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venerdì 25 ottobre 2019

Monsignor Giuseppe Nazzaro, nel ricordo dell'amico padre Carlo Cecchitelli


Come ogni anno nell'anniversario della morte (26 ottobre 2015), ci è caro rinnovare il ricordo dell'indimenticabile Padre Nazzaro, a cui OraproSiria è particolarmente legata da affetto filiale.

Il suo compagno Padre Carlo Cecchitelli ripercorre per noi con la freschezza di una lunga amicizia la vita e il servizio di Padre Giuseppe, in questa spontanea bella intervista di Benedetta Panchetti.




Padre Cecchitelli, potrebbe darci un ricordo suo personale di Monsignor Nazzaro nell’arco della vostra vita, da frati e durante tutti gli impegni della custodia a Gerusalemme? 
 Sì, io ho conosciuto padre Nazzaro già dagli anni 1952, diciamo che il primo incontro con lui è stato al Collegio Serafico Internazionale di Quarto Miglio a Roma, allora io ero lì già come postulante e lui invece è venuto come seminarista piccolo, lo ricordo come un ragazzo un po’ mingherlino, da ragazzo non era come fu poi Padre Custode più robusto! Un ragazzo di campagna che veniva da San Potito Ultra, un paesino dell’avellinese, un biondino con gli occhi azzurri, un ragazzo semplice, ordinato, intelligente, estroverso, nonostante che noi fossimo tanti come i giovani ragazzi che eravamo, lui era sempre di buona compagnia, di buona amicizia, era ordinato, negli studi e anche nel guardaroba. Insomma era un ragazzo molto educato e simpatico. Noi abbiamo subito fatto amicizia, io sono di un anno più grande di lui, perché io sono nato nel 36 e lui è nato nel 37, quindi appena di un anno. Però fin da allora ci ha uniti una bella amicizia, ci volevamo bene e poi ci aiutavamo l’uno l’altro, spesso stavamo insieme durante il periodo della ricreazione, si parlava del più e del meno. Poi io sono andato al noviziato a Betlemme e lui ha fatto il noviziato un anno dopo di me sempre a Betlemme, sicché durante il noviziato io ero studente di filosofia, lui era novizio, però eravamo nello stesso convento.

 Quindi vi frequentavate?
 Stesso convento, la preghiera insieme, i pasti insieme, qualche volta la ricreazione insieme e quindi quell’amicizia è continuata con lui. Io ero studente di filosofia, lui novizio, ricordo che era molto osservante dei regolamenti, degli atti comuni, puntuale, era un po’ tipo tedesco!

 Era un campano tedesco!
 Eh sì, un tipo tedesco! E quindi avevamo questi momenti in comune, poi lui ha finito il noviziato ed è entrato in filosofia, perché allora erano 4 anni di filosofia, dopo ci siamo ritrovati insieme nella stessa comunità dello studentato filosofico, io ero un anno avanti però a filosofia siamo stati almeno 3 anni insieme. E durante la filosofia lui seguiva le lezioni, era intelligente, studioso, aveva molta propensione per le lingue. A noi già dal noviziato insegnavano l’arabo, quindi lui lo ha appreso bene. Aveva studiato i primi elementi già a Roma, poi durante il noviziato avevamo pure delle lezioni di un professore di Betlemme, lui aveva facilità di apprendimento, quindi l’arabo l’ha imparato da subito. E poi, sempre durante lo studentato di filosofia, ha imparato anche il francese perché avevamo un professore proprio di lingua francese, quindi ha imparato anche bene il francese. Poi io per la teologia mi sono trasferito al seminario di teologia a Gerusalemme e lui mi ha seguito un anno dopo. Sempre così, un anno dopo! In teologia pure mostrava un carattere serio, convinto della vita religiosa, non era uno che si lamentava, seguiva l’andamento comune della comunità, quindi studiava, aveva bei voti.

