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giovedì 14 marzo 2024

Il 15 marzo la Siria entra nel suo 14° anno di guerra: intervista al nunzio Zenari


di Daniele Rocchi- SIR

“Il prossimo 15 marzo la Siria entrerà nel suo 14° anno di guerra. Punto e a capo. Che altro dire: è una guerra interna, non contro altri Stati, ma che deve fare i conti con altri Paesi che vi si sono inseriti. Oggi in territorio siriano si muovono 5 eserciti stranieri, tra i più potenti al mondo, alle volte in collisione tra loro e ciascuno con il proprio interesse da difendere. Che cosa dobbiamo aspettarci, allora? Lo ripeto sempre: bisogna smettere. Tutto il resto, poi, verrà da sé”.

A parlare al Sir è il card. Mario Zenari, dal 2009 nunzio apostolico in Siria, dopo essere stato in Sri Lanka e Costa d’Avorio, Paesi anch’essi segnati da guerre civili. E dipinge un quadro realistico della situazione lo stesso riportato, ad inizio febbraio, da Martin Griffiths, Sottosegretario generale Onu per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti d’emergenza: “La situazione in Siria è peggiorata – afferma il nunzio – 16,7 milioni di persone necessitano ora di assistenza umanitaria. Parliamo di quasi tre quarti della popolazione, il numero più alto di persone bisognose dall’inizio della crisi. Un aumento del 9% rispetto all’anno precedente. La povertà la vediamo e la tocchiamo con mano ogni giorno. La gente fa fatica a mangiare. Non parliamo poi del campo sanitario: la popolazione non ha medicine. Tutto questo spinge la gente ad emigrare. Statistiche delle Nazioni Unite dicono che ogni giorno lasciano la Siria circa 500 persone. Chi emigra non sono gli anziani ma i giovani e le persone più formate come ingegneri e medici per esempio”. Sarà un caso, rivela il cardinale, “ma la lingua più studiata oggi in Siria è il tedesco, specie tra gli studenti di medicina, perché ancora prima della laurea, chi conosce il tedesco ha la possibilità di trovare lavoro in Germania. La fuga dei cervelli è un’altra bomba che sta colpendo la Siria”.

“La coperta si fa ogni giorno più corta. I cinque pani e i due pesci anziché moltiplicarsi diminuiscono anche per i riflessi della guerra a Gaza”.

Quali conseguenze sta avendo in Siria il conflitto di Gaza?
È un incendio divampato alle porte della Siria che provoca raid aerei israeliani. Mai come in questi ultimi tempi abbiamo visto così tanti attacchi aerei, anche in pieno giorno contro obiettivi militari. Neanche durante gli anni di guerra avevamo i mortai che cadevano qui nel centro della Siria. Prima accadeva di notte, ora anche di giorno e vicino alle ambasciate al centro di Damasco. Sul fronte militare la situazione è complicata. Il Governo non vuole scottarsi le dita con questo incendio anche perché non ha la forza di tenere a bada questi 5 eserciti stranieri che operano sul suo territorio.


A proposito di sanità, lei ha promosso, sei anni fa, il progetto ‘Ospedali aperti’ per offrire cure a siriani poveri e malati. Il progetto è gestito sul terreno dall’ong italiana Avsi che coordina le cure nell’Ospedale Italiano e in quello Francese a Damasco, e nell’Ospedale St. Louis ad Aleppo. Quali sono i risultati raggiunti fino ad oggi?
Oltre ai tre ospedali cattolici, il progetto si è ampliato con 5 ambulatori dove i malati possono ricevere cure adeguate ad alcune patologie comuni non gravi. Sono dispensari molto utili alla popolazione e prevediamo di aprirne altri. Gli ultimi dati riferiti al febbraio scorso parlano di circa 141mila malati poveri assistiti in questi sei anni. Appartengono tutti a diverse etnie, fedi e denominazioni. Nelle nostre strutture non facciamo nessuna distinzione. Il settore sanitario in Siria è tra i più colpiti, tantissima gente è malata. Abbiamo attivato anche le parrocchie per assistere i malati più anziani. Un fatto comprensibile visto che tanti giovani sono partiti lasciando i loro anziani qui.

 A maggio, a Bruxelles, è prevista l’ottava Conferenza sul futuro della Siria. Cosa ci si può attendere, visto che la comunità internazionale in questi anni non ha fatto molto per sviluppare un serio processo negoziale?

La crisi siriana non si risolve con le elemosine. Occorre la soluzione politica che è stata dimenticata. Quella di Bruxelles è una conferenza di Paesi donatori. Si parla di miliardi, 4, 5, una volta si è arrivati anche a 7. Ringraziamo tutta la comunità internazionale per questo aiuto, e tutti i benefattori che si ricordano della Siria e contribuiscono anche ai progetti delle Chiese. Siamo riconoscenti, ma così non si va da nessuna parte. Ripeto la coperta è sempre più corta: moltiplicare gli aiuti umanitari non basta, serve sbloccare il processo politico in conformità con la Risoluzione Onu 2254 (2015) del Consiglio di Sicurezza che chiede di ‘soddisfare le legittime aspirazioni del popolo siriano, ripristinare la sovranità, l’unità, l’indipendenza e l’integrità territoriale del Paese e creare le condizioni necessarie per il ritorno volontario dei rifugiati in sicurezza e dignità’.

Ha senso parlare di ricostruzione in un quadro come questo che sta descrivendo?

Non sto dipingendo un quadro nero ma realistico, che conta oltre mezzo milione di civili morti, tra questi 29mila sono bambini. Circa la metà della popolazione prebellica rimane sfollata all’interno o all’esterno della Siria. Per la ricostruzione è tutto bloccato. Immagini una macedonia dove dentro ci può stare di tutto, anche frutti ammalorati o avvelenati come la corruzione che imperversa, le sanzioni internazionali, i conflitti sparsi nella regione. Aggiungiamoci anche l’oblio, della Siria non parla più nessuno. Il terremoto del 6 febbraio dell’anno scorso aveva risvegliato un po’ di attenzione ma è stato un fuoco di paglia. Ripeto: non bisogna disperare ma questa è la realtà. 

