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venerdì 8 febbraio 2013

Un' umanità buona: è la presenza di Gesù oggi ad Aleppo

In Aleppo il 3 Febbraio 2013 è stato un giorno molto speciale. Un giorno di  incontri  e di festa. Una giornata di condivisione e di ascolto. Una giornata di gioia e di distribuzione. No, i media non sono venuti per filmarci e documentare l'evento. Le TV non ne parleranno.
Ma è stata una giornata, un evento che ha segnato  più di 370 famiglie.
Carichi di pacchetti e, pieni , pesanti ... Tutte queste famiglie hanno ricevuto un’assistenza speciale per ottenere qualcosa  per scaldarsi ... Ma ancora più importante, lo spessore dell’accoglienza, dell’incontro e della condivisione. 



Ci vuole il  tempo: si parla, si dice una parola, una traccia è lasciata ... da qualche parte, in piena strada o nel seminterrato, ... non è fare beneficenza. 

Noi Maristi Blu siamo solidali, siamo in comunione profonda. Noi Maristi Blu  non siamo solamente quelli residenti in Aleppo, ma tutta una rete di amici, fratelli e laici, Aleppini originari o meno, tutti impegnati nello stesso spirito di semplicità e di audacia per andare verso una terra nuova,  la terra dell’ altro, il più bisognoso, il più povero, il disoccupato, il disperato, quello preoccupato, quello triste ...  

Quindi questa sera, Maria, nostra Buona Madre, ti affido tutti i volti, tutte queste mani e questi cuori, tutti quelli che sono l'altra faccia della guerra .. Un volto di amore e di speranza ... Li affido a te, nome per nome, faccia per faccia, persona per persona ... Seguendo le tue orme O Maria, noi continuiamo il cammino, affrettandoci ad accendere più luce nella notte oscura del quotidiano di  tutte queste famiglie.

Affido a te anche gli sfollati, queste famiglie che incontreremo domani e che ci aspettano, non solo per la distribuzione settimanale, ma per tutto ciò che questa distribuzione rappresenta: la solidarietà al di là di tutti i confini.




























Maria, per ciascuno dei benefattori e volontari, per tutti questi cuori senza confini, io ti dico GRAZIE

Frère Georges Sabe




Dalle suore e i padri dell'IVE di Aleppo
Vi lasciamo una breve riflessione che abbiamo scritto giorni fa e che non abbiamo potuto condividere prima, perché ci trovavamo senza connessione a internet. Grazie a tutti per le vostre preghiere. Siete anche voi nelle nostre.

"Giovedì 10 Gennaio ha nevicato ad Aleppo. Lo spettacolo era meraviglioso e sarebbe bastato come motivo di divertimento per tutta la città. Ma in queste circostanze, la neve aveva una connotazione inevitabilmente triste. Abbiamo trascorso molti giorni senza luce, fa molto freddo, senza mezzi di riscaldamento, e molte persone vivono ancora in strada ...

Ma oggi il sole è apparso. E quel tepore morbido che si sta appena iniziando a sentire riscalda i corpi e anche i cuori. È la speranza sempre nuova che Dio non ci abbandona. Perché perfino quando tutto sembra perduto per l’odio e la malvagità degli uomini, Egli è determinato a fare sorgere di nuovo il sole...

I Missionari in Aleppo

Milizie islamiste nel quartiere siriaco: terrore fra i cristiani di Aleppo


Aleppo (Agenzia Fides) 5/2/2013

 Paura fra i cristiani di Aleppo residenti nel quartiere a maggioranza cristiana siriaca: come riferisce in un messaggio inviato a Fides il Pastore Ibrahim Nussair, leader spirituale della Chiesa evangelica di Aleppo, ieri mattina milizie islamiste del gruppo “Jabhat Al Nusra” sono penetrate nell’area: “Ci siamo svegliati di soprassalto sentendo le grida ‘Allah-u-Akbar’ e, guardando fuori dalle finestre, abbiamo visto guerrieri del battaglione Jabhat al Nusra, nelle nostre strade. Erigevano barricate nei pressi delle nostre chiese e delle nostre scuole, mettendo in pericolo la vita della popolazione civile”.
 Il Pastore ha aggiunto che, con l’arrivo di forze dell’esercito regolare, vi sono stati pesanti combattimenti e i miliziani sono stati cacciati dalla zona.
Il Pastore riferisce che la presenza di tali miliziani, anche se solo per poche ore, ha contribuito a diffondere un’ondata di terrore fra la popolazione, che non si sente al sicuro e medita di lasciare la città. Il leader cristiano conclude: “Noi confidiamo in Dio, ma anche nei nostri amici musulmani in Siria, perchè ci proteggano da questi estremisti. Siamo e resteremo un popolo che desidera e lavora per il dialogo e per la pace”.
All’inizio del novembre scorso, la storica chiesa evangelica araba di Aleppo, nel quartiere di Jdeideh (nella città vecchia), era stata minata con esplosivo e fatta saltare in aria (vedi Fides 10-11-2012).

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40941&lan=ita

L'Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo: “ormai ci siamo assuefatti all'orrore quotidiano”


Aleppo  – “L'effetto della condizione in cui viviamo da più di un anno è che ormai ci siamo assuefatti all'orrore quotidiano”. 
Così l'Arcivescovo di Aleppo degli armeni cattolici, Boutros Marayati, descrive all'Agenzia Fides la situazione stravolta vissuta dagli abitanti della metropoli siriana, dove sono stati ritrovati decine di cadaveri di giovani vittime di esecuzioni sommarie collettive. “Ci sono sempre notizie di nuove stragi, c'è il rumore continuo dei bombardamenti, si vive in uno stato di tensione e paura giorno e notte, c'è la fatica per sopravvivere in una quotidianità in cui non si trova nemmeno l'acqua da bere e il carburante per riscaldare le case. Travolti come siamo da tutto questo” spiega a Fides l'Arcivescovo “non c'è quasi il tempo di prendere coscienza delle cose terribili in cui siamo immersi. La strage all'Università di qualche giorno fa, dove abbiamo perso anche la povera suor Rima, sembra già una cosa lontana.
Ci chiediamo solo quando e come tutto questo finirà. E preghiamo il Signore, che ci guardi e ci protegga”. (Agenzia Fides 30/1/2013).

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40896&lan=ita


mercoledì 6 febbraio 2013

L'anelito di libertà può ancora giustificare la distruzione di un Paese?

Il cambiamento era possibile senza il ricorso alle armi, come è accaduto altrove


da La Perfetta Letizia
di Patrizio Ricci

La popolazione civile ha a che fare da una parte con milizie raggruppate sotto la sigla di ‘Esercito libero siriano’ e dall’altra con l’esercito governativo regolare: il primo, pur di imporre la propria supremazia, compie azioni militari spregiudicate, compresi atti contro la popolazione civile; il secondo agisce come qualunque esercito in una simile situazione: cerca di riprendere possesso del territorio. Tutto normale allora? No, il peggioramento, dopo due anni di guerra senza regole, è evidente: i crimini si moltiplicano. Si potrebbe dire allora che entrambi le parti sono egualmente responsabili della sofferenza inflitta alla popolazione? Il nostro codice penale dice di no: “Chi commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato è punito con l'ergastolo” (art. 286 del c.p.). Probabilmente il legislatore aveva soppesato bene gli effetti di una guerra civile ed ha elaborato una norma così severa perché una insurrezione armata destabilizza non solo il governo, ma la struttura dello stato, ad ogni livello, con risultati devastanti per la popolazione. E questo è un concetto applicabile dovunque: è evidente che nel caso siriano gli esiti e le violazioni del diritto umanitario sono stati peggiori della sopravvivenza del potere da abbattere. Senza rinunciare alle giuste richieste iniziali, sarebbe bastato accettare un compromesso, considerando come positiva la riforma costituzionale, che ha sostanzialmente accolto tutte le richieste degli insorti, compreso il multipartitismo. Non è accaduto così: l’opposizione armata (che non è la componente maggioritaria del dissenso) ha derubricato tutti i provvedimenti attuati dal governo giudicandoli demagogici ed è passata alla guerriglia.

Ad aggravare questa situazione c’è un secondo aspetto, che è la vera causa del perdurare del conflitto: molti stati, animati da fini terzi, sostengono, finanziano e armano la ribellione. Il caos e le difficoltà dello stato nazionale ha dato adito a Stati storicamente nemici di inserirsi nella guerra civile. Europa e USA sono animati da interessi economici-strategici convergenti che purtroppo sono da tempo diventati motore della loro politica estera, tutta rivolta a neutralizzare l’Iran, storico alleato della Siria. L’attacco degli F16 israeliani è da inserire in questo contesto: generare il ‘casus belli’ per un intervento diretto, finora impossibile per il veto russo-cinese.

