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lunedì 13 giugno 2016

Due anni di occupazione ISIS. Dichiarazioni dei Patriarchi

Una dichiarazione congiunta sull'occupazione da parte di ISIS dei villaggi assiri nel nord dell'Iraq è stata promulgata dal Patriarca siro-ortodosso e dal Patriarca siro-cattolico. La dichiarazione definisce le azioni di ISIS "un atto criminale, che equivale ad un genocidio etnico-religioso".
ISIS ha catturato Mosul il 10 giugno 2014 e si è espanso nella Piana di Ninive, una roccaforte assira, nel nord Iraq, il 7 agosto, obbligando quasi 200.000 Assiri ad abbandonare le loro case e villaggi. ISIS ha anche distrutto chiese assire, monasteri e siti archeologici.

Ecco il testo della dichiarazione:
Due anni da quando è stato strappato il nostro Popolo proveniente da Mosul e dalla Piana di Ninive: la ferita dell' emigrazione forzata sanguina ancora.
Due anni sono passati dallo sradicamento del nostro popolo siriaco dalla terra dei nostri antenati a Mosul e la piana di Ninive, seguendo l'atto criminale, che equivale ad un genocidio etnico-religioso, commesso da ISIS e altri gruppi terroristici che considerano infedeli tutti coloro che non condividono la loro religione o non credono nelle loro dottrine confessionali.
Il 10 giugno 2014, il nostro popolo è stato costretto a lasciare Mosul. Alla vigilia del 7 agosto dello stesso anno, lo sradicamento è continuato e la nostra gente è stata costretta a lasciare Qaraqosh, Bartelly, Bahzani, Bashiqa, Telosqof, Al-Qosh, Karamlis, e altri villaggi e città della piana di Ninive. Sono diventati rifugiati e senza casa nella regione del Kurdistan iracheno e dei paesi vicini del Libano, Giordania e Turchia.
Oggi, due anni dopo la calamità che si è abbattuta sulle nostre persone, i paesiche hanno potere decisionale e la comunità internazionale rimangono silenziosi e inerti verso la pulizia etnica di un popolo storico che ha fondato la civiltà della zona. Noi siamo i discendenti dei martiri che hanno difeso la loro fede, la terra e l'onore. Hanno testimoniato fino al punto di versare il proprio sangue per la loro causa.
Accogliamo con favore la decisione di alcuni paesi di riconoscere questi atti di terrorismo come un genocidio contro i cristiani e le altre minoranze etniche e religiose. Tuttavia, denunciamo con forza l'assenza di azioni effettive da parte della comunità internazionale e del governo iracheno per intensificare la liberazione di Mosul e dei villaggi della Piana di Ninive dai gruppi terroristici. Hanno distrutto le nostre chiese e monasteri, in particolare del monastero di S. Behnam e Sarah in cui è stata bombardata la tomba del santo. Hanno rubato le proprietà e i beni del nostro popolo, diffondendo le tenebre della morte, distruzione e degrado morale.
Come padri spirituali di questo popolo, i nostri cuori sono stati trafitti dal dolore e gli occhi si sono riempiti di lacrime ogni volta che abbiamo visitato, insieme e separatamente, i nostri figli sfollati che si sono stabiliti nelle città e cittadine della regione del Kurdistan in Iraq. Abbiamo visto la loro sofferenza e la mancanza dei più basilari elementi necessari per una vita dignitosa, vale a dire l'alloggio, il lavoro, l'assistenza sanitaria o l'istruzione per i bambini. Ringraziamo il Governo della Regione del Kurdistan in Iraq per i suoi sforzi per offrire i servizi di base in questi tempi difficili. Noi, allo stesso modo riaffermiamo la nostra richiesta per la liberazione immediata di Mosul e della Piana di Ninive e il ritorno dei nostri figli e figlie alla loro terra e case. Essi dovrebbero godere di sicurezza e stabilità, nonché le condizioni di vita che assicurino la loro dignità e li aiutino a ristabilire la loro fiducia nel loro paese e la loro speranza in un futuro luminoso.
Quindi, diciamo ai nostri figli spirituali che sono stati costretti a lasciare le loro case e comunità:
Siamo con voi in ogni momento, vi esortiamo a rimanere la lampada che brilla nel buio di questa tribolazione, per il ritorno alle vostre case presto. Confidiamo nella promessa del Signore che Egli rimarrà in mezzo alla sua Chiesa e Lei non cadrà mai.
Non perdete la fede, incoraggiatevi e rimanete saldi nel Signore Gesù Cristo che ci invita a non avere paura, dicendo: «Coraggio, io ho vinto il mondo" (Giovanni 16: 33). 
10 giugno 2016
Ignatius Aphrem II 
Syriac Orthodox Patriarch of Antioch and All the East


Ignatius Youssef III Younan 
Syriac Catholic Patriarch of Antioch


(trad. OpS)   http://www.aina.org/news/20160612033007.htm


Dichiarazione in occasione del secondo anniversario dell'occupazione di Mosul da Daesh (SI)

del Patriarca Louis Raphael Sako
Con tristezza, dolore e preoccupazione, celebriamo il secondo anniversario della tragedia che ha colpito la popolazione di Mosul: l'occupazione della città da parte dei jihadisti dello Stato Islamico (Daesh), avvenuta 10 Giugno 2014, seguita dall'esodo della sua popolazione e soprattutto i cristiani, e dall'esodo degli abitanti della Piana di Ninive due mesi più tardi. Ci ricordiamo anche tutto ciò che è stato fatto per sradicare la loro cultura, la loro storia e la loro memoria.

Davanti a questi eventi crudeli e spaventosi, continuiamo a credere che la soluzione deve venire dal "dentro", vale a dire dagli iracheni stessi, che mettano da parte le loro differenze e cambino il loro modo di pensare ed agiscano per trovare una reale volontà politica di riconciliazione, adottando una visione chiara  e un piano di riforma sistematica per risolvere i problemi.
Questa guerra non è una guerra tra musulmani e cristiani, ma copre lotte, in nome della religione, per il potere e il denaro. Sono tanti i legami tra cristiani, musulmani e seguaci di altre religioni: questi sono storici, e le differenze sono naturali perché  "Dio ci ha creato diversi".  

Pertanto, faccio appello a tutti - nel corso del mese di digiuno del Ramadan per i musulmani, e in questo anno di misericordia per i cristiani - a non indulgere in sedizioni confessionali, a non dilaniarsi l'un l'altro, né ad essere presi dalla paura. Invito tutti a mantenere la fede, la pazienza e la speranza, unificare le forze e cooperare per liberare le città, raggiungere la pace, la sicurezza e l'uguaglianza per tutti.
Ai cristiani che sono colpiti in modo particolare, desidero indirizzare un messaggio: li invito ad essere solidali con la loro gente, a restare radicati alla loro terra e continuare la loro gloriosa storia e la loro missione con coraggio, promuovendo la cooperazione e la coesistenza armoniosa con i loro concittadini.

mercoledì 27 gennaio 2016

Il Patriarca caldeo: la “mano malefica” di “giocatori esterni” ha portato il caos in Medio Oriente

Affresco ( distrutto) del Giudizio Universale. Chiesa Armena di Aleppo 

Agenzia Fides, 26/1/2016

 “Sembra che una mano malefica abbia messo in atto tutto ciò che è stato pianificato per cambiare la situazione”, causando sofferenze inaudite ai popoli dell'area mediorientale. 
E “non è un segreto” che in tale pianificazione è stato determinante “l'intervento di ‘giocatori’ esterni che hanno agito in base alle proprie ambizioni nella regione”. 
Sono quelli che “hanno usato la democrazia e la libertà come copertura per privarci delle nostre risorse naturali, della pace e della libertà, ed hanno creato il caos ed il terrorismo in Iraq e in Medio Oriente”. 
Così il Patriarca di Babilonia del Caldei, Louis Raphael I, ha delineato le ragioni profonde dei conflitti che stanno dilaniando il suo Paese e tutta la regione. Lo ha fatto nel discorso preparato per la conferenza sui diritti delle minoranze religiose nel mondo musulmano, che è in corso in questi giorni a Marrakech (Marocco). 