In questa situazione come vive la comunità cristiana?
Le difficoltà non vengono tanto dai casi di persecuzione in ‘odium fidei’ subite durante l’occupazione dello Stato Islamico quanto dal fatto che in questo tipo di conflitti le minoranze sono l’anello più debole della catena. Basti pensare che i 2/3 dei cristiani sono emigrati. Questo esodo sta arrecando gravi danni alla società siriana che viene così a perdere una tradizione millenaria nel campo delle scuole, della sanità, della formazione. Tuttavia abbiamo ancora tre parrocchie nella Valle dell’Oronte (Governatorato di Idlib) controllata dai ribelli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (ex Al Nusra). Come Nunziatura cerchiamo di dare tutto quello che possiamo e coordinare per spartire al meglio questi 5 pani e due pesci. Come si possono sfamare 17 milioni di persone? L’11 marzo ha preso il via il Ramadan e tutta la gente qui, cristiani e non cristiani da 14 anni vivono una ‘Quaresima’ forzata, a causa della mancanza di cibo, medicine, beni primari. La gente ormai non spera più, non ha fiducia. Quando poi muoiono i bambini muore anche la speranza nel futuro.

Non vede una luce di speranza?
L’anno prossimo, nel 2025, celebreremo il Giubileo, che ha per tema “Pellegrini di speranza”. Voglio sperare che la Chiesa viva in comunione anche con tanta gente che non ha più speranza. Non lasciamo morire la speranza e quando il 15 marzo la Siria entrerà nel suo 14° anno di guerra facciamo che possa vedere una luce alla fine del tunnel. Non dimentichiamo la Siria.

https://www.agensir.it/mondo/2024/03/12/guerra-in-siria-card-zenari-nunzio-la-crisi-siriana-non-si-risolve-con-le-elemosine-serve-soluzione-politica-che-e-stata-dimenticata/

martedì 21 giugno 2022

Nunzio Zenari: aiutate la Siria che vive un'enorme catastrofe umanitaria


Intervista di Salvatore Cernuzio

È nunzio a Damasco da 13 anni, ma ancora il cardinale Mario Zenari non riesce ad abituarsi allo scenario di lacerazione e povertà che ha sfigurato il volto della Siria. “Dopo dodici anni di guerra la situazione non va bene, anzi per certi versi è peggiorata. Da 2-3 anni ormai la Siria è stata dimenticata: il Covid, la crisi in Libano, ora l’Ucraina… è sparita dai radar dei media”. Il porporato è a Roma per partecipare alla plenaria della Roaco (Riunione Opere di aiuto alle Chiese Orientali) dove, dice, è un “veterano”. Sabato mattina, 18 giugno, ha incontrato il Papa che – racconta ai media vaticani a Casa Santa Marta – “ho trovato in buona forma”: “Gli ho portato i saluti dei fedeli e dei vescovi, ma anche la sofferenza, la tanta sofferenza della popolazione”.

Quale situazione vivono i siriani? 

La Siria rimane una delle più gravi crisi umanitarie del mondo. Basti pensare che, oltre agli innumerevoli morti che ha causato questo conflitto, ci sono circa 14 milioni di persone, su 23 milioni che erano in passato, che stanno fuori dalle proprie case, fuori dai propri villaggi, fuori dalle proprie città. Circa 7 milioni sono invece gli sfollati interni, che vivono a volte sotto gli alberi o in tende in mezzo alle intemperie. Quest’anno è stato un inverno particolarmente rigido, soprattutto nel nord ovest, e tante tende sono crollate sotto il peso della neve. In più ci sono milioni di rifugiati nei Paesi vicini. Quindi una catastrofe umanitaria enorme. Enorme…

Ci sono segnali o comunque speranze di un miglioramento?

No, al momento non si vede la luce in fondo al tunnel. Non si vede ricostruzione, non si vede avvio economico. Con la guerra in Ucraina la questione della revoca delle sanzioni, poi, è diventata ancora più problematica. Ci sono soprattutto le sanzioni dell'Unione Europea e quelle dell'America, che sono ancora più dure e puniscono chi vuole andare in Siria per ricostruire, per far ripartire l'economia. La guerra in Ucraina, da questo punto di vista, ha certamente peggiorato la situazione in Siria. La gente, tanta gente, ha quindi perso la speranza. Soprattutto i giovani che cercano in tutti i modi di emigrare e ci chiedono di aiutarli a partire. Ciò rappresenta una sofferenza particolare anche per le chiese locali che hanno visto partire più della metà dei cristiani, in alcuni casi anche due terzi. È un danno anche per la stessa società siriana, perché, come ho sempre detto, i cristiani con il loro spirito aperto, universale, di intraprendenza, con il loro impegno per l’educazione e la salute, sono veramente di supporto a tutto il Paese. Dopo duemila anni di storia, vanno ora scomparendo. La loro assenza o partenza forzata è una ferita per tutti.

Esattamente un anno fa, Eminenza, denunciava ai nostri microfoni che, cessato il fragore delle armi, in Siria è esplosa un’altra “bomba”, quella della povertà. Anche da questo punto di vista la situazione è peggiorata? 

È peggiorata e sta peggiorando, come dimostrano certe scene a Damasco o in altre città dove si vedono file di persone davanti ai panifici che vendono a prezzi calmierati dallo Stato. Non si vedevano neanche durante la guerra. Vuol dire che la gente non ha soldi per comprare il cibo e va in questi panifici dove si compra il pane a cento lire siriane invece che a mille… Fa davvero impressione. Poi non c’è benzina, si fa una fatica enorme a trovarla e pensare che la Siria ha diversi pozzi petroliferi che comunque coprivano buona parte del fabbisogno nazionale. E ancora, non c’è gasolio: le persone non avevano carburante per accendere le stufette durante l’inverno che, come dicevo, è stato molto rigido. Pensiamo quindi a quanti hanno patito il freddo, specialmente anziani, bambini. Mancano beni fondamentali che diamo per scontati, come l’elettricità. In gran parte della Siria c’è solo due ore al giorno. Manca il gas da cucina… Pensate che durante la Quaresima ho avuto tre parrocchie dall’Italia che mi hanno proposto aiuti e mi era venuto in mente che in Siria ci sono delle cucine popolari che distribuiscono pasti caldi alle famiglie. Ero molto contento, ho detto loro: abbiamo raccolto tra i 10 e i 20 mila euro, possiamo aumentare il numero delle persone e anche il servizio, farlo quattro volte a settimana invece che tre. Mi hanno risposto: veramente abbiamo dovuto ridurre da tre a due. E perché? Perché non si trova il gas per cucinare. Capite quindi che si lavora su un terreno minato. Ci sono soldi, come in questo caso, ma non i beni di prima necessità. Per questo dico che non si vede via d’uscita.