 Sempre diligente!
 Sì, intelligente e diligente. Aveva bei voti, si comportava bene. Poi io l’ultimo anno di teologia l’ho fatto a Roma alla Pontificia Università Antoniana per motivi di salute e lui ha fatto tutti e quattro gli anni di teologia a Gerusalemme, a San Salvatore. Io sono stato ordinato sacerdote a Roma e lui è stato ordinato a Gerusalemme nel giugno. Dopo il sacerdozio per forza siamo stati un po’ divisi, nel senso che io sono stato mandato a studiare a Napoli, lettere e filosofia, lui fu mandato a Roma, catechesi, pastorale, queste cose, per reggere una parrocchia. Io rimasi 4 anni lì, lui mi pare 2-3 anni a Roma, e poi io tornai a Gerusalemme come professore, invece a lui assegnarono subito la parrocchia, perchè sapeva bene l’arabo, sapeva bene il francese, sapeva bene l’italiano, quindi lo mandarono in Egitto, perché a quel tempo la custodia di Terrasanta aveva molti conventi in Egitto. Diversi anni dopo, il Ministro Generale ha voluto che le due entità che erano in Egitto fossero una unità perché diceva “frati minori quelli, frati minori questi, non ha senso che ci siano due unità, facciamo una sola provincia religiosa”. E quindi la Custodia ha ceduto tutto a quella che era la vice provincia di frati egiziani, tutto, conventi, proprietà, tutto ciò che era della Custodia.
Questo è avvenuto quando io ero Custode di Terrasanta e padre Nazzaro era il segretario della Custodia e naturalmente anche mio segretario! Ci siamo ritrovati! Ma dal periodo in cui ha finito i suoi studi universitari superiori, fino a che è diventato segretario custodiale, lui praticamente è vissuto in Egitto, nei vari conventi che avevamo: a Santa Caterina ad Alessandria, san Giuseppe al Cairo, Bulacco al Cairo. E faceva bene, faceva bene. Io che non ero in Egitto ma professore a Betlemme e poi segretario custodiale a Gerusalemme e poi a Roma, sentivo ben parlare di lui. Era guardiano, aveva un certa autorità, era uno dei frati che avevano anche il senso del comando, anche di amministratore. Sapeva fare, non era inesperto, sapeva condurre, rimase là finchè non è stato mandato qui a Roma. Avevamo il Collegio Serafico Internazionale e lui è stato nominato vice rettore di quel collegio, era severo. I ragazzi filavano dritti! Mi pare che rimase 3 anni e mentre lui era vicerettore a Roma io ero segretario custodiale a Gerusalemme. E poi io sono andato a Roma come rettore e lui è tornato in Egitto, come guardiano. E però ci sentivamo, ci telefonavamo.

 Quindi l’amicizia è andata avanti nel Mediterraneo, su e giù!
 Io sono stato 12 anni a Roma, lui nel frattempo era sempre in Egitto e ci sentivamo. Poi capitava spesso anche a Roma perché suo fratello con la mamma erano portinai del Collegio Serafico, e quindi lui quando veniva in Italia per le vacanze veniva al Collegio, perché oltre che amico mio aveva lì anche la mamma e il fratello sposato. In seguito io, dopo 12 anni a Roma, sono stato chiamato di nuovo come segretario custodiale e dopo 3 anni mi hanno nominato Custode di Terrasanta. A quel punto ho cercato un segretario della Custodia perché il posto era vacante essendo stato io il segretario, e siccome avevamo un certo feeling, ho prima chiesto a un paio che hanno rifiutato e allora dissi al Nazzaro che mi telefonava “vieni tu” ed è venuto lui.
Come segretario era serio, si faceva rispettare, la segreteria funzionava, poi c’era questa amicizia, con me Custode eravamo in buoni rapporti, ci aiutavamo a vicenda. Dopo 6 anni in cui sono stato io il Custode e lui segretario, fu eletto lui Custode. Quindi io sono stato Custode dall’86 al 92 e lui è stato nominato Custode dal 92 al 98.
Il suo custodiato è stato buono: era stimato, era benvoluto anche perché era di principi, le leggi, gli statuti dovevano essere osservati, era uno che camminava dritto e quindi mi è stato di aiuto durante il custodiato mio. E veramente devo dire che insieme, come segretario e Custode avevamo spesso colloqui, parlavamo di situazioni, del personale, di attività, di opere, ci scambiavamo il parere e lui dava dei consigli, offriva anche lui la sua opinione. E così abbiamo passato quei 6 anni insieme. Poi una volta che io sono scaduto da Custode e lui è diventato Custode, mi ha destinato qui a Napoli, al Commissariato di Terrasanta, e quindi sono stato 6 anni io Commissario e lui Custode.
Nel triennio il Custode deve fare una visita a tutti i conventi, e lui fece la visita anche qui a Napoli, interrogando tutti i frati che c’erano. Allora eravamo nei quartieri spagnoli, nel vecchio commissariato, e i frati si lamentavano perché quel convento era diventato impossibile, nel senso che quei quartieri brulicano di mafiosi della camorra, un disastro! Specialmente i fratelli avevano difficoltà quando tornavano il sabato dalla colletta e trovavano sempre le porte sbarrate del garage, perché quelli mettevano le macchine ovunque. Avevamo messo anche dei paletti di ferro per limitare, li hanno tagliati di notte i paletti di ferro! Non c’era niente da fare. E allora il Custode disse “è il tempo di cercare un nuovo commissariato. Una nuova sede più confacente, dove non ci sono tutte queste storie”. Così trovammo questa che era una villa abbandonata da tempo e abbiamo comprato questo complesso, un ambiente vicino al museo di Capodimonte, alla reggia, qui è gente del popolo, e siccome confiniamo con la parrocchia, aiutiamo in parrocchia. Siamo stati fortunati perché siamo riusciti a sistemarla come convento.