Nel suo discorso, pervenuto all'Agenzia Fides, il Primate della Chiesa caldea identifica nel 2003 – anno dell'intervento militare a guida Usa contro il regime di Saddam Hussein – l'inizio dei processi storici che stanno portando l'Iraq alla deriva, sulla base di un “ordine del giorno sistematico e ben pianificato” che prevede anche “la sparizione dei cristiani e delle altre minoranze religiose” autoctone. Processi che vengono condotti anche usando la religione, ridotta a strumento ideologico per fanatizzare le masse, spegnendo in esse ogni autentica vita spirituale. 

Nel suo intervento, il Patriarca Louis Raphael ha anche elencato una serie di recenti episodi che documentano la crescente discriminazione dei cristiani nella società irachena: “Un giudice donna di Baghdad” ha raccontato il Patriarca caldeo, “ha respinto un cristiano dal tribunale in qualità di testimone, affermando che i cristiani non sono ammessi come testimoni nei tribunali iracheni. Alcuni costruttori musulmani si sono rifiutati di costruire case e dimore religiose per i cristiani, perchè identificati come infedeli. Le milizie a Baghdad hanno preso possesso delle case dei cristiani, dei loro terreni e delle loro altre proprietà. Sono stati affissi dei manifesti, anche negli uffici pubblici, con cui si chiede alle ragazze cristiane di indossare il velo, sull'esempio della Vergine Maria”. 
Tra le urgenze da affrontare per salvare il Medio Oriente dall'abisso in cui sembra sprofondare, il Patriarca ha indicato anche la necessità di formare e favorire “religiosi musulmani istruiti, che si oppongano al fanatismo e alla mentalità settaria con le parole e le azioni”. 

http://www.fides.org/it/news/59270-ASIA_IRAQ_Il_Patriarca_caldeo_la_mano_malefica_di_giocatori_esterni_ha_portato_il_caos_in_Medio_Oriente#.VqkoNPnhCM8


Papa Francesco all’udienza generale di oggi 27 gennaio , salutando i pellegrini di lingua araba, in ‎particolare quelli provenienti dall’Iraq e dal Medio Oriente, ha detto:
Dio non rimane ‎in silenzio dinanzi alle sofferenze e alle grida dei suoi figli, o dinanzi ‎all’ingiustizia e alla persecuzione, ma interviene e dona, con la Sua ‎Misericordia, la salvezza e il soccorso. Egli usa pazienza con il peccatore per ‎indurlo alla conversione e cerca lo smarrito affinché ritorni, perché Dio ‎‎’vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità’ (1 Tim. 2, 4)‎. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga dal maligno!‎”.

sabato 26 settembre 2015

Sako: "Vanno via le forze migliori, le uniche che potevano tentare di ricostruire ciò che è stato distrutto in questi anni".


Il Patriarca caldeo Louis Raphael I sui rifugiati in fuga verso l’Europa: «In questo momento è irresponsabile ogni dichiarazione che adesso possa avere l’effetto di incitare la nostra gente a emigrare»


Vaticaninsider, 14-09-2015
GIANNI VALENTE

«Adesso la nostra gente ci critica. Vogliono che noi troviamo per loro gli aerei, i visti per partire e anche le case di accoglienza nei Paesi europei. Questo è impossibile. Uno Stato non può farlo. E non può farlo neanche la Chiesa». Si dice preoccupato Louis Raphael I, Patriarca caldeo di Baghdad. Non lo convincono nemmeno certe ricadute della nuova politica europea verso i profughi in fuga dalla Siria e da altri scenari di guerra. Una mobilitazione in cui pure sono state coinvolte anche tante Chiese sorelle del Vecchio Continente. Perplessità a preoccupazioni che sente di condividere con tanti altri pastori delle Chiese d’Oriente.

Come vede le ultime mosse della comunità internazionale riguardo al Medio Oriente? Si muove finalmente qualcosa?
«Venerdì scorso mi sono incontrato alla cattedrale caldea con tutti i capi delle Chiese presenti a Baghdad, insieme a tante suore e sacerdoti. Ci chiediamo come mai accade ora tutto questo, dopo 4 anni di guerra in Siria e dopo 12 di conflitti e stragi in Iraq. Dopo che la situazione si è lasciata incancrenire per così tanto tempo. C’è qualcosa di enigmatico in questa dinamica. Sono preoccupato».

Si riferisce alla questione dei rifugiati? La preoccupa chi apre le porte o chi le chiude?
«La questione non si può affrontare in materia sentimentale e superficiale. Serve un discernimento. Le soluzioni durevoli sono solo quelle che si possono realizzare sul posto. Soluzioni che richiedono tempo, e la pazienza di avviare e accompagnare i processi. Ma questo non sembra interessare ai capi delle nazioni e agli organismi internazionali. Preferiscono operare sull’onda delle emozioni suscitate nell’opinione pubblica».  

C’è chi suggerisce di accogliere prima i profughi cristiani e quelli delle minoranze religiose perseguitate. È una buona idea?
«Questo non si può fare. Diventerebbe un problema anche per noi. Alimenterà tutti quelli che dicono che vogliono dare una giustificazione religiosa alle guerre. Quelli che da una parte e dall’altra dicono che qui i cristiani non possono stare. I Paesi europei devono accogliere chi ha veramente bisogno, senza guardare la religione. E devono evitare di agire alla cieca. E di favorire chi gioca sempre con la pelle dei cristiani».

A cosa allude?
«Esistono agenzie e gruppi che aiutano i cristiani a andar via. Hanno proprio come missione quella di aiutare l’esodo dei cristiani. Lo finanziano. Lavorano per spingere i cristiani a lasciare i propri Paesi, e lo dicono apertamente, presentandola come un’opera a favore dei perseguitati. Non so quale strategia perseguano.
Forse, quando questi Paesi saranno vuoti dell’intralcio dei cristiani, sarà più facile scatenare nuove guerre, vendere e sperimentare nuove armi. Bisogna studiare questi fenomeni, altro che chiacchiere».

Ma è possibile fermare padri e madri di famiglia che vogliono dare una speranza di futuro dei loro figli?
«Noi non fermiamo nessuno. Sarebbe ingiusto, oltre che impossibile. Ma non possiamo neanche spingerli a fuggire. Adesso la nostra gente ci critica. Vogliono che portiamo gli aerei, i visti e che gli troviamo le case di accoglienza negli altri Paesi. Questo è impossibile. Uno stato non può farlo. E non può farlo neanche la Chiesa.  Una comunità cristiana che è nata in queste terre non può mettersi a organizzare i viaggi dell’esodo che segnerà la sua estinzione. La scelta di partire possiamo rispettarla come scelta personale, ma non possiamo istigarla noi».
Cosma e Damiano, i due santi medici "anargiri" 
ricordati oggi 26 settembre nel santorale,
furono sepolti in una splendida basilica
in Cyrro (NE di Aleppo)


Quindi c’è chi chiede alle chiese stesse di organizzare la fuga di massa...
«Vuol dire che adesso c’è davvero il pericolo che nessun cristiano rimarrà in Medio Oriente, in Iraq, in Siria. In questo momento è irresponsabile ogni dichiarazione che adesso possa avere l’effetto di incitare la nostra gente alla fuga. Non si può parlare senza tener conto di tutti i fattori, delle possibili conseguenze e di come le nostre parole possono essere interpretate».