Il Papa in numerosi recenti interventi, denunciando la tragedia in corso in Ucraina, ha esortato a non dimenticare le altre guerre nel mondo. E la Siria è una delle prime tra queste…

Sì, la Siria è stata proprio dimenticata. È sparita dai radar dei media internazionali. Non è solo a motivo del conflitto in Ucraina, ancora prima ci sono stati il Covid e la crisi finanziaria delle banche in Libano che, peraltro, è stato un duro colpo per la Siria visto che tutti, anche le Chiese che ricevevano aiuti umanitari, avevano depositato soldi nelle banche libanesi. Da anni è difficile trasferire denaro e soprattutto riceverlo. In più,  vanno diminuendo gli aiuti delle agenzie umanitarie cristiane: continuano ad occuparsi del Medio Oriente, ma chiaramente l’urgenza adesso è l’Ucraina. Inoltre è rimasto un solo corridoio umanitario dei quattro che c'erano fino a due-tre anni fa: dipendono dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che sono soggette a veto. Il 10 luglio scadrà il mandato Onu di questo corridoio e spero e prego che non venga chiuso. Sarebbe un disastro! Il rischio però c'è. Come dico sempre, una crisi danneggia un’altra crisi. Tutto ciò fa davvero male e la gente si sente abbandonata.

Nota una certa disparità negli aiuti e nell’attenzione della comunità internazionale? Forse, dopo dodici anni di guerra in Siria, è subentrata quella che il Papa ha definito “l’abitudine”?

Direi che sì, c’è una certa differenza. I Paesi occidentali che possono aiutare hanno una crisi in casa, quindi i loro aiuti all’Ucraina sono probabilmente più consistenti. Come pure l’attenzione politica. Il Medio Oriente si trova in una zona di turbolenze che durano da anni… La Siria, in particolare, è davvero lacerata. Al suo interno sono tuttora operanti cinque eserciti di cinque nazioni potenti in disaccordo tra loro. Quindi, anche dal punto di vista politico è tutto un garbuglio. 

In alcune regioni, raccontava lei stesso, si è iniziato a usare pure una valuta diversa. Quanto sono profonde queste divisioni?

Sì, tra i cinque eserciti di cui parlavo, uno è entrato senza essere chiamato: è l’esercito turco. Ha occupato una fascia al nord della Siria, stazionando in particolare in una zona della provincia nord occidentale di Idlib. Alcune infrastrutture, come gli operatori telefonici, sono assicurate dalla Turchia e da un certo tempo si usa anche la moneta turca. Poi c’è il nord est che è sotto l’influenza e l’amministrazione dei curdi, che hanno i pozzi petroliferi. E lì c’è anche una parte di esercito americano. Israele, inoltre, effettua regolarmente attacchi contro obiettivi militari di Hezbollah o dell'Iran. La settimana scorsa hanno bombardato per la prima volta la pista dell'aeroporto di Damasco. Non dimentichiamo poi che alcuni fazzoletti di terra sono occupati da bande criminali o residui del Daesh. È una Siria, insomma, che ha perso la sua unità. È veramente una pena vedere questa carta geografica politica, non si sa da dove cominciare per ricucirla. Che disastro…

Lei è nunzio a Damasco dal 2008. Ben tredici anni…

Si, sono il più anziano dei rappresentanti pontifici e decano del corpo diplomatico.

Dinanzi a tutto quello che ha descritto, a uno scenario a dir poco scoraggiante, ha mai pensato di lasciare o chiedere un trasferimento? Cosa la tiene ancora legato?

Proprio sabato mattina ne parlavo con il Santo Padre che mi ha incoraggiato molto e mi ha ricordato di aver fatto sei anni fa un “regalo” alla Siria con un nunzio che è cardinale. La situazione è certamente difficile, ci sono problemi politici, diplomatici, umanitari, ma sento una responsabilità. Sarei dovuto essere emerito già da un anno, ma proprio per questo regalo del Papa vado avanti. Almeno finché Dio vuole e mi concede la salute.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-06/cardinale-zenari-intervista-udienza-papa-siria-guerra-poverta.html

lunedì 14 marzo 2022

Damasco, si apre la conferenza “Chiesa, Casa della Carità" organizzato dalle Chiese orientali


Comunicato della Congregazione per le Chiese Orientali


Conferenza “Chiesa, Casa della Carità - Sinodalità e coordinamento”


Damasco, 15 - 17 marzo 2022



Nel corso della Plenaria dell’Assemblea della Gerarchia Cattolica in Siria, a fine ottobre del 2021, il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, aveva incoraggiato la convocazione, da parte dei Vescovi del Paese, di una Conferenza che vedesse coinvolti i Rappresentanti di tutte le circoscrizioni cattoliche della Siria, insieme ai Delegati delle Agenzie della ROACO, alcuni Rappresentanti dei Dicasteri della Curia Romana, con il coordinamento della Nunziatura Apostolica a Damasco.


La data era stata individuata nei giorni dal 15 al 17 marzo 2022. Sin da subito si sono attivati i contatti e la programmazione dell’evento, che voleva essere una occasione di ascolto, condivisione e rilancio per il futuro delle comunità cristiane dell’amato e martoriato Paese, come spesso lo ha definito Papa Francesco. Il desiderio era quello di vivere una particolare dimensione del cammino sinodale proposto dal Pontefice alla Chiesa Universale, coinvolgendo i fedeli, i presbiteri e i Vescovi della Siria, oltre a persone che in diversi ambiti ed Istituzioni hanno manifestato in questi anni di conflitto una costante attenzione alla vita dei fratelli e delle sorelle della Siria. 


Nelle ultime settimane, si è anche considerata la possibilità di uno spostamento della Conferenza, a motivo della gravissima situazione in Ucraina, ma si è deciso di mantenerla proprio per non disperdere l’intenso lavoro di preparazione che ha coinvolto molte persone in Siria, Paese stremato da anni di conflitto e dalle disastrose conseguenze sulla società civile e sulle stesse comunità cristiane. Forte sarà la preghiera che animerà le giornate pensando a quanto accade in Ucraina, nella speranza che giunga presto la pace come invocato con forza dal Santo Padre.


Dopo l’arrivo nella serata di lunedì 14, i lavori inizieranno la mattina di martedì 15 marzo, anniversario dell’inizio del conflitto siriano, e prevederanno dopo la celebrazione della Santa Messa in rito latino i saluti inaugurali del Patriarca Greco-Melkita S.B. Youssef Absi, di quello Siro S.B Youssef III Younan, di quello Caldeo S.B. Card. Louis Raphaël I Sako, del Cardinale Prefetto, Leonardo Sandri, del Nunzio Apostolico Card. Mario Zenari e all’introduzione del Segretario della Conferenza S.E.R. Mons. Antoine Audo. Seguirà un intervento di S.E. Mons. Giovanni Pietro Dal Toso, sulla visione della Dottrina sociale della Chiesa ripresa dall’Enciclica Deus caritas est, un primo dibattito, e una successiva panoramica curata da incaricati locali sul lavoro umanitario svolto dalla Chiesa Cattolica in Siria. Nel pomeriggio sono previsti lavori di gruppo e alcune testimonianze.