 Quindi stato un po’ pragmatico come decisione, nell’abbandonare l’altro convento.
 Eh sì perché c’è una differenza enorme. E così poi una volta che lui ha terminato di fare il Custode, è stato destinato di nuovo in Egitto e dopo è stato mandato in Siria. In Siria è stato mandato come parroco e superiore a Damasco. Si intuiva che veniva mandato là in vista magari di diventare vescovo della Siria e difatti, quando finì il vescovo Bertolaso lui fu nominato vescovo della Siria.
La notizia fu ben accolta, lui conosceva bene l’arabo, era un figlio della Custodia, fin da ragazzo conosceva tutti gli ambienti arabi e divenne vescovo. Nel suo incarico, fece sempre le visite alle nostre parrocchie della Siria, dandosi da fare prima di tutto per coprire un po’ tutti i debiti che purtroppo la diocesi aveva. La cosa più importante fu costruire l’episcopio perchè prima i vescovi di Siria abitavano al convento di san Francesco a Aleppo, nel centro della città. E invece mons Nazzaro ha detto “il vescovo deve avere la sua sede, la sua cattedrale”. E così si è dato da fare per cercare i fondi e ha costruito la chiesa e tutto il resto. Ci ha messo le suore di madre Teresa per i poveri, vicino c’era anche il monastero delle Carmelitane. Ha lavorato, si è tanto dato da fare. Mi faceva vedere i progetti, era entusiasta di questa cosa. Ha trovato a Roma buoni appoggi dal prefetto per la Congregazione per le Chiese Orientali, ha avuto i fondi e ha costruito.

 Era un’esigenza impellente di avere un episcopio finalmente funzionante?
 Certamente! Io, quando ho terminato di fare il Custode, in Siria non ci sono più andato o forse ci sono andato qualche volta. Ma lui quando veniva a Roma mi metteva al corrente di tutto quello che faceva. E dopo è venuta la guerra e padre Giuseppe ha lottato molto. Lui certo aveva tutta l’esperienza, sapeva cosa c’era sotto. I giornalisti scrivevano cose che non corrispondevano alla realtà ma lui era al corrente di tutto. Quindi sapeva chi aveva provocato la guerra, perché era venuta la guerra, dal punto di vista politico aveva l’occhio giusto. E difatti in seguito si è rivelato che aveva proprio ragione lui. Però poi a causa della salute quando è arrivato all’età di 75 anni e c’è la norma che i vescovi devono dare le dimissioni, a quel punto lui ha chiesto di poter essere ospitato qui al Commissariato di Napoli e gli è stato concesso. E gli ultimi anni li ha passati qui, poi la malattia si è aggravata ed è poi è morto in ospedale. Però viveva qui. Girava per l’Italia per fare le conferenze, poi tornava qua, era qua la sua sede.

 E qua con voi in quegli anni, lui è venuto in pensione nel 2013 se non mi sbaglio, in quei due anni parlavate della Siria, di quello che succedeva?
 Sempre sempre sempre. Lui era molto acuto nell’interpretare le situazioni, e capiva bene anche perché sapeva tutti gli arretrati. E comunque era sempre interessato alla Siria, anche quando stava qua. Sapeva tutto quello che succedeva.

 Quindi oltre all’impegno che ci metteva nel fare le conferenze, quando era qui la Siria era sempre il suo pensiero?
 Sì nel suo pensiero e nelle sue preghiere e ci soffriva anche, perché lui è stato pastore di quei cristiani. Ci soffriva anche per questo. Lo vedevo, perchè l’amicizia nostra di sempre è continuata ancora, fino agli ultimi anni. Volevo dire che durante il custodiato lui è stato uno dei custodi migliori nel senso che ha tenuto fermo il punto. Lì il Custode aveva a che fare con gli ortodossi, con il Patriarcato latino, con il Nunzio Apostolico, con i consoli e gli ambasciatori delle varie nazioni, insomma è Gerusalemme. Ma lui ha difeso sempre la Custodia, amava la Custodia. La amava e ci teneva che le cose andassero bene sia sotto l’aspetto religioso, disciplinare, liturgico, sia sotto l’aspetto amministrativo perché insomma la Custodia la guarda tutto il mondo, i pellegrini.. si trova a dover amministrare. Ma lui teneva il punto ed era difensore dei diritti della Custodia, non transigeva sullo status quo!