Secondo alcuni, l’apertura improvvisa agli immigrati risponde anche a calcoli economici. Davvero c’è in ballo anche questo?
«Sento dire che vogliono giovani, che non vogliono i vecchi e i malati. E su questa linea convergono governi di destra e di sinistra. C’è qualcosa di strano. Io posso confermare che non vanno via solo gli sfollati. I preti mi raccontano che sta andando via anche chi economicamente non sta messo male, magari ha il lavoro in banca. Gente che non avrebbe bisogno. Sentono che adesso si è aperta un’occasione, temono che presto questa finestra si chiuderà, e ne approfittano. Mentre quelli davvero più poveri non ci pensano a andar via.  È una perdita per tutti. Vanno via le forze migliori, le uniche che potevano tentare di ricostruire ciò che è stato distrutto in questi anni. E questo riguarda noi cristiani in maniera particolare. I cristiani con la convivenza, con la loro apertura e la loro umanità, potevano avere un ruolo decisivo nella terra dove sono nati e sono sempre vissuti i loro padri. Potevano anche col tempo aiutare i loro concittadini musulmani a liberarsi dell’ideologia jihadista che fa tanto soffrire anche loro. Noi abbiamo aperto chiese, ma anche scuole, ambulatori e ospedali. C’è una rete di realtà che per tanto tempo ha contribuito realmente a migliorare la convivenza e le vita sociale della collettività, offrendo un servizio a tutti. Adesso anche tutto questo è destinato a spegnersi». 

Lei, nell’ultimo anno, ha lottato nella sua Chiesa contro il fenomeno dei preti e dei religiosi che emigravano in Occidente senza il consenso del proprio vescovo…
«I preti e i religiosi che scappano dal Medio oriente sono “emigranti di lusso”. Approfittano del loro status, delle conoscenze e degli appoggi ecclesiastici per scappare, presentandosi come perseguitati e sfruttando questa etichetta per guadagnare anche soldi. A volte, c'è chi con la parola-chiave della persecuzione riesce a mettere in piedi un “business” redditizio e sacrilego.  Molti di loro sono scappati da zone sicure, dove non c’era nessuna persecuzione, e poi hanno aiutato anche tutta la loro famiglia a trovare una bella sistemazione comoda magari in Nord America. Senza l’autorizzazione del proprio vescovo, e tradendo lo spirito del buon pastore».

Ma servono pastori anche nelle comunità dei cristiani mediorientali emigrati in Occidente…
«I vescovi che seguono le comunità della diaspora non possono venire a “rubare” i preti in Medio Oriente. Che li cerchino nelle loro comunità, che loro dicono essere così fiorenti. Se abbiamo abbracciato il sacerdozio in queste terre, la nostra vita è già data al Signore, e non dobbiamo pensare a cercare il lusso per il nostro clan familiare. Questi “emigranti di lusso” hanno dato il cattivo esempio al popolo. Il nostro sacerdozio va speso qui dove la gente soffre. Per stare accanto a loro, mostrare che anche qui, in questa situazione, è possibile vivere la gioia del Vangelo».

Di recente, avete denunciato la sottrazione illecita di case e terreni appartenenti ai cristiani andati via. E questo non solo nelle terre finite sotto il Califfato…
«Le aree sotto il Daesh non vengono liberate. Forse questo fa comodo a qualcuno. Intanto, adesso, anche a Baghdad e a Kirkuk  le case e le terre dei cristiani vengono illecitamente espropriate. C’è il rischio di veder alterati per sempre gli equilibri demografici in quelle zone.  Ci vuole un’azione internazionale per imporre che siano rispettati anche i diritti e le proprietà di chi è stato costretto con la forza a andar via e magari pensa di tornare. L’Onu si dovrebbe occupare di queste cose».

Esiste una via per uscire dal supplizio del Medio Oriente?
«L’ho detto all’incontro della Comunità di Sant’Egidio a Tirana, e poi anche a Parigi, alla conferenza organizzata dall’Œuvre d’Orient: Non c’è nessun “bottone magico” che si può schiacciare per risolvere tutto in un momento. Ci vorrà chissà quanto tempo per provare a risanare una situazione così devastata.
Per sconfiggere l’ideologia jihadista occorre coinvolgere le autorità musulmane e i governi arabi. Invece i circoli del potere occidentale hanno sostenuto proprio le forze e gli Stati dove i jihadisti hanno sempre trovato più appoggi. Adesso, riguardo ai rifugiati, si fa leva sul senso di umanità che fortunatamente ancora esiste in tante persone. Ma intanto vengono oscurate le connivenze e le protezioni di cui hanno goduto i jihadisti, i flussi di soldi e di armi. Hanno iniziato dal 2003 le guerre contro il terrorismo e per la democrazia, e il risultato è che è nato questo mostro del Daesh. Vorrà pur dire qualcosa».

lunedì 10 novembre 2014

Il Pontificio Consiglio per il dialogo: I crimini e la barbarie del Califfato islamico

I militanti del Califfato responsabili di azioni indegne dell'uomo: esecuzioni pubbliche, umiliazione delle donne, terrore,.. verso cristiani, yazidi e membri di altre religioni. L'invito ai capi religiosi e i governi islamici a condannare e perseguire tali crimini perché sia credibile la loro volontà di dialogo. Potenziare la convivenza fra cristiani e musulmani che pur fra alti e bassi dura da secoli.

 
le ragazze dell'Università a Mosul nello Stato Islamico



Città del Vaticano (AsiaNews) - Il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso denuncia senza mezzi termini la serie di violenze che i militanti del califfato islamico sta compiendo in Medio Oriente, soprattutto in Iraq e in Siria. L'organismo vaticano domanda ai membri di tutte le religioni e della comunità internazionale di unirsi nella condanna. Esso chiede anche ai capi religiosi islamici di condannare l'uso falso della religione come giustificazione al terrorismo, per rendere più vera e più credibile la cultura della convivenza e del dialogo, cresciuta in questi anni. Riportiamo qui di seguito la traduzione integrale della dichiarazione pubblicata  dal Pontificio consiglio.

Il mondo intero ha assistito con stupore a ciò che viene ormai chiamata "la restaurazione del califfato", che era stato abolito il 29 ottobre 1923 da Kemal Ataturk, fondatore della Turchia moderna.
Le critiche di questa "restaurazione" da parte della maggioranza delle istituzioni religiose e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello "Stato islamico" di commettere e continuare a commettere azioni criminali indicibili.