Mercoledì 16 marzo, dopo la Santa Messa, gli interventi di Agenzie cattoliche e non, quali Caritas Siria, Caritas Internationalis, un esponente delle amministrazioni locali, Mezzaluna Rossa, ONU, ECHO (Unione Europea), e i lavori di gruppo.


Giovedì 17 marzo, ultimo giorno di lavori assembleari, la mattina sarà curata dalla Congregazione per le Chiese Orientali insieme con le Agenzie della ROACO circa i criteri per l’elaborazione dei progetti di aiuto e i requisiti amministrativi che devono essere seguiti nelle singole circoscrizioni. A seguire, i lavori di gruppo per coordinare delle proposte concrete sul tema dell’educazione, la salute, l’assistenza alimentare, i progetti di riabilitazione, la gioventù, gli anziani, le persone diversamente abili, insieme alla individuazione di percorsi per la formazione permanente del clero e dei laici, la pastorale sociale, la trasparenza amministrativa.


La conclusione è prevista nel tardo pomeriggio di giovedì 17 con la celebrazione della Divina Liturgia presieduta dal Patriarca Youssef Absi nella Cattedrale greco-melkita di Damasco e l’omelia del Cardinale Leonardo Sandri.


Le tre giornate di lavoro coinvolgeranno circa 250 persone, in prevalenza siriane, con delegazioni di alcuni Episcopati Europei, delle Agenzie della ROACO, del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, della Segreteria di Stato, oltre che della Congregazione per le Chiese Orientali e la Nunziatura Apostolica in Siria.



sabato 12 ottobre 2019

Il 17 ottobre S.Ignazio di Antiochia, patrono della Siria, invito alla preghiera per la pace

Di fronte ai tragici fatti che segnano la sorte della Siria, e dei nostri fratelli nella fede, nel giorno della Memoria di Sant'Ignazio di Antiochia, Patrono della Siria, invitiamo tutti i credenti a un gesto di preghiera che rinnovi il grido al Signore perché in quella terra, come in tantissimi altri posti nel mondo, ritorni la pace e la possibile convivenza tra gli uomini di ogni fede. 
E perchè sia salvaguardata la presenza cristiana in queste terre benedette, certi che essa sia una sorgente di pace e benessere per tutto il Paese.
  Ora pro Siria


Preghiera e intercessione per la pace in Siria.
Dio di Compassione,
Ascolta il pianto del popolo siriano.
Conforta coloro che subiscono violenza.
Consola coloro che piangono i morti.
Converti il cuore di coloro che hanno imbracciato le armi.
E proteggi coloro che si impegnano per la pace.
Dio della speranza,
ispira i governanti a scegliere la pace piuttosto che la violenza e a cercare la riconciliazione con i nemici.
Infiamma la Chiesa Universale di compassione per il popolo siriano.
E dacci speranza per un futuro costruito sulla giustizia per tutti.
Lo chiediamo attraverso Gesù Cristo, principe della pace e luce del mondo.
Amen.

A Prayer for Peace in Syria
Almighty eternal God, source of all compassion, the promise of your mercy and saving help fills our hearts with hope. Hear the cries of the people of Syria; bring healing to those suffering from the violence, and comfort to those mourning the dead. Convert the hearts of those who have taken up arms, and strengthen the resolve of those committed to peace. O God of hope and Father of mercy, your Holy Spirit inspires us to look beyond ourselves and our own needs. Inspire leaders to choose peace over violence and to seek reconciliation with enemies. Inspire the Church around the world with compassion for the people of Syria, and fill us with hope for a future of peace built on justice for all.
We ask this through Jesus Christ, Prince of Peace and Light of the World, who lives and reigns for ever and ever. Amen.

Une prière pour la paix en Syrie

Dieu éternel et tout puissant, source de toute compassion, la promesse de ta miséricorde et de ton salut rempli nos cœurs d’espoir. Entend les pleurs des Syriens ; apporte apaisement et guérison à ceux qui souffrent de la violence, console ceux qui sont en deuil. Converti le cœur de ceux qui ont pris les armes et affermi ceux qui s’engagent pour la paix. O Dieu d’espoir et Père de pitié, que ton Esprit Saint nous inspire à regarder au-delà de nous-même et de nos propres besoins. Guide les dirigeants pour qu’ils choisissent la paix et non la violence et qu’ils œuvrent à la réconciliation entre ennemis. Suscite dans l’Eglise à travers le monde la compassion pour le peuple syrien et rempli nous d’espérance pour bâtir un futur basé sur la justice et la paix. Nous Te le demandons par Jésus Christ, Prince de Paix et Lumière du monde, qui vit et règne pour les siècles des siècles. Amen.


Papa Francesco al termine dell’Angelus del 13 ottobre 2019:
Il mio pensiero va ancora una volta al Medio Oriente. In particolare, all’amata e martoriata Siria da dove giungono nuovamente notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni del nord-est del Paese, costrette ad abbandonare le proprie case a causa delle azioni militari: tra queste popolazioni vi sono anche molte famiglie cristiane. A tutti gli attori coinvolti e anche alla Comunità Internazionale, per favore rinnovo l’appello ad impegnarsi con sincerità, con onestà e trasparenza sulla strada del dialogo per cercare soluzioni efficaci.