 Sapeva difendere la Custodia su tutto i piani, anche quello più politico, delicato?
 Sì sì, per questo non era duro, era sempre diplomatico ma fermo. La Custodia era la Custodia, e lui era figlio della Custodia, perciò ci teneva. Durante il custodiato ha fatto molte opere, era presente, visitava spesso i frati, quello che prometteva lo faceva. Mi sembrava che fosse benvoluto. Ha mantenuta alta la bandiera.

. che è una bandiera impegnativa!
 Eh come no! Io son stato 6 anni pure Custode, quelli più difficili anche politicamente. Il suo custodiato è ricordato ancora, anche se sono passati 20 anni ma è ricordato. Ha fatto tante cose. C’è da dire che è stato uno dei Custodi che è passato alla storia. È giusto dargli la riconoscenza per quello che ha fatto. Durante il suo custodiato e il suo episcopato lui è stato molto attivo, molto dinamico e molto creativo. Ha accettato con entusiasmo anche l’episcopato e si è dato da fare. Non è stato un vescovo curiale che se ne sta lì in Curia. No, girava, faceva, guardava, spronava. Era attivo, questi sono stati i periodi più belli di padre Nazzaro. Prima che diventasse segretario custodiale aveva occupato posti di responsabilità e di una certa gravità in Egitto soprattutto. Lui già da fratino, lì al Collegio Serafico, poi in teologia, filosofia, poi i primi anni di sacerdozio, gli studi in Egitto, ha vissuto una vita attiva, anche come guardiano ci teneva alla disciplina, alla preghiera, alle funzioni liturgiche. Sotto questo aspetto è stato un buon guardiano. Quando è diventato Custode conosceva i frati, conosceva tante cose. 

 Quindi conosceva davvero i paesi principali del Medio-Oriente.
 Sì sì, e poi anche situazioni politiche, perché quando siamo arrivati noi negli anni 50 tutta la Cisgiordania apparteneva alla Giordania, Gerusalemme vecchia apparteneva alla Giordania. Noi stavamo nella vecchia città di Gerusalemme e abbiamo visto tutte le evoluzioni, le guerre, tutto. E io ho visto 5 guerre! Ma siamo sempre andati avanti. Anche in Egitto ha fatto bene, ha fatto belle esperienze in Egitto, gli è servito. Ma è servito anche a me, perché io andavo in Egitto come Custode per le visite canoniche, ma lui conosceva tutti i frati, tutte le situazioni, tutti i conventi, tutti i problemi. E quindi è stato utile sotto questo aspetto. E poi ha conosciuto la Siria: prima ancora di diventare vescovo, parroco a Damasco. E poi come vescovo, naturalmente ha vissuto tutte le vicende della Siria, ha cercato di fare del suo meglio. È stato bravo.

Padre Carlo, la ringraziamo di cuore!

giovedì 7 febbraio 2019

Considerazioni sul Documento firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.

Il documento firmato da Papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar Ahmad Mohamed Al-Tayyib rappresenta una novità importante nel quadro dei rapporti tra Islam e Cristianesimo e tra i musulmani e i cristiani che vivono nei paesi arabi.
Sebbene sia necessario attendere la sua effettiva applicazione da parte non solo delle autorità religiose islamiche ma anche dei molti governi di paesi a maggioranza musulmana, questo documento per la prima volta pone al centro del dialogo interreligioso la questione della libertà personale e della cittadinanza, riconoscendo i cristiani come cittadini dei paesi in cui spesso risiedono da secoli, con gli stessi diritti e doveri dei connazionali musulmani.
Inoltre, la figura dell'imam Al-Tayyib rappresenta il vertice dell'Università di Al-Azhar, da secoli massimo punto di riferimento religioso e culturale dell'Islam sunnita. Per questo motivo, l'eco che tale documento potrà avere nella vastissima umma islamica è particolarmente rilevante. Sarà necessario sostenere, in Europa come nel mondo arabo -musulmano, tra i cristiani come tra i musulmani, l'applicazione dei principi enunciati da questo documento.
Benedetta Panchetti,
dottoressa di ricerca in Diritto Islamico

Abu Dabhi, 4 febbraio 2019

In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace.
In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera.
In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante.
In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna.
In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre.
In nome della «fratellanza umana» che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali.
In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini.
In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa.
In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede.
In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra.
In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio.
Noi – credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio –, partendo dalla nostra responsabilità religiosa e morale, e attraverso questo Documento, chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive.

mercoledì 25 ottobre 2017

IL PENSIERO POLITICO DI MONSIGNOR GIUSEPPE NAZZARO RIGUARDO ALLA SIRIA (2° parte)

