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mercoledì 7 agosto 2013

La Santa Sede all’Onu. Non può esserci soluzione militare in Siria, urge avviare negoziati

Solo la pace ci rende tutti vincitori



Agenzia Fides - 25/7/2013

New York  – Abbandonare gli indugi, escludere ogni opzione militare, avviare immediatamente un negoziato: è quanto ha chiesto per la Siria Mons. Francis A. Chullikatt, Osservatore Permanente della Santa Sede all’Onu, nel corso del dibattito aperto del Consiglio di Sicurezza sul Medio Oriente. 
Il Nunzio Apostolico ha deplorato il “persistente rifiuto” delle fazioni belligeranti in Siria a negoziare la fine della guerra civile del paese, che dura ormai da 28 mesi, invitando la comunità internazionale ad agire in fretta per fermare il conflitto.
“Non ci può essere alcuna soluzione militare al conflitto siriano”, ha rimarcato nel suo discorso, pervenuto all’Agenzia Fides.  “Indipendentemente da questo – ha denunciato con chiarezza il Nunzio – le parti in conflitto manifestano la determinazione, con totale impunità, a spargere ancora più sangue, a fornire ancora più armi e a distruggere altre vite”, prima di accettare dei negoziati.

Mons. Chullikatt ha accusato “le influenze esterne e i gruppi estremisti” che intendono continuare una guerra devastante. E il coinvolgimento di attori estranei al paese, ha detto, è visto come “una opportunità per profitti politici o ideologici, piuttosto che come un disastro terribile che sta inghiottendo la Siria”. “La guerra – ha ribadito – non può mai più essere considerata un mezzo per risolvere i conflitti. Eppure la guerra, quando si verifica, si può vincere solo attraverso la pace; e la pace si vince attraverso i negoziati, il dialogo e la riconciliazione” .

Ricordato il grave bilancio della vittime che si avvicina ai 100mila morti, dall’inizio delle ostilità, l’Arcivescovo ha ricordato “la difficile situazione dei rifugiati siriani”, nel paese e in altre nazioni confinanti: circa 6,8 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Esprimendo la sollecitudine della Santa Sede per i cristiani della Siria, che “affrontano sfide per la loro sopravvivenza”, Mons. Chullikatt ha citato l’omicidio di p. Padre Francois Murad, i sequestri di altri cristiani, tra cui vescovi e sacerdoti, e la distruzione di oltre 60 chiese e istituti cristiani.
L’intervento si è concluso invitando tutti a “desistere dall’ostacolare una soluzione negoziata”. 
“La pace in Siria ci rende tutti vincitori”, ha ricordato.

http://www.fides.org/it/news/53240-ASIA_SIRIA_La_Santa_Sede_all_Onu_non_puo_esserci_soluzione_militare_in_Siria_urge_avviare_negoziati#.UfFgZ21H7wo

La libertà religiosa è un dovere e una responsabilità


Traduzione dell’intervento pronunciato il 6 marzo a Ginevra dall’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e delle Istituzioni Internazionali a Ginevra, alla 22ª Sessione Ordinaria del Consiglio dei Diritti dell’Uomo sulle minoranze religiose.


Signor Presidente,
Nel mondo attuale, a motivo della loro fede o credo, persone appartenenti a minoranze religiose subiscono diversi gradi di abuso, che vanno dalle aggressioni fisiche al rapimento per ottenere un riscatto, dalla detenzione arbitraria e gli ostacoli alla richiesta di registrazione, fino alla stigmatizzazione. La tutela efficace dei diritti umani delle persone appartenenti alle minoranze religiose è assente o viene affrontata in modo inadeguato, perfino dalle Nazioni Unite e nei sistemi internazionali. Di recente, tale preoccupante situazione ha richiamato l’attenzione di alcuni governi e segmenti della società civile. Pertanto, la consapevolezza di questo grave problema si è accentuata. D’altro canto, però, la discriminazione diffusa che colpisce le minoranze religiose persiste e addirittura aumenta.
Il Relatore speciale sulla libertà di religione o di credo ha giustamente incentrato il suo Rapporto sulle numerose violazioni dei diritti umani perpetrate nei confronti di persone appartenenti a minoranze religiose. Talvolta gli Stati sono coinvolti direttamente attraverso l’indifferenza nei confronti di alcuni loro cittadini o per la volontà politica di emarginare, sopprimere o perfino eliminare le comunità che hanno un’identità diversa, a prescindere da quanto tempo sono storicamente radicate nel loro paese. In alcune circostanze, anche gli attori non statali svolgono un ruolo attivo e perfino violento, attaccando le minoranze religiose. L’esauriente descrizione della varietà di violazioni riportate fornisce un quadro realistico dell’oppressione subita oggi dalle minoranze religiose e dovrebbe servire da appello all’azione.
Tuttavia, il Rapporto minimizza il fatto fondamentale che le minoranze vengono definite o dalla prospettiva di una “maggioranza” o da quella di altre “minoranze”. Inoltre, secondo il Rapporto, lo Stato dovrebbe agire con neutralità nel riconoscere i gruppi religiosi. Di fatto, il Rapporto definisce le singole persone titolari del diritto di libertà di religione e considera l’obiettivo della tutela della libertà di religione volto ad «assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo continuo dell’identità culturale, religiosa e sociale delle minoranze coinvolte» (cfr. Comitato per i Diritti dell’Uomo, Commento generale n. 23 [1994] sui diritti delle minoranze [articolo 27], § 9). Esso indica la tutela individuale della libertà di religione come la via per ottenere la protezione delle comunità religiose, processo che non si traduce automaticamente nella loro tutela. Di fatto, lo stesso Rapporto mostra molto bene che la maggior parte delle violazioni della libertà religiosa avviene a livello dei gruppi religiosi.
Mentre lo Stato dovrebbe applicare l’universalità dei diritti umani mantenendo un equilibrio tra libertà e uguaglianza, spesso si identifica con la “comunità dominante” in un modo che, purtroppo, relega le minoranze a uno status di second’ordine, creando così problemi per la libertà religiosa degli individui.
Le libertà e i diritti individuali possono essere conciliati e armonizzati con quelli della comunità che desidera preservare la propria identità e integrità. Non c’è un processo dialettico opposto, ma una necessaria complementarietà. La persona non deve diventare prigioniera della comunità, né la comunità deve diventare vulnerabile solo per l’affermazione della libertà individuale. Il Relatore speciale giustamente osserva che, enfatizzando una comprensione troppo ristretta dell’uguaglianza, potremmo perdere la diversità e la specificità della libertà.
Il riconoscimento legale di una minoranza è il punto di partenza per la necessaria armonia tra la libertà individuale e quella di gruppo. Adottando un tale approccio realistico alla questione, la coesistenza delle comunità viene facilitata in un clima di relativa tolleranza. Tuttavia, prima di poter cercare un tale approccio realistico, occorre garantire alle comunità religiose uno status legale, come esige il diritto umano innato di ogni persona, che precede lo Stato ed è vincolante per esso. Concordiamo dunque pienamente con la raccomandazione del Relatore speciale: «Ciò che lo Stato può e deve fare è creare condizioni favorevoli per le persone appartenenti a minoranze religiose, al fine di assicurare che possano prendere nelle proprie mani le loro questioni collegate alla fede, per preservare e sviluppare ulteriormente la vita e l’identità della loro comunità religiosa» (cfr. A/HRC/22/51. Sintesi). Solo rispettando questo equilibrio è possibile realizzare sia la pacifica coesistenza, sia il progresso di tutti i diritti umani.
Il ruolo dello Stato quale custode e attuatore della libertà di religione, non solo per gli individui, ma anche per le comunità religiose, indica che tale equilibrio è altamente politico. Lo Stato laico spesso non è neutrale nei confronti delle comunità religiose esistenti; nemmeno nelle democrazie occidentali, dove il liberalismo non porta tanto a una società neutrale, quanto a una società priva di una presenza pubblica della religione. Ma lo Stato può preservare un’identità religiosa a condizione che agisca con neutralità e giustizia verso tutti i gruppi religiosi nel suo territorio. Si potrebbe aggiungere che lo Stato deve monitorare le violazioni della libertà di coscienza e che il Relatore, a tale proposito, dovrebbe affrontare il tema dell’obiezione di coscienza quando per una persona diventa impossibile conformarsi alle norme sociali dominanti che sono in contrasto con dettami morali.