Intervista con il Nunzio apostolico, cardinale Mario Zenari

Ci sarà una Pasqua anche per la Siria


Osservatore Romano, 7 ottobre 2019

Eminenza, può farci un quadro della situazione oggi in Siria da dove continuano ad arrivare, dopo quasi nove anni, notizie di guerra?
In alcune zone della Siria non cadono più bombe però la guerra non è ancora terminata e c’è la regione del nordovest che tiene preoccupati tutti perché si sta ancora combattendo e vi sono intrappolati circa tre milioni di civili, dei quali, secondo le Nazioni Unite, un milione è costituito da bambini. Dalla fine di aprile ad oggi si parla di più di mille civili morti e di circa 600 mila sfollati. Come dicevo, se non cadono più le bombe, c’è una terribile “bomba”, la povertà, che colpisce, secondo le Nazioni Unite, l’83 per cento della popolazione costretta a vivere sotto la soglia della povertà. Sono cifre ancora molto impressionanti. Non dobbiamo dimenticare che in Siria c’è stato il disastro umanitario più grave dopo la fine della Seconda guerra mondiale: 5.900.000 sfollati interni e 5.600.000 rifugiati nei Paesi vicini. Arriviamo a circa 12 milioni su un totale che, prima del conflitto, era di 23 milioni di persone. Quindi metà della popolazione è costretta a vivere fuori dalle proprie case e dalla propria nazione. La gente è anche molto delusa perché pensava che una volta cessate di cadere le bombe, cominciasse a riprendere la vita. Invece, c’è una povertà galoppante e manca il lavoro. Proprio qualche giorno fa mi diceva un prete: «Mi ha impressionato vedere, non i soliti poveri che chiedono l’elemosina, ma gente che viveva un certo benessere e che ti chiede: “Padre, non ho da comperare il cibo”». I bisogni sono enormi e la gente manca di tutto. Si parla di un mare di sofferenza che riguarda soprattutto bambini e donne, che pagano il costo più alto di questo atroce e crudele conflitto, che ormai è al nono anno. Un settore particolarmente colpito è quello della sanità. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, alla fine del 2018, solamente il 46 per cento degli ospedali era funzionante, il che vuol dire il 54 per cento o sono completamente chiusi o sono parzialmente funzionanti. E anche qui i morti — parliamo soprattutto di anziani e bambini — per mancanza di cure sono più numerosi dei morti sotto le bombe o tra i fuochi incrociati. È così anche nel settore educativo, molto colpito: una scuola su tre non è agibile e circa due milioni di bambini in età scolare non possono frequentare la scuola.
Dal punto di vista sanitario, l’iniziativa da lei avviata tre anni fa, “Ospedali aperti’ che prevede cura gratuita ai poveri di qualunque appartenenza etnico–religiosa, che frutti sta dando?
Ho fatto il giro più volte di questi tre ospedali cattolici (due a Damasco e uno ad Aleppo n.d.r) e ho trovato persone molto riconoscenti. In modo particolare i musulmani, perché nella loro mentalità non si aspettano che un cristiano aiuti un musulmano e quindi ci sono bei gesti di riconoscenza. Gli islamici ammettono, al di là dei pregiudizi, che la Chiesa aiuta tutti. Mi sono reso conto quindi che questi ospedali hanno due scopi: curare il fisico e migliorare le relazioni sociali. Perché quello che è rovinato in Siria non sono tanto i palazzi ma il tessuto sociale: le persone non si fidano più le une delle altre. Quindi grazie a questi ospedali si raggiunge un grande risultato.
Sicuramente sulla popolazione pesano le sanzioni internazionali così come pesa l’instabilità politica. Ora si sta lavorando alla formazione di un Comitato costituzionale: potrebbe essere l’inizio di un cambiamento?
Fino a qualche giorno fa, il mio parere era che la soluzione politica fosse a un punto morto. Poi si è raggiunto questo accordo tra governo, opposizione e Nazioni Unite e finalmente, dopo mesi di stallo, è un passo incoraggiante. Naturalmente la strada è tutta in salita e purtroppo bisogna essere realisti, non pessimisti: la situazione sarà ancora molto difficile per milioni di siriani. Infatti, in Medio Oriente c’è, come si sa, un “ciclone”: la rivalità crescente tra alcuni Paesi. Secondo quanto ha detto qualche mese fa l’inviato speciale dell’Onu, Pedersen: nei cieli siriani o sul suolo siriano sono presenti cinque eserciti tra i più agguerriti del mondo, alle volte in conflitto, con la pericolosità che ne deriva. La Siria è nell’occhio di questo ciclone, è il luogo di una guerra per procura. Quindi come si potrà uscire da questa crisi? Il domani è ancora lontano. Ci sono poi le sanzioni internazionali che portano danni considerevoli. Ne menziono una: l’embargo petrolifero. C’è stato un inverno lunghissimo in Siria, pioggia e neve. Non si trovava gasolio, non si trovavano prodotti come il cherosene di cui si serve la povera gente per scaldare, con le stufette, le case. E un certo numero di persone anziane sono morte anche a causa del freddo.
In questo scenario intravede spiragli di speranza?
Questo terribile conflitto è stato definito con tante immagini. Qualcuno ha detto: è un inferno in terra. E se si guardano le atrocità commesse è così. Ricordo il sottosegretario alle questioni umanitarie dell’Onu, Mark Lowcock, che il 28 aprile 2018 a Bruxelles, diceva: «Il gender violence in Siria è stato perpetrato a livello industriale». Quindi chi dice che è un inferno in terra ha delle ragioni. Io sceglierei però un’altra immagine. Mi ha molto colpito il Papa al Colosseo, il Venerdì santo, durante la Via Crucis, quando ha parlato dei “moderni calvari”. Per me la Siria è un calvario. Però voglio sottolineare come lungo il percorso della croce di Cristo c’erano Simone di Cirene e Veronica, che ha asciugato il volto di Cristo. Io metto in evidenza queste nuove “Veroniche”, questi cirenei e questi buoni samaritani: un certo numero di loro, circa 2000, per lo più volontari, hanno perso la vita soccorrendo la malcapitata Siria. C’è da inchinarsi davanti al loro sacrificio. In queste Veroniche, in questi Cirenei, in questi buoni samaritani metto tutte le organizzazioni umanitarie e le Chiese che cercano di asciugare un volto sfigurato. Sono loro che fanno sperare. Prima o poi si uscirà da questo venerdì santo, verrà la Pasqua anche per la Siria. Tornerà a fiorire il deserto siriano con la solidarietà, e la generosità della gente, con questi semi di bontà che sono invisibili però sono lì, in mezzo al terreno pietroso: al momento opportuno con qualche pioggerellina riporteranno il verde. Ma adesso, bisogna stare vicino alla gente, sopportare con loro, coltivare la speranza, aiutare. E la gente lo apprezza molto, sia i cristiani che i musulmani. È un momento difficile per tutti. Se si guarda un lato della medaglia, c’è sconforto, pessimismo. Ma rovesciamo la medaglia: credo che questa sia un’occasione molto opportuna per la Chiesa di manifestarsi per quello che è. Non proselitismo, assolutamente, ma vicinanza e poi il Signore provvederà.
Eminenza, per i cristiani della Siria, un segno di incoraggiamento potrebbe venire dal ritorno in patria di chi è andato via. I vescovi di Aleppo lo hanno chiesto esplicitamente. Quale è oggi la situazione?
La sofferenza più grave delle Chiese non è tanto il danno delle cattedrali, ma è l’emigrazione dei cristiani: più della metà sono emigrati. E non solo è un danno per le Chiese ma per la società, perché i cristiani sono in Siria da 2000 anni e la loro è una presenza non solo di fede ma di costruzione del Paese. Pensiamo a quello che hanno fatto le Chiese, da secoli, nel campo dell’assistenza. Pensiamo alle scuole, e finanche al campo politico. Nel 1946, anno dell’indipendenza, il celebre primo ministro Faris al-Khoury era un cristiano protestante. I cristiani hanno contribuito allo sviluppo del loro Paese con la loro mentalità aperta. Per la società sono come una finestra spalancata sul mondo. Il presidente e altri capi di Stato lo riconoscono: se partono i cristiani si rischia di avere una società monoculturale, monoreligiosa. Come fermare questo esodo? La prima misura è fermare la guerra e poi fare in modo che in queste nazioni i cristiani si sentano cittadini alla pari degli altri: parità di diritti, parità di doveri, il concetto che ribadiscono le Chiese, di cittadinanza. Intanto il ritorno dei cristiani finora non si vede. In genere chi è emigrato in Paesi occidentali magari con la famiglia o con i bambini che vanno a scuola, è difficile che possa rientrare. Questa dispersione farà sì che molti, molti di questi cristiani vadano nella Chiesa maggioritaria, in genere quella latina. E i nipoti non si ricorderanno più, purtroppo, che il loro nonno era un membro di una di queste gloriose Chiese orientali. Questo crea una sofferenza di queste Chiese. Ogni partenza, per loro, è in pratica una perdita.