UNA LETTURA STORICO- POLITICA DELLA MISSIONE DI MONSIGNOR NAZZARO IN TERRA ARABA
  Relazione presentata al convegno in memoria di Padre Giuseppe Nazzaro o.f.m, a san Potito Ultra, il 5/11/2016
  di Benedetta Panchetti


1 I rapporti islamo- cristiani: fermezza nella fede, ecumenismo del quotidiano
Uno dei temi fondamentali del suo pensiero che emergeva in relazione al mondo arabo, ed alla Siria in particolare, era la necessità di un dialogo franco con i musulmani, che partisse dalla fermezza nell’affermazione dei principi della fede e dell’identità cristiana e dal rispetto di quelli della religione musulmana e delle sue autorità. Grazie alla profondissima conoscenza del Corano e dei testi religiosi islamici ha sempre potuto dialogare personalmente e liberamente, soprattutto nelle vesti di Vicario Apostolico ad Aleppo, con le autorità musulmane e con i semplici fedeli, affermando la necessità, da un lato, del rispetto dovuto alle comunità cristiane nelle diverse espressioni del proprio credo, e, dall’altro, del rafforzamento del dialogo quotidiano, tra amici, conoscenti, colleghi di lavoro e compagni di classe di fedi diverse.
In questo aspetto vedeva l’elemento più positivo e prezioso della società siriana degli ultimi anni: il periodico ripetersi di incontri con il gran Mufti della Repubblica e con altre autorità musulmane, la pacifica convivenza negli stessi villaggi o quartieri di cristiani e musulmani.
E questo sottolineava anche quando si riferiva all’Egitto, dove raccontava i grandi pericoli corsi dai cristiani durante la Presidenza di Morsi a causa degli attacchi contro chiese e case cristiane da parte di gruppi fondamentalisti islamici ma allo stesso tempo sottolineava anche i casi in cui semplici cittadini egiziani musulmani erano accorsi a protezione dei loro vicini cristiani.
Se già questa sua posizione lo poneva al centro di una delle tematiche più scottanti della nostra epoca, ancor di più ciò può essere rilevato quando affrontava il problema del rapporto con i governi.
2 I rapporti tra comunità cristiane e governi arabi
Anche in questo caso il centro del suo pensiero era la tutela della libertà della Chiesa, sia come istituzione cui doveva essere garantita la libertà di conservare e di trasmettere la fede pubblicamente sia come insieme del clero e dei fedeli, cui doveva essere riconosciuta la libertà di professare il proprio credo senza subire limitazioni nel godimento dei diritti umani, politici e sociali e discriminazioni nelle possibilità di accesso all’istruzione, al mondo del lavoro, alla pubblica amministrazione. Per questo ricordava spesso le limitazioni vissute come parroco nell’Egitto del presidente Mubarak, quando la ristrutturazione o la nuova costruzione di una chiesa, formalmente permesso dalla legge, in pratica era reso impossibile dalle autorità statali che non concedevano i permessi necessari e i cristiani erano sistematicamente estromessi dalle cariche pubbliche più alte e dagli incarichi più prestigiosi nella pubblica amministrazione. Allo stesso tempo, però, ha denunciato con forza il peggioramento delle condizioni di vita dei cristiani e di tutti gli egiziani quando nel 2012 le elezioni democratiche hanno portato al potere il primo presidente proveniente dal gruppo islamico fondamentalista dei Fratelli Musulmani. Infatti, spesso ha indicato questo fallimento del processo democratico in Egitto come un esempio per il futuro della Siria, affermando che i siriani, soprattutto i cristiani ma anche i musulmani non fondamentalisti, avevano ben compreso quale effetto distorto possa avere il tentativo di formare un governo democratico secondo standard occidentali che però non tengono conto delle specificità storiche e sociali dei popoli del medio-oriente. L’analisi di quel periodo diventava nel suo pensiero una triste riproposizione dell’esempio dell’Iraq, anch’esso ben conosciuto dai siriani: in Egitto come in Iraq, sottolineava spesso Sua Eccellenza, la democrazia aveva portato al potere governi incapaci di tutelare la vita dei non musulmani, spesso oggetto di attentati contro le Chiese e i luoghi di ritrovo, colpiti anche con rapimenti e omicidi mirati.
Come affermato a durante la conferenza tenuta all’Università degli studi di Pisa nell’aprile 2015 con il professor Marcello Mollica e successivamente a Livorno, in una delle sue ultime interviste pochi mesi prima della morte, il popolo siriano aveva accolto fino al 2010 ben 1 milione di profughi iracheni, tra i quali moltissimi cristiani, fuggiti dal loro paese a causa della guerra iniziata nel 2003 e ad oggi mai veramente conclusa, che aveva avuto tra le prime conseguenze la nascita di innumerevoli gruppi armati islamici dediti al rapimento e all’uccisione di cristiani e al saccheggio delle loro case e chiese. Ben prima della nascita e dei successi militari dello stato islamico, infatti, i cristiani iracheni erano fuggiti da Baghdad e dall’Iraq, dopo l’uccisione di due vescovi cattolici e alcuni sacerdoti a Mosul ed il rapimento di decine e decine di laici.
3 La posizione sulla Siria