Signor Presidente,
Le religioni sono comunità fondate sulla fede o sul credo, e la loro libertà garantisce un contributo di valori morali senza il quale non sarebbe possibile la libertà di tutti. Il riconoscimento della libertà delle altre comunità religiose non riduce le proprie libertà. Al contrario, l’accettazione della libertà di religione di altre persone e gruppi è la pietra d’angolo del dialogo e della collaborazione. La libertà di religione autentica rifiuta la violenza e la coercizione e apre la via alla pace e al vero sviluppo umano attraverso il riconoscimento reciproco. L’esperienza del dialogo interreligioso nelle società occidentali, ormai diventata tradizione, dimostra il valore del mutuo riconoscimento della libertà religiosa.
La libertà di religione è anche un dovere, una responsabilità che si devono assumere sia gli individui sia i gruppi religiosi. Il riconoscimento della libertà religiosa degli individui e dei gruppi sociali implica che essi devono agire secondo gli stessi parametri della libertà di cui godono, e tale condizione giustifica la loro presenza, come attori importanti e autentici, nella pubblica piazza. L’eclissare il ruolo pubblico della religione crea una società ingiusta, poiché non permetterebbe di tener conto della vera natura della persona umana e soffocherebbe la crescita di una pace autentica e duratura per l’intera famiglia umana.

L'OSSERVATORE ROMANO 12 marzo 2013

lunedì 5 agosto 2013

La "Quindicina dell'Assunta" e la consacrazione dei giovani della Siria al Cuore Immacolato di Maria.

Da oltre mille anni, tutte le Chiese dell'Oriente vivono intensamente la solennità dell’Assunzione in cielo della Madre di Dio premettendole quindici giorni di austero digiuno, chiamati “piccola Quaresima della Vergine”, durante i quali in tutti i monasteri e in tutte le chiese si celebra, con grande partecipazione di popolo, l'Ufficio mariano della “Paraclisis”, antico ufficio di supplice implorazione alla Vergine, per i bisogni materiali e spirituali di ogni fedele. In questa preghiera, tutti ripetono l’invocazione “Santa Madre di Dio, salvaci!”. 




Anche quest’anno, come da 40 anni a questa parte, inizia il primo agosto nella Basilica di Santa Maria in Via Lata in via del Corso a Roma (dalle ore 21.30 alle 22.30) la "Quindicina dell'Assunta", con salmi, preghiere e letture e con il canto in italiano degli inni paracletici bizantini una gioiosa preparazione alla Pasqua di gloria della Madre di Dio, per chiedere attraverso la Sua intercessione la pace della terra, l'unità delle Chiese, la benedizione divina sulle nostre famiglie e su ogni creatura umana. La Quindicina avrà il suo momento celebrativo culminante nella veglia dell'Assunta la sera del 14 agosto, nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, dalle ore 20.30 alle ore 22.30, con l'Ufficio delle letture e la Santa Messa della vigilia. 

Testo proveniente dalla pagina del sito Radio Vaticana
http://it.radiovaticana.va/news/2013/08/01/quindicina_dellassunta_nella_basilica_di_santa_maria_in_via_lata_a/it1-716039

Una piccola “GMG” nella città martire di Aleppo

Agenzia Fides   2/8/2013

Aleppo  – Nel giorno in cui Papa Francesco celebrava a Rio de Janeiro la messa conclusiva della GMG, anche i ragazzi cristiani della città martire di Aleppo si sono riuniti per vivere una giornata di preghiera e convivenza in comunione di spirito coi tre milioni di loro coetanei radunati sulla spiaggia di Copacabana e per aiutarsi a custodire insieme la speranza, pur nella sofferenza e nella fatica che segna la loro condizione quotidiana. Domenica 28 luglio, ben 850 ragazzi cristiani appartenenti a tutte le comunità cristiane della metropoli siriana si sono dati appuntamento al Centro per la gioventù George e Matilde Salem, animato dai padri salesiani nel quartiere di al-Sabeel, dove hanno condiviso un giorno di riflessione, preghiera, dibattiti e svaghi. Quattro vescovi cattolici hanno preso parte alla giornata, celebrando la messa e dividendosi i compiti nei vari momenti di riflessione e preghiera. La convivenza si è conclusa con la consacrazione dei giovani della Siria al cuore Immacolato Maria.


Il vescovo armeno cattolico Boutros Marayati descrive con accenti pieni di commozione all'Agenzia Fides l'esperienza condivisa con i giovani di Aleppo: “Mi sono meravigliato nel vedere tanti giovani senza paura, in una città sfigurata dalla guerra. Tutti testimoniavano una pace interiore che certo è un dono del Signore. In tanti di loro la crisi prolungata e le sofferenze viste da vicino per tanto tempo hanno suscitato uno sguardo lucido e profondo su cosa può salvare e redimere la vita, in ogni condizione. Si è rafforzata la percezione della tenerezza di Gesù per ognuno di loro, e molti cominciano a pensare di consacrarsi al Signore nella preghiera e nel servizio ai fratelli. Abbiamo fatto tesoro delle Parole che Papa Francesco aveva detto già nei primi giorni della GMG, con il suo richiamo a non lasciarsi rubare la speranza. Quelle parole hanno illuminato l'intera nostra giornata”. La descrizione del vescovo armeno cattolico si sofferma a lungo sul miracolo della pace interiore da lui percepita nei giovani cristiani di Aleppo: “Hanno provato a contattare con skype i giovani presenti a Rio” racconta a Fides mons. Marayati "ma le linee internet non funzionavano. Il clima era disteso, I ragazzi non apparivano presi dall'angoscia di sentirsi sotto assedio o di dover temere il futuro in quanto cristiani. Nonostante l'alto numero di partecipanti al raduno, non c'era nessuna misura protettiva e nessuna forma di autodifesa organizzata. E grazie a Dio, tutto è andato bene” .

venerdì 2 agosto 2013

Sul rapimento Dall'Oglio

  La questione ci sembra delicata e spinosa. Riceviamo da un nostro lettore questo commento, con cui concordiamo e che pubblichiamo in evidenza


“Ciò che appare in queste ore sui siti di informazione cattolici ( cfr, ad es, i peraltro sempre utili Vaticaninsider, o Missionline) a proposito di Padre Dall’Oglio è abbastanza sconcertante.
Forse, per salvaguardare la giusta carità di fronte alla preoccupazione per la sua sorte, e la giusta verità di fronte alle sue posizioni fuori dall’ insegnamento del Vangelo e della Chiesa , sarebbe meglio tacere.
O almeno praticare un discernimento più attento, prima di canonizzarlo mediaticamente, anche pensando alle sue più recenti affermazioni.  
Il religioso è arrivato giusto qualche giorno fa, fra le altre cose, (http://www.huffingtonpost.it/padre-paolo-dalloglio/la-morale-cristiana-e-larma-chimica-siriana_b_3622154.html?utm_hp_ref=italy) , ad elogiare l’uso di armi chimiche come uno strumento legittimo per risvegliare le coscienze, e lottare per la pace.
Non solo, ma anche ad identificarsi pienamente , attraverso un “noi” ripetuto ad oltranza, con la militanza armata. Fino alla minaccia.

Su questo, stranamente, ahimè, nessun segno di reazione; eppure ci si sarebbe aspettati qualche presa di posizione chiarificatrice, in ambito cattolico, su questo atteggiamento di Padre Paolo e sulla prassi non violenta della Chiesa.
P. Paolo ovviamente è libero di agire e pensare come crede ( lasciando però liberi gli altri di dissentire dal suo profetismo visionario).
Ma, in questo momento del suo percorso politico, associare alla figura di Charles de Foucauld (che per Cristo si è fatto mite e disarmato) l’immagine di Dall’Oglio e il suo impegno nella lotta; fare di lui l’unico ed autentico interprete del desiderio di pace e giustizia dei Siriani; esaltare il suo interventismo come amore di un prete per il dialogo islamo-cristiano, è l’elogio dell’assurdità.

