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venerdì 16 maggio 2014

La caduta di Homs, le elezioni e il j'accuse dell'ambasciatore francese a Damasco





Piccole Note, 15 maggio 2014

Le elezioni siriane, fissate per il 3 giugno, rappresentano la prossima tappa del tragico travaglio che sta attraversando la Siria. Annunciate da Damasco saranno vinte da Bashar al Assad, che ha deciso di candidarsi nonostante l’opposizione del mondo. “Elezioni farsa” è il mantra che rimbalza ossessivo nelle cancellerie  che tre anni fa, 150.000 morti fa, centinaia di migliaia di feriti fa, milioni di esuli e rifugiati fa, non si aspettavano questo esito. 
Il regime change, così com’era stato sognato da quanti hanno sostenuto la ribellione contro Assad non è riuscito e forse non riuscirà più – il condizionale è d’obbligo perché chi muove i fili di questa guerra non demorde -. 
La caduta di Homs, città strategica e snodo nevralgico delle vie di comunicazione del Paese, è il simbolo della disfatta di questo cinico progetto che tanti lutti ha addotto al popolo siriano. Homs è tornata sotto il controllo del governo a inizi maggio quando, attraverso la mediazione iraniana (e dell’Onu), gli ultimi miliziani hanno accettato di salire sui bus che li avrebbero condotti a portare la loro follia altrove. 
Gli abitanti di Homs, quelli che ne erano fuggiti all’arrivo dei miliziani anti-Assad, sono potuti tornare nella loro città, ferita in maniera orrenda. 

tradizionale reliquia della santa Cintura
E una nostra fonte ci racconta che una grande folla si è adunata in una delle più antiche chiese della città, dov’è custodita la cintura della Madonna (secondo la tradizione Ella passò per l’antica Homs nel suo viaggio da Gerusalemme a Efeso dove trascorse gli ultimi anni della sua vita con l’apostolo Giovanni): cristiani e musulmani - anche questi coltivano una grande devozione per Maria - davanti a quell’antica reliquia, a ringraziare per la svolta degli eventi.


alla tomba di Padre Frans nella vecchia Homs si recano a pregare cristiani e musulmani

E mentre l’offensiva di Damasco si fa più efficace, il fronte anti-Assad risulta sempre più diviso. Ormai sono decine i gruppi di miliziani, in perenne guerra tra loro, forti del sostegno delle monarchie del Golfo e del tacito consenso dell’Occidente, che spargono terrore nel Paese. Anche l’unica formazione presentabile all’estero di questa accozzaglia di tagliagole, l’Esercito siriano libero – quello che gli Occidentali sostengono apertamente -  si sta sfaldando, come rivelato dal Washington Post e dal Guardian, e intere unità di questo esercito “libero e democratico” sono passate armi e bagagli con altri gruppi legati ad Al Qaeda.

In attesa di sviluppi sul piano militare e in assenza di una qualche iniziativa diplomatica seria per porre fine alla tragedia – il mediatore Onu Lakhdar Brahimi ha rassegnato le dimissioni, con giubilo di Damasco che lo considerava di parte -, la caduta di Homs e le elezioni prossime venture sanciscono la nuova posizione di forza di Assad. 
Da qui l’invettiva contro le “elezioni farsa”. È singolare il fatto che gli Usa, la Francia e la Germania non hanno dato il permesso alle sedi diplomatiche siriane distaccate presso i loro Paesi di accogliere eventuali elettori, diniego di un diritto sancito dalla Costituzione siriana che ha suscitato le proteste di Damasco. In effetti il divieto suscita domande, a parte le giustificazioni addotte: se davvero Assad è il mostro descritto dagli esponenti politici di queste nazioni, le urne andrebbero deserte confermando all’opinione pubblica internazionale l’avversità dei cittadini siriani nei suoi confronti. Né in queste sedi sarebbero possibili brogli, ché controllare l’afflusso alle urne presso nazioni “libere e democratiche” sarebbe alquanto facile, basterebbe un osservatore all’ingresso delle ambasciate. Così questo divieto sembra avere una sola giustificazione reale, ovvero il timore che i cittadini siriani residenti all’estero si rechino presso le loro ambasciate a manifestare il loro consenso a Damasco, ulteriore smacco per la narrazione propalata in questi anni.

In questa temperie, si segnala un fortissimo atto d’accusa contro l’Occidente da parte dell’ex ambasciatore francese a Damasco Michel Raimbaud. In una lettera aperta al presidente Hollande, il diplomatico scrive che è ormai sotto gli occhi di tutti il fatto che la ribellione contro Assad è stata sequestrata dagli «jihaidisti selvaggi»  e accusa di «cinismo»  le potenze occidentali, che sorvegliano «il silenzio sugli orrori commessi dagli jihadisti moderati e dai terroristi democratici attribuendo al “regime” la responsabilità del calvario che vivono i siriani».

E ancora: «La mistificazione è durata troppo. Bisogna smettere di mentire ai francesi [...] La Francia già parte importante dello smantellamento della Libia non può restare complice della distruzione della Siria sostenendo i terroristi di Al Qaeda che pretende di combattere in Africa dicendo di voler fermare Boko Haram e chiudere gli occhi sul martirio inflitto alla città di Aleppo dai suoi amici jihiadisti. Questa schizofrenia è indecente».

E conclude: «Le vittime della guerra universale condotta in Siria (metà delle quali appartengono all’esercito, alle forze di sicurezza e ai comitati di difesa) saranno morte vittime della barbarie, della menzogna, dell’indifferenza. Noi non sapevamo, diranno. E invece sì, loro sapevano. Sapevano tanto bene che scientificamente, sistematicamente, hanno immerso i loro concittadini in una nuvola opaca di false informazioni, di contro-verità, [...] Chi oserà dunque domandargli conto? Resteranno impuniti com’è sovente in questi casi, dal momento che sono tanto potenti e numerosi?». Se solo uno di loro sarà giudicato dalla Corte penale internazionale, continua Rimbaud, «come un comune arabo o africano», questo ci «ridarà speranza in quei valori che vediamo ogni giorno calpestati, calpestati dagli stessi che li brandiscono al fine di nascondere meglio le loro turpitudini». 

Atto d’accusa terribile, coraggioso e, sia concesso, commovente.