domenica 27 gennaio 2019

Sostegno ungherese a “Ospedali Aperti” – il Cardinale Zenari ricevuto a Budapest

È stato il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán a consegnare al Cardinale Mario Zenari, Nunzio Apostolico in Siria, il documento ufficiale che riguarda il contributo ungherese di 1.500.000 EUR al Programma “Ospedali Aperti”. La breve cerimonia è avvenuta il 22 gennaio a Budapest, nell’ufficio del Primo Ministro, dove Viktor Orbán ha offerto un pranzo in onore del Cardinale Zenari.
Il primo Ministro Viktor Orbán ha ricevuto a Budapest il Card. Mario Zenari.
Presenti all'incontro anche il Nunzio Michael A. Blume, il Segretario Generale AVSI Giampaolo Silvestri
e il Ministro per le Risorse Umane Miklós Kásler (foto: kormany.hu)
Durante l’incontro il Primo Ministro Orbán ha ricordato che l’Ungheria è impegnata ad aiutare le comunità e le famiglie bisognose del Medio Oriente, contribuendo ad alleviarne le sofferenze causate dalla guerra e dalla catastrofe umanitaria. La posizione del Governo ungherese, infatti, è che invece di importare i problemi in Europa bisogna portare l’aiuto là dove ce n’è bisogno.
Il Card. Zenari all’Università Cattolica Péter Pázmány in compagnia del Nunzio Michael A. Blume
e del Metropolita greco cattolico Fülöp Kocsis (foto: Magyar Kurír)
Il giorno precedente il Card. Zenari ha illustrato la situazione della Siria durante il convegno organizzato nell’aula magna dell’Università Cattolica Péter Pázmány (PPKE) di Budapest, in collaborazione con la Segreteria per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati ed il programma Hungary Helps del Governo ungherese. Tra le autorità presenti al convegno diversi membri della Conferenza Episcopale Ungherese e Mons. Michael August Blume, nunzio apostolico in Ungheria, nonché Tristan Azbej, Segretario di Stato per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati e Balázs Orbán, Segretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ungherese.
Il Segretario di Stato Tristan Azbej (foto: Magyar Kurír)
Nel suo saluto iniziale il Segretario di Stato Azbej ha dichiarato: “Ci sono diverse risposte nel mondo alla grande sfida della nostra epoca: la crisi economica, umanitaria e quella delle migrazioni, e noi riteniamo che le soluzioni scelte dai governi occidentali non siano soddisfacenti. Loro hanno scelto di appoggiare le migrazioni, invitando le persone a lasciare la loro terra d’origine, mentre l’Ungheria sostiene, al contrario, che è interesse precipuo di ogni persona poter rimanere nella propria patria”. Nell’aiutare la Siria il Governo ungherese persegue due obiettivi: contribuire a salvare vite e dare un futuro alle persone. È per questo che l’Ungheria già sostiene cinque scuole siriane e adesso, con il contributo di 1,5 milioni di EUR al Programma “Ospedali Aperti”, finanzierà le cure mediche di circa 4500 pazienti nell’arco di un anno.
Il Card. Zenari ha ricordato in particolare l’esodo dei cristiani dalla Siria: dopo la seconda guerra mondiale essi costituivano ancora il 25% della popolazione, prima della guerra attuale erano il 5-6% e attualmente saranno scesi intorno al 2%. Le cause sono l’emigrazione, ma anche la denatalità dei cristiani. Le Chiese del Medio Oriente corrono il rischio di morire non tanto perché sono distrutte le loro chiese ma perché gli uomini se ne vanno al estero, mentre le famiglie miste seguiranno la religione musulmana. Tuttavia – come sottolinea Papa Francesco – il Medio Oriente senza i cristiani non sarebbe più lo stesso Medio Oriente. Il Cardinale ha parlato dell’operato delle varie organizzazioni cristiane che soccorrono la popolazione in Siria. Ha voluto esprimere la sua gratitudine per l’aiuto del Governo ungherese al Progetto “Ospedali Aperti” (Open Hospitals).
Il Card. Mario Zenari e la delegazione della AVSI ricevuti dal Card. Péter Erdő a Budapest
(foto: Magyar Kurír)
Il Segretario Generale della Fondazione AVSI Giampaolo Silvestri, che ha accompagnato il Cardinale Zenari a Budapest, nell’ambito del convegno ha presentato l’operato della Fondazione e, in particolare, il programma “Ospedali Aperti” da essa gestito. Ha voluto ringraziare il Governo ungherese per essere stato il primo a contribuire con fondi pubblici a questo programma umanitario, nella speranza che altri paesi ne seguano l’esempio.
La delegazione è stata ricevuta, inoltre, dal Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e dal Vice Primo Ministro Zsolt Semjén.


Incontro con il Vice Primo Ministro Zsolt Semjén,
in presenza dell'On. György Hölvényi (Parlamento Europeo) e del Segretario di Stato Tristan Azbej
(foto: gondola.hu)

http://ungheriasantasede.blogspot.com/2019/01/sostegno-ungherese-ospedali-aperti-il.html

venerdì 25 dicembre 2015

NATALE A DAMASCO

Mons. Zenari: la sofferenza dei bambini mette alla prova la nostra fede 




Il Sussidiario, venerdì 25 dicembre 2015
intervista di Pietro Vernizzi

Aprendo l’Anno Santo, il Papa ci ha invitato a praticare le opere di misericordia corporale. Qui in Siria non ne manca nessuna”. Sono le parole dell’arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, che le ricorda una a una. 
Dare da mangiare agli affamati: in Siria ci sono 13 milioni di persone senza più niente. Dare da bere agli assetati: il 72% della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Assistere gli ammalati: i bambini con arti amputati non si contano più. Seppellire i morti: in Siria si sono contate 300mila vittime, e spesso per celebrare i funerali i familiari rischiano a loro volta la vita.