Questo Pontificio consiglio, tutti coloro che sono impegnati nel dialogo interreligioso, gli aderenti di tutte le religioni, come pure le donne e gli uomini di buona volontà non possono che denunciare e condannare senza ambiguità queste pratiche indegne dell'uomo:
-      il massacro di persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa;
-      le pratiche esecrabili della decapitazione, crocifissione e l'impiccagione dei cadaveri nei luoghi pubblici;
-      la scelta imposta a cristiani e yezidi fra la conversione all'islam, il pagamento di un tributo (jizya) o l'esodo;
-      l'espulsione forzata di decine di migliaia di persone, fra le quali bambini, vecchi, donne incinta e malati;
-      il rapimento di ragazze e di donne appartenenti alle comunità yezida e cristiana come bottino di guerra (sabaya);
-      l'imposizione della pratica barbara dell'infibulazione;
-      la distruzione dei luoghi di culto e dei mausolei cristiani e musulmani;
-      l'occupazione forzata o la dissacrazione di chiese e monasteri;
-      l'eliminazione di crocifissi e altri simboli religiosi cristiani  e di altre comunità religiose;
-      la distruzione del patrimonio religioso-culturale cristiano, dal valore inestimabile;
-      la violenza abbietta allo scopo di terrorizzare le persone per obbligarle ad arrendersi o a fuggire.

Nessuna causa potrebbe giustificare una tale barbarie e senz'altro nessuna religione. Si tratta di un'offesa di estrema gravità verso l'umanità e verso Dio che ne è il Creatore, come ha spesso ricordato papa Francesco.
Non si può dimenticare comunque che - seppure con alti a bassi - cristiani e musulmani hanno potuto vivere insieme lungo i secoli, costruendo una cultura della convivialità e una civiltà di cui sono fieri. Ed è su questa base che in questi ultimi anni il dialogo fra cristiani e musulmani ha continuato e si è approfondito.
La drammatica situazione dei cristiani, degli yazidi e delle altre comunità religiose ed etniche numericamente minoritarie in Iraq esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà. Tutti devono essere unanimi nella condanna senza ambiguità di questi crimini e denunciare l'appello alla religione per giustificarli.

Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro aderenti e i loro capi?

Quale credibilità potrebbe ancora avere il dialogo interreligioso così pazientemente perseguito in questi ultimi anni?

I responsabili religiosi sono anche chiamati a esercitare la loro influenza presso i governanti perché cessino tali crimini, siano puniti coloro che li commettono, si ristabilisca uno stato di diritto su tutto il territorio, assicurando il ritorno degli sfollati a casa loro. Ricordando la necessità di un'etica nella gestione delle società umane, questi stessi capi religiosi non mancheranno di sottolineare che il sostegno, il finanziamento e l'armare il terrorismo è da condannare moralmente.
Ciò detto, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso è riconoscente verso tutti coloro che hanno già levato le loro voci per denunciare il terrorismo, soprattutto quello che utilizza la religione per giustificarlo.
Uniamo dunque le nostre voci a quella di papa Francesco: "Che il Dio della pace susciti in noi un desiderio autentico di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace!".

 http://www.asianews.it/notizie-it/Il-Pontificio-Consiglio-per-il-dialogo:-I-crimini-e-la-barbarie-del-Califfato-islamico-31876.htm


"SPERANDO CONTRO OGNI SPERANZA" :
video dell'incontro con il Patriarca Sako
Milano, 21 ottobre '14





martedì 30 settembre 2014

Il Patriarca caldeo: dietro la guerra, giochi politici sporchi

«Se non ci aiuta il Signore, per noi non c’è futuro». Si avverte anche sofferenza e apprensione nel Patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I. L'apprensione del pastore che vede il gregge in pericolo. La sofferenza del figlio della Chiesa caldea che vede correre verso la dissipazione una lunga storia cristiana, quella che ha irrigato per millenni le terre tra i due fiumi della Mesopotamia. E a angustiarlo non sono soltanto i sanguinari jihadisti dello  Stato Islamico. 



Vaticaninsider - 29/09/2014
Intervista di Gianni Valente

Davanti alle sofferenze del suo popolo, cosa si può fare fare? Qual è, adesso, il vostro compito?

La prima cosa è consolare chi soffre e ha paura, aiutare tutti, e soprattutto incoraggiare la gente a perseverare e restare saldi nella loro fede e nella loro terra. A non andar via. A rimanere. Quelli che vogliono, certo. Senza forzare nessuno. Ma è nostro dovere orientare le persone con lo sguardo che ci suggerisce il Vangelo. Quelli che vanno via devono sapere che l'Occidente non è la terra promessa, tantomeno il Paradiso.

Ma tanti vogliono solo scappare.

Il momento che stiamo vivendo è anche una prova. Ognuno di noi è chiamato a guardare nel suo cuore, e può scoprire anche che la consolazione del Signore è l'unica forza e l'unico tesoro. Quello che abbiamo di più caro. Ma molti sono vittime di questa frenesia di fuggire. Non riescono nemmeno a pensare a quello che sta succedendo davvero alle loro vite. Cercano un futuro. Ma la speranza di un futuro migliore, per chi ha il dono della fede, non può ridursi solo alla ricerca di una vita più agevole.

Eppure un vescovo, negli Stati Uniti, sta trattando anche con la Casa Bianca per organizzare il trasferimento negli Usa di decine di migliaia di caldei.

Quel vescovo pensa sicuramente “all'americana”, ma non sembra pensare e agire secondo il Vangelo. E poi è fuori dalla situazione concreta in cui viviamo. In America hanno messo i cesti con le richieste di asilo sopra l'altare, durante la messa. Come se la migrazione di migliaia di cristiani iracheni negli Usa fosse qualcosa su cui invocare la benedizione di Dio. Una scena strana, che non fa che confondere la fede di tanti. Purtroppo alcuni ecclesiastici diventano  businessmen invece di rimanere pastori delle anime. Ragionano in termini di business e non di pastorale evangelica, anche riguardo ai fedeli. Per qualcuno sono soltanto numeri, con cui far crescere sulla carta la quota dei battezzati su cui hanno giurisdizione. Li fanno trasferire da una situazione brutta a un'altra che alla lunga può risultare ancora più miserabile. Lasciati a se stessi, senza una adeguata cura pastorale.

Lei cosa si sente di dire a chi vuole andar via?

Lo ripeto: ogni cristiano, nella sua coscienza, deve pensare a quale futuro cerca. Provare a sentire l'amore di Dio in questa situazione. Interrogarsi su cosa gli sta chiedendo il Signore in questo momento. E magari accorgersi che noi abbiamo un futuro qui, in questa nostra terra martoriata e benedetta. E che tutto il Paese rappresenta la nostra missione.
 Il Presidente curdo Barzani, quando è venuto a trovarci con Hollande, ci ha detto: voi dovete avere pazienza, dovete rimanere. Dovete imparare da noi curdi, che abbiamo sofferto ma adesso abbiamo i nostri diritti. Prendere lezioni di perseveranza. A noi cristiani può far bene anche questo.

Intanto, gruppi cristiani con base negli Usa cercano - e dicono di trovare – proseliti nei campi profughi. Anche tra i non cristiani.

È un guaio. Una cosa immorale. Approfittano delle difficoltà e delle sofferenze di un popolo. Anche loro ragionano in termini di business, da manager della religione in cerca di clienti.

Contro i jihadisti dello Stato Islamico si sono costituiti anche gruppi armati che si presentano come “milizie cristiane”. Cosa ne pensa?

Ai politici, anche cristiani, che me l'hanno chiesto, ho detto sempre: se alcuni cristiani vogliono partecipare alla difesa o alla lotta per liberare le terre conquistate dai jihadisti, che entrino nell'esercito curdo o in quello nazionale iracheno. Fare delle “milizie cristiane”, che si connotano in maniera etnico-religiosa, è una follia e un suicidio, oltre a essere illegale.

