Traduci

Visualizzazione post con etichetta Mario Villani. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mario Villani. Mostra tutti i post

domenica 10 marzo 2019

Presidente Aoun: Il Libano e tutta la terra del Levante conducono una medesima lotta per il pluralismo e contro i settarismi


AsiaNews - “Stanno cercando di disegnare un nuovo Machrek [insieme delle nazioni arabe a est del Cairo e nord della Penisola arabico], lontano dalla propria identità federativa e dalla diversità religiosa”. 
Il capo di Stato Michel Aoun ha approfittato della “Conferenza della sede regionale della Caritas in Medio oriente e Nord Africa” che si tiene in Libano, per affrontare il problema dei rifugiati siriani dall’ambito geopolitico. 
 Imitato in questo senso dal patriarca della Chiesa maronita, il card Beshara Raï, il presidente ha dichiarato che il Libano e l’intero Machrek conducono una medesima lotta per il pluralismo e contro la formazione di Stati segregati e razzisti. È necessario, ha affermato il porporato, combattere tutto ciò che spinge a una redistribuzione demografica delle popolazioni della regione, con una finalità di epurazione religiosa ed etnica che “trasforma le nostre società levantine in società razziste, unilaterali, divergenti e conflittuali”. 
 In particolare, Aoun ha messo in guardia i presenti contro un “contagio intellettuale, che si propaga e si trasmette rapidamente, soprattutto attraverso i social network” e che ha preparato il terreno all’intolleranza, all’estremismo e al terrorismo. Dal canto suo, nel contesto di un intervento incentrato sul “bene comune nelle società pluraliste”, il capo della Chiesa maronita, tornando sulla questione delle migrazioni forzate dei popoli negli ultimi decenni ha insistito ancora sul ritorno dei siriani sfollati dalla guerra. Questo, ha aggiunto, deve avvenire in maniera indipendente rispetto a una soluzione politica del conflitto militare che devasta il Paese dal marzo 2011. 
 Alcuni estratti fra i più significativi dell’intervento del capo di Stato:
“L’artefice del Patto Nazionale, Michel Chiha, ha detto: ‘Chiunque cerchi di controllare una comunità confessionale in Libano, cerca di distruggere il Libano nella sua interezza’. Da qui è giocoforza constatare che questo vale allo stesso modo per il Levante - il Mashrek. Il nostro Mashrek è un miscuglio di culture, un crocevia di civiltà, una culla di religioni monoteiste. Si tratta di un modello unico nel suo genere, dotato di una ricchezza spirituale, culturale e cognitiva; qualsiasi attacco a una di queste componenti non è altro che un attentato a questo modello e alla sua unicità”. 
 “Tutti gli eventi degli ultimi anni sono, senza ombra di dubbio, volti a trasformare le nostre società levantine in società razziste, unilaterali, divergenti e conflittuali. Infatti, l’emorragia umana, la migrazione forzata senza contare i tentativi instancabili volti a un cambiamento demografico; le diverse ondate di sfollati nel corso degli ultimi decenni; la partizione della Palestina e lo sfollamento della sua popolazione, sommata alla pressione esercitata della parte restante della sua gente, negando il diritto al ritorno per i palestinesi e il loro stanziamento nelle nazioni della diaspora; tutti questi sono avvenimenti che tracciano i contorni di un nuovo Levante (Machrek), lontano dalla sua identità federativa e lontano dalla sua diversità religiosa, comunitaria e culturale”. 
Minacce di terrorismo ed estremismo
 “Nostro compito è respingere e resistere a questi tentativi con determinazione e perseveranza: la terra del Levante (Machrek) non deve svuotarsi dei propri abitanti; la culla di Cristo, la strada per il Golgota e il Santo Sepolcro non possono esistere senza i cristiani, così come Gerusalemme e la moschea di al-Aqsa senza i musulmani, come l’acqua non può continuare a scorrere se la sua fonte di prosciuga”. 
 Le minacce più grandi che gravano oggi sul nostro mondo e sulla nostra regione in particolare sono l’estremismo e il terrorismo, che si nutrono l’uno dell’altro. Il pericolo sta nel fatto che si tratta di un contagio intellettuale che si propaga e si trasmette rapidamente, soprattutto attraverso i social network. Esso si basa sull’ignoranza, sulla povertà e l’emarginazione per seminare idee e credenze distruttive e per creare un ambiente favorevole al terrorismo”. 
 Inoltre, il capo dello Stato ha ricordato di aver lanciato una iniziativa alle Nazioni Unite per fare del Libano un centro permanente per il dialogo fra le diverse civiltà, culture e razze, da perseguire attraverso la creazione di una “Accademia dell’incontro e del dialogo fra gli uomini”. Una entità il cui obiettivo è quello di diffondere una cultura dell’incontro nella fedeltà, secondo quella che è “l’essenza del Libano” che, come lo ha definito papa Giovanni Paolo II, è “più di una nazione, è un messaggio”. 
  Il capo dello Stato non ha mancato di ricordare l’importanza di Caritas-Libano, strumento della pastorale sociale della Chiesa che “nella sua azione interconfessionale, inter-etnica e inter-statale” arriva a fornire “aiuto e servizio in caso di bisogno”. Una azione che si sviluppa “a prescindere dalla religione, dall’identità e dall’appartenenza etnica”.  

Alle radici del dibattito, in questi giorni riacceso dalle dichiarazioni del Regno Unito: conoscere la guerra nel paese dei cedri.
Conferenza di Mario Villani, febbraio 2019

venerdì 4 agosto 2017

Siria, che ipotesi si possono fare per il dopo ISIS?

di Mario Villani

A conclusione del mio precedente articolo  ho espresso il timore che la fine dell’ISIS non avrebbe comportato automaticamente la fine del conflitto in corso ormai da sei anni, ma solo il suo passaggio ad una fase differente. Qualche amico mi ha accusato di eccessivo pessimismo (e spero che abbia ragione) e mi ha comunque chiesto di spiegare sulla base di quali elementi ho formulato una simile previsione.
Vedrò di spiegarmi meglio.

In primo luogo devo però fornire alcuni aggiornamenti sulla situazione sui campi di battaglia.
L’offensiva lanciata sul Qalamoun da parte degli eserciti siriano e libanese, ma, soprattutto, dagli Hezbollah si è conclusa con la vittoria di questi ultimi  e la completa disfatta degli islamisti che hanno dovuto abbandonare le loro posizioni attorno ad Arsal ed accettare di arrendersi pur di poter raggiungere incolumi la provincia di Idleb. Contemporaneamente è continuata, da due direzioni, la marcia di avvicinamento dell’esercito siriano alla città assediata di Der Ezzor. Quest’importante centro sull’Eufrate era stato scelto dall’ISIS (ma soprattutto dai suoi ispiratori) come capitale di uno stato wahabita che avrebbe dovuto nascere dalla disintegrazione della Siria. Per questa ragione, da tre anni, l’ISIS ha impegnato su questo fronte i suoi reparti migliori e più determinati lanciando centinaia di attacchi che però non sono riusciti a vincere la resistenza delle truppe siriane trincerate in alcuni quartieri della città ed intorno al suo aeroporto.
Quando su questo fronte tutto sarà finito bisognerà che qualcuno faccia conoscere al mondo come poche migliaia di paracadutisti, appoggiati da qualche volontario locale siano riusciti siano riusciti a tenere le loro posizioni, malgrado la scarsità dei rifornimenti, contro un nemico molto più numeroso e tanto determinato da lanciare centinaia di kamikaze contro le loro linee.

Perchè quindi, malgrado questi sviluppi positivi, continuo a non vedere vicina la fine del conflitto in Siria? Perchè, secondo me ci sono dei nodi che sono ben lontani dall’essere sciolti.
Vediamo quali sono.