Dello stesso segno l’attivismo di Qatar ed Arabia Saudita quali improbabili paladini della democrazia: sospinti dal desiderio di portare avanti il proprio progetto egemonico su tutto il mondo arabo, sono i principali sostenitori della rivolta. La recente condanna all’ergastolo del poeta Mohammed al Ajami, reo in Qatar di aver osato criticare il regime, dà però conto del concetto di democrazia in atto in questi paesi.

Testimonianza del carattere intollerante ormai assunto dalla rivolta sono i numerosi attentati in quartieri cristiani o alauiti, la deportazione di migliaia di persone, la distruzione di chiese. Inoltre, nelle zone cosiddette ‘liberate’ dall’opposizione armata, i rapimenti a scopo di riscatto sono abituali e le esecuzioni sommarie sono settarie e spesso decise per semplice capriccio.  
Le testimonianze del disordine che imperversa nel paese sono continue. Purtroppo, su di esse non si accendono mai i riflettori dei media. Essi sono rivolti solo verso le notizie provenienti da un’unica fonte: quella dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (con sede a Londra e legato sul territorio ai coordinamenti locali dei ribelli), mentre la chiesa cristiana siriana, nonostante conti milioni di fedeli (contro i circa 30.000 ribelli), è del tutto ignorata. Tuttavia, attraverso l’Agenzia Fides e canali meno conosciuti, i patriarcati e i singoli religiosi tornati in Italia raccontano spesso un'altra storia. Per ragioni di spazio non possiamo riportare qui tutto, ma ricordiamo Pascal Zerez, che a Homs, all'età di 20 anni, il 9 ottobre 2012 è stata uccisa nell'attacco dei ribelli al bus che la trasportava da Lattakia ad Aleppo. Il padre Claude, conosciuto prima della guerra come guida di pellegrinaggi cristiani in Siria, scrisse un'accorata lettera al Presidente Hollande. E ricordiamo l’appello delle monache : “Il cuore sanguina continuamente nel vedere queste persone che sono prima di tutto siriani e poi cristiani, musulmani, eccetera, e che invece i ribelli vogliono lacerare come accaduto in Iraq, Egitto, Libia, togliendo loro la libertà di credere in ciò in cui credono!“.
Mentre l’Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, Metropolita di ‘Jazirah ed Eufrate’, ricorda a Fides l’incubo costante dei rapimenti “Circa sei mesi fa i sequestri di persone hanno iniziato a moltiplicarsi, opera di alcune bande. Oggi le vittime sono 43, appartengono e tutte le componenti della società (cristiani, musulmani, yazidy, curdi e arabi), sono di età e ceto sociale diversi: bambini, studenti, medici, ingegneri, commercianti e gente comune”. L’Arcivescovo racconta a Fides “i momenti molto difficili, la paura e il dolore delle famiglie” anche perché i rapitori, nota, “utilizzano forme di tortura verso vittime innocenti, in spregio alle virtù umane, morali e religiose, per ottenere un forte riscatto”.

Non difetta di chiarezza Mons. Mario Zenari (Nunzio Apostolico in Siria), che non ha mezzi termini: “C’è un problema interno, in quanto la Siria da tempo sentiva il bisogno di andare verso una maggiore democrazia e una maggiore libertà. Nello stesso tempo, ci sono dei conflitti regionali o mondiali. Quanto sta avvenendo in Siria quindi non può più essere risolto con un grado maggiore di democrazia e con delle elezioni libere, perché qualcuno ha scelto il Paese come campo per regolare dei conti che riguardano ben altre potenze”.
A giudicare da come si sta muovendo, la comunità internazionale non sembra aver imparato ancora molto dalle ‘primavere arabe’ o dalla guerra libica e della sua ‘somalizzazione’. Facciamo nostre le parole di Mons. Tomasi (Osservatore Vaticano presso l'ONU) che è più che esplicito: “Esiste una nuova tipologia di conflitti, composta da una “galassia” di gruppi oppositori ai governi, i quali, strumentalizzando la religione per ottenere risorse e potere, danno vita a guerre civili che lacerano intere popolazioni”. Ecco la sua esortazione: “Dobbiamo capire che la guerra e la violenza non risolvono i problemi ma soltanto li accentuano in maniera più drastica e dannosa. Bisogna ascoltare la saggezza della Chiesa che continua sempre a dire attraverso i diversi Papi che la guerra è una via di non ritorno, una via che distrugge, che si sa quando comincia ma non quando finisce e fino a che punto di distruzione porta”.

http://www.laperfettaletizia.com/2013/02/siria-lanelito-di-liberta-puo-ancora.html


“BASTA CON LE ARMI, ABBIAMO BISOGNO DELLA PACE”

Il razzo contro l'Università di Aleppo





PADRE HADDAD: “È necessario far tacere le armi e imboccare la strada del dialogo e della riconciliazione"




S.I.R.- 1 febbraio 13

“Non c’è altro che la riconciliazione. Non è mai troppo tardi. Alziamo la voce per mandare un messaggio: basta con le armi, abbiamo bisogno della pace. Datevi un bacio di pace, come Pietro e Paolo”. 



Sono le parole pronunciate oggi pomeriggio dall’archimandrita Mtanios Haddad, patriarca della Chiesa greco-cattolico melkita e rettore della basilica romana di Santa Maria in Cosmedin, nell’omelia di una liturgia bizantina per invocare la pace in Siria e in Medio Oriente.

 “La Siria chiama e Roma risponde. Non armi, né terrorismo: alla Siria, orgogliosa culla dei cristiani in Medio Oriente - ha detto padre Haddad - dobbiamo mandare un messaggio di pace”. Il Paese “ha sempre vissuto nella pace, diventando un modello di convivenza e dialogo interreligioso. Vero, ci sono stati alti e bassi, come in ogni famiglia, ma sempre in pace. Non bisogna permettere che in questi alti e bassi si infiltrino razzismo, estremismo religioso, cristiano o musulmano che sia. In Siria, così come in Iraq, Palestina, Libano e tutto il Medio Oriente, non si può lasciare nel peccato colui che non ama suo fratello”. 

“È necessario - ha proseguito il sacerdote melkita - far tacere le armi e imboccare la strada del dialogo e della riconciliazione, smettendo di sostenere gli aiuti economici che finanziano questa guerra. Armi e uomini che danneggiano la Siria - ha spiegato - vengono dall’esterno, dagli interessi dei paesi stranieri. Con l’arrivo dell’Islam non siamo mai stati perseguitati, la convivenza è stata possibile”. Ora governanti, militari e civili, ha auspicato, “devono agire”. 

I mezzi di comunicazione di massa, poi, “ci dicono ogni giorno delle grandi bugie. Siamo lì da duemila anni, non vogliamo essere protetti ma vivere la nostra fede e la nostra dignità ognuno nel suo paese. Non dobbiamo più essere ingannati da questa politica internazionale che parla ma non sa niente”. L’amore e Dio “sono gli stessi” e noi tutti, ha concluso, “siamo nati per vivere e amare e anche di più: per la pace, la giustizia e la riconciliazione.




Il Patriarca Rai: gli Stati che armano regime e opposizione si assumono la responsabilità criminale della tragedia siriana 


