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sabato 10 novembre 2012

Dalla parte dei profughi siriani

OSSERVATORE ROMANO 11 NOVEMBRE 2012
 Intervista al cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, di ritorno dalla missione in Libano.

 
«Sono profondamente colpito dalla grande dignità di queste persone, uomini e donne, profughi in un Paese straniero, rifugiati, costretti a lasciare le proprie case, il proprio villaggio, la loro amata madre Patria, la Siria, dopo un pericoloso viaggio di centinaia di chilometri». Risponde così in un’intervista al nostro giornale il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, parlando delle sue prime  impressioni al termine della delicata missione in Libano, che gli è stata affidata da Benedetto XVI.

 
 Eminenza, quali sono state le ragioni e le finalità di questo viaggio?

In primo luogo vi è la grande attenzione del Santo Padre, ribadita lo scorso 7 novembre, per le vittime del terribile conflitto siriano. Le sue preghiere, i suoi richiami, la sua esplicita richiesta, mi hanno condotto in Libano.
Benedetto XVI in persona ha visitato questo Paese in settembre e già allora non ha mancato di esprimere tutta la sua vicinanza alle popolazioni e la sua preoccupazione per gli sviluppi della crisi siriana che rischia di compromettere tutto il delicato equilibrio mediorientale. La Siria, il Libano e tutta questa regione stanno nel cuore del Santo Padre. In secondo luogo vi è stata l’iniziativa dei padri sinodali, che nel pieno delle riflessioni sull’oggi dell’evangelizzazione, hanno cercato di organizzare un viaggio di solidarietà direttamente in Siria, viaggio che per diverse cause non si è potuto realizzare.
La mia visita ha voluto esprimere questa solidarietà, questa vicinanza di Papa Benedetto e dei padri sinodali. Quale presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, con il segretario monsignor Giampietro Dal Toso, abbiamo ritenuto di darci anche l’obiettivo concreto di incontrare gli organismi caritativi cattolici impegnati nell’accoglienza e nell’aiuto operativo alle persone bisognose, agli sfollati in Siria e ai rifugiati nei Paesi limitrofi, per rilanciare e coordinare al meglio gli interventi. La prospettiva più probabile è, infatti, quella di un lavoro di lungo periodo, di un’emergenza che si protrarrà nel tempo e forse si estenderà ulteriormente, richiedendo un lavoro sempre più capillare e intenso sul territorio, da parte di tutti. Mi sembra comunque molto importante la volontà di tutte le organizzazioni di lavorare in comunione e di testimoniare insieme l’amore e la prossimità di Dio verso chi è sofferente.

Quali sono stati i momenti salienti della visita?
Ho avuto incontri con il patriarca maronita e il Sinodo dei vescovi maroniti in Libano e con il patriarca armeno-cattolico. Il presidente della Repubblica del Libano mi ha fatto l’onore di ricevermi; va da sé che il ricordo è andato alla recente visita apostolica di Sua Santità in Libano, che è stata di importanza eccezionale per tutta la regione. Mi ha commosso l’incontro con il patriarca greco-ortodosso di Damasco, Ignazio IV, che ha voluto vedermi, anche se in quei giorni era ricoverato in ospedale; egli ha insistito sulla comune, necessaria testimonianza di fraternità. La giornata di giovedì 8 è stata dedicata alla visita ai rifugiati e sono giunto fino ai confini con la Siria. Purtroppo ho visto sofferenze inaudite: una madre voleva affidarmi il figlio di 4 mesi, perché ha lasciato il marito in Siria e non sa quando lo vedrà; alcuni rifugiati cristiani mi hanno chiesto di pregare il Papa di aiutarli a tornare a casa. 

L’impegno della Chiesa per queste persone attraverso i suoi organismi è encomiabile, anche se le risorse sono limitate rispetto ai bisogni: garantire la sopravvivenza e i servizi di base, la scolarizzazione, un tetto. A tutte queste problematiche è stata dedicata la riunione di venerdì 9, con i rappresentanti di Chiese locali e di 26 organismi di carità, insieme ai nunzi apostolici in Libano e in Siria. La riunione è stata molto utile per la conoscenza degli interventi e lo studio per una maggiore incidenza degli aiuti stessi.

Concretamente cosa può fare la Chiesa in queste situazioni?