Preoccupiamoci per lui, per la sua incolumità. Rattristiamoci per le tante vittime della violenza, per quelli che la subiscono e anche per quelli che la scelgono.
Ma non dimentichiamo che P. dall’Oglio è rientrato clandestinamente in Siria, sotto la protezione delle armi, con un progetto preciso, e non come un qualsiasi civile inerme; non assocerei la sua scomparsa di questi giorni alla vicenda dei Vescovi , dei sacerdoti o di altri civili rapiti, se non altro per il disprezzo con cui P. Paolo si esprime a proposito dei cristiani siriani, specie se in qualche posizione di autorità nella Chiesa.
Questo non per togliere qualcosa alla compassione per lui, ma per restare almeno un po’ nella realtà.”  
Giovanni     

mercoledì 31 luglio 2013

«Temo che i vescovi rapiti siano morti. I cristiani sono decimati ed è anche colpa dell’Occidente»

L'incontro – testimonianza di Mons. Giuseppe Nazzaro, Vescovo di Aleppo, avrà luogo presso la “Palazzina Azzurra” di S. Benedetto del Tronto, sabato 3 agosto '13, ore 21.00, sul tema: La Siria dal 1966 AL 2013: “Il prezzo della Pace”

Intervista all’ex vicario apostolico di Aleppo, monsignor Giuseppe Nazzaro


giuseppe-nazzaro-aleppo-siria
TEMPI - 31 luglio, 2013
di Leone Grotti


Giuseppe Nazzaro, vescovo dell’ordine dei francescani, è stato vicario apostolico di Aleppo dal 2002 fino a metà di quest’anno. Prima di arrivare nella seconda città più grande della Siria – oggi dilaniata e divisa tra l’est comandato dai ribelli jihadisti e l’ovest assediato, ancora sotto il controllo del governo – monsignor Nazzaro è stato custode di Terra Santa dal 1992 al 1998, ha conosciuto da vicino il Cairo e Alessandria, dove è stato parroco, e ha mantenuto dal 1986 al 1992 la segreteria della Conferenza dei ministri provinciali del Medio Oriente e Nord Africa. 
A tempi.it parla della situazione «quasi di assedio» in cui si ritrovano i cittadini di Aleppo ovest, di una «guerra guidata dall’esterno» e delle poche speranze che nutre sulla sorte dei due vescovi rapiti  da ormai tre mesi: «Temo che siano morti».

Qual è la situazione nella sua città di Aleppo?  La gente è quasi sotto assedio, non si può muovere e soffre molto. Quando l’esercito è riuscito a creare un passaggio per dare possibilità alla gente di scappare dalla città, i ribelli hanno assalito i pullman che li trasportavano, sparando sui civili. Alcune delle donne che viaggiavano sopra quei mezzi sembra che siano sparite.

Ieri i ribelli hanno aperto al dialogo promosso dagli Stati Uniti per porre fine alla guerra.  Ci sono due problemi per cui ritengo quasi impossibile la buona riuscita del dialogo. La prima è che i ribelli non vogliono discutere senza preclusioni. Loro pongono come precondizione al dialogo la cacciata del presidente Assad. Come si può discutere con queste basi? Che diritto hanno di chiederlo?

E il secondo problema?  
L’Occidente ormai è impotente, ha causato tutto e ora non riesce più a controllare niente. Non sono più i siriani come popolo a combattere contro un governo, sono masnade di guerriglieri di tutte le estrazioni di fanatismo che si sono riversate nel paese. Questa gente non vuole liberare la Siria, vuole costruire la grande patria araba. Sa cosa dicevano i ribelli ai cristiani? “Questa non è più la Siria, questa è la grande patria araba”, la Umma.









Non è esagerato dire che la guerra in Siria è stata causata dall’Occidente    
No, perché l’Occidente ha interessi economici enormi. Fornire le armi a un popolo in rivolta è come dire: autodistruggetevi pure, poi verremo noi a ricostruire tutto, dietro adeguato compenso.   


Ma a sostenere i ribelli materialmente sono Arabia Saudita e Qatar. 
 E i governi occidentali hanno deciso di appoggiare l’azione di questi due paesi. Sauditi e Qatar hanno interessi religiosi in Siria: vogliono spezzare l’asse sciita che si era creato tra Iraq, Iran e Siria. Per questo è nata la guerra. L’Occidente ha deciso di appoggiarli, ma non si rende conto di che cosa significhino il Corano e la religione in Medio oriente.

Cioè?  In Arabia Saudita, meno di un mese fa, il Gran Muftì ha detto: «Merita la morte chi va contro il sacro Corano affermando che sia la terra a girare intorno al sole e non il sole a girare intorno alla terra». Ci rendiamo conto di che cosa significa questo? L’Occidente non riesce a capire. Come con le brioches.

Cosa c’entrano le brioches?  È l’ultima fatwa emessa dal Muftì di Aleppo, che ha messo al bando le brioches [perché rappresentano lo Stato islamico, ndr]. Noi non capiamo queste cose, al massimo ci ridiamo sopra, ma i cristiani siriani sanno quali sono le conseguenze pratiche.
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 I cristiani sono spaventati da una possibile vittoria dei ribelli?
 Come non esserlo? A marzo, ad esempio, sapendo che il Santo Padre avrebbe accettato le mie dimissioni [per raggiunto limite di età, ndr], sono andato a salutare personalmente tutti i miei parroci. Sono stato anche nel villaggio dove poi è stato ucciso padre Murad: lì erano tutti cristiani, quando sono andato io ne erano rimasti meno di venti, compresi due sacerdoti e tre suore. Tutte le case erano state occupate da masnade di ribelli, la chiesa greco-ortodossa ridotta ad una stalla. Quella cattolica latina, invece, poiché c’era ancora il parroco, è stata risparmiata. Ma gli avevano già rubato le campane. Il problema sta tutto nella mentalità.

Cioè?  Già quando è iniziata la “Primavera araba” al Cairo, i capi religiosi dicevano che se i cristiani volevano restare in Egitto avrebbero dovuto pagare la Gizia, una tassa obbligatoria per i non musulmani. È così che storicamente il mondo arabo è diventato islamico: perché i poveri, pur di non pagare più, si sono convertiti. I cristiani temono i ribelli perché la loro mentalità è semplice: o te ne vai, o passi dalla nostra parte. Ma la Siria non è mai stata così.

Da Vicario apostolico non ha mai sentito l’ostilità di un paese a maggioranza islamica?   Io posso dirle questo: ho abitato in questi paesi quasi tutta la mia vita. Se in coscienza devo dire dove sono stato libero di esercitare la mia fede, la mia religione, in piena tranquillità, questo posto è la Siria, soprattutto sotto l’attuale presidente. Un rispetto così grande io non l’ho mai trovato neanche in Italia, e non esagero: libertà di culto, processioni per le strade, rispetto da parte dei musulmani, dialogo inter-religioso.

Ora questo rispetto sembra sparito: da più di tre mesi non si sa niente dei vescovi siro-ortodosso di Aleppo, Youhanna Ibrahim, e greco-ortodosso di Aleppo e Iskanderun, Boulos al-Yazij, rapiti il 22 aprile scorso. Ha notizie di loro?   Da tempo non si parla più di loro. Il sabato precedente al loro rapimento tutti noi vescovi cattolici e ortodossi ci siamo riuniti. Davanti a noi il vescovo siro-ortodosso di Aleppo si è messo in contatto con alcune persone, che sembravano suoi amici, per parlare del rilascio di due sacerdoti rapiti. Al telefono gli hanno risposto che stavano bene, ma di non muoversi per liberarli perché era ancora pericoloso. Avrebbero richiamato loro. Poi ha telefonato al vescovo greco-ortodosso che si trovava in Turchia ma voleva rientrare. Si sono dati appuntamento alla frontiera e poi sappiamo come è andata, sono stati rapiti. È chiaro che i telefoni erano controllati, ma non è chiaro da chi siano stati sequestrati.