 Agenzia Fides 29/1/2013

Bkerké– I leader degli Stati “che fanno la guerra in Siria fornendo denaro, armi e mezzi sia per il regime, sia per l'opposizione”, con la loro “malvagia opera di istigazione” sono responsabili davanti al tribunale della coscienza e della storia dei “crimini di assassinio, distruzione, aggressione e deportazione di cittadini innocenti” che stanno martoriando da quasi due anni il popolo siriano. La vibrante denuncia – raccolta dall'Agenzia Fides - viene dal Cardinale Bechara Boutros Rai, Patriarca di Antiochia dei Maroniti. Nell'omelia pronunciata nella sede patriarcale di Bkerké durante la Messa domenicale, in occasione della Giornata di solidarietà indetta dalla Chiesa maronita a favore dei rifugiati siriani accolti in Libano (vedi Fides 26/1/2013), il Patriarca Rai ha attribuito alle colpe e alle omissioni della comunità internazionale, un peso decisivo nel devastante perpetuarsi del conflitto siriano. Citando l'enciclica di Papa Giovanni XXIII Pacem in Terris, S. B. Rai ha chiamato in causa anche l'Onu e la sua “responsabilità di organizzazione sorta dopo la seconda guerra mondiale con il fine essenziale di mantenere e consolidare la pace tra i popoli”.
Il capo della Chiesa maronita ha stigmatizzato anche gli effetti destabilizzanti che il conflitto siriano minaccia di avere sullo scenario libanese. Il Patriarca Rai ha richiamato i diversi Partiti libanesi a “non puntare gli uni sul regime e gli altri sull'opposizione in Siria”, perchè con le loro opzioni divergenti “creano intralci alla vita pubblica del Libano e paralizzano le decisioni nazionali, compresa la ratifica di una nuova legge elettorale”. In questo modo - ha stigmatizzato S.B. Rai – si incentivano i timori di una tracimazione del conflitto siriano in territorio libanese, e si fomenta la tendenza dei libanesi a emigrare all'estero.
Rivolgendosi ai rifugiati siriani, il Patriarca maronita li ha invitati a essere riconoscenti nei confronti dello Stato e del popolo che li hanno accolti, chiamandoli a conformarsi alla “cultura libanese fondata sull'apertura, l'ospitalità e l'unità nella varietà” e ad astenersi da ogni comportamento lesivo della pace civile. Lo Stato libanese, a giudizio del porporato, è tenuto a “controllare le frontiere, registrare i rifugiati e prendere tutte le misure necessarie a impedire l'infiltrazione di armi in Libano”. Secondo il Patriarca, occorre “sventare ogni eventuale complotto ordito sia all'interno che all'esterno, e evitare ogni strumentalizzazione religiosa, comunitaria o politica dei rifugiati”. Anche il flusso dei profughi va monitorato: a detta del Patriarca Rai, occorre coordinarsi con l'Onu e con gli altri Stati per non sovraccaricare il Libano con un numero di rifugiati che il Paese dei Cedri non sarebbe in grado di sopportare, economicamente e socialmente.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40887&lan=ita


Palmyra Due terroristi suicidi , mercoledì 6, si sono fatti esplodere con autobombe nel quartiere residenziale di al-al-Gharbi Jam'yeh causando il martirio di diversi cittadini e il ferimento di altre decine di abitanti.
Gli attentati hanno anche causato ingenti danni materiali nella zona.


martedì 5 febbraio 2013

Il Vescovo di Aleppo denuncia l'indifferenza dell'Occidente verso i cristiani d'Oriente

L'Occidente "non attribuisce alcuna importanza alle comunità cristiane" in Medio Oriente, tuttavia garanti di "laicità positiva" e di "libertà di coscienza": triste  denuncia di Monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas-Siria




Qual è la situazione ad Aleppo dove Lei tornerà martedì 5 febbraio dopo il Sinodo della Chiesa caldea?
 Da sette mesi Aleppo vive nel terrore e nell'angoscia. Ci sono diversi fronti e non si sa quando attaccano. Assistiamo continuamente ad avanti-e-indietro. Abbiamo cecchini appostati ai bordi dei quartieri, autobombe, attentati. A volte i ribelli mirano su postazioni militari e possono  sbagliare; o al contrario, l’armata risponde.
Il quarto punto, il più grave, è quello dei sequestri di persona, in assenza di autorità dello Stato e di polizia. È molto difficile determinare chi esegue i rapimenti. Non si può correre il rischio di uscire in auto da Aleppo. Mentre l'80% dei siriani è disoccupato, questi rapimenti sono un'opportunità di profitto.

Anche la classe media è diventata povera. Non c'è  riscaldamento, nè elettricità. Acquistare una bombola di gas è un lusso. Il costo è l'equivalente di € 35 contro € 1.5 di prima. Così tante persone mangiano cose fredde per sopravvivere.

I cristiani sono esposti in quanto tali? Che dire delle esecuzioni sommarie?
I cristiani sono forse più esposti al sequestro di persona, nel senso che non sono organizzati come delle milizie in un sistema tribale.
In generale, a proposito delle esecuzioni sommarie, non vorrei dire qualcosa di vago e generico. Ci sono esecuzioni, soprattutto di militari. Ci sono confessioni particolarmente prese di mira, come gli alawiti. Abbiamo sentito di minacce non indirizzate ai cristiani in quanto tali, ma per esempio verso gli armeni, nella città di Aleppo, che hanno mostrato una certa  solidarietà con il regime contro i gruppi armati.

Le chiese d'Occidente, e l’Occidente stesso, fanno abbastanza per la Siria?
 Non vogliamo che il nostro Paese sia distrutto, che si venga a darci un po' di soldi per consolarci: sarebbe davvero indegno del nostro popolo. Ciò che serve è una vera comprensione del problema, è aiutare la Siria ad entrare in un processo di dialogo e di riconciliazione. Io sono contro ogni armamento delle parti . Non è mai troppo tardi.

Questo conflitto è stato utilizzato al servizio di interessi politici ed economici di Potenze regionali e internazionali. Fin dall'inizio, ho parlato di un supporto di orchestrazione mediatica, e continuo a dirlo, anche se ciò dispiace.
Come Chiesa, facciamo di tutto per sopravvivere, per restare in vita. C'è una bella storia, una ricca convivialità. Cerchiamo di dare il buon esempio per restare, trovare soluzioni per tutti, per questo vivere insieme. Bisogna sempre superare la violenza in modo intelligente con la razionalità, la carità, il perdono. Accettare l’altro diverso. Acquisire la cultura della cittadinanza: l'esortazione apostolica di Papa Benedetto XVI insiste sulla laicità positiva e la libertà di coscienza. Dobbiamo avere il diritto di scegliere il proprio credo nel rispetto degli altri. I cristiani possono essere garanti di questa evoluzione a causa delle loro radici in questa cultura, ed è un peccato perderli,  costringerli ad andarsene.
Ci si sorprende in Medio Oriente, nel vedere come l'Occidente non dà alcuna importanza a queste comunità cristiane. Si ha l'impressione di non essere ascoltati ! Importa poco della nostra presenza e della nostra partenza! La priorità dell'Occidente è il potere economico, la società dei consumi! Non si vede l'importanza storica della nostra presenza. Da un lato, società secolarizzate, laicizzate, senza nessuna dimensione di trascendenza, e dall'altra parte dei musulmani che diventano sempre più fanatici. I cristiani sono intrappolati tra la mentalità secolarista e la mentalità fondamentalista. Occorre superarle ambedue.

 Intervista a cura di Jean-Louis de La VAISSIERE (AFP).
Traduzione dal francese a cura di FMG.




lunedì 4 febbraio 2013

“Voglio dire solo la verità: non è con l'anarchia che si conquista la democrazia”

Libano: un presente massacrato da politiche "diaboliche", un futuro pieno di speranza

Intervista a mons. Simon Atallah, Vescovo di Baalbek dei Maroniti in Libano

di Salvatore Cernuzio
Più che risposte, quelle di mons. Atallah sono state veri e propri sfoghi. Gli sfoghi di un Pastore stanco di vedere una terra prima serena, diventare sempre più scenario di guerra e distruzione. Stanco di assistere alla morte di persone innocenti. Stanco di ravvisare le continue ingiustizie che forze esterne compiono sul territorio libanese solo perché più “fragile” rispetto agli altri paesi del Medio Oriente.
Stanco, ma allo stesso tempo fiducioso. Perché per il Libano c’è ancora speranza. Perché al di là della logica umana c’è la consolazione che viene da Dio. Perché c’è una Chiesa che resiste e predica la fratellanza e c’è un popolo che non perde la fede. E soprattutto perché ci sono i giovani, così coraggiosi e desiderosi di voler porre basi più solide per il futuro del Paese, da aver “rincuorato” lo stesso Benedetto XVI nella visita di settembre.

ROMA, Sunday, 3 February 2013 (Zenit.org).

Eccellenza, qual è la verità che ancora non si conosce sul Libano?
Mons. Atallah: La verità non la si può trovare mai da soli. Noi la stiamo cercando, facciamo colloqui, incontri, conferenze, dialoghi, per capire la verità sul Libano e sul Medio Oriente in generale; ma, alla fine, scopriamo delle cose che non sono positive purtroppo.

A cosa si riferisce?
Mons. Atallah: Prima in Libano noi stavamo bene, c’era stabilità, tutto il mondo passava da lì, la gente lavorava, studiava, si faceva una vita normale. Finché da un giorno all’altro c’è stato un “movimento” di destabilizzazione che ha creato appositamente problemi per mettere in conflitto la gente. Ancora ora fanno esplodere una macchina, fanno saltare in aria un bus pieno di persone, rapinano qualcuno, ammazzano qualcun altro. Così vogliono rendere instabile il Paese e la regione. Questo complotto è cominciato proprio nel Libano, perché è uno dei paesi più democratici della zona ed è fragile, nel senso che ci è voluto poco a distruggere le buone relazioni tra la gente, a far perdere la pace alle anime. Vogliono fare, quindi, la loro guerra in Siria, in Arabia Saudita, in Egitto e la fanno sul territorio libanese.