Proprio per questi motivi, avendo vissuto in Siria sia sotto il regime del Presidente Hafez al Assad sia sotto quello del figlio Bashar, ha sostenuto la necessità per l’Europa e l’America di supportare e incoraggiare le prime timide riforme economiche messe in atto da Bashar all’inizio della sua presidenza, nel 2010, nel corso della breve “Primavera di Damasco”. Pur consapevole della necessità che il regime implementasse alcune riforme politiche, si è opposto fino alla fine della sua vita all’idea che l’appoggio indiscriminato a formazioni di ribelli, finanziati da paesi esteri, fosse la strada per costruire una Siria ancora unita, democratica e pluralista. Anzi, in virtù della conoscenza approfondita e di lungo periodo della realtà siriana, era ben cosciente degli antichi piani di divisione del paese, messi in atto per la prima volta dalla Francia nel 1920 e poi ripresi dalla Turchia e negli anni più recenti da Arabia Saudita e Qatar, come ben descrisse agli studenti delle facoltà di scienze politiche e giurisprudenza a Pisa nell’aprile 2015. Fin dal 2011 con grande amarezza e dolore constatò l’appoggio europeo e americano a quei gruppi di ribelli, armati dai paesi sunniti quali Arabia Saudita e Qatar e legati ad Al Qaida, che intendevano- ed intendono tutt’oggi- trasformare la Siria in uno stato islamico, dividendo il paese in aree omogenee religiosamente ed etnicamente.
Con la stessa amarezza e con altrettanta lucidità denunciò sempre anche le mire occidentali su quella parte di Siria nei cui sottosuolo si trovano giacimenti di gas e petrolio, e i piani del governo turco di trarre vantaggi commerciali dallo smantellamento del sistema industriale di Aleppo: oggi ne abbiamo le prove, grazie addirittura a fotografie aree che hanno ripreso ribelli jihadisti che hanno trafugato verso la Turchia i macchinari industriali un tempo ad Aleppo.
Il suo pensiero politico, complesso e articolato e per questo controcorrente rispetto alle semplificazioni di chi voleva individuare subito e definitivamente lo schieramento “dei buoni” da aiutare contro l’esercito dei cattivi, è stato talvolta ridotto ad uno schierarsi pro o contro il Presidente, senza valutare invece che egli aveva a cuore prima di tutto la tutela del diritto a vivere in un paese unito, non preda degli interessi corrotti di altri paesi, capace di dare un futuro ai suoi giovani, cristiani e musulmani, insieme, come insieme spesso vivevano, nel rispetto delle differenze religiose di ciascuno.
La necessità che fossero i siriani dall’interno del loro paese e senza l’imposizione di paesi stranieri a percorrere lo stretto e tortuoso cammino per la democratizzazione dello Stato gli era già risultato evidente nella primavera del 2013, quando, nell’imminenza della conclusione del suo mandato episcopale, sfidò i vari gruppi armati già presenti nella valle dell’Oronte, tra Aleppo ed il confine turco, e effettuò la sua ultima visita pastorale in villaggi in cui ormai quasi tutta la popolazione cristiana era fuggita. Ha visto la valle dei cristiani di san Paolo vivere l’esodo delle sue comunità più antiche, scacciate da milizie straniere.
Eppure, già preoccupato per il suo popolo costretto a andare a cercare l’acqua potabile nei pozzi delle parrocchie e privo di elettricità, deluso dall’Europa e dagli USA che appoggiavano chiunque incrementasse il conflitto invece di spendersi per serie e concrete trattative diplomatiche di pace, riuscì a passare indenne le linee del fronte a nord di Aleppo e a portare per l’ultima volta la propria testimonianza di fede in Cristo a quella parte di gregge che non aveva voluto abbandonare i propri villaggi nemmeno quando i ribelli avevano trasformato in stalla la Chiesa greco-ortodossa di uno di questi luoghi.
La sua lucida analisi politica sulla Siria ed anche sull’esportazione della democrazia con le armi e sulla necessità dell’effettiva tutela dei diritti delle minoranze religiose nei paesi arabi sono oggi condivise da molti di coloro che hanno a cuore il popolo siriano ed i popoli vicini più che tornaconti politici.
Ritengo che oggi del suo pensiero politico rimanga, infatti, la certezza che la tutela dei diritti delle minoranze religiose sia una sfida importante per tutti i paesi arabi e che se essa da sola evidentemente non basta per definire uno Stato come democratico, come nel caso siriano, è altrettanto vero che senza di essa nessuno Stato può essere definito democratico.
In particolare, appare sempre più necessaria per la vera pacificazione di questa area di mondo la sua posizione di franchezza e di fermezza nel dialogo con le autorità religiose islamiche e con quelle civili, il rifiuto del principio politico del sovvertimento armato di qualsiasi Stato e l’incessante richiamo all’implementazione di qualsiasi forma di trattative diplomatiche tra i diversi attori politici.
Oggi che la splendida città di Aleppo vive i suoi mesi più drammatici la sua lucidità e lungimiranza politica si aggiungono ai molti motivi che acuiscono la mancanza della sua persona.
 qui la prima parte dell'intervento 