Si sa almeno se sono ancora vivi?   Io non ho più speranze in questo senso, temo che siano morti. Il cristianesimo è già stato decimato in Siria e non tanto perché i musulmani li cacciano ma perché  l’Occidente ha messo gli uni contro gli altri.

In che senso?  Appoggiando una fazione contro l’altra con la scusa di esportare la democrazia. Ma io mi chiedo: l’Occidente che si allea con l’Arabia Saudita lo sa che là i diritti umani non esistono? Che cosa ne sa il Qatar di democrazia?

Neanche Assad è un campione dei diritti umani.  La Siria è un regime e ci sono molte cose da correggere nella gestione del potere. Ma questo non si può fare con l’imposizione o esportando un modello occidentale o facendo esplodere le caserme a Damasco nei quartieri cristiani. Non si può agire senza considerare la storia e la psicologia di un popolo. Oggi la Siria è uno sfacelo e l’Occidente dovrebbe farsi solo una domanda.

Quale?   Siamo soddisfatti dell’Iraq, dell’Egitto, della Libia e della Siria? Questi paesi erano governati da regimi e non dico di certo che fossero ottimi, ma non c’erano tutti i morti di adesso, non c’erano le bombe dappertutto.

Quali speranze sono rimaste per la Siria?  Poco tempo fa ho avuto la possibilità di incontrare papa Francesco solo per pochi minuti: l’unica cosa che gli ho chiesto è di proclamare una giornata di preghiera mondiale per la pace e la riconciliazione in Siria. Mi ha detto che era una buona idea.


http://www.tempi.it/siria-cristiani-aleppo-giuseppe-nazzaro-ribelli-islam-occidente-vescovi-rapiti-morti#.UfkFC21H7wo

lunedì 29 luglio 2013

Mairead Maguire, Nobel per la Pace, in Vaticano: “Nonviolenza e dialogo sono l'unica via per la pace”



Agenzia Fides -  24/7/2013

 – Non violenza, dialogo, riconciliazione, pace sono “le parole chiave per risolvere la crisi siriana”. Sono anche “l’unica strada possibile per evitare una degenerazione regionale del conflitto, con esiti imprevedibili”. Sono “i valori che promuove fortemente la Chiesa cattolica, secondo il messaggio evangelico di Gesù Cristo”: è quanto dice, in colloquio con l’Agenzia Fides, Mairead Maguire, Premio Nobel per la Pace nel 1976, per l’impegno nella soluzione del conflitto in Irlanda del Nord. 
La Maguire è stata nei giorni scorsi in Vaticano, dove ha avuto colloqui con il Segretario per i Rapporti con gli stati, l’Arcivescovo Dominique Mamberti, e con il Presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, il Card. Peter Turkson. “Ho espresso il desiderio di incontrare Papa Francesco e torno a casa piena di speranza che un forte messaggio di pace verrà dalla Santa Sede a sostegno della pace in Siria”, spiega a Fides.
“Nei colloqui intercorsi, abbiamo concordato che la Chiesa cattolica deve promuovere un forte messaggio di pace per la Siria. Urge un messaggio molto chiaro di nonviolenza e di riconciliazione come strade per la pace. Sono le vie che ha scelto Gesù”, chiarisce Maguire, che è di fede cattolica, e responsabile dell’Ong “Peace People” a Belfast. 
“E’ oltremodo necessario rilanciare nel mondo un messaggio di pace, una parola sull'amore al nemico e sul perdono. Se questo messaggio non lo diffonde la Chiesa, chi potrà offrirlo?”, nota.

Parlando a Fides dello scenario siriano, la Nobel nota che “la situazione sul terreno è oggi molto complicata da nuovi focolai, nuovi attori di violenza e da nuove armi. Le cifre delle vittime sono spaventose e, come ha detto l’Onu, comparabili solo al genocidio del Ruanda. Ora, dopo due anni di conflitto, occorre fermarsi e sostenere chi cerca di far incontrare le persone, riproporre il dialogo, iniziando con un cessate-il-fuoco e con uno stop alla violenza indiscriminata. Occorre riconsiderare con forza una soluzione politica”.
Maguire ha compiuto un viaggio in Siria nel maggio scorso, a capo di una delegazione di pace: “Siamo stati in Siria e in Libano, visitando i campi profughi. Abbiamo partecipato a incontri di preghiera interreligiosa. Abbiamo incontrato gente comune, membri del governo e dell’opposizione. La maggior parte dei gruppi, civili e religiosi, invoca il dialogo e preme per la pace. La popolazione è stanca di morte, violenza e distruzione”. “Non possiamo che ribadire – prosegue – che la pace la riconciliazione sono il bene supremo e molte persone in Siria hanno scelto questa strada. Vi sono molte iniziative dal basso, magari poco note, come quella del movimento ‘Mussalaha’, sostenuta dal Patriarca Gregorio III Laham”.
In concreto, suggerisce Maguire, “occorre fornire supporto tecnico e materiale per promuovere una de-escalation del conflitto. Si deve parlare con tutti e riavviare un dialogo nazionale, tra governo e opposizione, tracciando una transizione, nel rispetto del principio di autodeterminazione, chiedendo al popolo siriano cosa vuole”.
Maguire propone di applicare il modello che ha portato la pace in Nordirlanda, in una società dove erano radicati odi e divisioni: “Abbiamo iniziato a promuovere amicizia, perdono e riconciliazione dal basso, per poi portarli a livello politico e istituzionale. Così può accadere per la Siria, ma le armi debbono tacere. La comunità internazionale dovrebbe supportare quanti promuovono questo approccio per un dialogo inclusivo”, conclude. (PA) ()

http://www.fides.org/it/news/53233-ASIA_SIRIA_Mairead_Maguire_Nobel_per_la_Pace_in_Vaticano_Nonviolenza_e_dialogo_sono_l_unica_via_per_la_pace#.Ue_S-W1H7wo

sabato 27 luglio 2013

"Coloro che hanno i mezzi di esigere dai rapitori le prove che i Vescovi rapiti sono ancora in vita, devono agire al più presto"



Essi sono stati rapiti il 22 aprile e, tre mesi dopo, non abbiamo avuto ancora nessuna notizia del Vescovo Paolo Yazigi e Mons. John Ibrahim, i due vescovi ortodossi di Aleppo. In assenza di prova della loro morte, non possiamo dire che i Vescovi sono stati uccisi dai loro rapitori.

Ma ci si può chiedere perché le autorità internazionali, che sono in contatto con i ribelli siriani non esigono da parte di costoro  prove di vita o dei segni che sono in corso trattative.
"Perchè attaccare dei Vescovi è  dimostrare che i sacerdoti e i fedeli non sono più al sicuro in Siria, e dunque si sta minacciando tutti i cristiani in questo Paese", dice Mgr Pascal Gollnisch, direttore generale  di l’Œuvre d’Orient
Si tratta secondo il padre Gollnisch di ricondurre le parti alle loro responsabilità, di fare il punto, perché "è tempo che noi sappiamo dove si trovano." ....
      leggi l'articolo completo qui: 
http://www.oeuvre-orient.fr/2013/07/24/syrie-interview-de-mgr-gollnisch-a-propos-de-lenlevement-des-deux-eveques-il-y-a-deja-3-mois/


One hundred days since the abduction of the two Archbishops Yohanna Ibrahim and Boulous Yazigi