Gli Usa hanno iniziato l'intervento armato con la “coalizione”. In Iraq, qualcosa del genere lo avete già visto.

Tutto questo mi sembra un gioco politico sporco. Bombardare questi jihadisti non li farà certo sparire. C'è il pericolo di uccidere tanti innocenti. Si distruggono le infrastrutture, che rimarranno distrutte. Gli americani già lo hanno fatto: hanno distrutto il Paese e non lo hanno ricostruito. La cosa più grave è che adesso tutti ripetono: la guerra durerà anni. Così mandano un doppio messaggio, pericolosissimo. Ai jihadisti dicono: tranquilli, avete tempo per organizzarvi con calma, trovare altri soldi, arruolare altri militanti a pagamento. Agli altri, al popolo dei rifugiati dicono: ne avrete per anni, per voi il futuro è possibile solo altrove, lontano dalle vostre case. E' meglio che ve ne andiate, se ci riuscite. Se si vuole davvero farla finita con i gruppi estremisti, si deve lavorare sull’educazione e sulla formazione, con programmi che davvero facciano percepire la falsità e la mostruosità di quell’ideologia sanguinaria.

Intanto, in Occidente, qualcuno ha provato a ritirar fuori lo stereotipo dello scontro di civiltà e degli islamici nemici della civiltà occidentale.

La realtà è che l'Occidente non ha altri moventi oltre ai propri interessi economici e di potere. Anche quest'ultima entità che si fa chiamare Stato Islamico è stata nutrita per anni con soldi e armi che venivano da Paesi cosiddetti “amici” dell'Occidente. Coi servizi segreti, quando vogliono, possono sapere tutto di ognuno di noi. Come mai non sanno da dove passano le armi, o a chi vendono oggi il petrolio? Gli Usa si sono mossi quando hanno decapitato i 2 poveri americani. E tutti quelli - siriani, iracheni, cristiani e musulmani – che avevano ammazzato e sgozzato fino a allora?

In tutto questo, c'è qualcosa che la fa sperare?

La scorsa settimana, a Baghdad, noi sacerdoti abbiamo fatto tutti insieme gli esercizi spirituali. I nostri preti fanno miracoli, malgrado tutta questa situazione: liturgie, catechismo, attività sociali e di carità, teatro, tante cose belle. A questo ci chiama oggi il Signore: consolare le persone, aiutarle a avere pazienza, a non perdere la speranza. Adesso è la cosa più importante.

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/iraq-iraq-irak-sako-36598/

L’Arcivescovo armeno di Aleppo: per il popolo, gli autori dei raid non sono certo dei “liberatori”


Agenzia Fides - 24/9/2014

I raid aerei contro le basi jihadiste in Siria, realizzati dagli Usa con il sostegno di alcuni Paesi arabi, non suscitano attese positive tra la popolazione siriana di Aleppo, timorosa “che questo tipo di intervento esterno possa peggiorare la situazione”. Lo riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati. “Qui la gente non ha una visione chiara di quello che sta succedendo - fa notare l'Arcivescovo - ma certo non vede gli autori dei bombardamenti come dei 'liberatori'. Il sentimento prevalente è che i raid non risolveranno i problemi, e potrebbero addirittura aumentarli. Aumenta ancora l'incertezza che tutti vivono ogni giorno. Quella con cui, ogni giorno, i padri e le madri di famiglia si chiedono se sia ancora possibile rimanere o se l'unica salvezza sia ormai da cercare nella fuga”.
Intanto le scuole nei quartieri di Aleppo controllati dal governo hanno riaperto. I capi delle Chiese e delle comunità cristiane si incontrano una volta al mese – la prossima riunione sarà sabato prossimo – per fare il punto della situazione e trovare forme condivise per alleviare le sofferenze e le difficoltà del popolo: “noi rimaniamo qui - ripete l'Arcivescovo Marayati - e cerchiamo di sostenere tutti per fare in modo che rimangano qui, che non vadano via, finchè è possibile. C'è acqua solo due ore al giorno, sui nostri quartieri cadono ogni giorno i missili dei ribelli, manca il cibo. Tanti vanno via. Ma c'è anche chi è tornato dal Libano e dall'area costiera di Lattakia, quando sono ricominciate le scuole. Il nostro unico compito, in questa situazione, è cercare di far vivere i germogli di speranza che fioriscono tra le macerie”.

mercoledì 6 agosto 2014

Lo scopo è l'odio, una cosa diabolica da combattere con la preghiera e con tutti gli strumenti politici



PREGHIERA PER LA PACE IN IRAQ
6 AGOSTO 2014

Signore,
la piaga della nostra nazione
è profonda e la sofferenza dei cristiani
è grande e ci spaventa.

Dunque Ti chiediamo Signore
di proteggere le nostre vite, di concederci il coraggio e la pazienza
di continuare a testimoniare i nostri valori cristiani con fiducia e speranza
Signore, la pace è fondamento di ogni vita.

Donaci pace e stabilità
per vivere insieme l’uno con l’altro senza paura, angoscia, ma con dignità
e gioia.
A Te la lode e la gloria per sempre.

† Louis Raphael I Sako
Patriarca di Babilonia dei Caldei



 La paura dei cristiani libanesi di fronte alla minaccia islamista 


Intervista  di Radio Vaticana a Mons. Hobeika, vescovo maronita


Hobeika - Noi cristiani del Libano, ma anche le altre confessioni presenti, sentiamo il pericolo di questo gruppo chiamato "Dash" che diventa fattore di guerra. Si è visto cosa sta accadendo per i cristiani in Medio Oriente. Il Libano rischia lo stesso.

D. – In Iraq, i cristiani sono stati cacciati da Mosul, in Siria tutti combattono contro tutti. C’è paura che questo accada anche in Libano?

Hobeika – Si. Oggi e ieri, ci sono stati conflitti tra l’armata libanese e gli estremisti. Questa realtà potrebbe svilupparsi in altre regioni del Libano, dove ci sono campi di profughi siriani che potrebbero essere armati da Dash, o al-Nusra. Questi estremisti sono “cugini” e dipendono entrambi da Al-Qaeda.

D. - C’è dunque un pericolo concreto di una estensione delle violenze?

Hobeika - Sì, è già cominciata. Adesso, la cosa positiva è che la maggioranza dei musulmani non accetta questo. E' chiaro che gli sciiti non lo accettano, ma neanche i sunniti lo accettano, salvo gli estremisti.

D. - Non lo accettano per paura di una guerra?

Hobeika - Sì, non vogliono distruggere il Libano, ma non è facile mantenere calmi gli estremisti sunniti libanesi.

D. - La politica come sta affrontando questa situazione?

Hobeika - I politici sono d’accordo nel fare tutto il possibile per difendere il Paese. Non sembrano divisi su questo punto.

D. - Come Chiesa cosa state facendo?

Hobeika – Con la nostra comunità e con l’opinione pubblica libanese stiamo facendo un discorso di pacificazione, preghiere, omelie, incontri: tutto quello che possiamo fare adesso.

D. – Oltre nove milioni gli sfollati in Libano per la guerra in Siria, molti continuano ad arrivare in Libano. Qual è la loro condizione?

Hobeika - Sono quasi un milione e 500 mila e la maggior parte di loro vivono nella miseria totale. Gli aiuti ci sono, ma non bastano mai.