lunedì 23 ottobre 2017

Anniversari ... in Paradiso

Sono ormai trascorsi due anni dalla morte (26/10/2015) del carissimo monsignor Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo e nostro padre nella fede e nella affezione alla 'amata Siria'. 
 Lo vogliamo ricordare nel contesto della celebrazione degli 800 anni della presenza francescana in Terra Santa, perchè veramente padre Nazzaro ha incarnato l'animo di san Francesco nei luoghi in cui ha consumato la maggior parte della sua vita religiosa e servito la Chiesa con amore immenso e leale.

Riprendiamo qui anzitutto l'interessante lavoro degli archeologi francescani, confratelli di monsignor Nazzaro e oggi in festa con lui nel Cielo, circa il patrimonio cristiano dei primi secoli in Siria ; 
in seguito, suddivisa in due parti, la relazione della dottoressa Benedetta Panchetti al convegno in memoria di Padre Giuseppe Nazzaro svoltosi il 5 novembre 2016 nel paese natale San Potito Ultra (AV).


Un inventario fotografico delle prime chiese siriane

«Uno dei magnifici tre». Con queste parole fra’ Claudio Bottini, decano emerito dello 
Studium Biblicum Franciscanum, ha introdotto, al convegno per gli 800 dei francescani in Terra Santa, la relazione della dottoressa Emanuelle Main sull'opera di fra’ Ignacio Peña in Siria e sulla documentazione fotografica che ha lasciato il francescano spagnolo. Una documentazione fondamentale del lavoro portato avanti insieme ai confratelli Romualdo Fernandes e Pasquale Castellana; un'opera di ricognizione e studio del patrimonio cristiano dell'area siriana che ha segnato una pagina importantissima nella conoscenza della storia del monachesimo cenobitico ed eremitico delle origini.
La Main ha compiuto un excursus fotografico quanto mai articolato e ampio sull'opera e gli studi di fra’ Ignacio, che tra i «tre compagni» aveva il compito di documentare le escursioni archeologiche compiute nell'arco di oltre 40 anni in tutto il Paese, esplorando tombe, studiando monasteri e iscrizioni. Tra i meriti indiscutibili di fra’ Ignacio e compagni, lo studio dello stilitismo nell'area siriana e la comprensione della vera funzione delle torri abitate dai monaci reclusi.

L'impegno per la difesa della memoria cristiana e la passione per la dimensione culturale sono tra gli elementi che contraddistinguono la presenza francescana oggi in Terra Santa, come ha richiamato nel suo intervento anche il card. Leonardo Sandri. In questo l'opera di fra Peña e dei confratelli francescani si segnala come tributo d'amore verso un contesto, quello siriano, dove la Chiesa è fiorita, dove oggi sta soffrendo il martirio, e dove la consapevolezza delle origini va tramandata più che mai alle future generazioni.
Fra’ Ignacio è mancato ormai sette anni fa, nel 2010. Pochi anni dopo, anche fra’ Pasquale Castellana (2012) e fra’ Romualdo Fernandes (2015) - dei quali segnaliamo il volume Chiese siriane del IV secolo, Edizioni Terra Santa, Milano 2014 - lo hanno seguito nella Gerusalemme celeste. Dove, ha sottolineato padre Bottini, si sono riuniti e dove non mancheranno di organizzare insieme qualche programma di esplorazione... soprannaturale.
Il lavoro di salvaguardia e digitalizzazione del patrimonio fotografico di fra’ Ignacio è stato reso possibile grazie al lavoro del Dipartimento fotografico degli Archivi storici della Custodia, affidato a fra’ Sergey Loktionov e al lavoro paziente di Emanuelle Main.

http://www.terrasanta.net/tsx/lang/it/p10284/Un-inventario-fotografico-delle-prime-chiese-siriane

IL PENSIERO POLITICO DI MONSIGNOR GIUSEPPE NAZZARO RIGUARDO ALLA SIRIA: UNA LETTURA STORICO- POLITICA DELLA MISSIONE DI MONSIGNORE IN TERRA ARABA.