Loro chi? Chi sono cioè i protagonisti di questi conflitti?
Mons. Atallah: Le forze politiche di questo mondo, quelle che pagano, che portano arsenali di guerra in Oriente. Quanti migliaia di militari hanno portato in Libano ad esempio. Hanno smosso tutti i paesi dell’Europa…

A chi appartengono queste forze politiche?
Mons. Atallah: Chi ha fatto la guerra dell’Iraq, la cosiddetta guerra del Golfo? Non è il popolo americano, il popolo è povero. È la politica americana che è mantenuta da una forza che ha tutto l’interesse a destabilizzare la regione perché vuole cambiare tutto. Come è successo quando Israele è arrivato nel ’48, era una cosa preparata. C’era una politica che prevedeva l’esecuzione di un piano. Prima gli arabi hanno salutato questo arrivo degli ebrei, perché si sono detti siamo semiti come loro, siamo cugini, sono originari di questa terra, e si sono proposti perciò di fare qualcosa insieme. Ma poi questa politica diabolica ha impedito che la gente vivesse insieme, ha voluto creare un ghetto di Israele nel Medio Oriente. Ma isolare questa gente è un crimine! Non è accettabile! Ora, invece, fanno delle guerre perché vogliono che l’Iraq e la Siria conquistino la democrazia. E questo è vero: non c’è una democrazia in questi paesi; ma di certo la situazione non migliora instaurando l’anarchia.

Pensando appunto alla Siria, neanche la caduta del governo che molti auspicano porterebbe quindi ad alcuna soluzione, ma anzi provocherebbe l’anarchia?
Mons. Atallah: Certamente. D’altra parte questa rivoluzione che avviene in maniera così violenta quale garanzia dà per instaurare la pace? Hanno creato tra la gente, tra i cittadini siriani, un rancore molto molto duro, acuto direi. Ci vorranno decine di anni prima che ci possa essere un’apertura. Andrebbe fatto un grande lavoro di incoraggiamento al dialogo, alla vita comune fatta del rispetto dei valori della fratellanza, della giustizia, della democrazia, dei diritti dell’uomo.

Come Pastore cosa la preoccupa maggiormente?
Mons. Atallah: Come dicevo all’inizio, tra i paesi arabi il Libano è l’unico democratico, gli altri non hanno invece neanche idea di cosa sia la democrazia, perché sono sempre stati sostenuti da queste forze politiche internazionali. Quando Assad ha fatto la rivoluzione siriana è stato sostenuto dall’America, fino a poco tempo fa. Perché l’America adesso ha fatto dietrofront, ha cambiato politica e non lo sostiene più? Potrebbe aiutarlo ad instaurare un dialogo pacifico, non attraverso la guerra, la morte, la distruzione del territorio. Il regime siriano ha lavorato tanti anni per dare una certa economia, un certo sviluppo, per fornire università, centri di studio ecc. E adesso che fanno? Distruggono tutto…

In tutto questo la Chiesa cosa fa?
Mons. Atallah: La Chiesa predica la comunione, la vita insieme. Incoraggia a rispettare l’altro, a vivere nella fratellanza e con la giustizia. Insegna a rispettare tutti questi valori che fanno la vera felicità dell’uomo.

E la gente crede a ciò che predica la Chiesa o ha perso la speranza?
Mons. Atallah: Si, la gente certamente ci crede. Soprattutto dopo aver sperimentato la guerra. Tutta la gioventù e anche gli uomini politici, quelli onesti almeno, hanno detto “abbiamo provato tutto, non ha dato risultato, non c’è che la Chiesa”.

C’è però chi, dal punto di vista umano, si chiede ancora perché Dio permetta tutto questo?
Mons. Atallah: Dio non permette, lascia la libertà, dà all’uomo una propria responsabilità. È vero che gli uomini di primo impatto reagiscono così, ma quando poi ritornano a loro stessi capiscono che Dio, proprio per l’infinito amore che nutre per le sue creature, lascia libertà e responsabilità. Anche perché senza libertà e responsabilità non saremmo neanche uomini.

Eccellenza, si può affermare quindi che c’è ancora speranza per il Libano e la sua gente?
Mons. Atallah: Si, c’è speranza, assolutamente. Noi lavoriamo molto come Chiesa sul piano dei giovani e creiamo dei gruppi, delle comunità, dialoghiamo con tutti, con le altre Chiese, in modo da creare fiducia tra gente che è spaventata dall’altro pur vivendoci nello stesso Paese. Io nella Diocesi di cui sono capo cerco di seminare questa speranza che è insita nel nostro cuore.

Durante il suo ministero di Vescovo c’è qualcosa che le è rimasta impressa particolarmente?
Mons. Atallah: Sì, i giovani. Io inviterei tutti ad andare a vedere i nostri giovani, come vivono, come agiscono. È una cosa straordinaria oltre ogni aspettativa. Il Santo Padre nel suo viaggio di settembre dopo aver incontrato i giovani a Bkerké è tornato a Roma rincuorato. Ancora parla di quell’incontro con fierezza.

In ultimo, Eccellenza, c’è qualcosa che sente il bisogno di dire?
Mons. Atallah: Sì, di ritornare ai valori, al senso della comunità, della comunione tra la gente e dell’amore. Il nuovo Patriarca insediatosi due anni fa è venuto con un logo “Comunione e amore”. Ecco, è questa la formula per arrivare al dialogo e, soprattutto, per guadagnare la felicità.

http://www.zenit.org/article-35445?l=italian

domenica 3 febbraio 2013

"Sorgete, o popolo nuovo di vergini nate dal sangue ..."

Destini  simili di giovani cristiane martiri di questa guerra insensata



Questa è la storia:  un corteo nuziale, e mentre la sposa giunge come passeggero su una moto (come succede spesso in quella zona), i militanti ribelli prendono di mira la processione e sparano sul gruppo. La sposa muore e  viene seppellita con il suo abito da sposa bianco e i piccoli segni augurali consueti per le nozze. Questo è accaduto ad al-Hasakah.

http://www.liveleak.com/view?i=e19_1359791076




Secondo il sito web assiro ankawa.com, un autobus di proprietà della Società assira Bus Ezla,   è stato attaccato con armi da fuoco giovedi nei pressi della capitale siriana  Damasco. Diverse persone sono state uccise.
Qamishli è la città più grande della provincia di Hasakah.
L'autobus era sulla via da Qamishli a Beirut quando è stato attaccato sulla strada Alnabuk Yabroud a Damasco.

Tra le persone uccise vi era una ragazza assira  poco più che ventenne, di nome Nina Jamil Oshana.


http://www.aina.org/news/20130131161233.htm






Pascal Zerez, capo-coro della Chiesa Sainte-Thérèse di Aleppo, uccisa nell'attacco dei ribelli al bus che la trasportava da Lattakia ad Aleppo. Il padre Claude,  conosciuto prima della guerra come guida di pellegrinaggi cristiani in Siria, scrisse un'accorata lettera al Presidente Hollande , pubblicata sul nostro Blog : 

http://oraprosiria.blogspot.it/2012/10/appello-per-pascal-e-per-tutte-le.html#more


venerdì 1 febbraio 2013

Per la pace in Siria : catena di implorazione a Padre Romano Bottegal

AGLI OCCHI UMANI LA PACE IN SIRIA SEMBRA FARSI SEMPRE PIU' LONTANA


A TUTTI I NOSTRI AMICI E AGLI AMICI DEL MEDIO-ORIENTE CRISTIANO CHIEDIAMO DI UNIRSI ALLA PREGHIERA PERMANENTE PER OTTENERE LA PACE, ATTRAVERSO  L'INTERCESSIONE DI PADRE ROMANO BOTTEGAL:
che apra i cuori di tutti a volere veramente la pace.





"sitio d'amore: vittima per la pace a Gerusalemme e in Oriente"



Padre Romano Bottegal sacerdote, trappista (a Roma, monastero delle Tre Fontane), eremita prima in Libano e in Israele, poi di nuovo in Libano; e qui a Jabbouleh,  infine, con il 15° anno della sua vita eremitica, anche recluso - perché l’Amore, Dio, lo spinse a lasciare Gerusalemme per viverne lo spirito e la missione, per essere un "sitio d’amore", una  vittima per la pace-,  un monaco e un mistico contemplativo.


Fu esempio d’amicizia e di amore verso i cristiani e i musulmani, senza distinzione. La sua vita di austerità, di preghiera e di perdono,  fu per tutti di edificazione,  soprattutto perché il Paese in cui la conduceva, il Libano, era afflitto da una guerra fratricida. 
Si offri , raggiante di gioia dentro la sua vita evangelica, vittima per la pace.