Resta incerta la sorte dei due vescovi ortodossi rapiti ad Aleppo 

da Terrasanta.net | 26 luglio 2013 

Non ci sono ancora notizie certe sulla sorte dei due vescovi ortodossi rapiti nella città siriana di Aleppo nell’aprile scorso.
Di tanto in tanto filtrano illazioni prive di conferma. Il 23 luglio, ad esempio, il quotidiano turco Hürriyet, ha riferito del fermo e del successivo rilascio di tre persone nella provincia anatolica di Konya. Su di loro gravava il sospetto che avessero ucciso i due metropoliti di Aleppo, Boulos Yaziji (greco ortodosso) e Youhanna Ibrahim (siro ortodosso).
Il nipote di uno dei due ecclesiastici rapiti ha però smentito l’ipotesi che lo zio potesse essere stato ucciso. La voce s’era sparsa dopo la diffusione (su Internet) di un video, non datato, in cui si vedevano due cristiani (tra i quali un vescovo) uccisi brutalmente.
Fadi Hurigil, capo della Fondazione della Chiesa ortodossa di Antakya, s’è detto sicuro che in quel video non compaiono i vescovi Boulos Yaziji (che è, tra l’altro, fratello del patriarca greco ortodosso d’Antiochia) o Youhanna Ibrahim.
I due prelati furono rapiti il 22 aprile scorso, alle porte di Aleppo, da uomini armati che li intercettarono mentre, a bordo della stessa auto, provenivano dal confine con la Turchia. Il conducente del veicolo fu ucciso.
Il mese scorso anche il settimanale cattolico britannico The Tablet, citando fonti della regione, aveva insinuato che i due ecclesiastici sono «probabilmente morti», e che «sarebbero stati uccisi il giorno stesso del rapimento».
Alcuni osservatori, però, ritengono che se i due vescovi fossero davvero morti, la notizia sarebbe ormai filtrata. In ogni caso, per avvalorare l’ipotesi dell’assassinio, servirebbero delle prove.
Nella convinzione che i metropoliti siano tuttora vivi, c’è chi auspica maggiori pressioni internazionali da parte dei governi e in particolare di quello turco. Nel corso di eventuali negoziati di pace, gli emissari governativi non avrebbero difficoltà a chiedere ed ottenere la prova dell’esistenza in vita dei due rapiti.
Da parte nostra invitiamo i lettori ad unirsi a noi nella preghiera per il benessere e la libertà dei metropoliti sequestrati e di tutti coloro che soffrono a causa del conflitto in Siria.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=5417&wi_codseq=


Dichiarazione dei Capi delle Chiese ortodosse: preghiamo con i nostri fratelli in Cristo che sono “messi a morte tutto il giorno”.


Primati e rappresentanti delle Chiese ortodosse locali, riuniti a Mosca per le celebrazioni in onore del 1025° anniversario del Battesimo della Rus’, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, il cui tema principale è la situazione dei cristiani in Medio Oriente. Il 25 luglio, nel corso di una riunione al Cremlino, il testo di questa dichiarazione è stato dato da Sua Santità il Patriarca Kirill, a nome di tutti i presenti, al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.

Chiesa Ortodossa russa - 25.07.2013

 Noi, Capi e rappresentanti delle Chiese ortodosse locali, riuniti a Mosca su invito del Patriarca di Mosca e tutta la Rus’ Kirill in occasione della celebrazione del 1025° anniversario del Battesimo della Russia, riteniamo nostro dovere levare la voce in difesa dei nostri fratelli cristiani che oggi sono perseguitati per la loro fede in varie regioni mondo.
Migliaia di credenti in Cristo sono esposti quotidianamente a supplizi e torture, scacciati dalle loro case, molti vengono uccisi.
Notizie di torture e uccisioni di cristiani giungono da Nigeria, Pakistan, Afghanistan e India. In Kosovo, i santuari sono profanati, molte chiese sono state distrutte, e molte persone sono private della possibilità di visitare le tombe dei loro cari e di pregare Dio nella terra dei loro antenati.
Profonda preoccupazione suscita la situazione in Medio Oriente. Un gran numero di paesi della regione è travolto da un’ondata di violenza e terrore le cui vittime sono i cristiani. La Libia, dove i cristiani sono quasi scomparsi, è spaccata in tribù costantemente in guerra tra loro. Non cessano gli attacchi terroristici in Iraq, dove del milione e mezzo di cristiani che vi vivevano fino a tempi recenti, è rimasta solo la decima parte. Sempre più allarmante è la situazione in Egitto, dove lo scontro è appena entrato in una nuova fase di fatti sanguinosi, e dove si assiste a un esodo di massa della popolazione cristiana. Il dolore e la sofferenza toccano migliaia di famiglie di persone inermi. Di regola, del conflitto risentono prima di tutto i gruppi più vulnerabili della popolazione, tra cui le minoranze etniche e religiose.
Nel settembre del 2010, si è svolta a Cipro una riunione dei Primati delle Chiese del Medio Oriente, che ha espresso grave preoccupazione per la situazione nella regione e timore per il futuro dei cristiani che vi abitano. La stessa preoccupazione è stata espressa nel corso di riunioni analoghe, nell’agosto 2011 in Giordania, nel settembre dello stesso anno a Costantinopoli e nel marzo 2012 a Cipro. Una dichiarazione a sostegno dei cristiani sofferenti del Medio Oriente è stata adottata nel corso della riunione dei Capi e rappresentanti di sette Chiese ortodosse locali, svoltasi a Mosca nel novembre 2011.
Oggi particolarmente drammatica è la situazione in Siria. Nel mezzo della guerra fratricida in corso, avviene uno sterminio di massa dei cristiani e dei membri di altri gruppi religiosi, che vengono scacciati dalle loro città e villaggi, dai luoghi dove per secoli hanno vissuto fraternamente fianco a fianco con i membri di altre tradizioni religiose.
I gruppi paramilitari non risparmiano i mezzi per raggiungere i loro obiettivi. I loro membri radicali si spingono sempre oltre ogni limite nelle loro attività criminali. Le orribili scene di violenza, esecuzioni pubbliche, umiliazioni alla dignità della persona, e ogni sorta di violazioni dei diritti umani diventano abituali. Rapimenti e omicidi, spesso commessi per banali scopi di lucro, sono ormai fatti quotidiani. Gli estremisti non esitano a umiliare personalità religiose, il cui rispetto ha sempre caratterizzato l’Oriente.

I mezzi di informazione del mondo, così come molti politici, lasciano passare sotto silenzio la tragedia dei cristiani in Medio Oriente.

Noi esprimiamo la nostra solidarietà a Sua Beatitudine il Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente Giovanni X, che non ha potuto condividere con noi la gioia della festa di oggi, essendo dovuto rimanere con il suo gregge in un momento così difficile. Le nostre preghiere sono con lui e con i nostri fratelli in Cristo che sono “messi a morte tutto il giorno” (cf. Romani 8, 36).
Noi soffriamo insieme a tutto il popolo sofferente della Siria. Chiediamo l’immediata liberazione dei gerarchi cristiani di spicco della Siria, catturati dai ribelli già nel mese di aprile: il metropolita Paulos di Aleppo e Iskenderun e il metropolita siro-ortodosso di Aleppo Mar Gregorios Yohanna Ibrahim.

Noi facciamo appello a tutte le parti in conflitto e a quanti sono in grado di esercitare un’influenza politica sulla situazione. Fermate l’ondata di violenza e lo sterminio della popolazione civile! Imponete una moratoria sulle operazioni militari, affinché una soluzione pacifica del conflitto civile venga elaborata al tavolo dei negoziati. Liberate i ministri del culto rapiti e gli altri civili!
Come servitori del Dio Eterno, noi eleviamo con fervore le nostre preghiere al Principe della pace, al Signore Onnipotente, per il ripristino della pace e dell’amore fraterno nella terra del Medio Oriente, per il ritorno dei profughi ai villaggi natali, per la guarigione dei feriti e il riposo delle vittime innocenti. Che il Signore ispiri a tutti coloro che sono coinvolti nei combattimenti saggezza e la buona volontà di fermarli!

 https://mospat.ru/it/2013/07/25/news89183/

venerdì 26 luglio 2013

A candid look at Syria, the land of Saint Paul, today

The Arab Springtime is a Nightmare for Syrian Christians

the ancient Sanctuary of St. Elias devastated

CWR - July 23, 2013
di Alessandra Nucci 

Middle Eastern Christians decry how Western media misrepresent the increasingly violent events in Syria

After two years of “Arab Spring” rebellion, the 2,000-year-old community of Assyrian Christians—some of whom still pray in Jesus’ Aramaic tongue—is facing extinction, and the international media is complicit.