D. – Il Libano vede da una parte la guerra in Siria, dall’altra il conflitto tra israeliani e palestinesi…

Hobeika - E’ una cosa diabolica che cerca di aumentare l’odio nel popolo, tra le diverse etnie, tra le diverse religioni e professioni religiose. Intendo dire che se in Iraq, Dash voleva fare un Paese sunnita non era necessario cacciare tutte le altre minoranze dal Paese. Cristiani e non cristiani tutte le minoranze sono cacciate. Lo scopo è l’odio. Se questo stesso odio viene in Libano, in questo piccolo Paese - dove ci sono 16 confessioni - tutti saranno contro tutti. E’ una cosa diabolica che serve solo a distruggere. Abbiamo paura.

D. - Quindi, qual è il suo auspicio in questa situazione così difficile?

Hobeika - Vorrei che il Libano rimanesse in pace, nell’accoglienza di tutte le minoranze. Se il Libano non riuscirà a mantenere la pace e i cristiani non ci rimarranno, tutto cambierà! E’ un problema grande che merita che tutte le persone di buona volontà, ma soprattutto la Chiesa universale, se ne preoccupino. Non dobbiamo essere lasciati soli! 

mercoledì 2 luglio 2014

Patriarca caldeo: l'Iraq va verso la guerra civile e ai politici interessa solo il petrolio


di Mar Louis Raphael I Sako

In una nota inviata ad AsiaNews Mar Sako sottolinea la situazione terribile del Paese. Milioni i rifugiati, nessuna notizia certa delle suore e dei tre giovani rapiti a Mosul. Sempre più concreta l’ipotesi di una guerra civile che si conclude con la partizione della nazione. Nessuna risposta dalla politica, interessata al petrolio. Appello ai cristiani alla preghiera. 

AsiaNews, 2 luglio '14

È con dolore profondo che mi accingo a illustrare la situazione in Iraq, con l'obiettivo di accrescere la consapevolezza sulla situazione attuale e favorire un'atmosfera di solidarietà consapevole. 
Non è certo un mistero il fatto che la situazione è molto fragile e dunque nessuno può dirsi al sicuro. De facto, le milizie dello dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante [Isis, formazione sunnita jihadista legata ad al Qaeda, ndr] occupano ancora, per il momento, Mosul e l'intera regione circostante; i curdi controllano Kirkuk, il governo di Baghdad non controlla affatto le principali città sunnite; e l'esecutivo centrale, fino ad oggi, è ancora di là dal nascere. All'orizzonte non si intravede alcun segnale che possa far sperare in una soluzione politica che possa garantire maggiore sicurezza. Il rischio di un crollo generale è grande e nessuno è in grado di prevedere quali saranno gli sviluppi futuri.  
Le milizie dell'Isis regnano a Mosul e in quasi tutta la parte occidentale dell'Iraq, mentre si fanno sempre più forti i venti di guerra nel Paese; l'altro ieri due religiose caldee, assieme a due giovani orfane e a un ragazzi di 12 anni sono state sequestrate in pieno giorno a Mosul, e finora non si hanno notizie ufficiali e certe sulla loro sorte.  
I rifugiati si contano nell'ordine dei milioni. Stiamo andando verso una guerra civile? Dio non voglia, ma tutto sembra andare in questa direzione. Essa potrebbe durare un anno, due anni o forse più; tutti prevedono che l'esito più probabile - e drammatico - di questa crisi possa essere la partizione del Paese in cantoni su base etnica e confessionale, accentuata inoltre dalla componente estremista di natura religiosa. Ma se l'obiettivo finale è la divisione, ci si chiede perché ci si debba arrivare attraverso le guerre, e non mediante un dialogo e un accordo [politico]? 
A noi cristiani, che ci ispiriamo agli avvenimenti del Vangelo, sembra di vivere il mistero di Cristo che dorme nella barca (Marco 4:35-41), perché davanti a una allarmante indifferenza e a un triste oblio della comunità internazionale, le onde si alzano e si fanno sempre più minacciose!  
Nonostante tutto, noi non disperiamo. Siamo quindi invitati e pressati a risvegliare il Cristo, per trarre vantaggio dalla nostra fede e continuare il nostro viaggio su un mare calmo; purtroppo, non riesco a vedere fino a che punto possiamo contare sui politici e la classe dirigente. Nella grande maggioranza, sembrano preoccuparsi solo dei propri interessi e, in particolare, del petrolio! 
Accogliamo con gioia il ritorno delle famiglie alle proprie case; esse hanno appena vissuto il dramma di un nuovo esodo, e pochi giorni fa sono fuggite dalla grande città cristiana di Qaraqosh. Oggi vi hanno fatto ritorno e vogliamo augurarci che fatti come questo non si debbano più ripetere. Cogliamo questa occasione per rinnovare i nostri più sentiti ringraziamenti a tutte le persone di buona volontà, che operano in nostro favore, e a tutti i fedeli che pregano per noi e ci sono vicini in questi tempi di particolare difficoltà.  
 http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarca-caldeo:-LIraq-va-verso-la-guerra-civile-e-ai-politici-interessa-solo-il-petrolio-31511.html

Il vescovo di Erbil: non lasciate i cristiani iracheni al loro destino


Parla a Radio Vaticana il vescovo di Erbil mons. Bashar  Warda:

R. – Well, what we are asking to the international community is …
Ciò che chiediamo alla comunità internazionale è di mettere pressione sui politici iracheni. Fondamentalmente, infatti, non esiste un governo al momento. Chiediamo di accelerare il processo di riunificazione della comunità, per formare un governo il prima possibile, perché come lei ha detto, la situazione è caotica, davvero caotica, e questo sta causando molti problemi e depressione. Le persone non sono solo preoccupate e impaurite, ma sono davvero depresse per quello che sarà il loro futuro, se ci sarà un futuro per il Paese. E noi, in qualità di leader della Chiesa, abbiamo detto: “Per favore, se volete dividere il Paese, fatelo in pace, senza la violenza cui stiamo assistendo”..

D. – C’è la possibilità, come lei ha detto, che il Paese venga diviso?
R. – Hopefully not, because everyone...
Se tutto va bene no, perché anche le divisioni non sono il vero problema e certo non lo risolvono, anzi ne causano di più. Qualcuno, però, trova tutto questo l’unica soluzione. Non è l’unica, però. E’ dovuta ad alcune questioni complicate, storie non chiuse del passato, e per questo le persone pensano alla divisione. Ma nel profondo tutti vorrebbero vedere l’Iraq com’era: Iraq.

D. – Negli ultimi giorni molte persone, migliaia di persone, sono scappate da Qaraqosh ed altri paesi cristiani a causa della guerra. Com’è, dunque, la situazione al momento?
R. – It was very difficult…
E’ stato davvero difficile ricevere più di 20 mila persone in tre giorni. In Ankawa è stata davvero dura per noi. Siamo stati in grado, in un certo modo, di far fronte alla situazione, perché si sa che le risorse della Chiesa sono limitate, e l’esperienza che abbiamo non è l’esperienza con cui poter far fronte al grande numero di persone. Fortunatamente il 90% delle famiglie in centro se ne sono andate, poche sono quelle rimaste in casa con i loro amici e parenti, e alcune persone di Ankawa le hanno accolte. La parte triste della storia è che le persone si stanno preparando a lasciare il Paese – da Qaraqosh, da Ankawa - molte delle nostre comunità cristiane stanno pensando seriamente di lasciare il Paese. Sono stufi, esattamente stufi, impauriti, terrorizzati.