Il primo: i Curdi. Di fatto il nord della Siria è in buona parte sotto il controllo di milizie curde che si comportano come se ormai fossero una nazione indipendente, addirittura arrivando a praticare una forma di pulizia etnica soft ai danni della popolazione araba. Se l’enclave curda situata a nord di Aleppo potrebbe forse accettare ancora l’autorità, almeno formale, di Damasco pur di essere difesa dalla minaccia dei Turchi, la più grande enclave situata a nord est è guidata da milizie che, sentendosi appoggiate dagli USA ed essendo protagoniste della presa di Raqqa, puntano senza mezzi termini ad una completa indipendenza che però il governo siriano non è disposto a concedere.

Secondo nodo: i Turchi. Ankara ha oggi in Siria due obbiettivi primari: impedire con ogni mezzo la nascita di uno stato curdo (a meno che non sia governato da sue marionette) e non uscire a mani vuote dal conflitto. Se le milizie che appoggia e finanzia non riusciranno a conseguirle questi due obbiettivi non è escluso che la Turchia decida di intervenire direttamente in maniera molto più massiccia di come ha fatto fin’ora.

Terzo nodo: Israele. Tel Aviv vede con preoccupazione il ritorno dell’esercito siriano (e di Hezbollah) sulle sue frontiere e preferisce di gran lunga che vi siano dei piccoli stati cuscinetto indipendentemente da chi governati. Qualcosa del genere fece, anni addietro, in Libano promuovendo, nelle regioni meridionali, la costituzione di una milizia denominata Esercito del Libano Sud che però si sciolse come neve al sole di fronte all’offensiva di Hezbollah.

Quarto nodo: la provincia di Idleb e regioni confinanti. In questa provincia sono ormai concentrate decine di migliaia di islamisti, fuggiti da altre aree del paese riconquistate dall’esercito siriano. Queste bande hanno i loro protettori internazionali che attualmente sono però in rotta tra di loro. Una eventuale offensiva siriana su Idleb potrebbe però ricompattare Arabia Saudita, Turchia e Qatar e spingerle a riprendere l’aiuto ai loro alleati sul campo.

Ultimo nodo: gli USA. Da anni perseguono in Medio Oriente quella che può essere definita una vera e propria strategia del caos. Non vi sono segni che questa strategia sia stata affossata. Sembrerebbe che Trump non la condivida, ma quanto comanda realmente Trump oggi? E soprattutto per quanto resterà ancora Presidente degli Stati Uniti? Di fatto la presenza (illegale) di truppe americane in Siria non solo non è diminuita, ma anzi negli ultimi mesi si è rafforzata.

A fianco di queste problematiche vi sono quelle che riguardano invece il campo opposto, quello dei sostenitori del Governo di Damasco.

Ne accenno solo a due.

1) Il regime Baatista non è compatto, ma è da sempre diviso in due anime. Una laicista, socialisteggiante, militarista, caratterizzata in passato per l’ammirazione verso l’Unione Sovietica. L’altra moderata, liberista, favorevole a caute riforme sia in campo economico che politico. Se Afez Assad era stato un’esponente della prima anima, Bashar Assad sembrerebbe protendere più verso la seconda. Queste due anime, a fronte del pericolo mortale corso dalla Siria, si sono ricompattate, ma le differenze rimangono ed anzi temo che qualcuno, in particolare nelle Forze Armate che oggi hanno acquisito un enorme prestigio e che hanno una tradizione di “interventi” in politica, mediti già una resa dei conti interna al partito Baath.

2) Per fronteggiare la minaccia delle bande islamiste in molte città e villaggi sono nate e si sono organizzate molte milizie locali. Alcune hanno svolto un’azione efficace e preziosa (basti pensare alle milizie cristiane di Maalula e Qamishli). Altre si sono dedicate più che altro a taglieggiare i propri concittadini suscitando malcontento e rancori. Non sarà facile, al termine del conflitto, far rientrare nei ranghi e convincere a riprendere una vita normale questi miliziani che da anni, di fatto, vivono di violenza.

Ovviamente mi auguro che questi miei timori si rivelino privi di fondamento e che per la Siria il giorno della Resurrezione sia vicino. Per questo ribadisco ci si debba affidare in egual misura a San Marone (che era siriano) ed alle capacità diplomatiche del Ministro degli Affari Esteri della Russia, Lavrov.

    Mario Villani
PS
Il 31 luglio la Chiesa Maronita ha celebrato la Giornata dei Martiri delle Chiese d’Oriente. Qualcuno ha sentito qualcosa sui media mainstream?

http://www.appunti.ru/articolo.aspx?id=957&type=home

lunedì 19 ottobre 2015

Non abbandoniamo i Cristiani d'Oriente: sono le nostre radici...non dimentichiamolo

author :Nikola Sarić




APPUNTI
ottobre 2015

Melchiti, siriaci, caldei, assiri, maroniti... dietro questi nomi vi è un mondo la cui ricchezza spirituale e culturale raggiunge altezze che la Cristianità in occidente, ormai immersa in una realtà puramente orizzontale, non è in grado di comprendere e di apprezzare. 
Proprio per questo abbiamo un disperato bisogno di loro, forse addirittura più di quanto loro abbiano bisogno di noi. La ragione è semplice, quelle comunità sono le eredi dirette delle persone che videro, conobbero e amarono Nostro Signore Gesù Cristo. Vi è una corrente di fede profonda che, attraverso i secoli, sgorga dai primi Cristiani ed irriga tutte le generazioni che si sono succedute permettendo loro di far fiorire una Fede talmente profonda da consentire il superamento di tutte le durissime prove che la convivenza con il mondo islamico ha loro imposto.


Chi ha avuto modo di frequentare quei luoghi, il Libano, la Siria, la Palestina, ha sicuramente percepito questa qualità straordinaria delle locali comunità cristiane. Per loro Gesù non è un personaggio mitologico o una leggenda tramandata nei secoli, ma l'Uomo/Dio di cui i loro antenati hanno visto le gesta ed ascoltato le parole. Faccio solo due esempi: il primo è Malula, una cittadina siriana di cui già ci siamo più volte occupati. A Malula , unico luogo al mondo, si parla ancora l'Aramaico orientale, vale a dire la stessa lingua utilizzata da Nostro Signore. Gli abitanti di Maalula quindi, quando recitano ad esempio il Padre Nostro, utilizzano gli stessi identici termini che ha pronunciato duemila anni fa il Salvatore. 
Un secondo esempio: nel sud Libano (una volta chiamato alta Galilea) c'è un villaggio chiamato Cana. Molti ritengono sia il luogo dove Gesù ha operato il suo primo miracolo (significativamente trasformando l'acqua in vino, con buona pace di certi fanatici salutisti odierni), ma la circostanza è controversa perchè vi sono altri villaggi con lo stesso nome in Palestina. Di certo vi è che il villaggio venne visitato più volte da Gesù che vi veniva a predicare “alloggiando” in una grotta posta a circa un chilometro dal centro abitato. Dopo la Sua morte, gli abitanti del villaggio che erano divenuti suoi seguaci scolpirono sulle rocce a fianco del sentiero che portava dalla grotta a Cana diverse scene della vita del Salvatore. Quei bassorilievi sono ancora là, vero e proprio Vangelo scolpito sulla pietra prima ancora di essere scritto sulla carta. 

Questi esempi aiutano a capire perchè, da quelle parti, la Fede è ancora una cosa seria, che forgia tutta la vita di una persona e per la quale si può anche decidere, in situazioni estreme, di impugnare un'arma o affrontare il martirio. E' grazie a questo virile atteggiamento che le comunità cristiane d'oriente sono sopravvissute a tutti i tentativi di islamizzazione, fino ad arrivare a guadagnarsi la stima ed il rispetto delle componenti più tolleranti ed aperte del mondo musulmano. Stima e rispetto che hanno permesso, per esempio, ai musulmani libanesi di accettare che il Presidente della Repubblica fosse un cristiano o a quelli siriani che lo Stato ponesse tutte le confessioni religiose su un piano di uguaglianza, garantendo a tutte i medesimi diritti...