A lui affidiamo la nostra catena di preghiera per la pace in Siria


giovedì 31 gennaio 2013

"Il nostro cuore sanguina...." : lettera dalla Siria


Lettera di Suor Annunciata Dordoni agli amici di Lodi, pubblicata su
" Il Cittadino" S A B A T O, 2 6  G E N N A I O  2 0 1 3


Carissimi ….,

a voi, agli amici, ai Lavoratori credenti: buon anno!
E come vorrei che anche in questa Terra fosse un anno di ritorno alla pace!
È sempre più frequente che gente anche sconosciuta, ci fermi per strada per parlare con noi (la mia superiora parla l’arabo), per dirci che sono contro la guerra, che vogliono e sperano che tutto torni come prima, senza divisioni, rivogliono pace e libertà!
E sempre più c’è in noi la convinzione che il popolo siriano sta subendo cose atroci per un disegno di potenze esterne alla Siria, e che gli oppositori pacifici a questo regime non riescono ad avere voce e peso, non sono presi in considerazione dall’Occidente, mentre il governo siriano con loro è pronto al dialogo.

Mercoledì 2 gennaio con la mia superiora ci siamo recate a Tartous, che è una grande città portuale, dovevamo recarci in Vescovado per dei documenti. Arrivate a questo vescovado Maronita, non riuscivamo ad entrare, i cancelli erano assiepati da una folla di bambini, uomini e donne, sia cristiani che musulmani. Siamo salite da padre Mikhail, il quale ci ha spiegato che vengono ad iscriversi nelle liste dei rifugiati per avere un minimo di aiuto.
Così padre Mikhail, che è diventato monsignore di recente ed è vicario del Vescovo, ha iniziato a raccontarci un po’ cosa sta accadendo a Tartous, città finora tranquilla, difesa dall’esercito e dai cittadini stessi.
Il vescovado riesce per ora ad assistere 500 famiglie di rifugiati con alimentari e soldi, e inoltre a inviare aiuti ad Aleppo alle suore Salesiane che assistono, come possono, chi è rimasto in quella città e non può scappare. A Tartous arriva gente fuggita da Aleppo, Damasco, Daraa, Idleb, Homs, in città è raddoppiata la popolazione, negli alberghi sono stati alloggiati donne e bambini profughi, ma molti sono per strada, non hanno un tetto!

Per Natale amici ci hanno mandato offerte, così abbiamo comperato qualche quintale di farina, riso, zucchero, scatolame, olio, condimento e altri generi alimentari per 40 famiglie povere del nostro villaggio e dei nostri vicini musulmani. Ci hanno segnalato in uno di questi villaggi, una vedova di guerra con tre bimbi piccoli, sola, anche il padre è morto.
Il villaggio fa una colletta settimanale per farle avere il minimo indispensabile, ora cercherò qualche famiglia italiana che adotti questa poveretta!
Ecco carissimi, vi ho descritto la situazione di questa parte di Siria, e vi chiedo se è possibile far pervenire degli aiuti al Vescovado, sarebbe molto bella una collaborazione con padre Mikhail per aiutarlo a sfamare qualcuno in più.

Carissimi, il mio coraggio sta tutto nel chiedervi di fare… quello che potete, ma vi assicuro che ad essere qui il cuore sanguina continuamente nel vedere queste persone che sono prima di tutto siriani e poi cristiani, musulmani, eccetera, e che invece i ribelli vogliono lacerare come accaduto in Iraq, Egitto, Libia, togliendo loro la libertà di credere in ciò in cui credono!
Per noi monache è consolante che quando ci fermano per strada o qualcuno viene al monastero, ci ringraziano di essere qui a pregare, e sempre dicono: «Pregate per la Siria»!
 È questa la nostra forza, nella fede che Dio ascolti le preghiere di chi lo invoca per la pace!
Carissimi, vi ringrazio di cuore, vi abbraccio, e pregate anche voi per la Siria!

Suor Annunciata


Chiediamo la preghiera di tutti i cristiani del mondo, per riavere la pace in Siria


Distrutta una chiesa in Mesopotamia. L’Arcivescovo: “Con la guerra tutti perdono”

Deir al-Zour: la Chiesa  distrutta


Agenzia Fides 31/1/2013
Hassakè – La chiesa siro-ortodossa di Santa Maria e la scuola cristiana di Al-Wahda sono state distrutte a Deir Ezzor, cittadina della Mesopotamia, al centro di scontri che hanno causato un esodo della popolazione civile. Lo riferisce a Fides l’Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, Metropolita di “Jazirah ed Eufrate”, spiegando che “è un giorno molto triste per me e per tutta la comunità”. Le due strutture sono state colpite e distrutte nel fuoco incrociato fra esercito regolare e gruppi ribelli. La Mesopotomia, notano fonti locali di Fides, sta vivendo “una lenta agonia”, e tutta la popolazione civile (arabi, cristiani, curdi, e altri gruppi) sta pagando un prezzo altissimo. L’Arcivescovo Matta Roham nota a Fides: “Questa guerra feroce è prima di tutto una guerra contro la nostra civiltà. E’ un conflitto dove tutti perdono, nella distruzione del nostro amato paese. Se i ribelli o il regime pensano di vincere, alla fine, credo ci ritroveremo solo un paese in rovina, con migliaia di orfani, vedove, poveri e soprattutto destabilizzato dall’inimicizia nella società”. 
L’Arcivescovo si rivolge a quanti stanno combattendo: “Chi ricostruirà tutto quanto abbiamo costruito in decenni di duro lavoro? E quanto tempo ci vorrà? Chi ricucirà le relazioni sociali deteriorate? Chiediamo la preghiera di tutti cristiani del mondo, per riavere la pace in Siria”. 

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40904&lan=ita


 Marcia di solidarietà per i sequestrati in Mesopotamia

 Una marcia di solidarietà con le vittime dei sequestri; un corteo per sensibilizzare l’opinione pubblica verso il fenomeno dei rapimenti; una “assemblea di speranza” che ha visto riunite tutte le componenti della società: cristiani, musulmani, curdi, associazioni e Ong, leder delle chiese e capi della moschee, funzionari pubblici.

Agenzia Fides 28/1/2013 – Come appreso dall’Agenzia Fides, l’iniziativa, tenutasi giovedì 24 gennaio ad Hassake, capoluogo della Mesopotamia, dove la popolazione civile è ridotta allo stremo (vedi Fides 17/1/2013), scuote l’area della Siria orientale. Nella regione si vive un precario equilibrio fra le forze di opposizione (fra le quali milizie islamiste), le forze curde, l’esercito regolare siriano, in lotta fra loro.
A fare le spese del conflitto permanente è la popolazione che è dunque scesa in piazza – oltre tremila presenti al corteo – con striscioni e slogan per chiedere un “un futuro di pace e di speranza per la Mesopotamia”. I partecipanti, che hanno dato vita alla “Associazione di solidarietà con le famiglie delle persone rapite”, hanno marciato dal quartier generale della Chiesa ortodossa siriana al Palazzo di Giustizia della città, esprimendo la loro sofferenza e le loro rivendicazioni. E’ stato presentato un memorandum al Procuratore della Repubblica, chiedendogli di svolgere i suoi compiti e chiedendo al governo locale di assicurare la protezione ai cittadini innocenti.
“Il sequestro di persona è diventato un fenomeno quotidiano per le strade di questa città. I rapitori non esitano a commettere crimini alla luce del giorno. Circa tre settimane fa, tre uomini armati, a volto scoperto, hanno fermato un taxi e rapito un ragazzo di 10 anni, Saeed Afram Aho, mentre stava andando alla scuola elementare” spiega a Fides l’Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, Metropolita di “Jazirah ed Eufrate”.
“Circa sei mesi fa i sequestri di persone hanno iniziato a moltiplicarsi, opera di alcune bande”. Oggi le vittime sono 43, appartengono e tutte le componenti della società (cristiani, musulmani, yazidy, curdi e arabi), sono di età e ceto sociale diversi: bambini, studenti, medici, ingegneri, commercianti e gente comune. L’Arcivescovo racconta a Fides “i momenti molto difficili, la paura e il dolore delle famiglie” anche perché i rapitori, nota, “utilizzano forme di tortura verso vittime innocenti, in spregio alle virtù umane, morali e religiose, per ottenere un forte riscatto”. Un bambino, Bashar, è stato lasciato per due giorni senza cibo e acqua in una cella sotterranea, in una fattoria lontana dalla città. “Oggi – spiega – molte famiglie cristiane sono fuggite, cercando salvezza nei paesi vicini e in Occidente”.
Mons. Matta Roham ha preso parte alla marcia con gli altri due Vescovi della città, il Vescovo siro-cattolico Jacques Behnan Hindo e il Vescovo Mar Afrem Natanaele, della Chiesa assira. In questo periodo di forte crisi, i tre Presuli si incontrano regolarmente per discutere questioni di interesse sociale e religioso.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40877&lan=ita


