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mercoledì 11 aprile 2018

Da suor Yola: "amici, siate con noi! #NoWarInSyria"

L'immagine può contenere: 8 persone, tra cui Yola Girges, persone che sorridono, persone in piedi e spazio all'aperto
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Voglio dire a tutti i miei amici italiani di divulgare questa verità che vi dicono i nostri bambini,  i nostri giovani:  per 7 anni abbiamo sofferto, sì, ma abbiamo toccato con mano che la Siria è più grande di tutti i potenti del mondo.
In Damasco Dio ha accecato Paolo e qui egli ha visto la luce e da carnefice è diventato Apostolo e portatore di Verità. 
E quindi Dio protegge la Siria SURIA ALLA HAMIHA.
La Siria è una terra Santa da 7000 anni non le potrà accadere nulla, ricordatevelo sempre . 
Questo ve lo dicono i bambini della Siria 
Allora lasciateci in pace e mai più la Guerra!

suor Yola Girges, Damasco

venerdì 23 febbraio 2018

Ghouta, parlano i religiosi di Damasco: "Per quanto tempo ancora si poteva sopportare tutto questo?"


di Fulvio Scaglione, 23 febbraio 2018

Ci sono momenti in cui anche una raffica di kalashnikov sembra nulla. Quella che risuona nel telefono, mentre sono in linea con Damasco e parlo con suor Yola Girges, è la sparatoria rituale che accompagna il funerale di un soldato siriano morto nella battaglia per Ghouta, il sobborgo ancora controllato dai terroristi islamisti.    Suor Yola, nata a Damasco in una famiglia originaria però di Ghassanieh (provincia di Idlib), un villaggio cristiano del Nord dove nel 2013 fu ucciso il francescano padre Francois Mourad e dove tuttora sono insediati i terroristi di Al Nusra, è una delle missionarie del Cuore Immacolato di Maria che lavorano nella casa della Custodia di Terra Santa presso il Memoriale delle Conversione di San Paolo, nella capitale siriana.   Siamo nei quartieri di Tabbaleh, Bab Touma e Dawaleh, dove si concentrano i cristiani. E come molti altri cristiani e religiosi di Siria, anche suor Yola è indignata per il modo in cui la guerra viene raccontata in Europa.
“Oggi, nel quartiere Jaramana, si svolgono i funerali di dodici civili ammazzati dai missili sparati dai ribelli di Ghouta. Due settimane fa un colpo di mortaio è esploso nel giardino della nostra casa. Qualche giorno fa un altro razzo ha colpito un edificio sull’altro lato della strada e tutte le nostre finestre sono esplose. Da settimane, ormai, quando usciamo di casa non sappiamo se faremo ritorno. In questo periodo, inoltre, i terroristi hanno cominciato a colpire proprio quando nelle scuole finiscono le lezioni, per creare ancora più panico. Solo nel nostro asilo, l’anno scorso abbiamo perso quattro bambini, uccisi da un mortaio insieme con il loro papà, e nel 2012 una bambina, ammazzata da un missile per strada insieme con la mamma, che era una nostra catechista. Per non contare i bambini feriti o traumatizzati Eppure nessuno ne parla, nessuno dice niente. Chi si occupa dei nostri morti?”.
Adesso tutta l’attenzione è concentrata su Ghouta e le organizzazioni umanitarie parlano di molti morti tra i civili…    “Bisogna raccontare tutta la verità. Ghouta è un’area di 1800 chilometri quadrati, occupata dai terroristi fin dall’inizio della guerra. In questi sette anni, i razzi da loro lanciati hanno provocato più di mille morti tra i civili nella sola Damasco. Per quanto tempo ancora si poteva sopportare tutto questo? Inoltre, tutti sanno che i militanti dell’Isis e di Al Nusra che si sono concentrati a Ghouta hanno portato con sé le famiglie, che ora usano come scudi umani. Sia per fermare gli attacchi dell’esercito sia per destare la reazione compassionevole del mondo. Nessuno vuole che muoiano dei civili, da nessuna parte. Ma il meccanismo è chiaro”.
La Casa della Custodia di Terra Santa presso il Memoriale di San Paolo è stata testimone fedele, in questi anni, del martirio della Siria. Fondata come casa di accoglienza per i pellegrini, con l’arrivo della guerra si è messa a disposizione di chi più soffriva.
“All’inizio”, spiega suor Yola, “abbiamo accolto 30 famiglie di rifugiati da Homs, dove c’era un quartiere con 75 mila cristiani. Passata quella fase, ci siamo messi a disposizione dei malati, soprattutto quelli di tumore, che dalle più diverse zone della Siria, a causa della guerra, potevano seguire le terapie solo a Damasco. Infine, abbiamo dato alloggio alle famiglie, e purtroppo sono state tante, che avevano deciso di emigrare e dovevano fermarsi qui nella capitale per ottenere i visti. Alcune di quelle famiglie, purtroppo, sono state inghiottite dal Mediterraneo”. 
Negli ultimi anni, comunque, la Casa ha cercato di provvedere ai bisogni dei più deboli e indifesi, i bambini. “Abbiamo un asilo con 150 bambini”, racconta suor Yola, “in maggioranza di famiglie povere o rifugiate a Damasco da zone occupate dai terroristi o investite dai combattimenti. Poi abbiamo un centro catechistico che segue 400 bambini e ragazzi, da quelli delle scuole elementari agli universitari. L’anno scorso, poi, abbiamo avviato un’attività di sostegno psicologico ai bambini traumatizzati dalla guerra che quest’anno, su sollecitazione degli stessi genitori, abbiamo allargato e approfondito. Lavoriamo con bambini fino ai 13 anni e con l’aiuto di dodici volontari, studenti universitari che abbiamo preparato con appositi corsi tenuti da specialisti. Infine, due mesi fa, abbiamo varato anche dei corsi di educazione musicale, anche per dare ai giovanissimi un’alternativa rispetto alle interminabili giornate passate in casa perché è troppo pericoloso giocare fuori. Si sono iscritti in cinquanta ma siamo sicuri che il numero crescerà”.
Adesso, però, le attività della Casa, come quelle di tutte le altre Chiese cristiane rappresentate a Damasco, sono bloccate. Piovono missili e, come dice suor Yola, “non potevamo chiedere ai genitori di rischiare la vita dei figli per portarli qua”. È la Siria, da troppi anni in guerra.
http://www.occhidellaguerra.it/vi-prego-raccontate-la-verita-terroristi-stanno-occupando-la-ghouta/

