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sabato 25 gennaio 2014

Ginevra 2: si riparte con opposizion​e e governo allo stesso tavolo. La Santa Sede in gioco. E l'Italia, quale ruolo per la pace ?



Il Sussidiario , 23 gennaio 2014
di ROBI RONZA

Per  non compromettere il buon esito del Salone dell’Orologeria, di importanza  ovviamente cruciale per l’economia elvetica, i colloqui per la pace in Siria che  vanno sotto il nome di “Ginevra 2” sono iniziati  non nella sede dell’Onu a  Ginevra bensì nel centro congressi di un albergo della non lontana Montreux. 

La seduta inaugurale, aperta alla stampa, non ha dato adito a grandi speranze  per il futuro di questi negoziati, che  continueranno a Ginevra a porte chiuse. 
Prima ancora che si aprissero, sulla loro sorte ha pesato un’assurda  pretesa, tuttavia non priva di precedenti in quest’epoca di crisi - fra le altre  cose - anche della diplomazia. La pretesa cioè di escludere a priori dalla  trattativa alcune delle parti in causa, ovvero pretendere di aprire loro la  porta ma solo a condizione che si impegnino a uscire poi dalla scena.
Lunedì scorso il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, sotto la cui égida i  colloqui hanno luogo, vi aveva invitato anche l’Iran, ma il giorno dopo si è rimangiato l’invito su pressione degli Stati Uniti che si sono opposti sia a  nome proprio, sia tramite la Coalizione nazionale siriana, ossia il fronte di  opposizione al regime di Assad sostenuto da Washington.
La soluzione di  una crisi va trattata con tutte le parti in causa, con tutti quelli che di fatto tengono il campo e non solo con i più belli e i più buoni (o  presunti tali). Piaccia o non piaccia l’Iran ha un ruolo tutt’altro che  secondario nella vicenda; lasciarlo fuori quindi non ha giustificazione alcuna.
Se si comincia a pretendere che qualcuno che è sul campo non sia anche al tavolo  dei negoziati ciò significa che non si mira alla pace ma a qualcos’altro. Poi magari non si arriva alla pace anche avendo messo attorno al tavolo tutti quanti; lasciando però fuori qualcuno non ci si arriva di sicuro. Diciamo perciò  che c’è qualcosa di quanto meno paradossale  nel fatto che alla conferenza  partecipano circa trenta Paesi e altri soggetti di diritto internazionale, ma  non l’Iran. C’è quasi tutta l’Europa occidentale, Italia compresa, tutti o quasi i Paesi arabi, ovviamente gli Stati Uniti e la Russia, ma poi anche l’Australia,  il Sudafrica, l’India, l’Indonesia, la Corea del Sud e così via, ma non l’Iran.
Dall’altro lato come si fa a porre l’impegno a uscire dalla scena quale  condizione preliminare a una delle parti in causa, in questo caso il regime di  Assad? Chi mai accetterebbe di trattare a questo prezzo? Non lo  accetterebbe  neanche uno che avesse l’acqua alla gola, non foss’altro che per vendere cara la  pelle; e tanto meno può accettarlo uno che, come Assad, sta resistendo con  successo all’attacco di milizie talvolta straniere e sempre finanziate  dall’estero, che, in quanto a rispetto dei civili e delle loro proprietà, non  sono meglio, anzi spesso sono peggio, delle sue truppe.
Peraltro per un verso il regime di Assad non poteva fare a meno di esserci, e per l’altro non ci si poteva permettere di lasciarlo fuori. Perciò sin dalla  sessione inaugurale dei negoziati il ministro degli Esteri siriano è entrato nella trattativa attaccando Ban Ki-moon e respingendo a priori tale condizione.

Poi magari durante i colloqui a porte chiuse che inizieranno domani a Ginevra si  arriverà imprevedibilmente a qualcosa di positivo. Siamo però appunto nel campo dell’imprevedibile.
La situazione è aggrovigliata oltre ogni dire, ma in fin dei conti il bandolo  della matassa è in mano alle potenze che finanziano il conflitto: dalla parte di  Assad la Russia e l’Iran, e da quella dell’insurrezione gli Stati Uniti,  ohimè  l’Unione Europea  e alcuni Paesi arabi. 
E’ innanzitutto a questo livello che la  trattativa deve cominciare, e il nostro governo potrebbe, se volesse, fare  qualcosa.



