadista sul campo di battaglia siriano e ha visionato diversi loro video, tra cui uno in cui cittadini occidentali discutono della loro guerra contro Damasco e chiedono sostegno in lingua inglese, francese, tedesca, spagnola, oltre che araba. Secondo gli analisti britannici, citati anche dal Wall Street Journal, Jaish al-Muhajireen sarebbe "la principale organizzazione di reclutamento di non-siriani nel conflitto siriano" e opera in stretto coordinamento con i militanti di al-Qaeda in Siria, dello Stato Islamico dell'Iraq e al-Sham, alleati a loro volta con il Fronte al-Nusra, riconosciuta come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti.

Il 3 agosto le milizie jihadiste del Fronte al-Nusra, Liwa al-Islam, il Battaglione al-Tawhid, Meghaweer e il Battaglione dei Martiri di Qalamon hanno espugnato un vasto deposito di armi e munizioni nei pressi di Qaldun, villaggio situato una cinquantina di chilometri a nord-est di Damasco, a ridosso della strategica autostrada che la collega ad Aleppo. Non c’è da stupirsi se il numero due della Cia, Michael Morell, in una intervista al Wall Street Journal, ha dichiarato che quello siriano “è probabilmente il problema più impellente nel mondo oggi a causa della dimensione che sta assumendo", sottolineando la presenza di combattenti stranieri fra le fila dell'insurrezione, come nei peggiori momenti della guerra in Iraq. Il rischio è che il conflitto si estenda oltre le sue frontiere o che il regime del presidente Bashar al Assad crolli e che la Siria diventi un nuovo santuario per al Qaeda. Le armi in possesso del governo, comprese le armi chimiche, rischiano di ritrovarsi nelle mani sbagliate, ha avvertito.

Il terzo elemento è rappresentato dalla progressiva islamizzazione dei movimenti ribelli laici o moderati come l’Esercito Siriano Libero, composto da disertori sunniti che hanno abbandonato le forze governative. Un esempio indicativo giunge dalla fatwa emessa dal Consiglio della Magistratura unita, affiliato all’Els: si prevede un anno di carcere per chiunque non osservi il digiuno nelle ore del giorno durante il mese sacro del Ramadan. Provvedimenti forse determinati dall’islamizzazione dei costumi imposta dai finanziatori sauditi e qatarini dei ribelli ma che lascia ben pochi spiragli per sviluppi diversi da quelli ipotizzati da Morell nel caso cadesse il regime di Assad.

I nemici contro i quali si battono con maggiore accanimento i miliziani qaedisti sembrano però essere donne e croissant. La cosa potrebbe far sorridere ma, come ha riportato il quotidiano Asharq al-Awsat, pubblicato a Londra in lingua araba, una “commissione della sharia” di Aleppo ha emesso una fatwa per vietare il consumo dei croissant definendoli haram, cioè vietati dall’islam, perché il dolce a forma di mezzaluna nacque per celebrare la vittoria delle armate cristiane sui turchi che assediavano Vienna nel 1683. Come è facile intuire i croissant si sono diffusi in Siria con la dominazione coloniale francese ma i censori islamici li hanno messi al bando perché lo considerano un simbolo della vittoria degli infedeli sui musulmani. Sempre ad Aleppo un’altra fatwa vieta alle ”donne musulmane di truccarsi o di indossare abiti aderenti” quali jeans o camicette.
Con simili “liberatori" non c’è da stupirsi che Assad stia vincendo la guerra o, almeno, non la stia ancora perdendo.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-siria-la-rivolta-e-nelle-mani-degli-islamisti-7046.htm


"La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi".

Lo sceicco Abu Mohammed al Julani, il capo del Fronte Al Nusra, affiliato ad Al Qaida, ha affermato  il 22 luglio scorso che i fondamentalisti che si battono contro il presidente Assad "non credono ne' ai partiti politici ne' alle elezioni parlamentari", ma solo a "un sistema di governo islamico".(ANSAmed).



La filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».

L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».


Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.

http://www.piccolenote.it/12941/il-terrore-abita-in-iraq


Egitto, Fratelli musulmani contro tutti



La Bussola Quotidiana 17-08-2013
di Valentina Colombo

Esercito contro Fratelli musulmani. Fratelli musulmani contro  l’esercito, contro i cristiani e contro tutti coloro che non si oppongono al “colpo di Stato terrorista”. Dalia Ziada, responsabile dell’Ibn Khaldun Center” al Cairo denuncia: “I Fratelli musulmani hanno promesso attacchi massicci in tutto l’Egitto dopo la preghiera del venerdì a mezzogiorno. Lo chiamano il venerdì della rabbia! Considerando tutte le chiese e gli edifici governativi cui hanno dato fuoco negli ultimi due giorni, mi domando se qualcosa possa peggiorare ulteriormente! Per favore che Dio salvi l’Egitto dai terroristi!” 
Il giornalista siriano Naman Tarcha lancia un ennesimo grido d’allarme nel tentativo di farci aprire gli occhi: “I Fratelli musulmani sono un partito politico che si nasconde dietro la religione per prendere il potere”. 

    continua la lettura quihttp://www.lanuovabq.it/it/articoli-fratelli-musulmani-contro-tutti-7089.htm
filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».
L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».
Titolo dell’articolo: La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi.

Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.
La filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».
L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».
Titolo dell’articolo: La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi.

Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.
filiale irachena del network del terrore al Qaeda si chiama Isi – da non confondersi con l’omonimo servizio segreto pakistano legato ai vari servizi segreti occidentali. E lavora a pieno ritmo, a suon di autobombe. Così descrive la sua metodica attività Guido Olimpio sul Corriere della Sera dell’11 agosto: «Massacri che si ripetono a ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. In febbraio, dopo un’altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i “politeisti”, termine con il quale identificano gli sciiti al potere».
L’agenzia terroristica irachena non manca di inviare rinforzi ai cosiddetti ribelli siriani. Conclude Olimpio: «La guerra di Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta di un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti».
Titolo dell’articolo: La frangia irachena di Al Qaeda e l’ideologia che porta alle stragi.

Nota a margine. Con la scusa delle inesistenti armi di distruzione di massa, si era intervenuti a Bagdad per portarvi libertà e democrazia, questa almeno la spiegazione ufficiale. Invece si è portato l’inferno, come scrive Olimpio. Riflettere su questi errori del passato potrebbe giovare a non commetterne altri. Purtroppo non è quello che sta accadendo in Siria.