I vari incontri che ho svolto mi hanno confermato quanto siano importanti le preghiere, le parole e le azioni. Gli appelli alla pace e alla riconciliazione, rivolti dal Santo Padre alle parti in guerra, a tutti gli attori di questo violento conflitto, alla comunità internazionale perché si attivi quanto prima, La sua continua preghiera, la sua vicinanza spirituale, unita alle iniziative di concreta e operosa solidarietà che si stanno attuando da mesi, dal primo momento in cui il conflitto ha cominciato a mietere vittime innocenti: questi tre approcci sono tutti fondamentali. In qualche modo traducono in concreto la triplice missione della Chiesa. Mi ha molto colpito il fatto che durante la nostra riunione di coordinamento più voci abbiano sottolineato il ruolo determinante della Chiesa per favorire la riconciliazione. Ogni conflitto lascia dietro di sé ferite profonde; se queste non guariscono, la pace resta solo una
pace di facciata. Dobbiamo portare il nostro messaggio di perdono e di riconciliazione. È un servizio spirituale che forse solo la Chiesa, attraverso vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, può svolgere.

LE SUORINE DI ALEPPO

Come si può realizzare questa missione, in un contesto in cui la Chiesa è minoranza, soprattutto in Siria e in altri Paesi di questa complessa regione del
mondo?


Da Papa Benedetto alle organizzazioni caritative cattoliche impegnate sul terreno, insieme, siamo uniti in questo grande sforzo umanitario. Tutto quello che adesso possiamo fare per loro concretamente, dobbiamo farlo. Sia per il loro bene materiale, sia per il loro bene spirituale. Un aiuto aperto a tutti, senza distinzione e senza secondi fini. In tal senso attraverso la visita si è cercato di favorire la cooperazione e uno spirito di comunione tra i vari attori, Individuando anche le sfide e le difficoltà, in particolare il continuo aumentare dei problemi e dei bisogni. In molti contesti la Chiesa cattolica è una comunità debole e fragile, piccola e vulnerabile, un’esigua minoranza, ma capace di grandi gesti di carità. Adesso è il momento per vivere concretamente quella comunione e quella testimonianza, alla quale il Sinodo per il Medio Oriente ha chiamato. Vediamo questo momento difficile come una grande opportunità che il Signore ci dà per mostrare il vero volto di una Chiesa umile, debole, povera, ma che si sente realmente al servizio della redenzione del mondo e che si apre nella carità a tutti coloro che hanno bisogno. Una Chiesa che in questa regione del mondo, complessivamente è certamente una minoranza, ma che è solidale con tutti, secondo le indicazioni del Vangelo, con un prossimo che ha fame, sete, che è forestiero, che può avere ogni tipo di bisogno, anche se appartiene ad altre religioni, ma nondimeno resta il nostro prossimo. E qui vorrei ringraziare Caritas Libano, vescovi e comunità cristiane che fanno di tutto per accogliere in nome di Cristo tutti questi rifugiati.

Vi è anche un’attenzione interreligiosa?

Come ci insegna Papa Benedetto, nell’enciclica Deus caritas est, l’amore del prossimo si estende alle persone che neppure conosciamo e questo può realizzarsi solo a partire dal nostro intimo incontro con Dio. Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. È certo che non si può confondere il doveroso dialogo interreligioso caratterizzato da dinamiche complesse e articolate, con l’azione caritativa, di per sé pratica, concreta; ma è altrettanto certo che un gesto di carità aperto a tutti, senza distinzione di sorta, tantomeno di religione, costituisca una sorta di dialogo silenzioso, un ossimoro, fatto di fatti, di azioni che rispondono a bisogni reali, soprattutto dei più poveri, un gesto di comunione. Tali azioni di fatto ben dispongono a un dialogo tra persone che, dentro l’azione di carità, si riconoscono come fratelli, si riconoscono da un gesto, da uno sguardo, da una carezza.
PADRE GEORGES, MARISTI DI ALEPPO
La carità, come dicevo, è via per la pace, e la pace è preparata dal dialogo e dalla comunione. Come Cor Unum riteniamo e speriamo che dentro una teologia della carità, dentro un Vangelo della carità, annunciato e vissuto, vi siano anche
questi buoni frutti.


L'Osservatore Romano, 11 novembre 2012.




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