Oggi però, la rapida diffusione di un Islam fanatico e totalitario -incarnato da organizzazioni come Daesh o Al Qaeda e appoggiato da Stati come la Turchia e l'Arabia Saudita e, paradossalmente, da potenze laiche e massoniche come Stati Uniti e Francia- pone un drammatico interrogativo sulla sopravvivenza dei Cristiani in Oriente. Dove arrivano le bande islamiste le Chiese vengono sistematicamente distrutte (a partire, significativamente, dagli altari) e la vita dei cristiani diviene impossibile. Il progetto è tragicamente chiaro: cancellare ogni presenza cristiana dal Medio Oriente, di più, cancellare dalla regione ogni presenza che non sia quella di un Islam retrogrado e fanatico. 
Rendiamoci conto però che la cancellazione delle comunità cristiane d'oriente non è fine a se stessa. E' un gesto con un alto valore simbolico e, nelle menti degli intellettuali islamisti, con un tremendo valore strategico. Per distruggere la Cristianità bisognare tagliarne le radici spirituali. Quando non si celebreranno più messe in Medio Oriente, quando a Malula non si parlerà più l'aramaico, quando i segni visibili del passaggio del Figlio di Dio su questa terra saranno cancellati, allora la Cristianità tutta sarà svuotata e diverrà facile preda dei fanatici del Daesh e di Al Qaeda. 
La difesa di queste radici quindi è un dovere morale che incombe oggi su ogni Cristiano in ogni parte del mondo...


venerdì 17 aprile 2015

La Passione della Siria continua: gli ultimi sviluppi e le prospettive per il futuro.


Lo schema con cui i media mainstream seguono alcune vicende internazionali si ripete con inesorabile monotonia. Inizialmente i mezzi di “informazione” sostengono -con grande dispiego di mezzi- la versione politically correct voluta dai cosiddetti poteri forti, successivamente, se le cose non vanno nel senso sperato da questi ultimi, fanno calare un silenzio tombale sull'argomento. E' quanto si è verificato anche per la tragedia siriana: a partire da marzo 2011 la realtà presentata dai media è stata quella di un popolo che lottava (inizialmente con mezzi pacifici e poi, per pura necessità, con le armi) contro un tiranno sanguinario, il Presidente Assad, i cui giorni erano però, si assicurava, contati. Qualche mese ed un piccolo aiuto delle potenze occidentali ed anche il “tiranno” di Damasco avrebbe fatto la fine di Gheddafi e di Saddam Hussein. Le cose però non sono andate così: in primo luogo l'esercito siriano, contrariamente ai desiderata di certe potenze occidentali, non si è dissolto dividendosi per linee confessionali, ma ha continuato a difendere compatto il Paese, per cui il sogno di una marcia trionfale su Damasco, che sembrava a portata di mano nel 2012, non si è realizzato. In secondo luogo i cosiddetti “ribelli” anti Assad si sono lasciati andare ad un tal numero di efferatezze, di stragi, di atti di pura barbarie che è diventato difficile, anche per una stampa mediamente priva di dignità come la nostra, continuare a presentarli come degli indomiti combattenti per la libertà e la democrazia. Infine la Russia si è messa di traverso ad un eventuale intervento delle potenze occidentali e non in senso metaforico, ma materiale, schierando le proprie navi tra le coste della Siria e le flotte dei paesi Nato nel momento in cui sembrava certo l'inizio dei bombardamenti.

La reazione dei media a queste “sfavorevoli circostanze” è stata quella consueta: far calare il silenzio sulla tragedia siriana.

Alcuni rovesci subiti dall'esercito di Damasco nelle ultime settimane hanno però risvegliato la speranza di una rapida caduta del “tiranno” ed ecco allora nuovamente i media occuparsi della vicenda, salvo ovviamente ignorare o deformare l'orrendo episodio dei missili su Aleppo nel giorno della Pasqua ortodossa.  

 Ma cosa sta succedendo veramente in Siria?, l'esercito regolare ed i suoi alleati (Hezbollah libanesi e milizie locali) sono realmente a rischio di essere travolti?, l'ISIL è effettivamente alle porte di Damasco?


Per poter tentare di dare una risposta è necessario sapere che, attualmente, in Siria sono attivi ben ottantadue fronti di guerra distribuiti praticamente su tutto il territorio siriano. Nei primi mesi del 2015, su molti di questi fronti l'iniziativa militare è stata nelle mani dell'esercito regolare che ha conseguito alcuni significativi anche se limitati successi. In particolare l'esercito siriano ha continuato il repulisti di tutta la regione frontaliera con il Libano (purtroppo creando problemi a quest'ultimo perchè gli islamisti in difficoltà in Siria passano il confine e vanno ad ingrossare le file di quelli libanesi). In questo settore è proprio di questi giorni la riconquista quasi totale della strategica area di Zabadani. Progressi sono stati registrati anche sul fronte di Deir Ezzor dove i paracadutisti del Generale druso Issam Zahreddine, aiutati da alcune milizie tribali sunnite, sono riusciti a riconquistare un'isola al centro della città ed alcuni villaggi del circondario, Al Kahanamat e Al Mahala, allontanando per ora la minaccia sull'aeroporto. Anche nei dintorni della città orientale di Hasaka diversi villaggi sono stati abbandonati dall'ISIL sotto la pressione delle truppe regolari siriane appoggiate, in questa zona, da milizie cristiane assire.




La situazione è invece molto delicata sul fronte nord, lungo il confine con la Turchia. Qui le varie sigle della galassia islamista possono contare su due fattori strategici a loro favore. In primo luogo l'appoggio logistico di ampi settori della sicurezza e delle forze armate turche che permettono il continuo passaggio di rinforzi e rifornimenti per le organizzazioni guerrigliere e che, secondo alcune fonti, talvolta intervengono direttamente negli scontri. In secondo luogo il fatto che nella regione le organizzazioni islamiste godono di diffuse simpatie presso alcuni settori della comunità sunnita. In altri termini in questa zona possono contare su un relativo appoggio popolare che manca loro, per fare un esempio, nella città di Damasco. A febbraio vi è stata comunque un'offensiva dell'esercito siriano anche a nord di Aleppo con la riconquista di numerose posizioni e la “quasi” liberazione di due villaggi sciiti assediati da due anni. Nelle settimane successive però, grazie a massicci aiuti arrivati attraverso il confine turco, le milizie islamiste sono riuscite a recuperare le posizioni perdute.


Complessa anche la situazione nel fronte sud, al confine con la Giordania e Israele. Anche in questo settore gli aiuti che arrivano da oltreconfine, permettono ai guerriglieri di resistere alle azioni dell'esercito regolare e di passare sovente al contrattacco.



Tre avvenimenti recenti sono stati indicati come significativi delle difficoltà in cui si troverebbe attualmente l'esercito di Damasco:la caduta delle città di Idleb al confine con la Turchia e di Boshra sul fronte sud e la conquista del campo profughi palestinese di Yarmuk, alle porte di Damasco, da parte dell'ISIL. 
Come valutare queste sconfitte? Devo premettere che, secondo me, l'esercito siriano non potrà mai sconfiggere completamente le milizie islamiste nè conseguire il controllo di tutto il territorio. Lo impediscono due fattori: la natura delle forze armate di Damasco, concepite più per grandi battaglie campali che per una azione di controguerriglia che richiede autonomia di decisione anche nei piccoli reparti e rapidità di azione, ma soprattutto il massiccio afflusso di aiuti e rinforzi che arriva ai guerriglieri attraverso i confini turco e giordano. Una guerriglia che dispone di “santuari” così importanti nei paesi confinanti e che viene dagli stessi continuamente alimentata non è eliminabile. Basti pensare che, dall'inizio della guerra ad oggi, si calcolano in molte decine di migliaia i guerriglieri eliminati, senza che questo abbia influito più di tanto sulla capacità operativa delle milizie islamiste. Segno che queste ricevono dall'estero un continuo flusso di nuovi combattenti, volontari o mercenari che siano.