INIZIATIVA DI PREGHIERA DI "AED : Aide à l'Eglise en Détresse"

VEGLIA DI PREGHIERA PER I CRISTIANI SIRIANI
Mercoledì 6 febbraio 2013, dalle 20.00 alle 22.00.
63 rue de Caumartin Paris IX°

Prière, chants, témoignages, intercession, adoration, Messe à l'intention des chrétiens de Syrie
 Avec le témoignage du père Ziad Hilal, curé de la paroisse Saint-Sauveur à Homs
 En présence de Marc Fromager, directeur de l'Aide à l'Eglise en Détresse (AED), de Monseigneur George Assadourian, curé de la cathédrale Sainte-Croix des Arméniens Catholiques de Paris et du Père Elie Wardé, curé de la paroisse syriaque Saint Ephrem de Paris.
Paroisse Saint-Louis d'Antin,  63 rue de Caumartin et 4, rue du Havre,  Paris IX°
 Métro Havre Caumartin - Métro St Lazare

martedì 29 gennaio 2013

Mère Agnès-Mariam, una testimonianza contro la barbarie

Dire la verità senza compromessi

Intervista apparsa sul  numero di Dicembre di “Monde et Vie”  a cura dell'Abate Guillaume De Tanouarn


Madre Lei vive nel cuore del deserto di Siria ma la sua voce risuona, attraverso tutti  i moderni mezzi di comunicazione, fuori dal vostro monastero di San Giacomo l'Interciso. Tanto è vero che le si rimprovera, in questa Siria incendiata e sanguinante, di “fare politica”  
 La mia  non  è una presa di posizione politica ma etica, a fronte di una situazione che vede una flagrante aggressione nei confronti della popolazione civile. Mentre i media “mainstream” mettono in luce solo una porzione del quadro, io penso che sia buona cosa completare questo quadro con un punto di vista che aiuti l’opinione pubblica a farsi una idea, il più possibile equilibrata,  sugli annessi e connessi del conflitto siriano. Sicuramente io non voglio spazzare via con un colpo di spugna tutto quello che i media riportano. Ma chiaramente ci troviamo di fronte a un discorso dominante tendenzioso. Si difendono unilateralmente  tesi che si vogliono favorire in ogni modo, ma lo si fa malgrado l’evidenza dei fatti.

I coraggiosi studenti dell'Università di Aleppo rifiutano le intimidazioni

Quali tesi?
 La tesi che si vuole difendere è che  il regime  è l’unico responsabile della morte di innocenti e delle distruzioni di massa che si possono constatare adesso. A fronte di questa tesi  “ufficiale” la realtà è che i metodi adottati dalle bande armate affiliate alla opposizione sono altrettanto se non ancor più in contrasto con la protezione dei civili. Sono loro che senza motivo distruggono le infrastrutture pubbliche e i siti del patrimonio storico. Sono loro che destabilizzano la società civile, nella quale, quali che siano le confessioni religiose, vige ancora attualmente un largo consenso per la convivenza pacifica. Per molto tempo la grande stampa ha voluto ignorare l’esistenza sempre più grande  di gruppi estremisti, che per mezzo di una guerra a carattere settario  e promuovendo la guerra civile vogliono realizzare una redistribuzione della popolazione sul territorio su base confessionale. Questi gruppi, la cui presenza è stata dapprima ignorata e poi bellamente occultata, sono stati identificati da diversi reporter come affiliati ad Al Quaeda  o come mercenari composti in una proporzione significativa da individui provenienti dai più diversi paesi fra i quali l’Inghilterra, la Francia, l’Irlanda, l’Australia e anche dalla Svezia. Si tratta di una operazione di riciclaggio di terroristi per l’occasione travestiti da difensori della libertà e della democrazia?  Porsi la domanda equivale a darsi la risposta…

Lei quindi è a fianco del regime di Bachar el Assad contro questi terroristi?
 Il regime di Bachar è un regime totalitario socialista e stalinista. Non è per amore del Regime ma per amore del popolo siriano e per la Chiesa che perderebbe di autorevolezza se si astenesse dall’affermare la verità dei fatti, occultata per considerazioni politiche. Credo che la società siriana non debba essere studiata attraverso il filtro di uno schema binario: Pro regime – Anti regime. La assoluta maggioranza del popolo siriano non è politicizzata. Esiste una immensa maggioranza silenziosa che rifiuta di essere strumentalizzata, di essere destabilizzata e di veder affondare lo Stato (che non va confuso col Regime). La situazione attuale non resiste ad una analisi anche se elementare. La signora Clinton ha avuto la reazione istintiva di rammaricarsi , sottolineando pubblicamente che la rivoluzione legittima del popolo siriano è stata distorta a favore di movimenti estremisti e settari. Lo stesso Laurent Fabius, il vostro Ministro degli Esteri, ha evocato l’insorgere di “una guerra eteroclita e disordinata”.

Ma siete in accordo con la Chiesa Cattolica quando sostenete queste tesi  non conformiste?
 Qui in occidente si tenta di far credere che io non lo sia. Ma è falso. Sua Beatitudine Gregorio III Laham, Patriarca dei Melchiti Greco-Cattolici ha recentemente esposto 24 osservazioni sulla crisi in Siria che vanno completamente in questa direzione. E’ stato lui a dichiarare che : “In Siria non c’è più una rivoluzione, non ci sono più delle manifestazioni. C’è soltanto del banditismo e il mondo intero si rifiuta di ammetterlo”  Parla anche di “un complotto internazionale contro la Siria.
Tutto questo  richiama l’appello urgente dei vescovi di Hassake nella Mesopotamia siriana, nel quale i prelati delle chiese locali di qualsiasi rito, fanno stato di una incontrovertibile aggressione subita dalla popolazione civile da parte dei ribelli. Quegli stessi ribelli che la stampa mainstream giustifica nella loro resistenza armata con la scusa della protezione dei civili. E’ veramente la ragione del più forte che trionfa!  Quanto alle società occidentali, queste arrivano ad una giustificazione ideologica della violenza: un vizio inquietante.

Secondo lei c’è speranza per la Siria attualmente?
 Ciò che viene completamente nascosto oggi è la presenza di una maggioranza silenziosa che non si è polarizzata , che ama il suo Paese conoscendone i pregi e i difetti. Diverse iniziative sono nate per consolidare l’unità civile e fermare l’effetto devastante che si è prodotto con l’apertura del vaso di Pandora delle Rivoluzioni arabe. Il Forum delle famiglie si è tenuto 15 mesi fa. I delegati e gli attivisti appartenevano alle  molteplici componenti del ricco tessuto sociale siriano, così diversificato dal punto di vista etnico, religioso e culturale. Questo Forum ha fatto emergere una iniziativa di riconciliazione nazionale , con alla testa il capo di una delle più prestigiose tribù arabe, i Naims (che rappresenta in Siria circa tre milioni di persone). L’autorità naturale di Cheikh Saaleh Naim ha permesso che sorgessero un po’ ovunque nel paese gruppi di riconciliazione nazionale (in arabo: Musalaha)  che si  mobilitano mediante la realizzazione in situ di iniziative per prevenire la guerra civile, fermare le violenze, pagare i riscatti e occuparsi della vita quotidiana dei siriani servendosi della vasta rete di relazioni che esiste tra i capi tribù, fra i quali si annoverano i leader più influenti delle diverse confessioni, sunnite, alauite, sciite, cristiane, druse , ismailite  e yezidi e sabbee per i profughi dall’Iraq. A fronte di una tale organizzazione,  mi domando cosa intenda fare la Francia per decidere chi veramente rappresenti il popolo siriano.? Io lo chiamerei una deviazione. Il conflitto in Siria sta mostrando il vero volto della Democrazia occidentale.

Perchè il movimento “Musalaha” , questo movimento per la riconciliazione dei Siriani è così poco conosciuto?
 Attualmente la comunità internazionale cerca di prendere in contropiede la maggioranza del popolo siriano che non ha preso le armi. Mentre il movimento Musalaha  si adopera per il mantenimento della pace civile, pacificando le popolazioni ed aiutandole materialmente,  sia che siano schierate dalla parte del regime che della rivoluzione, si cercano soprattutto motivi per intervenire armando i ribelli.
Ci dicono che in Siria è in corso una guerra civile. Si contano circa 500.000 morti dall’inizio delle ostilità. Ma non è una guerra civile, non è una guerra tra le componenti civili del Paese, è la repressione da parte dell’esercito del regime dell’insurrezione di una parte del Paese assistita da volontari internazionali. E’ una guerra tra l’Esercito Libero Siriano (miliziani o mercenari) e le Forze Armate regolari. In questa guerra i civili di tutte le confessioni sono degli ostaggi; succede che nei quartieri residenziali infiltrati le persone vengano sequestrate e ricattate.
Bisogna dire che questo conflitto ha avuto una preparazione di anni. Non si sono forse trovati i sotterranei che hanno permesso all’ ELS di occupare questi quartieri senza colpo ferire?