di Benedetta Panchetti*


Saluto S.E. rev.ma mons. Francesco Marino, Vescovo di Avellino, le autorità presenti, il Parroco Don Antonio Vincenzo Paradiso, ed i familiari di Mons. Nazzaro che hanno organizzato questo convegno, donandomi l’onore e l’emozione di essere qui oggi a ricordare con voi un pastore umile e buono che, seguendo il carisma di San Francesco, ha speso la propria vita in Siria e più in generale nei paesi arabi, aderendo in modo appassionato ed intelligente alla missione di frate, sacerdote e poi Vescovo delle comunità latine. Conobbi Mons. Nazzaro nel 2008, in occasione della realizzazione della mia tesi di laurea sulle comunità cristiane in Siria; lo contattai telefonicamente e lo raggiunsi a Roma timorosa per l’incontro col Vicario Apostolico di Aleppo. Fin dal primo incontro con la sua paterna attenzione al mio lavoro di giovane laureanda, ricca solo di studi teorici sul Medio Oriente, rimasi colpita dalla testimonianza di dedizione totale per il popolo che gli era stato affidato accompagnata da una profonda conoscenza di quelle realtà: la granitica certezza della propria Fede era criterio di conoscenza e dialogo tra quel mondo ed il nostro, nella consapevolezza quotidiana delle diversità esistenti. Ciò si è reso ancora più evidente quando, scoppiata la guerra in Siria, sia prima ma soprattutto dopo la rinuncia al mandato episcopale nel 2013, come Vicario Apostolico emerito ha profuso tutte le proprie energie per andare ovunque lo chiamassero per comunicare la propria esperienza di sacerdote e Vescovo e descrivere con acutezza la realtà della Siria, della guerra, e del mondo arabo nel suo complesso. Tale testimonianza recava in sé una conoscenza frutto non di studi astratti, ma di decenni di vita vissuta tra l’Egitto, Israele e la Siria e di profonde relazioni umane ad ogni livello, culturale, sociale ed anche politico, avendo avuto modo di interagire con molti uomini di governo in questi paesi.
Personalmente avevo avuto modo di sperimentare quanto profonda fosse la sua conoscenza di questa parte di mondo già nel 2009, durante la mia permanenza in Siria al fine di redigere la mia tesi di laurea, che Sua Eccellenza diresse sul piano accademico con pazienza e competenza. Oltre a ciò, le numerosissime interviste rilasciate dal 2011 dopo lo scoppio della guerra in Siria mi hanno permesso di approfondire il suo giudizio su tale paese e sull’intera regione.
Nel susseguirsi di conferenze da lui tenute a partire dal 2001, sollecitato dalle numerose domande del pubblico presente, Sua Eccellenza non solo aveva modo di descrivere la Siria che egli aveva conosciuto, ma anche le origini più profonde dei fenomeni che oggi vediamo drammaticamente sulle prime pagine di tutti i giornali: lo Stato Islamico, i gruppi jihadisti, il fondamentalismo islamico, la fuga dei cristiani dal Medioriente, l’abbattimento di regimi dittatoriali attraverso massicce campagne belliche che, però, conducono al potere nuovi regimi incapaci di creare vere democrazie.
Sua Eccellenza non si tirava mai indietro e, partendo dalle sue esperienze in questi paesi, forniva sempre comparazioni tra l’Egitto, la Siria e anche l’Iraq, risalendo indietro in una porzione di storia spesso non conosciuta o dimenticata in Occidente.
Nella frequentazione con lui ho avuto modo di individuare alcuni temi a lui particolarmente cari, come elementi chiave per comprendere non solo la vita delle comunità latine che egli aveva nel tempo conosciuto ma in generale la vita di quei popoli.
Partendo, infatti, sempre dalla spiegazione delle condizioni di vita delle sue comunità, toccava immancabilmente la descrizione dei rapporti complessi e contradditori tra i paesi arabi e il mondo occidentale, inteso come Europa e Stati Uniti, e l’analisi, altrettanto complessa e contraddittoria, dei rapporti tra le minoranze cristiane e la maggioranza musulmana della popolazione di ognuno di questi paesi.
Tuttavia, soprattutto nel caso della Siria, non mancava mai di affrontare anche le problematiche e le sfide nelle relazioni tra le comunità cristiane ed il governo. Tale franchezza di giudizio talvolta ha causato fraintendimenti con chi aveva difficoltà ad accettare la sua coraggiosa e politicamente controcorrente descrizione dei fatti. Pur consapevole delle molteplici difficoltà, però, non ha mai smesso di parlare di questo aspetto.
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  * Benedetta Panchetti, ricercatrice presso Centro Universitario Cattolico
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