Questo però non vuole dire che l'esercito siriano sia sul punto di crollare e che quindi agli islamisti stiano per spalancarsi le porte per l'agognata cavalcata su Damasco. Le strutture militari sono tuttora ben salde ed ancora recentemente l'ambasciatore di Russia in Siria ha assicurato che il suo paese fornirà a Damasco le armi di cui ha necessità per la sua difesa. Anche l'appoggio popolare al regime di Assad è ancora consistente. Damasco è una città di tre milioni di abitanti, in stragrande maggioranza favorevoli al regime baathista. Analogo discorso per Latakia e la regione costiera. Difficile credere che queste realtà siano disponibili a consegnarsi a persone che hanno dimostrato di trattare i loro nemici (o presunti tali) con spaventosa crudeltà. Le immagine di persone torturate, bruciate vive, decapitate, crocefisse sono ben presenti a tutti quei siriani che, in qualche modo, per appartenenza politica o credo religioso, ritengono di poter essere nel mirino degli islamisti. Anche i recenti vantati successi della guerriglia non sembrano poi essere così decisivi: Idleb è stata abbandonata dall'esercito a causa della sua inferiorità numerica al momento dell'attacco nemico. Attualmente però le forze armate di Damasco, dopo aver ricevuto rinforzi, sono attestate tutto intorno alla città e stanno cercando di tagliare le linee di approvvigionamento dei guerriglieri con la Turchia anche se, per il momento, non sembrano intenzionate a tentare la riconquista del centro urbano. Yarmuk era già, da almeno due anni, quasi interamente controllato da fazioni palestinesi legate ad Hamas e contrarie ad Assad. La novità consiste solo nel fatto che queste fazioni hanno stretto un'alleanza con l'ISIL che ha potuto così entrare nel campo dove, peraltro, non sono presenti truppe siriane. Boshra infine è una cittadina la cui perdita – peraltro non confermata – starebbe solo a dimostrare l'incapacità dell'esercito siriano a controllare contemporaneamente tutto il territorio coinvolto dalle operazioni belliche.


E quindi? Se la guerriglia -così massicciamente appoggiata dall'esterno- non può essere definitivamente sconfitta, ma il governo baathista ha ancora sufficienti forze per resistere quale potrà essere il futuro prossimo della Siria? Purtroppo solo la prosecuzione della guerra, con nuovi lutti, nuove distruzioni, nuovi sanguinari atti di crudeltà e fanatismo, nuove sofferenze. Spegnere questo incendio, le cui fiamme già hanno avvolto il vicino Iraq e stanno lambendo il Libano, è una decisione che potrebbe essere presa solo dalla comunità internazionale. Duecentocinquantamila morti e la quasi totale distruzione del Paese non sono state sufficienti a spingere verso questa scelta. Evidentemente qualcuno, da qualche parte, ha deciso che, per l'umanità è giunta l'ora di spalancare le porte del Caos...

M. Villani per 'Appunti'

venerdì 26 dicembre 2014

Continua l'iniziativa 'Una pecora per Maalula'

Un'iniziativa del Coordinamento per la pace in Siria che può rendere più proficuo il nostro Natale


sono arrivate le prime pecorelle

C'è un villaggio arroccato sulle montagne siriane al confine con il Libano che sembra uscito da un Presepio. Un villaggio dove si potrebbe veramente pensare che ogni giorno dell'anno è Natale. Ne abbiamo già parlato in altre occasioni. Si tratta di Maalula, un pugno di casette, linde, pulite e quasi tutte colorate in azzurro, in mezzo alle quali spuntano i campanili delle sue tante chiese. Perchè Maalula è un villaggio abitato quasi esclusivamente da Cristiani che hanno una particolarità unica al mondo: solo qui infatti si parla utilizzando ancora l'aramaico orientale, vale dire la stessa lingua che ha utilizzato Nostro Signore Gesù.

Questo gioiello, che dovrebbe essere prezioso per ogni Cristiano del mondo, ha subito un anno fa un oltraggio estremo. Il 4 settembre del 2013 infatti è stato invaso da bande islamiste appartenenti al fronte Al Nusra ed a gruppi minori. L'attacco è stato probabilmente una risposta indiretta all'iniziativa del Santo Padre di promuove in tutte le chiese del mondo una giornata di preghiera per la pace in Siria. A seguito dell'attacco alcuni Cristiani sono stati martirizzati, dichiaratamente in odio alla loro fede, altri -tra i quali alcune suore- rapiti, molte case sono state saccheggiate e date alle fiamme mentre quasi tutte le chiese sono state completamente distrutte. Tutta la popolazione è allora fuggita per mettersi in salvo dalle violenze degli estremisti e si è rifugiata a Damasco che dista una cinquantina di chilometri.

Sette mesi dopo, nell'aprile di quest'anno, il villaggio è stato liberato grazie ad un'offensiva condotta dall'esercito regolare siriano, appoggiato da Hezbollah libanesi e da alcuni giovani del villaggio autocostituitisi in una milizia civica.

Lo spettacolo che si è presentato ai liberatori è stato però quello di un paese devastato. Ai danni provocati dai sette mesi di occupazione si sono infatti sommati quelli provocati dalla lunga battaglia, combattuta anche casa per casa, necessaria per la sua liberazione. In particolare sono venute a mancare anche le poche attività produttive che costituivano, insieme al turismo, la fonte di sussistenza per l'intera popolazione.

In queste condizioni il rientro delle famiglie di Maalula alle loro case è estremamente lento e difficoltoso e, ad oggi, solo un migliaio dei tremila abitanti che costituivano la popolazione del villaggio hanno fatto ritorno alle loro abitazioni.

Per questa ragione il Coordinamento per la Pace in Siria, dopo essersi consultato con l'associazione caritativa siriana “Mar Sarkis”, ha deciso di organizzare un intervento di sostegno alle famiglie di Maalula. L'iniziativa è stata battezzata “Una pecora per Maalula” e consiste nel raccogliere il denaro sufficiente ad acquistare un gregge di pecore che saranno ospitate nei terreni di uno dei conventi della cittadina ed accudite da alcune famiglia con esperienza di pastorizia. Altre persone si occuperanno di lavorare poi i prodotti ricavati dalle pecore (lana e latte) ed i guadagni saranno divisi tra tutte le famiglie di Maalula. Si tratta di un piccolo, ma significativo contributo a far rivivere questo autentico gioiello della Cristianità.

Chiunque volesse contribuire -anche con una piccolissima cifra- potrà farlo effettuando un bonifico su questo indirizzo bancario:

Coordinamento per la pace di Siria
Bonifico Bancario:  IT40 T010 1004 2101 0000 0002 256
Associazione Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria Sede legale Viale bonaria 98, Cagliari C/C Banco di Napoli
specificare la causale "progetto Mar Sarkis". Se volete essere aggiornati sul progetto non dimenticate di riempire questo form : solo così noi avremo la possibilità di contattarvi.
In alternativa, potete effettuare una donazione tramite PayPal:
  http://www.siriapax.org/?p=2343 


Non credo siano necessarie molte parole per spiegare -in particolare ai nostri abituali lettori- l'importanza di questa iniziativa. Si tratta di aiutare la ripresa della vita sociale in un luogo simbolo della Cristianità non solo Orientale. Penso veramente valga la pena di vincere la pigrizia e recarsi quanto prima nella propria banca dove compiere quello che mi permetto di definire un nostro piccolo ma importante dovere.

L'iniziativa dovrebbe concludersi entro il mese di gennaio e già si sta programmando un viaggio sul posto per verificarne i risultati, ovviamente daremo sistematicamente conto degli sviluppi su questo sito.