Viaggio nell'inferno di Ghouta : ecco chi sono i ribelli anti Assad.
Nel 2015 gli abitanti catturati sfilavano in gabbia 

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«Per voi occidentali le uniche vittime sono i civili di Ghouta, ma dimenticate che da quei quartieri partono i missili e i colpi di mortaio diretti contro i quartieri cristiani di Damasco - ricorda nel corso di una telefonata a Il Giornale padre Amer Kassar, parroco della chiesa Madonna di Fatima di Damasco - Solo martedì qui a Bab Touma e al Shaghour, i due quartieri cristiani più importanti di Damasco, abbiamo contato 13 morti e una settantina di feriti. Nell'ultima settimana almeno tre chiese, tra cui il patriarcato greco latino, sono state colpite dalle bombe dei ribelli. Le nostre case distano da Ghouta solo un paio di chilometri in linea d'aria e i ribelli ne approfittano per colpirci senza pietà. Dieci giorni fa Rita una ragazza del mio oratorio è stata uccisa da un colpo di mortaio esploso davanti alla chiesa. Christine, l'amica che era con lei, ha perso una gamba. Ma a voi occidentali non interessa. Per voi quei ribelli sono tutti degli angeli».



Leggi tutto l'articolo di Gian Micalessin qui 

http://www.ilgiornale.it/news/politica/viaggio-nellinferno-ghouta-ecco-chi-sono-i-ribelli-anti-1497525.html?mobile_detect=false

martedì 31 ottobre 2017

Oasi di carità a Damasco


il racconto di Andrea Avveduto
ATS pro Terra Sancta

Arriviamo a Damasco dopo il tramonto e lo spettacolo è sorprendente: quello di una città illuminata. Solo sei mesi fa sembrava impossibile, ma da luglio l’elettricità non sembra essere più un grande problema. Mentre ci avviciniamo al convento dei francescani, la cauta impressione avuta all’inizio trova sempre maggiori conferme: la città è tornata finalmente a vivere e le speranze che la guerra finisca in fretta sono palpabili tra le persone che affollano i suq di questa città straordinaria.
Al mercato davanti alla grande moschea si fatica a camminare: i turisti non ci sono, certo, ma i commercianti sono indaffarati ad ascoltare le richieste di chi ha finalmente qualche soldo per comprare una sciarpa, qualche spezia, o solo un pezzo di sapone.