E il Regime…
 Il Regime è morto dall’inizio del 2012, da quando ha rinunciato ufficialmente al principio del partito unico . Certo è un regime durissimo con gli oppositori. Ma allora il Paese non aveva debiti e soprattutto sino all’inizio della guerra era autosufficiente, con abbondanti riserve attualmente distrutte sistematicamente dai mercenari jihadisti. Lo Stato inoltre garantiva l’istruzione scolastica, la sanità gratuita, la gratuità dei medicinali con una vera industria farmaceutica nazionale. Per noi la vera questione non è cosa sopravviverà  del Regime di Bashar , ma cosa sopravviverà dello Stato siriano che sino ad ora assicurava la pace civile con veri mezzi economici?

Dichiarazioni raccolte dall’Abate Guillaume De Tanouarn
 Traduzione dal francese di M. Granata

I media tra informazione e propaganda

La posizione timorosa dei media sulla guerra in Siria mi ricorda un incidente significativo. Una delle nostre fondatrici ebbe un giorno un malessere cardiaco e venne trasportata in ospedale dove l’elettrocardiogramma non registrò alcuna anomalia. I medici ci rassicurarono ma, non appena arrivammo al monastero, ebbe un attacco fatale e soccombette sotto i nostri occhi. Richiamato d’urgenza, il medico che l’aveva appena dimessa brandiva l’elettrocardiogramma per assicurarci che la religiosa non aveva niente. Malgrado il responso fornito dal suo apparato diagnostico, la nostra sorella è deceduta. Io temo che il medesimo scenario si stia ripetendo oggi in ambito sociopolitico. A forza di essere sottoposti ad un sistema di disinformazione si lascia che ci imbrogli sino ad un punto di non ritorno. La mancanza di informazione, si dice, ricade sul regime siriano che impedisce il libero accesso ai media. E’ vero. Ma per questo si deve punire la popolazione bloccando le sue testimonianze rifiutando di diffonderle? Le versioni delle televisioni siriane pro-regime sono più verosimili. Abbiamo tentato di documentarci in tempo reale telefonando a dei conoscenti che si trovavano sul luogo degli incidenti descritti : la situazione concordava più con ciò che diceva la televisione siriana che a quello che propagandavano Al Jazzirah, BBC, France 24, Al Hurra o Al Arabia con dei montaggi e altri spezzoni audiovisivi fallaci o di cattiva qualità.

Madre Agnes- Mariam


Soeur Marie Agnès "Les Syriens sont unanimes à rejeter l'ingérence étrangère"





Soeur Marie Agnès : Les Syriens sont unanimes à... di Super_Resistence

Mons. Zenari : siamo al centro di un "regolamento di conti" più grande di noi


da "IL SUSSIDIARIO" - 21 gennaio 2013
Intervista di Pietro Vernizzi  a Mons. Mario Zenari

Nell’università affollata per gli esami semestrali, una bomba ha provocato la morte di 87 studenti. E’ successo ad Aleppo la settimana scorsa, in una zona della città ritenuta fino a quel momento sicura. “Si tratta di un vile atto terroristico nei confronti degli studenti che sedevano nelle aule per gli esami di metà anno”, è stato il commento di Bashar Jaafari, inviato del governo siriano durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Il Sussidiario.net ha raggiunto telefonicamente Mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, che si trova nella zona centrale di Damasco dove sono ospitate anche le altre ambasciate.

Che cosa ne pensa dell’attacco contro l’università di Aleppo?

E’ difficile sapere chi ci sia dietro, purtroppo le violenze di questo tipo ultimamente in Siria sono frequenti. E’ un atto di violenza molto triste che ha causato 87 vittime e suscitato compassione e indignazione in tutto il mondo.
Sempre martedì si sono contati 216 morti in tutta la Siria. Significa che anche senza considerare l’attacco all’università si sono registrate 129 persone dilaniate dalle bombe. E ogni giorno assistiamo ad atrocità di questo tipo.

Lei ritiene che siano state esplorate tutte le strade per mettere fine alle violenze?

Difficile rispondere, quello che so è che quello a cui stiamo assistendo è la conseguenza del fatto che si sono sovrapposte due questioni. C’è un problema interno, in quanto la Siria da tempo sentiva il bisogno di andare verso una maggiore democrazia e una maggiore libertà. Nello stesso tempo, ci sono dei conflitti regionali o mondiali. Quanto sta avvenendo in Siria quindi non può più essere risolto con un grado maggiore di democrazia e con delle elezioni libere, perché qualcuno ha scelto il Paese come campo per regolare dei conti che riguardano ben altre potenze.

I cristiani come si inseriscono in questo conflitto?

I cristiani non hanno armi ed essendo sparsi in tutto il Paese non formano un unico gruppo politico né singoli gruppi schierati da una parte o dall’altra.
Bisogna però riconoscere che la situazione per i cristiani sotto questo regime non era così negativa. C’era una discreta libertà religiosa, seconda soltanto a quella di cui godono i cristiani libanesi. Anche se non era una libertà assoluta, per esempio un musulmano non poteva diventare cristiano.

Qualcuno ha cercato di fare pagare ai cristiani questa scelta di non schierarsi?

Fino a questo momento, per i fatti di cui sono a conoscenza, i cristiani hanno  sofferto come tutti. Abbiamo avuto delle chiese abbattute, ma queste distruzioni  non erano volute. Le bombe degli uni e degli altri spesso finiscono nei centri  abitati e dove prendono prendono. I missili non fanno distinzioni tra cristiani,  sunniti e alawiti, quando un villaggio è preso di mira tutti devono scappare a  prescindere dalla loro religione.

 Quale contributo possono dare i cristiani in questo momento drammatico della  vita del Paese?

 Ho sentito diverse dichiarazioni di persone che mi dicono: “Noi cristiani siamo  qui per il bene del Paese, ma non ci schieriamo”. Anche se non possono tirare le pietre contro questo governo, perché prima dell’inizio del conflitto le cose per loro non andavano male. La tendenza dei cristiani è quindi quella di non prendere le armi, e di operare secondo i principi del Vangelo, della dottrina sociale della Chiesa, della solidarietà, della riconciliazione e della giustizia sociale. E’ questa la sola bandiera dei cristiani.

 La dittatura è veramente compatibile con la dottrina sociale della Chiesa?

 No, la dottrina sociale della Chiesa parla di libertà fondamentali e di giustizia sociale. Questo regime andava e va riformato secondo principi universali di democrazia, di libertà e di giustizia sociale, di espressione non sottoposta a restrizioni. 
Il punto però è che questa riforma del regime non andava attuata in maniera violenta.

 Infine, com’è la situazione nella zona di Damasco dove si trova lei?

 Dal quartiere Malki, dove si trovano le principali ambasciate, sentiamo le cannonate e vediamo gli aerei che si levano in volo. Dobbiamo sempre stare attenti, perché anche la situazione nella zona dell’università di Aleppo fino a martedì sembrava calma, ma ormai il conflitto è dappertutto e non ci sono più isole sicure, o quelle che sono sicure oggi domani non lo saranno più. Resta il fatto che a Damasco le zone periferiche sono le più martoriate. Il centro è stato abbastanza preservato, ma ogni tanto qualche bomba esplode anche qui. Ormai la situazione della Siria è come quella di un corpo nel quale le cellule malate si sono diffuse in tutti gli organi.

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http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2013/1/21/SIRIA-Mons-Zenari-nunzio-apostolico-siamo-al-centro-di-un-regolamento-di-conti-piu-grande-di-noi/355116/


lunedì 28 gennaio 2013

Siria, la posizione della Santa Sede: bloccare la violenza e portare tutte le parti a negoziare

Cosa succede in Siria? Qual è veramente la situazione di questo Paese? Risponde Mons. Silvano Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite


CITTA' DEL VATICANO, Thursday, 24 January 2013 (Zenit.org).