Per concludere ovviamente Buon Natale a tutti.
Mario Villani

domenica 22 giugno 2014

Voci dalla Siria dopo le elezioni


Nell’ultima settimana prima delle elezioni c’è stata una recrudescenza di aggressioni e minacce intimidatorie da parte dei jihadisti, sostenuti da America ed Europa (ahimè, c’è proprio da vergognarsi : non solo hanno rinnovato l’appoggio in denaro, ecc, ma addirittura hanno vietato ai Siriani rifugiati all’estero di andare a votare per il loro paese).
Aleppo sta molto molto male, adesso la prendono di mira anche con missili, il quartiere Midan specialmente, perché c’è una grossa comunità armena. Ci dicono che erano entrati a migliaia dalle frontiere per bloccare e impedire le votazioni, attaccando specie dal fronte con la Turchia, cioè su Lattakia e Idlib. Martedì, giorno fatidico, qui non volava una mosca. Tutti i negozi chiusi, sospesa ogni attività lavorativa, tutti erano impegnati a svolgere il loro dovere civico, e solo quello. La gente era calma e concentrata, conscia della sua responsabilità verso tutti i Siriani, ma anche di fronte al mondo intero, specialmente quello che …conta (e che già ha dichiarato di voler invalidare queste votazioni). Si è sentita qualche raffica per aria ( qui si spara sempre: quando c’è un morto, per onorare il morto ; quando parla il presidente , per manifestare la propria soddisfazione; quando c’è  qualche evento civile, per dire la propria partecipazione…). A sera, ho sentito nel villaggio canti e danze con il  tipico tamburello, cosa diversa dalle altre sere in cui si sentivano canti patriottici, inneggianti alla Siria (sì, è stata la loro preparazione alle votazioni). Sono rimasta stupita, perché non c’era nessun matrimonio in programma…Ma l’indomani vedendo la faccia radiosa del nostro vicino, ho capito meglio. In questo evento finalmente i Siriani hanno potuto, anche i più deboli ed inermi, dire la loro, prendere in mano il loro destino, affermare la loro volontà, la loro esistenza stessa, in faccia a chi vorrebbe negare loro il diritto a vivere, ad essere un popolo sovrano, in grado di prendere il suo posto nella storia del Medio Oriente. 
Di fatto, di tutti quanti sono coinvolti in queste trattative di pace che finiscono sempre in fallimenti, quanti di loro agiscono negli interessi reali di questo popolo ?  Con evidente fierezza X ci ha comunicato che tutta la Siria ha votato, tranne la provincia di Raqqa, che è completamente in mano ai jihadisti; che tutti, persino ad Aleppo, hanno espresso il loro voto. E che anche per chi poteva essere bloccato da voleri avversi, si è trovato il modo di raggiungerlo per permettergli di esprimere il suo voto (per esempio sono stati creati seggi elettorali alla frontiera col Libano, dato che era stato detto che chi fosse rientrato in Siria per votare avrebbe perduto il permesso di residenza . Anche all’aeroporto di Damasco sono stati istituiti seggi, per quelli che arrivavano in volo e se ne andavano subito dopo aver votato, come è capitato con 4 aerei pieni di siriani provenienti dal Kwait , e varie altre piccole e grandi trovate, per dare il più possibile a tutti gli aventi diritto la possibilità di dire la loro) .
In quest’ultima notte è esplosa la gioia. Canti e danze dappertutto, le sparatorie augurali hanno ceduto il posto a mortaretti e fuochi d’artificio. Si vocifera di gente che cantando sparge riso sui camion dei militari, di altri camion (pieni di gente che suona), che si spostano da un paesino all’altro, si sta entrando quasi nella leggenda… La gente è felice, nonostante tutti i morti, tutte le devastazioni morali e materiali. Tutta l’incertezza per l’avvenire si arrende di fronte a questo fatto : la Siria è unita e vuole procedere unita, con il capo che si è liberamente scelta.
Dati pubblicati dall’Ansa : 73,42 % di affluenza alle urne, 88% hanno votato per il presidente. Ma ormai i dati sono a disposizione di tutti. Y commenta con gli occhi luccicanti : “Hanno votato per Assad 10 milioni e 700mila siriani !”. Ma sapeste quanto è bello vedersi intorno facce fiere e contente. 
Preghiamo che questa quasi unanimità faccia ritrovare ai siriani ciò che si temeva perduto, cioè la fiducia e la convivenza tra genti diverse che si riconoscono tutte in una stessa patria.   

S.M. da Tartous  



Sono passati più di tre anni dall'inizio della crisi siriana. Ora lo stato siriano ha vinto contro tante pressioni che derivavano dall’Occidente e dai paesi dei petro dollari, come l’intervento armato, la divisione settaria del paese. Ha potuto pure stabilire una certa sicurezza in varie zone del paese, e sta vincendo nelle sensibili battaglie contro i fanatici islamisti (ISIS – Fronte Al-nusra – Il fronte islamico…).

Ormai è tempo che il presidente Bashar Al-Assad, dopo la sua vittoria nelle elezioni presidenziali, debba pensare con il nuovo governo che formera’ tra poco ad un' altra battaglia. La battaglia contro la poverta’, contro la corruzione, contro lo sfruttamento del cittadino da parte dei  “coccodrilli commercianti”. La metà del popolo siriano e’ disoccupata ed il 50 % dell’altra metà non riesce ad arrivare alla fine del mese… siamo in questa situazione da anni…. I siriani temono di non potere più resistere davanti alla fame…c'e’ un detto siriano che dice: “nessuno muore dalla fame” forse perchè stavamo cosi bene prima della Guerra, ma ora credetemi c'è della gente che muore veramente dalla fame… 
I prezzi sono volati in aria, e migliaia di famiglie mangiano la carne una volta al mese, e tante altre non mangiano la frutta perche’ talmente cara… Il prezzo del latte e’ aumentato del 600% (da 20 s.p al kilo a 120 s.p)… allora immaginate quanto costa un kilo di formaggio normale (700 s.p). Attualmente lo stipendio medio di uno che lavora nello stato e’ 30.000 s.p (150 euro) e basterebbe per 20 giorni (a comperare solo cibo) sapendo che una famiglia media in Siria consiste di Padre, Madre, 3 figli … non voglio parlare delle bollette ... elettrica, dell’acqua, del telefono, e non parlo dei vestiti per i bambini, e neanche della retta per la scuola … Secondo me la vera battaglia ora e’ contro la malavita, contro il nemico nascosto nella società che si chiama POVERTA’… il grande Imam Ali dice : 'se la povertà fosse un uomo lo avrei ucciso'.
Io capisco tutte le difficolta’ che il governo attualmente affronta, ma quando la pancia ha tanta fame il cervello non ragiona più… soprattutto quando vedi che una certa classe di gente sta diventando troppo piena di soldi grazie a questa guerra. Se all’inizio del 2011 una piccola parte del popolo siriano e’ uscita contro il governo di Assad perchè economicamente era scontenta, ora più della metà del popolo siriano e’ scontenta… 
   La gente è andata a votare con la speranza che Assad porti non solo la sicurezza ma anche per migliorare la vita economica del cittadino siriano. Ora Assad ha la battaglia più dura in assoluto. Una battaglia che non richiede armi... Sì, vi sono le NGO che aiutano, ma questo tipo di aiuto sembra come una medicina per calmare il dolore... tutte le  NGO ti danno cibo, abiti... ma non offrono un lavoro che ti permette di vivere degnamente... 
Si ricomincerà veramente la vita del Paese quando si inizierà a creare dei posti di lavoro e quando il presidente inizierà a pulire il paese dalla corruzione... quando di comincerà a dare più libertà soprattutto ai media locali e meno controllo sul cittadino...
I fratellini Anton Hajjar e Michael, giocavano
sul balcone di casa nel quartiere Jaramana:
uccisi da un razzo dei ribelli

La situazione di Damasco ogni giorno è critica perchè i ribelli buttano colpi di mortaio su di noi. E la vita sta diventando sempre più difficile... la gente e' molto stanca..., c'è tristezza... 
Samaan da Damasco







    Le elezioni presidenziali in Siria vanno analizzate, non condannate a priori






    Appunti, 19-06-14
    di Mario Villani


    Si è votato in Afghanistan, elezioni presidenziali, primo turno il 14 aprile e secondo il 14 giugno......