D. – Vogliono semplicemente andarsene e scegliere un altro Paese forse per cominciare una nuova vita?
R. – They know it would not be...
Sanno che potrebbe non essere una saggia decisione, una buona decisione; sanno che è una decisione dura, sanno che non è facile emigrare, sanno che i Paesi europei, l’America, il Canada e l’Australia forse non saranno disposti ad accettarli. Ma dicono che è comunque meglio che restare, aspettando invano, e forse aspettando un’umiliazione maggiore, in un certo modo. Non è certo una decisione facile, ma non ci sono alternative.

D. – E per quanto riguarda i cristiani di Mosul? Se ne sono andati? Sono scappati?
R. – Yes, a few families...
Sì, alcune famiglie si contano. Da quello che sentiamo, se ne stanno andando, perché l’Isis ha cominciato ad promulgare le sue leggi, la Costituzione, l’attuazione della sharia. Quindi, adesso è tutto sempre più chiaro ...

D. – Ma lei non ha sentito nessun tipo di attacco contro le persone, uccisioni...
R. – Two churches were looted...
Due chiese sono state razziate. Hanno anche stabilito che le donne non devono guidare la macchina. Hanno portato via tutte le statue e anche l’antica statua di Nostra Signora di Al Tahira … Almeno adesso sappiamo cosa ci aspetta!

D. – La comunità cristiana è una delle minoranze qui in Iraq. Se tutte queste persone lasceranno il Paese, cosa succederà?
R. – We need the international community to interfere...
Bisogna che la comunità internazionale interferisca, perché le minoranze sono una risorsa per la ricchezza del Paese. Non si possono abbandonare al loro destino. Se i loro diritti saranno tutelati, per farli rimanere nel Paese, questo rappresenterà una vera ricchezza per l'Iraq. Quindi, non si tratta di essere “cristiano”, si tratta di essere un essere umano, di essere una minoranza. Noi abbiamo tante minoranze all’interno dell’Iraq, e per questa ragione noi diciamo: “Per favore, fate qualcosa!... Fate qualcosa!”

D. – Se dovesse mandare un messaggio al resto del mondo, cosa direbbe?
R. – The first message...
Il primo messaggio è che abbiamo bisogno di formare un governo, che si prenda cura di tutti gli iracheni, dal Nord al Sud: sunniti, sciiti, curdi, cristiani, shabak ... Tutti sono iracheni ed hanno bisogno di un governo che si prenda cura di loro. Altrimenti, non ci sarà futuro per i cristiani e probabilmente neanche per il Paese.
http://it.radiovaticana.va/news/2014/07/01/iraq_sunniti_e_sciiti_spaccati_anche_in_parlamento/1102412

Patriarca Sako: «L’Occidente è più interessato a una partita di calcio che al dramma dell’Iraq e della Siria»



TEMPI, 2 luglio '14

«L’Iraq continuerà ad essere un unico stato ma solo se lo vorranno l’Occidente e i vicini Iran, Qatar, Turchia ed Arabia Saudita»....

   leggi qui:   http://www.tempi.it/sako-occidente-mondiali-dramma-iraq-siria#.U7PWrEaKDwp


«CONTRO CROCIATI E ATEI».
Per Al Baghdadi: «Terrorismo significa adorare Allah come Lui ha ordinato. Il terrorismo è il modo per i musulmani di vivere da musulmani, in modo onorevole con potenza e libertà»
Invitando a «sacrificare la propria ricchezza e la propria vita» per la costruzione del califfato, Al Baghdadi invita a «prendere le armi, o soldati dello Stato islamico, e combattere, combattere». L’obiettivo è «far capire al mondo il significato del terrorismo, calpestare l’idolo del nazionalismo e della democrazia, (…) affrontare la tirannia contro gli sleali governatori», e cioè «gli agenti dei crociati (i cristiani, ndr) e degli atei e le guardie degli ebrei». Il mondo, nella visione del capo dei terroristi islamici, è diviso in due e tertium non datur: «L’islam e la fede da una parte, gli infedeli e l’ipocrisia dall’altra, i musulmani da una parte, i crociati, gli ebrei e i loro alleati dall’altra».

    leggi qui :    http://www.tempi.it/stato-islamico-conquisteremo-roma-e-ci-impadroniremo-del-mondo#.U7P3DEaKDwo


la chiesa Assira di Mosul data alle fiamme da ISIS

 da : Aid to the Church in Need

Chaldean Archbishop Yousif Mirkis from Kirkuk tells ACN : " We don't have any news from the kidnapped nuns and youths. We really hope the kidnappers will ask for money soon. But the jihadists don't need money after having robbed the banks of mossul. So we fear the worst. But we still hope. I ask the benefactors of ACN to join our prayers! " 

venerdì 4 aprile 2014

«1400 anni di islam non ci hanno potuto strappare dalle nostre terre e dalle nostre chiese, mentre oggi la politica occidentale ci ha disperso ai quattro angoli della terra.»

Le guerre in Iraq, Libia e Afghanistan hanno peggiorato la condizione dei popoli, in particolare le minoranze. Le politiche fallimentari promosse dall'Occidente. 
Cresce il fondamentalismo, la Primavera araba svuotata dagli estremismi. 
Il ruolo delle autorità musulmane nella tutela di diritti e libertà religiosa. 
La presenza dei cristiani in Medio oriente è fondamentale per i musulmani.



 Il Medio Oriente si sta svuotando dei cristiani. Ciò avviene a causa di fondamentalismi regionali, di impaccio delle autorità locali, di inerzia della comunità internazionale e dell'Occidente. La fuga dei cristiani causerà impoverimento sociale, economico e culturale alla regione e instabilità per il mondo intero. 
E' l'appello accorato che Mar Louis Raphael I Sako ha lanciato nei giorni scorsi in un seminario promosso dall'università cattolica di Lione, in Francia, sulla "Vocazione dei cristiani d'Oriente". Il Patriarca caldeo invita a "non considerare" i cristiani come una "minoranza, ma come cittadini a tutti gli effetti"
Nel suo lungo intervento Sua Beatitudine illustra la situazione generale dei cristiani in Medio oriente, sottolineando l'importanza della loro presenza, spiegando il ruolo delle autorità musulmane e delle Chiese orientali. Egli invita a esercitare pressioni sui governi perché siano riconosciuti e garantiti pari diritti, rilanciando ancora una volta la richiesta di fermare l'esodo dalle loro terre di origine. 
Ecco, di seguito, l'intervento integrale di Mar Sako (Corsivi e grassetti sono dell'originale. Traduzione a cura di AsiaNews).

Asia News,  03/04/2014 

di Mar Louis Raphael I Sako

I cambi di regime che hanno avuto luogo in diversi Paesi hanno aperto un abisso al loro interno; gli interventi in Afghanistan, in Iraq, in Libia non hanno affatto contribuito a risolvere il problema dei loro popoli ma, al contrario, hanno determinato situazioni caotiche e conflitti che non permettono affatto di immaginare un avvenire migliore, in particolare per i cristiani! Le divisioni confessionali divengono sempre più marcate e forti, soprattutto fra sciiti e sunniti. Diversi partiti politici di carattere settario si stanno organizzando e tutto viene a essere suddiviso in base alla confessione religiosa. Credo che in Iraq il cammino finirà con una divisione del Paese, perché il terreno è già preparato tanto dal punto di vista psicologico, quanto sotto il profilo geografico. La pulizia [etnico-religiosa] dei quartieri e delle città tra sunniti e sciiti va proprio in questa direzione.