Now that Syria is in shambles—with an estimated 93,000 dead, 1.5 million refugees, and 4.5 million internally displaced; ancient churches torched, destroyed, or vandalized; Christians targeted for murder and kidnapping and even used as human shields—now the mainstream media is starting to admit that, yes, the rebel forces appear to include quite a few Islamist guerrillas .....
  Please read: 
http://www.catholicworldreport.com/Item/2440/the_arab_springtime_is_a_nightmare_for_syrian_christians.aspx#.UfAZsNLwkRI 

mercoledì 24 luglio 2013

"Io offro la mia vita di tutto cuore per la pace"

Rivelazioni sull'offerta di Padre François de l'Enfant Jésus Mourad



da Zenit.org 



Una e-mail del 13 luglio, di cui si tace la fonte  per non metterla  in pericolo, ci ha inviato queste luci sul martirio di Padre Francesco Mourad, accaduto in Siria, a Ghassanié, domenica 23 giugno, all'età di 49 anni.



Il P. Francesco, dopo diversi tentativi di vita religiosa e monastica ( tra altri presso i Francescani e la Trappa di  Latroun, in  Libano)  aveva fondato, sotto l'obbedienza del vescovo siro cattolico di Hassaké Monsignor Behnam Hindo, un monastero a San Simeone Stilita. La costruzione aveva da poco avuto inizio quando ha dovuto lasciare il luogo  per precauzione. Ha ricominciato più  tardi, ma con lo stesso risultato dopo pochi mesi. Alla fine ha costruito un monastero vicino a Ghassanié, a nord ovest di Aleppo, vicino al confine turco. Questo monastero è stato inaugurato nel mese di agosto 2010.
Pochi mesi fa, questo monastero è stato  invaso e saccheggiato dall'esercito libero che ha preso tutto - perfino le porte - e devastato. Il P. Francesco allora si è rifugiato alla Parrocchia latina di Ghassanié tenuta dai Francescani.
Padre Francesco amava molto – oltre alla Santa piccola Therese - Fr Charles de Foucauld: ha vissuto la stessa situazione di solitudine e di fallimento, ed è morto come lui, di una morte violenta.
La sua povera madre è crollata. Aveva già perso un figlio e una figlia e un nipote morto di cancro circa un anno fa.

I suoi  ultimi  SMS

Regolarmente, Padre Francesco inviava messaggi a delle religiose per le quali a volte andava a dire messa. Ecco l'ultimo, del 1 ° giugno 2013, l'inizio del mese del Sacro Cuore:
"Care Sorelle, quando comprendiamo l'ampiezza e la preziosità che rappresenta l'amore nella nostra vita consacrata all’Amore stesso, ci è facile comprendere la profondità e il mistero della sofferenza che ci porta a sua volta  alla comprensione del Cristo Crocifisso. Egli  ci ha insegnato che l'amore ha un sinonimo chiamato sofferenza. Padre François di Gesù Bambino Mourad ".

Scoppi di voci  e colpi da fuoco

Ecco la testimonianza  che le  Suore del Rosario, che custodiscono la  Parrocchia  di Ghassanié dopo che la loro scuola è stata saccheggiata, hanno  dato della sua morte, durante la Messa celebrata il 25 giugno nella cattedrale siro-cattolica di Aleppo  per il defunto Fra Francesco.

Le Sorelle hanno udito grida e colpi di arma da fuoco. Sembra che gli aggressori avessero chiesto qualcosa a Padre Francesco. Quest'ultimo ha rifiutato, lo hanno ucciso. Erano già entrati in canonica ieri, l’avevano minacciato poi  se ne erano andati. Molte cose non sono chiare in questo dramma. Tutto non può probabilmente essere detto. Ma quel che è certo è che P. Francesco di Gesù Bambino è morto martire, nel pieno senso cristiano della parola.

Ecco alcuni estratti da lettere che P. Francesco aveva inviato nei mesi scorsi all'arcivescovo Behnan Hindo, vescovo siro cattolico di Hassaké (il Vescovo Hindo aveva sotto la propria giurisdizione il monastero di San Simeone fondato da Padre Francesco). Esse mostrano che il Padre era consapevole del pericolo, ma che egli "offriva  la sua vita con tutto il cuore per la Pace." Queste lettere sono state comunicate in una emissione del canale della TV cattolica libanese, Téle-Lumière.
"La testimonianza di Padre Francesco si riassume in queste parole:" Io offro la mia vita con gioia " e il Padre ha accolto  il suo martirio nel suo monastero di S. Simeone Stilita a Ghassanié domenica 23 giugno,  in condizioni barbariche e oscure, per mano di un gruppo estremista islamico.

Le lettere dell’offerta

Prima lettera del 18 giugno 2012:  "Monsignore," Barekh Mor "(espressione siriaca in uso  che significa" Benedici, o Signore "), siamo in pericolo.  Non possiamo né lasciare il villaggio nè  entrarvi. Hanno attaccato  chiese e insegne religiose. Ogni giorno uno di noi scompare.  Non so quando verrà il mio momento.  Comunque, io sono pronto a morire; e che la mia Chiesa  ricordi  che ho offerto  la mia vita con gioia per ogni cristiano di  questo amato Paese. Pregate per me. "

Lettera del 20 febbraio 2013:. «Monsignore," Barekh Mor ".  Gli avvenimenti precipitano  e penso che siamo entrati in una fase decisiva della nostra lotta.  Dopo aver bruciato la chiesa greca (bizantina) e distrutto il santuario mariano dei Latini, hanno saccheggiato tutto e distrutto il mio convento e quello dei protestanti. Hanno fracassato e bruciato tutti i simboli religiosi del villaggio e imbrattato con bestemmie contro la nostra religione. Cercano di sopprimerci, ma qualsiasi cosa facciano, non  potranno nulla contro la nostra fede fondata  sulla Roccia di Cristo . Voglia  Dio che Egli ci conceda la grazia di provare l'autenticità del nostro amore per Lui e per gli altri. Siate certi che io  offro la mia vita con tutto il cuore per il bene della Chiesa e la pace nel mondo e soprattutto nella nostra amata Siria ".

Lettera del 17 marzo 2013: «Monsignore," Barekh Mor ". I giorni passano lentamente e ogni giorno è più scuro rispetto al precedente.  Si avvicina il tempo in cui dovremo cercare un luogo di rifugio contro i bombardamenti.  Di notte, cerchiamo di rimanere  svegli per paura di coloro per i quali tutto ciò che porta il nome di Cristiano  è un anatema. Eppure, nonostante tutte queste tenebre, io percepisco la presenza misteriosa del sole. Tutto ciò che io spero da Dio  è che la Sua Presenza sia vittoriosa sulle tenebre che fan sì che siamo arrivati ​​a questo. Preghi  per noi ".


Padre Francesco di Gesù Bambino è nato nel 1964 , da  Antoine Mourad, e Muna Salloum. Ha avuto cinque sorelle e un fratello che morì giovane. È stato ordinato diacono il 17 gennaio 1999 e sacerdote il 30 maggio 1999. Ha presentato la "Regola dei Fratelli di San Simeone Stilita" il 1 ° settembre 1998. Il 27 agosto 2010 è stato inaugurato il monastero di San Simeone Stilita a Ghassanié.