    Si è votato in Ucraina, elezioni presidenziali. Anche in questo caso le elezioni, per i nostri media mainstream, sono state “democratiche ed un passo significativo verso la normalizzazione della situazione”......

     Si è votato in Siria, elezioni presidenziali. Il 3 giugno undici milioni seicentomila Siriani (su quindici milioni e mezzo che ne avevano diritto) si sono recati alle urne ed hanno riconfermato, dandogli l'88% dei suffragi, Bashar Assad come capo dello stato. Le condizioni in cui si è votato non sono state molto diverse da quelle dei due Paesi prima citati: parte del territorio occupato, violenze diffuse, scarsità di controlli. In questo caso però i media occidentali hanno assunto un atteggiamento ben diverso, bollando le elezioni con termini come “farsa”, “inganno”, “presa in giro della democrazia”. In questo modo, oltretutto, si sono risparmiati la necessità di svolgere un minimo di analisi sui risultati emersi dalle urne..... 

      LEGGI L'ARTICOLO QUI:  

    martedì 7 gennaio 2014

    L’alleanza infernale ha sferrato una guerra

    L'orrore ha un nome: Adra

    di Mario Villani


    Adra è una città di oltre cinquantamila abitanti del Rif damasceno, situata ad una ventina di chilometri a nord di Damasco, non lontano dal massiccio montuoso chiamato Qalamoun che fa parte della catena dell'Antilibano. Fino allo scorso mese di dicembre questa città, caratterizzata dal suo multiconfessionalismo, era stata relativamente risparmiata dagli orrori della guerra che, da ormai tre anni, sta devastando la Siria, tanto da essere divenuta rifugio di numerosi profughi a favore dei quali è stato realizzato un vasto programma di edilizia popolare. Nella notte tra il 10 e l'11 dicembre 2013 in questa cittadina è iniziata una tragedia che costituisce una delle pagine più orrende non solo della guerra in Siria, ma di tutta la storia moderna. Bisogna premettere che in quei giorni era in corso nel vicino massiccio del Qalamoun un'offensiva dell'esercito regolare siriano che, dopo aver liberato dalla bande islamiste le città di Qara e Nabek, si accingeva a dare l'assalto a Yabroud, roccaforte delle organizzazioni salafite che vi hanno addirittura creato un effimero emirato. La caduta di Yabroud sarebbe stato un colpo durissimo per il fronte dei rivoltosi, già provati da una serie di sconfitte e da una sanguinosa lotta intestina che vede combattersi tra di loro le varie anime dell'estremismo islamista.   “Qualcuno”, fuori dalla Siria, ha così pensato di creare un diversivo per costringere l'esercito siriano a sottrarre forze dal fronte del Qalamoun ed a impiegarle altrove. E' stata scelta la città di Adra, poco difesa e non lontana, come si è detto, dalle zone “calde” intorno a Yabroud. All'interno del centro abitato vi erano già diverse cellule “dormienti” di guerriglieri, pare complessivamente poco meno di un migliaio di combattenti, entrati mescolandosi alle colonne di profughi in arrivo da ogni angolo della Siria. Altri due/tremila guerriglieri appartenenti al famigerato Fronte Al Nusra, sono stati fatti affluire da altre aree del Paese, qualcuno addirittura dall'Iraq, e schierati intorno ad Adra.

    Alle quattro del mattino è iniziato l'assalto. I guerriglieri già presenti all'interno della città hanno attaccato la stazione di polizia, difesa da poche decine di agenti, che sono stati tutti uccisi e poi mutilati e bruciati. Le bande all'esterno della cinta urbana hanno rapidamente travolto i pochi e sguarniti posti di blocco dell'esercito e si sono riversati nelle vie cittadine, sparando contro le case e gridando “siamo venuti a uccidervi nassiriti (ovvero alauiti)”. Ovunque nella città sono state innalzate le bandiere nere di Al Nusra e dell'ISIL, l'Esercito Islamico del Levante ed è iniziato il massacro, rivissuto nelle testimonianze delle persone che sono riuscite a fuggire ed a raggiungere le postazioni dell'esercito regolare. La prima vittima, dopo i poliziotti, è stato un infermiere della clinica pubblica. Accusato di essere un “collaborazionista”, in quanto dipendente statale, è stato decapitato e la sua testa è stata appesa ad un albero nella piazza del mercato. Successivamente i guerriglieri hanno occupato il forno principale della città e qui sono avvenuti episodi efferati: tutti i nove dipendenti sono stati decapitati e le loro teste sono andate a tenere compagnia a quella dell'infermiere nella piazza del mercato. Quindi i terroristi di al Nusra hanno usato il forno per le loro esecuzioni. Un numero imprecisato di persone, tra cui alcuni bambini, vi sono stati infatti bruciati vivi (2). 
    In altre aree della città elementi armati sono passati di casa in casa rastrellando persone sulla base di liste di proscrizione di cui, come riferisce Russia Today (che ha ascoltato molti testimoni oculari della carneficina) erano in possesso. Dipendenti pubblici e membri delle comunità alauita, cristiana e drusa le principali vittime. A centinaia sono stati ammassati e uccisi, i più fortunati con raffiche di mitragliatrice, altri torturati, mutilati e decapitati, altri ancora, come già detto, condotti al forno e bruciati vivi. Tra le tante storie tragiche merita di essere riferita quella dell'ingegnere Al Hassan. Sentendo i guerriglieri che salivano le scale per venirlo a prendere e ben sapendo quale sorte attendeva lui, la moglie e i due giovanissimi figli, ha atteso che i terroristi del Fronte Al Nusra sfondassero la porta di casa e poi ha azionato quattro ordigni esplosivi di cui era in possesso. Nessuno si è salvato.

    Il massacro è continuato ininterrotto per due giorni, poi i reparti dell'esercito siriano accorsi dal vicino Qalamoun sono riusciti a penetrare nella città ed a porre in salvo almeno cinquemila persone minacciate dai terroristi. Altre centinaia di persone mancano però all'appello. Molte sicuramente sono morte ed i loro corpi non sono ancora stati ritrovati, ma altre sono ancora nelle mani dei guerriglieri di Al Nusra che li usano come scudi umani per ostacolare le operazioni dell'esercito che cerca di riportare la sicurezza nella città. Ancora oggi, infatti, molti quartieri sono rimasti sotto il controllo dei guerriglieri e le operazioni militari procedono con estrema lentezza proprio per cercare di minimizzare le perdite tra i civili.

    L'attacco ad Adra dimostra che chi soffia sul fuoco della guerra in Siria non è disposto ad abbandonare la partita. L'Arabia Saudita, perchè è da lì che viene il terrore, continua ad inviare combattenti in Siria, ma non solo, perchè anche gli scontri che sconvolgono la provincia irachena di Anbar e gli attentati in Libano e Russia sembrano avere il medesimo ispiratore ed organizzatore. Evidentemente la dinastia Saud sembra aver deciso: il Medio Oriente ed il Caucaso siano wahabiti (una corrente della galassia salafita a cui appartiene la famiglia reale saudita) oppure brucino in una devastante guerra confessionale. Questo continuo afflusso in Siria di uomini (ben forniti di armi e stupefacenti) unitamente ad alcune lacune dell'esercito regolare siriano (determinato, ma concepito per combattere contro un esercito regolare e non per fronteggiare gruppi guerriglieri) rischiano di portare ad una guerra senza fine, una guerra dove gli episodi di efferata crudeltà sono destinati a moltiplicarsi all'infinito.