Dopo la liberazione di Aleppo abbiamo cominciato a sperare – ci racconta padre Bahjat, guardiano  del convento francescano di Damasco a Bab Touma – ed è decisamente un’altra vita”. Non è ottimismo ingenuo, e al memoriale di san Paolo (dove secondo la tradizione Saulo di Tarso incontrò Gesù) suor Yola ce lo conferma, mentre ci accompagna a vedere l’asilo che non ha mai smesso di accogliere bambini in questi anni di guerra.
Dentro la scuola materna le sale completamente rinnovate accolgono in tutto 140 bambini, dai 3 ai 5 anni.  Ma solo un anno fa era un edificio fatiscente. “Grazie ai fondi che ci ha inviato l’Associazione pro Terra Sancta abbiamo fatto un lavoro bellissimo. E possiamo accogliere chiunque, anche chi non ha i soldi per pagare la retta già ridotta al minimo”. Questo miracolo della carità è stato reso possibile grazie ai tanti sostenitori che in questi anni non hanno abbandonato il popolo siriano. La riconoscenza di suor Yola e delle maestre è per loro, “per voi che in questi anni non ci avete lasciato soli”, ci dice raggiante.

Nelle classi però si fanno i conti con un’umanità straziata dal dolore. Come Maryam che ha solo cinque anni e ha perso la madre da pochi mesi. È timida, risponde appena. Ci guarda con quei piccoli occhi azzurri ma non si avvicina, anche se suor Yola continua a chiamarla. “Taali, taali!”, che significa “vieni, vieni!”. Niente da fare. Maryam si nasconde tra le sue compagne, un sorriso appena accennato. “Ha perso sua madre il 26 marzo scorso”.
Per lei e sua sorella è stato un colpo terribile. “Da allora parla poco, pochissimo”. Ogni tanto, le sue mani tremano, e il suo sguardo si perde nel vuoto. “Pochi giorni dopo, la domenica di Pasqua, il padre si è suicidato. Prima di ammazzarsi ha chiamato tutti i figli e ha detto a Stefano, il fratello maggiore: “il papà ora starà via per un po’, mi raccomando: abbi cura delle tue sorelle”. Quella fu l’ultima volta che lo videro.
Stefano, quando ha capito che il padre non sarebbe più tornato, per vendicarsi ha smesso di vedere le sorelle. Non voleva obbedire al suo papà, che lo aveva tradito. “Di notte lo sentiamo piangere e urlare”, raccontano gli zii che lo ospitano: “accusa il padre di essere un bugiardo, di averlo deluso. Qualche volta, minaccia anche lui di suicidarsi”. Le cicatrici che la guerra ha lasciato e sta lasciando dureranno ancora chissà quanti anni. “L’unica speranza è che possano sentirsi davvero amati, dopo essere stati abbandonati da tutti”.

È vero per Stefano, per Maryam, ma anche per tutti quei piccolini che la mattina entrano, ordinati, in quelle stanze pulite e sistemate, espressione di una bellezza che la guerra non è riuscita a deturpare fino in fondo. È questo il desiderio di Suor Yola per la sua grande famiglia. Dove, tra i volti timidi e spesso sofferenti, si nasconde la Siria di questi anni, fatta di paure e violenza, ma anche di insospettabile letizia e miracolosa speranza.
È questa speranza che vogliamo sostenere, anche – e soprattutto – con il vostro aiuto. Perché, come san Paolo, possano ancora convertirsi tanti cuori nella Siria dilaniata dal conflitto e che oggi – dopo tanto, troppo tempo – sta tornando a vivere.

lunedì 1 maggio 2017

Suor Yola e la speranza invincibile

Sono circa sei milioni i bambini che in Siria hanno subito il trauma della guerra, una iniziativa dei cristiani di Damasco per aiutarli a riprendere fiducia. L'intervista a suor YOLA GIRGIS