Dalle Cronache del Monastero della TRAPPA di LATROUN


Come molte persone, e davvero tanta gente, abbiamo appreso con grande dolore dell'assassinio di Padre Francesco MOURAD. Il suo martirio avvenne domenica  23 giugno in  Ghassanieh nel convento francescano, dove era fuggito per l’ intensificazione delle ostilità. Padre Francesco non è estraneo  a Latrun, tutt'altro. Di famiglia cattolica armena araba, è nato a Banias (Siria) il 19 marzo 1964, con il nome di Jabra o Gaby. Egli venne in  Libano, entrò in contatto con i Trappisti, entrò a Latrun il 7 Maggio 1987, è diventato un novizio con il nome di Francesco, ha lasciato il monastero il 15 febbraio 1988. Entrò nel noviziato francescano  e vi fece la professione temporanea. Uscì e tornò a Latrun il 16 gennaio 1992 quindi, dopo un anno di noviziato, ha emesso i voti semplici il 2 febbraio 1994. Ci ha lasciato il  28 Ottobre 1994. Fu ordinato sacerdote dal vescovo siro cattolico di Hassaké e fondò un monastero a nord-ovest di Aleppo; ha sempre  mantenuto legami forti con i Francescani. Nell'agosto del 1999 egli scrisse all’ Abate Dom Paolo di Latrun: "Tu sai che io non dimentico Latrun, perché è lì che la  mia vocazione si è radicata. Se ho avuto la grazia dell'ordinazione sacerdotale è anche grazie alle preghiere della comunità di Latrun. Ogni volta che celebro  la Messa io offro anche per  Latrun .... Mi affido alla preghiera dei fratelli di Latrun con tutti i miei fratelli. P. Francesco di Gesù Bambino ".
Dato il deterioramento della situazione si rifugiò nel convento francescano di  Ghassanié. E’ diventato sempre più consapevole  del pericolo e lui diceva di essere pronto ad offrire la sua vita, come ha detto in tre lettere al vescovo Hindo:  "... Che la mia Chiesa ricordi che ho dato la mia vita con  gioia per ogni Cristiano di questo caro paese "(كل يوم يختفي واحد منا, ولا ادري متى يأتي دوري. في كل الأحوال أنا نستعد للموت, ولتتذكر كنيستي انني قدمت حياتي بفرح من أجل كل مسيحي في هذا البلد الحبيب .... صلوا من أجلنا. () إنني سأقدم حياتي بكل طيب خاطر من أجل الكنيسة والسلام في العالم, وخصوصا من أجل بلدنا الحبيب سوريا "). 

Queste parole non sembrerebbero l’ eco del testamento di  Christian de Chergé ?

martedì 23 luglio 2013

Nulla può giustificare la campagna diffamatoria che si svolge contro Madre Marie-Agnès!


di Padre Daniel Maes - Mar Yakub  
 mercoledì 12  – venerdì 19 luglio 2013

Mentre, questa domenica la liturgia bizantina festeggia i Padri dei primi sei Concili ecumenici – per i quali la fede cristiana si è trasformata in una fede più chiara e più pura – noi festeggiamo la quindicesima domenica dell’anno con il Vangelo luminoso del buon Samaritano. Alla fine, non pranziamo nell’atrio, ma restiamo nel refettorio. Infatti, circola un elicottero e questo ci ha già sorpreso con qualche colpo spiacevole nel passato. Comunque, oggi resta un giorno calmo. Durante la settimana sentiamo – senza sosta – spari e bombardamenti, ma sembra più lontano e soprattutto sull’autostrada.

Martedì 16 luglio celebriamo la festa della  Madonna del Carmelo.  
Per la nostra comunità è una festa. Dal  1994, questo giorno, infatti, è considerato come l’inizio dei restauri delle rovine che Madre Agnes-Mariam ha trovato qui. Questa comunità è inoltre molto legata alla spiritualità carmelitana. Gli eremiti, che vivevano nei dodici secoli sul monte Carmelo, erano molto legati al profeta Elia e avevano una grande venerazione per Maria SS. Sotto la pressione dell’Islam, qualche eremita si era spostato nell’Europa, ma hanno subito molte difficoltà e resistenza. La Madonna è apparsa al Priore Simon Stock e gli ha conferito uno scapolare, che poi è divenuto per tanti il segno della loro fedeltà a Maria SS e del loro legame con la famiglia Carmelitana (un pezzo di stoffa marrone, diviso in due parti, che si porta uno davanti e uno dietro). Nel diciottesimo secolo Papa Benedetto XIII  ha allargato questa festa a tutta la Chiesa come un invito di un amore filiale per Maria SS. Noi celebriamo lunedì sera i vespri festivi con una processione e così festeggiamo questo martedì come una domenica.

La notte precedente abbiamo sentito tanti bombardamenti nelle montagne anti Libano e nel nostro villaggio. Nella mattinata c’era un reattore molto basso e abbiamo temuto per un attacco. Invece, non abbiamo sentito niente e abbiamo mangiato sereni insieme nel refettorio.  Per festeggiare ho fatto ancora una volta un “caffè europeo”. 


Altri hanno cominciato a fare mosaici. Gli ultimi bombardamenti hanno rotto qualche vetro colorato. Questo fatto ha ispirato qualcuno l'idea di creare mosaici e così piccoli e grandi artisti stanno frantumando pezzi di pietre e di vetri. E' tanto interessante che i ragazzi vogliano continuare questo lavoro la sera tardi sul loro materasso. Finiamo la giornata più presto perché aspettiamo altri bombardamenti. ...

Mercoledì e giovedì c’è stata qui ancora una volta la grande mobilitazione per il “zatar”, cioè il timo che è stato raccolto in grande quantità. Il timo porta tanta polvere e perciò lo portiamo sopra nel corridoio dell’atrio. Il tetto dell’atrio è comunque rotto e cosi la polvere può uscire. Invece di togliere i fusti, si mette tutto in un telo che si batte e cosi tutte le foglie si staccano. Il timo piace molto ai Libanesi, lo mangiano quasi giorno e notte.  Speriamo bene che questa raccolta sarà venduta a un buon prezzo in Damasco.  Nel frattempo le interruzioni della corrente continuano e giovedì non c’è corrente dalla mattina alle 7.30 fino alle 4 del pomeriggio. La sera siamo felici con l' erogazione di una luce tenue.

Lo sceicco Bassam Ayachi di Bruxelles, di origine Francese-Siriano, ha dichiarato con fierezza che i suoi due figli sono caduti come martiri in Siria. Quando, l’estate scorsa, ero in Belgio, ho letto un articolo dettagliato in un giornale Fiammingo. Lo sceicco stava preparando i figli per la battaglia in Siria.  Abdel Rahmad Ayachi è stato ucciso il 19 giugno e Raphael Gendron Ayachi il 14 aprile. Adesso si può leggere ampiamente la loro vita e  la loro battaglia. Loro credevano in uno stato islamico utopistico, governato dalla sharia e sostenuto dalla popolazione.   E' quello che loro chiamavano democrazia. Per loro la sharia era solo volontà di Dio. Peccato per tutta quell’energia sprecata.  Abdel, una volta, ha portato clandestinamente un giornalista della nostra VRT (Televisione Belga Fiamminga) dalla Turchia in Siria.  Non c'è da stupirsi che i nostri media (Belgi) siano tanto parziali e hanno tanta difficoltà nel prendere le curve. 


L’attuale campagna internazionale di diffamazione contro la madre Agnes-Mariam è inaccettabile e merita proprio un chiarimento. 
Madre Agnes-Mariam ha cominciato nel 1994 a restaurare i ruderi di Mar Yakub, che era una volta un dei più famosi monasteri del Medio Oriente. In questo progetto era stata incoraggiata da Padre Paolo Dall’Oglio, s.j. che aveva fondato nelle vicinanze Mar Moussa, una comunità ecumenica. Madre Agnes-Mariam aveva ricevuto la benedizione e il sostegno dell’allora Vescovo, Ibrahim Nehmé.  Dall’anno 2000 questo monastero restaurato  in tutto il suo splendore era divenuto un vero luogo di pellegrinaggio per tutta la Siria.  Nello stesso tempo,  madre Agnes-Mariam voleva fare rivivere e dare  frutto al ricco patrimonio della chiesa di Antiochia non solo per la chiesa locale, ma anche per la Chiesa universale. Per questa ragione,  madre Agnes-Mariam ha fondato tra l’altro “la maison d’Antioche” e “Manumed” (manuscripts méditerranéens) con il sostegno delle Università Europee. Con questo scopo la Madre ha organizzato tra l’altro una grande mostra d’icone in Francoforte (2002) e Parigi (2003) per dimostrare la ricchezza della fede cristiana Araba. Lei stessa ha dipinto tante icone per tante chiese e monasteri (e dipinge ancora). Nello stesso tempo lei lavorava per la guarigione e liberazione spirituale di persone tramite ritiri spirituali, conferenze e scritture, dove veniva richiesta a  livello nazionale e internazionale. Con la comunità “l’Ordine dell’Unità di Antiochia” lei voleva effettivamente ritornare alle fonti della vita monastica originaria dell’Oriente. 