Il Natale è la nascita di Gesù. Come ci raggiunge il Mistero di Dio nella Damasco in guerra di oggi? Da questo punto di vista ritengo emblematica la canzone “Tu scendi dalle stelle”, la cui strofa recita “Tu vieni in una grotta al freddo e al gelo”. Ancora oggi viviamo il Mistero della nascita di Cristo in queste condizioni. Nonostante la grave povertà in cui si trovano, le famiglie cristiane a Damasco non hanno perso la fede e la speranza. Pensiamo a centinaia o migliaia di bambini nati lontani dalle loro case, nei campi profughi, a temperature proibitive. E’ questo il Mistero del Natale che viviamo qui a Damasco: Cristo si è unito alla natura umana di tutti i secoli e di tutte le latitudini.
Il Papa ha da poco aperto l’Anno Santo. Che cos’è per lei la misericordia? Il Papa ci invita a praticare le opere di misericordia corporali e spirituali, e l’esercizio delle opere di misericordia qui a Damasco è a 360 gradi.
Vediamole una a una. Dare da mangiare agli affamati … In Siria sono più di 13 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. In quest’opera di misericordia sono uniti cristiani, musulmani e non credenti.
Dare da bere agli assetati … Secondo le statistiche il 72% della popolazione siriana non ha accesso all’acqua potabile, perché sono state danneggiate le infrastrutture.
Assistere gli ammalati … Qui ci sono un milione di feriti, e i bambini con gli arti amputati non si contano.
Seppellire i morti … In Siria si sono contate 300mila vittime. Ancora all’inizio del conflitto ho assistito al funerale di un papà ucciso mentre stava accompagnando la figlia all’università, ma hanno dovuto aspettare una settimana perché non riuscivano a trovare i brandelli di carne. Per non parlare di quanti hanno rischiato la vita per raccogliere i cadaveri dei loro familiari lasciati per strada, mentre i cecchini sparavano all’impazzata. In Italia quando c’è un funerale si va all’agenzia delle onoranze funebri, mentre in Siria ogni volta si rischia la vita.
Lei per che cosa prega in questo Natale, monsignor Zenari? Pregherò perché sia l’ultimo vissuto in queste condizioni, e perché il prossimo sia celebrato in mezzo agli ulivi. Nelle ultime settimane c’è già qualche segno di germoglio di primavera: spero che germoglino gli ulivi.
Papa Francesco ha detto: “A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona”. Come può essere vero di fronte alle sofferenze del popolo siriano? Qui la fede è veramente messa alla prova: pensiamo soprattutto alla sofferenza dei bambini. Ci è messo tutti i giorni di fronte il mistero di Gesù Cristo in croce, e occorre un bel salto di fede per starci di fronte. Questo è soprattutto vero per la terribile tragedia della sofferenza delle persone innocenti.
Lei che risposte si dà di fronte a tutto questo? Il 28 dicembre celebreremo la festa dei Santi Innocenti, dedicata a qualche decina di bambini uccisi dal Re Erode. In Siria invece la strage degli innocenti ha fatto 100mila vittime tra bambini e ragazzi. Accettare questa sofferenza è una sfida per l’intelligenza e per la nostra fede. Arrestare questa strage di innocenti è il primo dovere per tutti.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2015/12/25/NATALE-A-DAMASCO-Mons-Zenari-la-sofferenza-dei-bambini-mette-alla-prova-la-nostra-fede/665890/


Urbi et Orbi. Papa Francesco: dove nasce Dio, nascono pace e misericordia

Fermare guerre e atrocità, essere vicini ai cristiani perseguitati
Al Signore, Francesco chiede che “l’intesa raggiunta” all’Onu “riesca quanto prima a far tacere il fragore delle armi in Siria e a rimediare alla gravissima situazione umanitaria della popolazione stremata”. È altrettanto “urgente”, prosegue, che “l’accordo sulla Libia trovi il sostegno di tutti, affinché si superino le gravi divisioni e violenze che affliggono il Paese”. Ancora, il Papa chiede alla comunità internazionale di “far cessare le atrocità che, sia in quei Paesi come pure in Iraq, Yemen e nell’Africa sub-sahariana, tuttora mietono numerose vittime, causano immani sofferenze e non risparmiano neppure il patrimonio storico e culturale di interi popoli” ...  “Il mio pensiero va pure a quanti sono stati colpiti da efferate azioni terroristiche, particolarmente nelle recenti stragi avvenute sui cieli d’Egitto, a Beirut, Parigi, Bamako e Tunisi. Ai nostri fratelli, perseguitati in tante parti del mondo a causa della fede, il Bambino Gesù doni consolazione e forza. Sono i nostri martiri di oggi”. ...             http://it.radiovaticana.va/news/2015/12/25/urbi_et_orbi_francesco_dove_nasce_dio,_nasce_la_pace/1196835 

venerdì 4 settembre 2015

Gregorio III Laham: "Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza. Mai più la guerra”.


Asianews , 04-09-15
“Tutto il mondo ha visto la foto del bambino curdo siriano” morto sulle spiagge della città turca di Bodrum, e “a questo proposito voglio lanciare un appello: per evitare simili tragedie il punto è fare la pace, garantire la salvezza e il futuro del Medio oriente”. 
È un appello accorato e lucido quello che il Patriarca melchita Gregorio III Laham consegna ad AsiaNews, mentre il mondo guarda ancora con dolore e commozione alla foto del piccolo Aylan, simbolo di questo terribile conflitto che da quattro anni insanguina il Paese.
Ai governi occidentali e all’Europa, prosegue, “dico che il punto centrale non è accogliere e ospitare i profughi, ma è fermare il conflitto alle radici. Tutti devono essere coinvolti, dall’Occidente alle nazioni arabe, dalla Russia agli Stati Uniti. Questo è ciò che aspettiamo, la pace… Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza. Mai più la guerra”.

In questi giorni il patriarca melchita ha inviato una lettera ai giovani cristiani, chiedendo loro di fermare lo “tsunami” dell’emigrazione, che rischia di svuotare il Paese della presenza cristiana. Una ondata migratoria che investe la Siria, come il Libano e l’Iraq e che la guerra e le violenze dei movimenti jihadisti - fra cui lo Stato islamico - hanno contribuito ad accelerare. 
Secondo le ultime informazioni, dal 2011 almeno 450mila degli 1,7 milioni di cristiani siriani hanno abbandonato le loro zone di origine. Ora vivono all’estero o sono considerati rifugiati interni al loro stesso Paese. Nel vicino Iraq la popolazione è scesa da un milione a meno di 300mila nell’ultimo decennio, e continua a scendere. 