"Per favore, riporti tutto come le ho detto, non come fanno sempre i giornali quando parlano della Siria, ribaltando tutto e inventandosi le cose" dice suor Yola Girgis, superiora della Comunità di Damasco delle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, a Roma per la presentazione del progetto di collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II e l'Ospedale Bambin Gesù rivolto ai piccoli siriani colpiti da disturbi post-traumatici da stress. Ha ragione da vendere suor Yola, che accusa i media occidentali di perseguire gli obiettivi delle loro leadership politiche: indicare in Assad il diavolo da abbattere e sostenere gli jihadisti. "Le bombe americane? Senta: Damasco esiste da 7mila anni, ha una storia e una civiltà che hanno resistito a tutte le guerre, pensa ci faccia paura un paese che non ha neanche 500 anni di storia?" dice ancora, mostrando il coraggio da vendere che ha permesso a questo popolo di resistere a sei anni di carneficina. Il progetto, che accoglie bambini cristiani e musulmani ("Perché noi abbiamo vissuto sempre di amore dei concordia e lo facciamo ancora adesso nonostante le bombe") si rivolge a quei 6 milioni di bambini siriani che vivono sotto i bombardamenti. Di questi, circa 3 milioni sono cresciuti vedendo solo la guerra (fonte UNHCR). Una generazione di bambini colpiti dalla guerra e dalle sue conseguenze come gravissimi disturbi post-traumatici da stress.
Suor Yola, ci spiega di cosa si tratta questo progetto che siete venuti a presentare all'Ospedale Bambin Gesù di Roma?
E' un progetto già iniziato che grazie alla Fondazione San Giovanni Paolo II ha adesso le risorse per continuare. Noi accogliamo bambini dai 6 agli 8 anni dando loro un sostegno psico-sociale attraverso metodi come il disegno, la recitazione, la condivisione. Abbiamo preparato dei giovani istruttori che aiutano i bambini a esprimere i loro sentimenti riguardo al trauma subìto per via della guerra. Purtroppo la guerra e la violenza lasciano nei bambini segni devastanti. Con il nostro lavoro li aiutiamo a esprimere le loro paure, le loro gioie, li aiutiamo a riavere fiducia in se stessi.
Molti di loro saranno anche orfani.
Alcuni sono orfani, altri hanno il padre che è al fronte a combattere. Vedendo tanti soldati morti la notizia che aspettano ogni giorno, invece di sapere se il padre sta tornando a casa, è se il loro papà è morto. E' questo che si aspettano, la morte del loro papà.
Sono bambini sia cristiani che musulmani?
Certamente, non facciamo alcuna differenza. Anzi, visti i risultati straordinari sui bambini musulmani l'anno prossimo aumenteremo ancora la loro quota, facendo 50 più 50 per cento. Per loro cose come l'oratorio, il campeggio, la condivisione guidata non esistono, i musulmani non hanno queste cose, stanno in strada da soli. Abbiamo visto come il nostro modello educativo li abbia colpiti e affascinati.
Ed è la possibilità di ricostruire un dialogo?
Questa realtà condivisa in Siria è sempre esistita. Io sono nata qui, i musulmani per noi cristiani sono siriani e niente altro. Abbiamo giocato insieme, abbiamo fatto le stesse scuole. Adesso cerchiamo di ricucire questa ferita che la guerra ha cercato di produrre per dividerci, ma senza riuscirci.
Come è la situazione adesso a Damasco? 
La gente continua a fare le sue cose, a vivere la sua vita, ma c'è sempre l'attesa che accada qualcosa di brutto. Tranquilli non lo siamo mai. Spesso di notte mi affaccio alla finestra del convento e prego perché ho paura che un terrorista entri nel convento, loro vogliono prendere Damasco. Però la vita va avanti, le scuole sono sempre rimaste aperte e le attività delle chiese vanno avanti anche sotto i missili. 
Quando l'America vi ha bombardati vi siete sentiti traditi?
Tutto il mondo ci ha abbandonati. Anche l'embargo di medicine è una cosa orribile, la gente muore di cancro perché non ci sono medicine. Ringraziamo l'Italia che con iniziative come questa ci sta vicino, ci dà speranza, ci dice che Dio è vicino.
E il papa?
Il papa è la voce di Dio. A volte io dico: Dio perché stai in silenzio, perché non fermi questa guerra? Ma ogni volta che sento il papa sento la voce di Dio, che dice: non preoccupatevi io sono sempre con voi. Possono distruggere le nostre case ma la nostra cultura non la distruggerà neanche Trump.
(Paolo Vites)