    L'orrenda carneficina di Adra, infatti, è solo l'episodio più spaventoso di una lunga serie di violenze operate dai gruppi islamisti che combattono il Governo siriano, violenze che negli ultimi mesi sembrano aver preso sempre più di mira le minoranze cristiane e quella alauita. Nel villaggio di Saddad sono stati uccisi e mutilati ottanta cristiani, le suore rapite a Maaloula non sono più state liberate, colpi di mortaio cadono quotidianamente davanti alle scuole ed alle chiese uccidendo, ferendo e mutilando... Di fronte a questa inumana violenza che va al di là della inevitabile durezza che accompagna ogni guerra si impone almeno una riflessione.

    Quei guerriglieri che torturano, mutilano, rapiscono e uccidono ci sono stati presentati per anni come i difensori della democrazia contro un regime sanguinario e tirannico. Addirittura siamo stati sul punto, nello scorso mese di agosto, di scendere in guerra al loro fianco, fermati solo da un voto del Parlamento britannico e dall'atteggiamento durissimo della Russia. Ora molti cominciano a capire che favorire la loro vittoria vorrebbe dire trasformare l'intera Siria in un grande campo di tortura e di morte. Qualcuno riesce ad immaginare cosa succederebbe ad esempio se Damasco cadesse nelle mani dei salafiti? Cosa ne sarebbe delle decine di migliaia di Cristiani, Alauiti e Drusi che vi abitano? Cosa avverrebbe delle migliaia di dipendenti pubblici, visto che la sola carica di infermiere o portalettere conduce alla decapitazione?

    E' doveroso quindi porre oggi con chiarezza una domanda: i responsabili della politica internazionale (da Obama alla Clinton, da Hollande a Cameron, da Erdogan a Terzi di Santagata) conoscevano o no la natura fanatica e sanguinaria delle bande islamiste che fin dall'inizio sono state la componente più significativa della rivolta in Siria? Se la risposta è affermativa molte persone in occidente devono prendere atto di essere governate da soggetti di un tale disgustoso cinismo da accettare, pur di conseguire loro non ben decifrati obbiettivi, di consegnare un popolo intero nelle mani di sanguinari assassini come i cannibali di Al Nusra e alleati. Se la risposta è negativa le medesime persone devono prendere atto di essere governate da babbei. Non so quale prospettiva sia più inquietante.


    1) Non preoccupatevi se non avete visto questa notizia sui media. E' solo il segno di quanto siano attendibili e completi nell'informazione.


    2) Una televisione russa ha trasmesso le immagini orrende dei loro corpicini semi carbonizzati. Sono stato a lungo tentato di mettere in testa all'articolo una di queste fotografie. Ho deciso di non farlo, non per un riguardo allo stomaco dei nostri lettori -che anzi è bene vedano cosa si intende quando si parla di orrore-, ma per una forma di rispetto verso quelle creature. 

    domenica 13 ottobre 2013

    Una rivoluzione tradita?

    Una nuova lettura degli avvenimenti siriani appare sui nostri mass media

    foto Alessio Romenzi







         di Mario Villani 


    Facciamo un passo indietro ed andiamo a rivedere quello che riportavano giornali e televisioni sui fatti che coinvolgevano la Siria. Ve lo ricordate? Per molti mesi l'immagine offerta fu quella di un popolo che scendeva pacificamente in piazza per reclamare la libertà e che veniva massacrato da un esercito e da una polizia al servizio di quello che era definito aprioristicamente come il “feroce dittatore”. Praticamente a nulla serviva il far notare che la maggior parte delle vittime dei primi scontri apparteneva alle forze dell'ordine e che, pertanto, proprio pacifiche quelle manifestazioni non dovevano essere. Sordi ad ogni argomento contrario i mass media avevano un titolo standard : “Le milizie di Assad bombardano pacifici manifestanti”. Con il passare del tempo e con il moltiplicarsi di filmati e testimonianze diffuse su internet divenne però sempre più difficile nascondere il fatto che anche i “manifestanti” sparavano e quindi ecco la nuova chiave di lettura delle vicende siriane fornita dai mass media: schiacciato dalla feroce repressione del regime il popolo siriano ha preso le armi per far trionfare la democrazia e ritrovare la libertà, aiutato in questa lotta dalle migliaia di disertori che avevano abbandonato l'esercito siriano per non essere costretti a sparare sul popolo. Chiunque osava mettere in dubbio questo dogma - magari ponendo qualche dubbio sulla reale ansia di democrazia di tutti i rivoltosi e sul reale numero dei disertori- era immediatamente bollato come amico, probabilmente prezzolato, del dittatore di Damasco. Il fatto che, solo per fare un esempio, tutte le autorità ecclesiastiche in Siria e nel vicino Libano contestassero pesantemente questa visione brutalmente manichea degli avvenimenti era considerato privo di rilevanza persino dai media cattolici che preferivano attenersi alla versione di una sola persona, un gesuita italiano (a cui peraltro oggi vanno i nostri sinceri auguri e le nostre preghiere per un ritorno in patria sano e salvo), che si era eretto a paladino dei ribelli, arrivando ad accusare di “collaborazionismo” con il regime le Gerarchie delle chiese cristiane del paese. Tutti, concordemente, prevedevano che il regime, “indebolito dalle continue diserzioni e travolto dalla crescente ostilità popolare” sarebbe caduto in pochissimo tempo. Addirittura il nostro Ministro degli Esteri di allora, Terzi di Sant'agata, dichiarò che si trattava di una questione di giorni.


    Sono passati i mesi e gli anni ed il regime non è caduto, confermando che avevano ragione coloro i quali sostenevano che la rivolta aveva l'appoggio solo di una parte, oltretutto minoritaria, della popolazione siriana e che le diserzioni dall'esercito non erano state decine di migliaia, ma solo poche centinaia. Con il passare del tempo inoltre è apparso in maniera sempre meno occultabile il carattere islamista della rivolta. Dichiarazioni truculente di leaders dei movimenti armati, rapimenti e uccisioni di cristiani (compresi sacerdoti e vescovi) e appartenenti ad altre minoranze religiose, distruzioni di luoghi di culto e l'attacco a Maalula, applicazione di una feroce “legge islamica” nelle zone controllate, autobombe contro i civili, massacri e torture di prigionieri, sanguinosi regolamenti di conti tra bande di ribelli rivali, sono divenuti talmente frequenti da non poter più essere tenute nascoste all'opinione pubblica. L'orrenda immagine di un “ribelle” (ma ha il diritto di essere così definito uno psicopatico criminale?) che strappa il cuore di un soldato ferito e lo divora o di quell'altro che pone la testa mozzata di un militare a cuocere su un barbecue hanno fatto il giro di internet riuscendo a meritare ad una parte almeno dei “rivoltosi” l'etichetta che il Presidente russo Putin ha loro cucito addosso: cannibali.
     