Mons Tomasi  già nella prima parte di questa intervista ha denunciato l'esistenza di una nuova tipologia di conflitti, composta da una “galassia” di gruppi oppositori ai governi, i quali, strumentalizzando la religione per ottenere risorse e potere, danno vita a guerre civili che lacerano intere popolazioni.
***
Eccellenza, quale è la reale situazione in Siria?
Mons. Tomasi. La Siria è ormai da due anni nel vortice della violenza, del conflitto interno, rischiando di diventare uno Stato fallito. Bisogna prevenire assolutamente questa situazione e sopratutto fare in modo che l'evoluzione politica blocchi al più presto la violenza e sospenda i combattimenti. È urgente trovare un armistizio, una tregua, in modo che, insieme a tutte le forze coinvolte, si possa negoziare un nuovo consenso in Siria e si apra la strada alla speranza e alla ricostruzione.

Perché sottolinea la presenza di tutte le forze coinvolte?
Mons. Tomasi: Perché se non c'é la partecipazione di tutte le forze sociali il dialogo per preparare il futuro non diventa realistico. Ci sono elementi fanatici e fondamentalisti che non permettono di garantire un dialogo che faccia uscire il Paese dalla violenza, dalla morte di decine di migliaia di persone e dalla continua distruzione di case e infrastrutture. Infatti, più si dilaziona un accordo, più prendono piede piccoli gruppi violenti che creeranno ulteriori difficoltà in futuro e renderanno la convivenza ancora più difficile.

Gruppi armati, quindi, che non accettano la partecipazione nei negoziati. E le minoranze?
Mons. Tomasi: Se si vuole essere interlocutori soltanto con i gruppi che uno accetta, senza ammettere tutte le forze che ci sono nel Paese, si rischia di non mai cominciare a negoziare. Questa è una preoccupazione immediata. C’è poi una seconda urgenza che è l’esigenza che la comunità internazionale garantisca a tutte le minoranze - cristiani, alawiti, sciiti, drusi, curdi - di avere una voce attiva e reale nel dialogo e nella gestione futura dello Stato. La cittadinanza deve essere alla base della vita civile. Inoltre, c'é una particolare attenzione sulle minoranze cristiane che vengono percepite da molti come alleate al regime al potere. Questo è un fatto che preoccupa molto perché finora, anche se non in piena libertà, tutte le minoranze cristiane e non cristiane potevano vivere decentemente. Ora invece sono diventate il target di alcuni gruppi che tendono a eliminare i cristiani con la scusa di essere alleati con il governo presente.

Interventi esterni potrebbero aiutare a risolvere questa situazione?
Mons. Tomasi: Secondo testimonianze provenienti direttamente dalla Siria, sia da parte del Governo che dagli Osservatori internazionali, ci sarebbero forze esterne che complicano il conflitto. La popolazione nativa della Siria non è convinta che questi gruppi ribelli portino qualcosa di meglio. La soluzione deve venire dalla popolazione siriana senza dare a piccoli gruppi violenti la possibilità di dominare e facilitando una rapida uscita dalla crisi attuale, attraverso un processo politico ed una risposta seria ai bisogni reali della popolazione.

E se parliamo di un intervento occidentale, tipo i Caschi blu?
Mons. Tomasi: Abbiamo visto che il risultato del primo intervento esterno non richiesto dalla Siria ha portato ad un inasprimento della violenza. Quindi ci si chiede: a cosa porterà un altro intervento organizzato dei Paesi occidentali? L'incertezza è molto forte, soprattutto considerando l'esperienza dell'Iraq e dell'Afganistan che non hanno raggiunto né la pace né grandi miglioramenti dato che la violenza continua.

E quindi cosa si può fare?
Mons. Tomasi: Dobbiamo capire che la guerra e la violenza non risolvono i problemi ma soltanto li accentuano in maniera più drastica e dannosa. Bisogna ascoltare la saggezza della Chiesa che continua sempre a dire attraverso i diversi Papi che la guerra è una via di non ritorno, una via che distrugge, che si sa quando comincia ma non quando finisce e fino a che punto di distruzione porta. La pace che è un diritto fondamentale delle popolazioni per vivere serenamente, che permette che una migliore qualità di vita, anche dal punto di vista economica, visto che l'economia fiorisce in tempo di pace e non di guerra. Il diritto alla pace e i suoi benefici, davanti al panorama attuale di conflittualità e incertezza politica, diventano quindi un’esigenza fondamentale per cercare soluzioni che salvaguardino la dignità delle persone e dei popoli secondo il piano di Dio.

http://www.zenit.org/article-35194?l=italian

La prima parte dell'intervista di Zenit a Monsignor Tomasi "La comunità internazionale di fronte ad una nuova tipologia di conflitti" è leggibile a questo link: 

http://www.zenit.org/article-35193?l=italian


domenica 27 gennaio 2013

Uno sguardo umano sulla tragedia siriana

Segnaliamo due toccanti articoli di Giorgio Bernardelli : dove la pietas cristiana si china con rispetto sugli aspetti meno conosciuti del dramma della popolazione 


Nomi e volti dal dramma siriano

Non ci sono più parole per descrivere lo strazio della tragedia della Siria. Ma proprio perché non ci sono parole, il rischio è sempre più quello di abituarsi al massacro e alle sofferenze quotidiane, quasi fossero una fatalità. Per questo è fondamentale tenere davanti agli occhi dei volti, che ci ricordino come non sia di numeri o di equilibri geopolitici ma di persone in carne ed ossa che stiamo parlando.

Pensavo a tutto questo guardando sul blog dell'amico Andres Bergamini - fratello della famiglia religiosa della Visitazione, che vive a Gerusalemme - le fotografie di suor Rima. Da un paio d'anni, d'estate, Andres promuove un corso di iconografia con un piccolo gruppo di persone che si vuole avvicinare a questa forma d'arte che è anche spiritualità. L'estate scorsa a Gerusalemme da Aleppo era arrivata anche suor Rima, delle Suore maestre di santa Dorotea. Nella città siriana - dove lei stessa è nata quarant'anni fa - gestisce insieme a una consorella un pensionato per ragazze che si trova vicino all'università. Sì, proprio quell'università, sventrata lo scorso 15 gennaio da due sanguinose esplosioni. Da allora chiunque la conosce vive nell'angoscia, perché non si hanno più notizie di lei. L’ultimo a vedere suor Rima - ha raccontato ad AsiaNews il nunzio apostolico a Damasco mons. Giovannni Zenari - è stato il giardiniere del convento delle suore carmelitane, anch’esso situato a poche decine di metri dall’università. L’uomo stava conversando con la religiosa quando i due sono stati investiti da un muro di fuoco. Una volta riaperti gli occhi il giardiniere, rimasto ferito, ha visto intorno a sé solo macerie. È anche questo oggi Aleppo: l'angoscia per un volto amico che a più di una settimana di distanza da un'esplosione non sai ancora con certezza che fine abbia fatto.

Altri volti sono quelli di cui parla un articolo di Al Monitor che mi ha lasciato di stucco: quelli dei profughi palestinesi che si trovavano in Siria e che nella loro fuga sono arrivati fino a Gaza.
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Le voci delle vittime dei sequestri di persona nel caos di Damasco. La paura e la fede di fronte al rischio di morire. «Ma il Vangelo continua a rinascere anche in mezzo alla sofferenza»

 
Non ci sono solo i morti nei bombardamenti e negli attacchi delle milizie nella tragedia della Siria. Un dramma nascosto in questa situazione ormai totalmente fuori controllo sono i rapimenti a scopo di estorsione. Il sito dell'Oeuvre d'Orient, una storica realtà francese attiva nell'aiuto ai cristiani d'Oriente, ha raccolto una serie di testimonianze di alcuni cristiani che hanno vissuto questo incubo e fortunatamente sono poi stati rilasciati. «È una pratica - spiegano all'Oeuvre d'Orient - che aumenta giorno per giorno, facendo crescere l'inquietudine tra le famiglie, gli amici, le parrocchie e la popolazione civile, anche nelle zone finora risparmiate dai combattimenti. Si ha paura di uscire di casa da soli anche solo per andare al lavoro, a scuola, in chiesa. Una volta rilasciate le vittime di solito si rifugiano nel silenzio. Noi invece abbiamo potuto raccogliere qualche testimonianza discreta».
Qui sotto MISSIONLINE propone una traduzione del testo integrale pubblicato sul sito francese.

RINASCERE NELLA SOFFERENZA

B.T. 42 anni, padre di cinque figli, commerciante di legumi

È stato rapito una sera, davanti al suo negozio, è stato bendato e chiuso nel bagagliaio di una macchina ... Ha trascorso quattro giorni senza vedere il sole, alimentato solo a pane e acqua.
Si preparava a morire e ha trascorso il tempo a pregare e a pensare a Gesù abbandonato sul Monte degli Ulivi. Dal suo rilascio B.T. è sempre più convinto dell'importanza della fede cristiana. Non lascia più la chiesa, invita tutti al pentimento e alla meditazione della Sacra Scrittura, ha sempre il Rosario in mano.

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