1 - Situazione generale dei cristiani in Medio oriente
Fino a 50 anni fa i cristiani del Medio oriente rappresentavano il 20% del totale della popolazione. Oggi si parla di un misero 3%. Quando le potenze coloniali hanno dato vita a queste nazioni, non lo hanno fatto partendo da basi storiche, geografiche o etniche: in questo modo non vi è stata né omogeneità, né un vero progetto di cittadinanza in cui tutti possono essere integrati. L'accordo Sykes-Picot del 1916 non ha tenuto in considerazione l'emergenza delle frontiere di Paesi come il Libano, la Giordania, la Siria, l'Iraq e altri ancora. Le decisioni sono state prese in funzione degli interessi delle grandi potenze, e questo ha aperto la via a conflitti confessionali, religiosi, etnici con i quali abbiamo a che fare ancora oggi. Non vi è pace tra israeliani e palestinesi; il Libano è stato frantumato e resta sempre sotto la minaccia della guerra civile; la Siria è sul punto di crollare, con nove milioni di persone che hanno abbandonato le loro abitazioni, l'Iraq è devastato, l'Egitto esploso. Milioni di cristiani d'Oriente, rifugiati, fuggono da una regione all'altra.

Oggi si parla sempre più di un piano che intende dar vita a un nuovo Medio oriente. Per noi è fonte di preoccupazione e di paura. 1400 anni di islam non ci hanno potuto strappare dalle nostre terre e dalle nostre chiese, mentre oggi la politica occidentale ci ha disperso ai quattro angoli della terra.

I cristiani sono sempre più vittime: il loro esodo dai Paesi del Medio oriente è inarrestabile. Attualmente, secondo le stime sono - in tutto - tra i 10 e i 12 milioni su una popolazione complessiva di 550 milioni di abitanti, pari al 3% circa. La pressione esercitata contro i cristiani e le minoranze religiose in Medio oriente è aumentata nel corso degli ultimi decenni, alle volte in modo sommesso e, in altri momenti, in modo aperto, pubblico. Le discriminazioni, ingiustizie, sequestri, emarginazioni, intimidazioni in molte parti del mondo arabo-islamico danno loro l'impressione di essere destinati all'estinzione.

Tutto questo deriva dall'instabilità della maggior parte di questi Paesi e dalla crescita dell'islamismo radicale, sotto il manto di ciò che è conosciuto con il nome di "islam politico"; quanto alla "Primavera araba", essa è stata esautorata dagli estremismi. Il progetto "politico" dell'islam è di far rinascere il califfato tanto a Damasco quanto in Iraq! Il loro modo di pensare e di fare guerra è un ritorno al Medio Evo! I cristiani sono ammessi a restarvi come cittadini di seconda classe!

L'invasione americana dell'Iraq ha portato alla morte di un vescovo [mons. Paulos Faraj Rahho, morto nelle mani dei sequestratori nel marzo 2008, ndr], sei sacerdoti assieme a più di mille fedeli, 66 chiese sotto attacco e 200 casi di rapimento. Circa la metà dei cristiani irakeni, che in precedenza erano un milione e mezzo, hanno lasciato il Paese per il timore di violenze e la persecuzione religiosa, soprattutto dopo il massacro che ha avuto luogo a Baghdad nel 2010, nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso e l'attacco agli studenti cristiani di Qaraqosh, diretti all'università.
L'appropriazione dei beni appartenenti ai cristiani, considerati come privi di diritti perché non musulmani, le lettere di minaccia ricevute dai cristiani, così come da membri di altre minoranze non musulmane, spingono i cristiani a sentirsi come cittadini di serie B. Dunque, la domanda è questa: questi uomini e queste donne che hanno un passato grande e illustre alle spalle, sono destinati a scomparire dalla Mesopotamia e dalla terra dei loro avi?

In Siria, i cristiani sono esposti agli attacchi dei ribelli islamisti. Questi ultimi hanno spazzato via Maaloula, una storica città cristiana in cui gli abitanti parlano l'aramaico, la lingua di Gesù. Due vescovi, numerosi preti, dodici religiose sono stati rapiti e liberati di recente: 1200 cristiani sono stati uccisi, il 30% delle chiese sono state distrutte e 600mila cristiani hanno lasciato il Paese e quelli che sono rimasti vivono nell'inquietudine e nella paura!
Il pastore presbiteriano ed ex presidente del Consiglio delle Chiese del Medio oriente Riad Jarjour ha dichiarato: "Se la situazione continua in questo modo, verrà un momento in cui non ci saranno più cristiani in Siria".

I Copti in Egitto hanno subito i peggiori attacchi. I kamikaze musulmani hanno assassinato almeno 85 fedeli nella Chiesa di Tutti i Santi e un centinaio di chiese sono state oggetto di attacchi.
Il Libano è l'unico Paese della regione in cui i cristiani hanno ancora un peso politico e una certa libertà di azione, anche se il loro potere è parzialmente in declino a partire dall'accordo di Taëf, che rimane in bilico!

In poche parole, tutti i cristiani pensano all'emigrazione, almeno per un periodo di tempo determinato.


2 - L'importanza della presenza cristiana in Medio oriente
Il cristianesimo affonda le sue radici nel Medio oriente. In Palestina, Siria, Libano, Iraq ed Egitto i cristiani sono stati maggioranza ben prima dell'ingresso dell'islam. Erano ben organizzati e hanno contribuito alla costruzione della civiltà arabo-islamica accanto ai loro fratelli musulmani, ecco perché la loro presenza nel mondo arabo e musulmano è essenziale, anche per il solo stesso fatto della diversa religione, della loro apertura e delle loro competenze. In generale, i cristiani costituiscono una élite!
I cristiani non sono una minoranza e devono ricoprire a pieno titolo un posto e un ruolo nella vita pubblica, perché il venir meno di questo ruolo marcherebbe la fine della loro presenza. Il presidente libanese Michel Sleiman, inaugurando il primo Congresso generale dei cristiani d'Oriente, che si è tenuto a Raboué (Libano) il 28 e 29 ottobre 2013, ha affermato in proposito: "L'avvenire dei cristiani dipenderà dalla loro capacità di rafforzare la logica della moderazione, dell'apertura e del dialogo al loro interno, così come i loro sforzi per costruire uno Stato forte e inclusivo, che apre la via alla partecipazione di tutte le componenti della società nella vita politica e nell'amministrazione pubblica, senza tener conto del peso demografico delle comunità. Il ripiegamento verso se stessi e l'isolamento, così come il ricorso alla protezione militare straniera, diventa pericoloso".
Infine, Habib Ephram nel corso del medesimo congresso ha lanciato un appello commovente finalizzato a preservare l'identità dei cristiani d'Oriente nel rispetto della storia, del diritto e dell'umanità stessa.

C'è da sperare che questa lunga tradizione storica possa aiutare i cristiani della Siria e altri a preservare il loro ricco patrimonio e a continuare a offrire il loro prezioso contributo alle diverse culture esistenti.
I cristiani del Medio oriente possono giocare oggigiorno un ruolo essenziale nel dialogo tra l'Occidente e l'islam, possono essere un ponte che avvicina e unisce. Per questo l'Occidente è chiamato a mantenerli nei luoghi di origine. Robert Fisk in un articolo pubblicato sul quotidiano britannico "The Indipendent" descrive il fenomeno dell'emigrazione dei cristiani del Medio oriente, equiparandolo a un colpo per la civiltà arabo-islamica, e a una tragedia all'interno di un Paese considerato come un simbolo di pluralismo e coesistenza.