    Impossibile quindi continuare a sostenere la tesi di una opposizione al regime siriano laica e democratica, “costretta” dalla violenza del regime a impugnare le armi, ma desiderosa di risparmiare ogni sofferenza alla popolazione civile. 
    Ecco quindi l'ultima versione, lanciata per primo dal giornalista della Stampa Quirico dopo alcuni mesi trascorsi come “ospite” involontario delle bande armate, versione che ormai sta facendosi strada su gran parte dei mezzi di comunicazione: la rivoluzione siriana degli inizi era buona, democratica e moderata, ma l'Occidente non l'ha appoggiata come avrebbe invece dovuto fare e così i leaders ribelli sono stati costretti a chiedere l'aiuto dei gruppi islamisti più radicali e dei paesi loro alleati, finendo però per diventare, di fatto, loro ostaggi. I gruppi islamici radicali avrebbero in pratica “scippato” la rivoluzione dalle mani dei democratici. E' una versione che, in apparenza, potrebbe mettere d'accordo tutti. Coloro che, in qualche modo ritengono la Siria di Assad preferibile a quella dei ribelli possono sottolineare il carattere attualmente estremista della rivolta, quelli che la pensano in modo opposto rimarcare invece la moderazione e la democraticità della rivoluzione ai suoi esordi chiedendo all'Occidente di operare per aiutare i rivoltosi a recuperarne lo spirito originario. Una bella versione accettabile da tutti quindi. Purtroppo ha un difetto: è falsa o, quantomeno, radicalmente incompleta . Mi spiace doverlo dire, ma sono un convinto assertore del detto secondo cui “la verità è l'unica carità concessa alla Storia”. E la verità è che, fin dagli inizi, la presenza islamista era assolutamente predominante tra i rivoltosi. Lo dico anche per un senso di giustizia verso gli estremisti islamici (salafiti e jihaidisti) colpiti da un'accusa di cui non sono colpevoli: quella di aver rubato ad altri la rivoluzione siriana. Ricordo perfettamente quello che mi risposero sacerdoti, civili e militari alla domanda che posi loro nel novembre 2011 (quindi a pochi mesi dall'inizio della guerra): da che ambienti arrivano i manifestanti che ricorrono alla violenza? La risposta fu unanime (1): in maggioranza dalle moschee dove predicavano imam wahabiti. E fin dai primi giorni del conflitto fu evidente e tutti coloro che la volevano vedere una circostanza devastante: l'arrivo da tutto il mondo islamico di un enorme numero di volontari armati che, attraverso il Libano e la Turchia, accorrevano, rispondendo all'appello di imam estremisti, a dare manforte ai loro confratelli in Siria. E' doveroso ammetterlo: agli inizi della rivolta vi fu effettivamente chi prese le armi spinto solo dalla volontà di cambiare un regime che giudicava (non senza qualche ragione) tirannico e da cui aveva in passato subito torti e ingiustizie, vi furono (e forse ancora ci sono) dei ribelli che combatterono per ottenere una maggiore libertà per il Paese. E' altrettanto doveroso ammettere però che, all'interno della Siria, tutti costoro non hanno mai avuto (e men che meno hanno oggi) un ruolo predominante nella guida della rivoluzione.


    Speriamo che prima o poi qualcuno (parlo ovviamente di chi prende decisioni vere in campo internazionale e non certo di noi poveri bischeri che non contiamo nulla) si renda conto che, per affrontare il problema siriano ci vuole una grande capacità di discernimento e di comprensione delle sfumature. Pertanto deformare la realtà ed alimentare una visione manichea della situazione non serve assolutamente a risolvere il problema. Sempre ammesso, ovviamente, che qualcuno lo voglia veramente risolvere.


    Mario Villani

    1) Non invece i pochi politici che incontrai. Il Governatore di Homs, per fare un esempio, parlò solo di delinquenti comuni. Il timore era che indicando negli ambienti islamisti i principali oppositori armati si alimentasse un clima da guerra religiosa...Con il senno di poi una posizione suicida.

    martedì 10 settembre 2013

    Maalula, i giornalisti e gli islamisti

    Notizie contraddittorie sulla situazione di Maalula, mentre la liberazione di Quirico e del belga Piccinin infliggono un duro colpo all'immagine dei guerriglieri. La proposta russa.

    11/09 : l'armata siriana libera il monastero di Mar Tekla






    "Welcome to Maalula", il cartello di benvenuto ancora resiste sulle macerie all'ingresso del villaggio cristiano


    Maalula è ancora controllata da bande armate islamiste e sappiamo ben poco di quello che sta avvenendo al suo interno. Purtroppo la notizia di una sua liberazione da parte dell'esercito regolare -che avevamo riportato nel precedente articolo- è poi risultata infondata. Inoltre intorno alla cittadina simbolo della Cristianità orientale si è scatenata una ridda di false informazioni che rendono quasi impossibile conoscere la situazione. Anche le testimonianze che giungono dal suo interno devono essere prese con molta circospezione perchè è possibile che vi siano persone – ed anche religiosi- che sono, di fatto ostaggio dei guerriglieri islamici e che quindi inviano messaggi sotto costrizione. 


    Damasco: sconforto dei cristiani al funerale dei martiri di Maloula


    Le operazioni dell'esercito regolare sono rese difficili dalla impossibilità di utilizzare massicciamente le armi pesanti per non causare danni irreparabili agli edifici storici ed esporsi così (come probabilmente gli islamisti vorrebbero) alla pesante critica dei media internazionali. In queste condizioni liberare la cittadina non sarà facile anche considerando che presumibilmente l'esercito siriano riterrà oggi prioritario concentrare le sue forze nella preparazione della difesa da un eventuale attacco aereo e missilistico da parte di americani e francesi.
     Non resta che pregare e sperare continuando a ripetere, in ogni occasione possibile, una parola d'ordine: “Giù le mani da Maalula!”.


    Maaloula resident talks to BBC



    Sulla situazione siriana però vi sono due fatti nuovi che meritano di essere riportati. Dopo mesi di prigionia nelle mani dei ribelli è stato liberato Domenico Quirico e con lui un ostaggio belga Pierre Piccinin. Le dichiarazioni rilasciate dai due concordano nel definire durissime le condizioni della detenzione. Quirico ha apertamente dichiarato di essere stato tradito dalla “rivoluzione” che lui aveva appoggiato e sostenuto. “E' diventata qualcosa di altro” ha dichiarato, intendendo dire che il movimento rivoluzionario avrebbe perso il suo carattere iniziale laico e democratico per divenire islamista. 
    Mi spiace doverlo contraddire sul punto. Non esiste una rivoluzione siriana dei primi tempi ed una attuale. Esiste una rivoluzione siriana vista da lontano ed una vista da vicino. La rivolta siriana è sempre stata, fin dall'inizio, egemonizzata dagli islamisti e solo chi, a tutti i costi, voleva vedervi un movimento sinceramente democratico si è lasciato ingannare. Il che è successo ad un buon numero di osservatori occidentali ed a qualche militante anti-Assad che sperava di poter utilizzare gli islamisti per abbattere il regime per poi metterli da parte successivamente. 
    Piccinin con le sue dichiarazione è andato anche oltre, affermando di aver sentito i suoi rapitori parlare dell'attacco con il gas nervino ed affermare che si trattava di un'operazione orchestrata dalla stessa opposizione. In altre parole avrebbe scagionato Assad. Quirico questa mattina in alcune interviste ha confermato le inumane condizioni della sua detenzione. Ha confermato anche la conversazione riferita da Piccinin sull'uso delle armi chimiche da parte dei ribelli. Solo ha dichiarato di non sapere quanto autorevoli e informati potessero essere le persone che parlavano, uno dei quali, comunque, si autodefiniva "generale" dei ribelli. 

    Il secondo fatto nuovo è rappresentato dalla proposta russa di mettere sotto controllo internazionale le armi chimiche di Damasco, proposta che la Siria ha già accettato. Ora nelle mani di Obama e Kerry vi è veramente una patata bollente. Come giustificare, di fronte ad una opinione pubblica interna ed internazionale sempre più ostile ad un attacco, la decisione di voler bombardare la Siria per impedire l'utilizzo di armi che il Governo di Damasco sarebbe comunque disposto a consegnare pacificamente? Fino ad oggi, nel contesto di questa gravissima crisi, la Russia si è mossa con intelligenza e determinazione e con questa proposta forse è riuscita a spegnere la miccia che era ormai arrivata vicinissima alle polveri. 
    Tornano alla mente le parole della Santa Vergine ai pastorelli di Fatima: “La Russia si convertirà ed il Mondo avrà un periodo di pace...” ed è impossibile non rilevare come questo spiraglio di soluzione pacifica (il primo dopo un lungo periodo di crescente tensione) si manifesti il giorno immediatamente successivo alla giornata di preghiera promossa da Papa Francesco. Maria Regina della Pace, prega per noi...

    Mario Villani


    I funerali delle vittime della battaglia di Maaloula. 

    Il racconto di Gian Micalessin

    In Siria a Damasco si sono svolti i funerali delle vittime della battaglia di Maaloula, la cittadina cristiana attaccata nei giorni scorsi dai ribelli di al Qaeda. Il racconto Gian Micalessin di questa giornata di dolore.

    http://www.rainews24.it/it/video.php?id=35903 



    .
    .