qui il link alla documentazione del  restauro:

Nel frattempo Padre Paolo però aveva cambiato radicalmente la sua attitudine verso la Madre.  Mar Yakub era ormai diventato un luogo conosciuto anche a livello internazionale. Da anni egli ha usato tutti i modi per ostacolare e diffamare Mar Yakub e la sua fondatrice. Per due decenni,  Mar Yakub non ha reagito contro quest’atteggiamento, al contrario, tanti visitatori di Mar Yakub erano incitati a visitare anche Mar Moussa.  
Dall’inizio dalla guerra in Siria, Madre Agnes-Mariam aveva la netta convinzione che qui in Siria stava succedendo la stessa cosa che era accaduta in precedenza nella guerra in Libano, cioè: dall’estero provavano a destabilizzare il paese, provocando cosi una guerra civile. Purtroppo i fatti l’hanno sempre di più confermato. E per questo la Madre Agnes-Mariam ha invitato in novembre 2011 vari giornalisti per verificare i fatti e divulgarli, cioè che bande armate  internazionali facevano impunemente atrocità col pretesto di una rivolta del popolo. Per tutti i sedici giornalisti internazionali questa è stata una rivelazione gratificante e anche una svolta (tranne per una sola giornalista Vallone - Belga cattolica, che fino ad oggi continua a diffamarci dopo essere stata anche ospite nel nostro monastero). 
Quando è  arrivato il secondo gruppo di giornalisti, la situazione era già molto più pericolosa. Madre Agnes-Mariam ha – con pericolo della sua vita – accompagnato i giornalisti nei centri più pericolosi di Homs e Qousseir perché lei non voleva mettere in pericolo la vita dei giornalisti. Uno dei suoi tanti avvertimenti ai giornalisti era di andarsene  da questi centri pericolosi  prima dalle tre del pomeriggio, avendo lei stessa  esperimentato che gli spari cominciavano dalle tre del pomeriggio. Anche la TV Belga VRT era presente. I  nostri giornalisti Francesi e Belgi (Fiandre) “esperti” di guerra,  purtroppo,  non volevano ascoltare una suora. Loro pensavano di vedere trappole presunte e volevano pubblicarle. Non volevano neanche ascoltare tutti i consigli di sicurezza, come quello di  muoversi insieme con i media internazionali (CNN, BBC, …) che erano tutti invitati e protetti dal governo.  Loro volevano essere completamente indipendenti. E sì, purtroppo è stato ucciso un giornalista Francese……alle 3.33 p.m.  Anche la nostra squadra Fiamminga era presente e per cosi dire non sapeva  niente. Tutta la colpa è stata diretta verso Madre Agnes-Mariam che era accusata di un complotto con tutte le fantasie possibili. France 24 l’aveva invitata per testimoniare. Apparentemente la sua testimonianza era troppa chiara e convincente e dopo due minuti hanno già interrotto la trasmissione per una presunta linea disturbata. Nel frattempo sono stato pubblicati rapporti ufficiali della Lega Araba e anche del Ministero Francese della Difesa che confermano che il giornalista francese era tutto sommato stato ucciso dai ribelli e per di più c’era un rapporto russo che svelava le intenzioni e comportamenti di questo giornalista francese e anche quelli del Ministero Francese degli Affari Esteri, che avevano fin dall’inizio un unico scopo, cioè screditare in tutti modi la Siria.
Sin dall’inizio,  Madre Agnes-Mariam ha voluto testimoniare la verità sulla Siria. Ciò non è stato apprezzato da tutti. All’improvviso lei si è trovata sulla lista nera dei gruppi fanatici  che volevano eliminarla. E' stato molto doloroso, il fatto che la Comunità abbia accettato la sua partenza insieme con Suor Carmel, non solo per la sua protezione, ma anche per la protezione della Comunità. Nel giugno 2012 hanno – appena in tempo – lasciato il monastero e fino ad oggi non hanno ancora potuto rientrare. Questo è molto doloroso per noi tutti.
Adesso, la compagna del giornalista francese ucciso ha scritto un libro per rivendicare e  affermare tutto il contrario della verità. Questa scrittrice dà – ancora – tutta la colpa della morte del compagno alla Madre Agnes-Mariam accompagnata da un’abbondanza di presunte dichiarazioni e fatti attribuiti a Madre Agnes-Mariam, che non si sono mai verificati. Apparentemente questa scrittrice ha trovato qualche testimone per dichiarare che la Madre Agnes-Mariam è una figura sinistra. Solo che queste persone conoscono a malapena, o forse neppure, Madre Agnes-Mariam. Nel suo libro non c’è nessuna persona che ha conosciuto davvero Madre Agnes-Mariam.  La scrittrice ha ricevuto la collaborazione del Ministero Francese degli Affari Esteri e soprattutto ha ricevuto la collaborazione di…. Padre Paolo, che si camuffa da promotore di pace : egli parla di pace, di dialogo, di penitenza e di preghiera, ma nel frattempo non fa altro che incitare Governi a dare più armi ai ribelli e sollecitare un intervento militare internazionale. Già prima, egli provocava in Siria agitazione fra la popolazione e fra i cristiani. Il governo siriano l’aveva avvertito di non intendeva concedergli più il visto quando avrebbe lasciato la Siria. 
Comunque,  non l'ha espulso il governo siriano. Infatti, alla fine è stato effettivamente il suo Vescovo ad espellerlo necessariamente per la sua condotta erronea. Da quel momento lui è veramente passato all’azione contro la Siria e contro tutti che vogliono salvare il Paese. Il suo più alto superiore in Siria ha scritto in una lettera del 7 luglio 2012 che Padre Paolo non si atteneva agli accordi, cioè di non più mischiarsi apertamente nella crisi Siriana, e che il suo comportamento e le sue dichiarazioni non erano congruenti con quelli dell’ordine di Gesuiti. Nonostante questa lettera del suo Superiore, Padre Paolo semplicemente ha continuato, e in tanti Paesi, come anche nelle Fiandre (B) lo presentano erroneamente come il grande eroe della democrazia che è stato espulso dal governo Siriano. L’Università di Leuven (B) che ha attribuito nel passato un “dottorato honoris causa” al Padre Paolo ha abbastanza ragioni per revocarlo, come l’ha  fatto l’Università di Aleppo con Erdogan. C’è anche stata una lettera aperta di uno che in passato gli era amico (Samaan Daoud) che  scrive : “Padre Paolo, noi non ti abbiamo nominato delegato o portavoce dei cristiani della Siria. Tu non sei più un uomo di Dio, tu non sei più un uomo della pace, tu sei cambiato in un uomo che chiama alla guerra." (Vaticaninsider-La Stampa 18/6/2013)      
                                  
Samaan D. supplica Padre Paolo di non commerciare col sangue dei cristiani rimasti. E’ vero, qui non si tratta solo di menzogne e inganni, ma si tratta soprattutto di minacce dirette a un’intera popolazione e soprattutto ai cristiani.
Involontariamente, penso alle calunnie su  Papa Pio XII. Dopo la guerra, questo Papa ha ricevuto ringraziamenti dall’alta autorità religiosa e civile di Israele per il suo eccezionale aiuto agli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. L’allora Supremo Rabbino di Roma, Israel Zolli, si è anche convertito al cristianesimo e come nome di battesimo ha scelto il nome di Eugenio come segno di gratitudine per Papa Pio XII (Eugenio Pacelli).
Venti anni dopo, uno scrittore tedesco di teatro approfitta dell’occasione per orientare tutto l’odio contro gli Ebrei verso Papa Pio XII. E l’opinione pubblica l’ha ciecamente accettato e anche gli Ebrei stessi, nonostante il fatto di essere “un popolo del ricordo”.  Ad un tratto, l’opinione pubblica aveva dimenticato tutto il passato!  Comunque, ha preso decenni prima che la verità ritornasse alla mente e fosse accettata. Quello è l’effetto di una campagna diffamatoria!

Speriamo che la guerra contro la Siria finisca, poco a poco. Tu stesso potrai constatarlo visitando  la Siria per capire infatti quello che è menzogna e quello che è verità!

(traduzione A. Wilking)