PAPA-HOLLANDE: Perché arruolare Bergoglio tra i ribelli islamisti?


 Il Sussidiario , 25 gennaio 2014
di ROBI RONZA

Parlando ieri a Roma alla stampa dopo il suo incontro con Papa Francesco, il presidente francese François Hollande ha sorprendentemente annunciato di aver chiesto al Pontefice che il Vaticano possa ricevere la visita di una delegazione della coalizione democratica siriana, ovvero di quella parte degli insorti contro Assad che sono sostenuti dall’Occidente. E dopo aver ricordato che la Santa Sede partecipa alla conferenza Ginevra 2, ha aggiunto di auspicare che essa contribuisca ad orientare tale conferenza verso una soluzione dalla crisi siriana nel segno della “transizione” (ossia dell’uscita di scena di Assad).

Nel comunicato diffuso sull’incontro la Sala stampa vaticana non è invece entrata nei dettagli, limitandosi a riferire su quali argomenti il Papa e Hollande si sono soffermati. Il video delle dichiarazioni di Hollande è sul sito della presidenza della Repubblica francese, mentre il comunicato della Sala stampa vaticana è sul sito della Santa Sede, dico per chiunque voglia farsene direttamente un’idea.  

Mentre insomma a Ginevra, come purtroppo era prevedibile, la Conferenza internazionale sulla crisi in Siria rischia immediatamente di fallire, Hollande non esita a cercare di forzare la mano a Papa Francesco rendendo pubblico un appello che è di un’unilateralità sconcertante. Come ha recentemente dimostrato nel caso di una sua vicenda personale ormai però divenuta di notorietà planetaria, Hollande è capace di dire senza batter ciglio qualunque cosa in qualsiasi situazione. Ascoltandolo c’è talvolta di che esserne paradossalmente ammirati. Uno si domanda: “Ma come fa?”. E la domanda non può che rimanere senza risposta.

Venendo al caso della Siria senza dubbio il presidente francese aveva scelto l’interlocutore giusto, tanto più considerando il ruolo importante, anzi molto probabilmente decisivo, che il Papa ha avuto nel blocco all’ultimo momento di un attacco aereo americano che avrebbe avuto di certo conseguenze catastrofiche.
Come si fa, però, nel momento stesso in cui si chiede una mediazione di tale qualità e di tale livello, a pretendere di fissarne ciò che in gergo diplomatico si chiama l’“agenda”? È una gaffe degna di un dilettante, e tanto più grave considerando che, in quanto ad abilità politica, di tutto può essere accusato Hollande meno che di essere un dilettante. Se lo fosse stato non sarebbe giunto a una carica così più grande di lui.

Il Papa, “unico tra i grandi della terra che non ha armi da vendere e petrolio da comprare”, gode perciò nel Vicino e Medio Oriente di un grandissimo prestigio. E in modo del tutto particolare ne gode questo Papa per  il motivo più sopra ricordato.
Tra l’altro la Santa Sede è poi sempre riuscita a tenere aperto, sia con flessibilità che con fermezza, un certo dialogo con l’Iran khomeinista. Il suo costante e autentico impegno per la pace nel Levante è ben noto essendo ad essa strettamente legata la causa della libertà dei cristiani nell’area, e quindi di tutti.

Ad ogni modo, di positivo c’è che Hollande ha chiesto esplicitamente l’attenzione della Santa Sede al problema. Nel prossimo futuro si vedrà se anche altre importanti parti in causa, a partire dagli Usa e dalla Russia, sono sulla medesima lunghezza d’onda.
Se ciò fosse, la Santa Sede potrebbe fare molto per la pace in Siria.

http://www.ilsussidiario.net/News/roma/2014/1/25/PAPA-HOLLANDE-Perche-arruolare-Bergoglio-tra-i-ribelli-islamisti-/461736/