Ad AsiaNews il patriarca melchita racconta di aver scritto la lettera per dire ai giovani siriani “che siamo interessati a loro, siamo interessati alla loro fede, alla loro vita, alla loro educazione, alle loro tradizioni e al loro futuro”. “Noi vogliamo che rimangano - aggiunge - e prenderci cura di loro, ma al tempo stesso vogliamo star loro vicino anche se decidono di andarsene. E fondare nuove parrocchie nei luoghi della diaspora, dove questi giovani trovano rifugio”. 
Gregorio III Laham parla di “pena spirituale e affetto” verso le nuove generazioni, il futuro della Chiesa perché “una Chiesa senza gioventù non è viva”. Egli chiarisce che “non vogliamo proibire loro di andare via, ma diciamo anche di avere pazienza e fiducia, e se partite noi vi siamo vicini”. 
I terroristi distruggono ogni germoglio della società civile, partendo dalle scuole e dagli istituti educativi. “Solo qui, in Siria - conferma il patriarca - sono state distrutte almeno 20mila scuole. E senza istruzione, questi bambini la cui infanzia è stata negata saranno i futuri terroristi, i nuovi membri di Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico]… Questo è il dramma più grande”. Per questo la sfida di noi cristiani, avverte, è quella di “continuare a essere presenti nella regione, anche se il cristianesimo è un bersaglio, per proseguire l’opera di dialogo con i musulmani. Senza i cristiani ci sarebbe un vero e proprio shock di civiltà”. 

Per garantire la vita e il futuro della comunità, la Chiesa siriana si è attivata per sostenere piccole iniziative con la modalità del microcredito. Vi sono a disposizione circa 50mila dollari, che vengono suddivisi in piccole somme a sostegno di progetti mirati. “Realizzare candele, preparare il cibo in casa, costruire un forno per la produzione di pane - conclude il patriarca melchita - sono alcune fra le varie proposte. E poi vogliamo aiutare le famiglie che tornano nei villaggi un tempo distrutti e ora in pace, dando loro almeno una stanza in cui ricominciare a vivere, riprendere a poco a poco il percorso dove era stato interrotto”. 


tweet da @Pontifex: “La guerra è madre di tutte le povertà, una grande predatrice di vite e di anime”


Il piccolo siriano alla polizia ungherese:
 "Fermate la guerra adesso. Semplicemente fermate la guerra. Solo questo"

martedì 23 dicembre 2014

E' Natale, in Siria, ma è anche strage di innocenti


«Nei prossimi giorni sentiremo il Vangelo della strage degli innocenti e veramente qua si ha sotto gli occhi questa pagina del Vangelo: ecco la strage degli innocenti e direi di tantissimi civili e soprattutto di questi bambini innocenti. Mi sembra ancora sia attuale quel lamento di cui riferisce il Vangelo di Matteo, citando il profeta Geremia: questo lamento grande di Rachele che piange i suoi figli e che non vuole essere consolata… Ecco, potremmo mettere al posto di Rachele la Siria, che piange i suoi figli, che non sono più quelli che sono morti, soprattutto i bambini, e quelli che non sono più perché quei milioni, 3-4 milioni, hanno dovuto prendere la via dei Paesi vicini… Questa strade degli innocenti è una pagina del Vangelo che la Siria sta vivendo». Sono parole che monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, ha consegnato a Radio vaticana  in un’intervista realizzata in questi ultimi giorni di Avvento.

Nelle parole del monsignore tutto il dolore di un popolo: «C’è una bomba che sta scoppiando e che colpisce tutta la popolazione e questa bomba è la conseguenza della guerra, è la bomba della povertà. Una povertà crescente e una povertà che si fa sentire soprattutto in questi giorni, in cui è cominciato l’inverno. Una insidia quest’anno, non solo la fame e altre privazioni, ma direi anche il freddo che sta colpendo tantissima gente. Un freddo da cui non ci si può difendere, perché manca il combustibile o se lo si riesce a trovare, lo si trova a prezzi esorbitanti che la gente non può permettersi. Tante case sono distrutte, le porte e le finestre non si chiudono e quindi tantissima gente in questi mesi, oltre alle privazioni del cibo e dei medicinali, ha anche questa bomba del freddo che colpisce tutti quanti. C’è della gente che è ancora sotto la pioggia di bombe, di mortaio o di cannonate, quelli stanno ancora peggio… Però, tutti sono sotto questa esplosione di questa bomba».

Parole piene di dolore quelle del monsignore, che fotografano una realtà lontana, così  prossima a quanti hanno a cuore il destino di questo povero Paese martoriato da una  guerra che non accenna a finire.
I giornali ne scrivono sempre meno: le cronache si limitano a narrare le nefandezze dell’Is, i proclami del Califfo, gli interventi di dura riprovazione dei potenti di questo mondo - in realtà alquanto episodici - contro l’orrore che tale mostro sparge a piene mani. Ma la tragedia siriana è anche altro e più terribile, come evidenziano le parole del nunzio.

Un popolo intero sta pagando un prezzo altissimo ai progetti geopolitici di nazioni interessate a mutare gli equilibri del Medio oriente attraverso un cambiamento di regime in Siria. Progetti che prevedevano l’arruolamento in massa di una legione straniera fatta di tagliagole e assassini vari inviati in Siria allo scopo. Una legione appunto, termine che riecheggia un’altra legione evangelica.

Quella legione, che oggi si fa chiamare Is - semplice cambiamento di nome  -  non avrebbe alcun potere se quei progetti geopolitici non fossero ancora accarezzati da tanti. Non avrebbe forza se non godesse ancora di antichi e accettati sostegni.

Si è visto come anche la coalizione internazionale messa in piedi in fretta e furia da Obama per contrastarla stenti, proceda per passi ondivaghi quanto ambigui, segno evidente di una scarsa volontà politica di fondo, di una mancanza di chiarezza sui veri scopi dell’intervento, che vorrebbe contenere l’Isis ma non sembra aver cancellato del tutto la segreta speranza di una caduta di Assad o quantomeno di un logoramento ulteriore del suo governo. Per questo non si cercano convergenze, se non tacite e limitate  e solo se costretti dalla situazione, con l’esercito siriano, ad oggi l’unico baluardo tra la popolazione civile e il Califfo del terrore.

Non solo, ad aggravare la situazione le sanzioni comminate contro la Siria. Si voleva colpire Assad e i suoi, si infierisce su un intero popolo. Quell’accenno di Zenari alla mancanza di medicine, benché fievole e remoto, risuona come atto d’accusa alto e forte verso chi ne impedisce l’accesso.

Che questo Natale porti conforto ai nostri fratelli siriani. Che questo Natale porti una nuova speranza di pace. E’ il nostro augurio, la nostra preghiera.

http://www.siriapax.org/?p=2412